I'm the violence in the pouring rain.

Quella gnocca della Gray u.u

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  1. …Heartless?
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    Oliver Abrasax-WP ( ) - 18 - Telepatia - Neutrale - gay represso(?)
    «you should hear my heart: is it beating
    Pioveva su un giovedì di marzo sferzato da un gelido vento, rendendo il pomeriggio ideale da passare chiusi in casa, sotto le coperte, a leggersi un buon libro. E Oliver ci aveva pure provato. Nonostante la lettura non fosse il suo passatempo preferito, si era detto che per una volta non gli avrebbe di certo fatto male acculturarsi un po'. Poi, per puro caso, quella mattina aveva pure trovato in un angolo della cucina un bel librone rilegato e aveva pensato, come suo solito, che chi trova tiene, che era impossibile risalire al proprietario con tutti gli abitanti di quella casa, eccetera eccetera. Così lo aveva portato sottobraccio per le scale fino a raggiungere la sua stanza, dove si era accasciato sul letto con l'intento di capire di che cosa trattasse il volume. La camera di Oliver sembrava il nido di una gazza ladra: oggetti di ogni membro della famiglia accatastati in una pila informe in un angolo di questa, che fossero vestiti, soprammobili o quant'altro, Oliver li vedeva e se li portava con sé, senza apparente motivo. Se col tempo vivendo in casa WP il suo carattere era andato migliorando, la sua cleptomania, della quale era affetto sin da bambino, non stava che peggiorando. Il casino fuori dal suo piccolo angolino di mondo, però, gli rendeva impossibile concentrarsi su qualsiasi attività e di tentare di far fare un po' di silenzio non ne aveva proprio voglia, perché aveva imparato a sue spese che non gli conveniva affatto: il silenzio non sarebbe mai arrivato e, anzi, rischiava di farsi coinvolgere in una qualche stupida attività o essere costretto ad aiutare qualcuno in questo o quello. No, Oliver non odiava la sua famiglia, anzi: erano i primi per i quali poteva dire di provare reale affetto, i primi con i quali poteva davvero parlare di come si sentiva - anche se ciò accadeva decisamente raramente - e vi si era affezionato a tal punto che se lo avessero paragonato al gatto Oliver della Disney, rosso ed orfanello come lui, non se la sarebbe presa come faceva durante la sua infanzia. Ma questo non lo scopriremo mai, perché praticamente nessuno dei Withpotatoes conosceva Oliver. Il gatto, sì. Così aveva imparato che le cose importanti o che necessitavano un minimo di concentrazione andavano fatte di notte, quando tutti dormivano e che di giorno era meglio vagabondeggiare in giro. Oliver era abituato a farlo e, anzi, si divertiva: trovare qualcuno da infastidire con quella sua abilità che solo due anni prima vedeva come un terribile e osceno optional come un moncherino o qualcosa del genere, era ciò che più lo divertiva in assoluto. Non solo: soddisfaceva anche la sua mania di primeggiare, in un qualche senso. Non erano certo molti quelli che potevano vantare di saper leggere nel pensiero. Solamente lui ed un altro centinaio di esperimenti più tutti i maghi dall'abilità di legilimens.
    Insomma, una volta aver perso le speranze per dare un'occhiata al misterioso libro rilegato, Oliver decise di lanciarlo nella pila di oggetti alla sua sinistra e questo, in un saltello, ne raggiunse la cima. Poi il ragazzo si diede una spinta in avanti per scendere dal letto ed in un attimo stava correndo giù per le scale con la giacca addosso, pronto a raggiungere un qualche pub per una deliziosa burrobirra. Il bello di avere diciotto anni nel mondo della magia, amava ripetersi. Si chiuse la porta alle spalle per accorgersi giusto un secondo dopo di aver lasciato dentro chiavi ed ombrello. E dal cielo stava scendendo un secondo diluvio universale. Dopo aver sussurrato una bestemmia, si girò per dare un pugno contro il portone, due pugni, tre. Nessuno rispose. E lui camminò semplicemente, a passo spedito, sotto la pioggia.
    Una volta arrivato di fronte ai tre manici di scopa, si passò una mano fra i capelli fradici giusto per darsi un contegno. Non servì a molto, se non a bagnarli anche la mano destra e a fargli scivolare una ciocca negli occhi, provocandogli un'altra uscita da scaricatore di porto. Spinse con una spallata la porta del locale ad occhi chiusi, attendendo che quella sensazione fastidiosa lo abbandonasse quanto prima, per poi riaprirli e sbatterli più volte in direzione del bancone, dove si diresse camminando dondolante. Posò infine i gomiti su di questo, passandosi poi il pollice sul labbro inferiore, sovrappensiero. Gli perdeva alle volte, da dopo gli esperimenti, di perdersi semplicemente in sé stesso, nella sua stessa testa. Ormai Idem, Isaac e gli altri non ci facevano neanche più caso. Ma a tutte le persone che non lo conoscevano poteva sembrare un po' stupido o un po' tocco in quei suoi momenti. Fortunatamente duravano poco, giusto il tempo di ritrovare in quel cassetto difettoso che era la sua memoria un ricordo doloroso riguardo ai dottori o, più raramente, un minuscolo dettaglio della famosa Leto. Leto, la ragazza del bracciale che portava da quando aveva memoria. Leto, l'unico pezzo mancante del suo passato apparentemente completo nel suo disegno mentale. Leto, che si era immaginato mille volte prima di addormentarsi dopo gli esperimenti, nella sua minuscola stanza, alla luce innaturale del corridoio là vicino. Leto, che sperava di poter ritrovare un giorno. Un giorno. Una burrobirra, per favore. chiese poi al ragazzo al bancone, notando il suo meraviglioso sorriso con un brivido sulla schiena. No, non era pronto per capire di che cosa si trattasse. Non ancora. Lo guardò prendere il boccale e riempirglielo accarezzando con le dita il braccialetto che riportava, incise, quelle quattro lettere che per lui significavano troppo nonostante non ne sapesse il reale significato.

    the heart is deceitful above all things,
     
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    Cornelia Jean Grey ( ) - 23 - Phoenix - Mangiamorte - Explosive
    « I know it's like to be afraid of your own mind »
    Fuori dal locale, oltre i vetri appannati, la pioggia aveva iniziato di nuovo a cadere. Non dovette nemmeno alzare lo sguardo per vederla, poteva udire chiaramente le gocce d'acqua picchiettare sulla strada contro le finestre.
    Jean storse la bocca, tirandosi indietro i capelli, stanca. Di cosa, non lo sapeva nemmeno lei.
    Seduta su quello scomodo sgabello ai Tre Manici di Scopa iniziò a domandarsi cosa la trattenesse ancora lì.
    Tu odi la pioggia, le ricordò una voce dentro di lei.
    Fottiti, rispose un'altra, scocciata. Come se tale domanda riguardasse davvero la permanenza nel locale, povera ingenua Cornelia.
    Strinse le dita attorno al piccolo bicchiere di vetro ricolmo di un liquido blu, quasi trasparente, su cui sopra bruciava una piccola fiamma blu. Se doveva rimpiangere qualcosa di quegli anni da vagabonda, forse era proprio il Whisky Incendiario.
    Sollevò fra il pollice e l'indice il drink e si guardò attorno, schiva. Un'abitudine che nonostante tutto, faticava a morire, persino adesso che i suoi nemici non erano più alle spalle, bensì intorno a lei.
    Cosa l'avesse convinta a tornare in quel dannatissimo buco di società eletta, Jean lo sapeva fin troppo bene, era stato il suo istinto. Ancora una volta l'aveva salvata: o sei con noi o sei contro di noi.
    Era così, no?
    E se la scelta era morire in quel sudicio vicolo di Londra, dove nessuno avrebbe saputo della sua dipartita -la sua vera morte-, allora ciò che doveva fare le era sembrato fin troppo chiaro.
    Eppure quella sensazione non se ne andava, infida e fastidiosa scalciava dentro di lei come un animale pronto alla fuga.
    Jean si sentiva in trappola, un uccellino rinchiuso in una gabbia dorata. Aveva una casa così grande da non averne ancora viste tutte le stanze, più soldi di quanti mai avrebbe potuto spendere - l'intera eredità della famiglia Grey che nonostante tutti quegli anni era stata custodita gelosamente dalla Gringott-, si era perfino unita ai Mangiamorte per poter finalmente coronare il suo sogno di vendetta contro chi, tanti anni addietro, le aveva fatto così male – e ringraziarli a modo suo, magari facendogli assaggiare i frutti dei loro sforzi -; eppure, in mezzo a quella che qualcuno avrebbe definito “la vita perfetta”, Jean non era felice.
    Accettando le condizioni di quella donna, Rea Hamilton, le aveva lasciato stringere un cappio sul suo collo. Le parve quasi di sentirlo, stretto attorno alla sua gola da quelle dita crudeli.
    Dopo anni in cui aveva dovuto rispondere solo a sé stessa, era di nuovo costretta a piegarsi alle volontà altrui che troppo spesso le ricordavano quelle dei defunti genitori. Non c'era nulla per lei in quel mondo e, forse, mai ci sarebbe stato. A trattenerla vi era solo un debole desiderio di vendetta e la paura: se si fosse ribellata, sarebbe morta.
    Se quelle erano le alternative, doveva convincersi che quella vita le piaceva. E doveva farlo anche in fretta.
    Il barista si avvicinò mentre Jean si portava il bicchiere alle labbra.
    Ehi! Mica vorrai berlo così?! Devi soffiare prima! la interruppe con irruenza, probabilmente preoccupato dalle sue scelte -alquanto discutibili, sotto qualsiasi punto di vista-.
    Ignorandolo, Jean lo svuotò con un sorso, posando il bicchiere vuoto a testa in giù vicino agli altri tre. Il liquido le scivolò lungo la gola, dolce con un retrogusto piccante, scaldandole la bocca e lo stomaco di un piacevole tepore. Rabbrividì di piacere alla sensazione.
    Quando rialzò lo sguardo, il giovane ragazzo era ancora di fronte a lei, a scrutarla sbigottito; ella lo fissò con un sopracciglio alzato, sfidandolo ad aggiungere altro, ma lui la guardò e scuotendo la testa si allontanò per servire un altro cliente.
    Jean abbassò lo sguardo sul cimitero di bicchieri di fronte a lei, la testa le girava, in maniera piacevole e quasi rassicurante. Fra i fumi dell'alcool riusciva a malapena a sentire i suoi stessi pensieri.
    Per quanto odiasse ammetterlo, quel mondo le faceva una stramaledetta e fottuta paura: ad esso erano legati i peggiori ricordi della sua vita ed era certa che ad aspettarla ve ne fossero molti altri. Le crisi erano aumentate, a volte le sembrava di vedere il volto dei suoi aguzzini – coloro che l'avevano resa così, i primi a strapparle via ogni gioia - tra i passanti o spiarla oltre le finestra di casa, per poi accorgersi che in realtà era stata solo la sua fervida immaginazione.
    Non c'era pace in quel mondo e, anche se tentavano di convincerla del contrario, non vi era alcun posto per lei. Era di troppo.
    Aveva conosciuto la libertà, sebbene fosse stata dapprima spaventosa – completamente sola in balia di terribili ed oscuri ricordi – si era quasi sentita felice; aveva ritagliato un piccolo angolo di mondo per lei e solo per lei. Si era sentita al sicuro lontano da chi avrebbe potuto farle del male, ma a quanto pare, non era destinato a durare per sempre.
    Ancora una volta, doveva scendere a patti con la realtà, di nuovo sola, ma circondata da iene affamate in attesa della sua carogna, ella avrebbe dovuto misurare ogni sua mossa. Pegno: la sua vita e stavolta sarebbe morta, davvero.
    Alzò una mano, roteando l'indice per far segno di voler altro alcool. Il barista le mise davanti il quinto bicchiere e Jean sorrise, stranamente soddisfatta.
    Almeno, era riuscita a convincerli a chiamarla Jean e non Cornelia.
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  3. …Heartless?
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    Oliver Abrasax-WP ( ) - 18 - Telepatia - Neutrale - gay represso(?)
    «you should hear my heart: is it beating
    Leto. il nome inciso sul pezzo di cuoio che portava costantemente al polso era Leto. non passava giorno nel quale Oliver non tentava di capire chi diavolo potesse essere la giovane che portava quel nome. Lui aveva quel bracciale con sé - che una volta era stata una collana - da che ne aveva memoria. Aveva pensato più volte che potesse essere stata sua madre a darglielo, ma allora perché suo padre non gli aveva lasciato niente? Che fosse una parente, un'amica di famiglia, un regalo di una bambina più grande di lei di uno dei primi orfanotrofi nei quali era stato? Non poteva saperlo. Ma in un angolino del suo cuore sapeva che quella Leto stava da qualche parte, là fuori, e che lui l'avrebbe trovata. E chissà, magari anche lei lo stava cercando. Non esternava mai i suoi pensieri al riguardo - quando poi Oliver esternava i suoi pensieri - per l'insensata paura che, dicendo ad alta voce il suo nome, raccontando di come ogni sera prima di andare a dormire immaginasse i suoi lineamenti, lei sarebbe sparita in una nuvola di fumo, ovunque stava, e lui non sarebbe mai riuscito a trovarla. Le domande, di certo, non erano mancate: dopo pochissimo tempo che il giovane era arrivato a villa Withpotatoes Idem aveva indicato il suo polso chiedendogli curiosa spiegazioni. Ma era troppo presto e lui si era rifiutato di parlarne con un grugnito. Poi, più in là, non ce ne fu più l'occasione. e probabilmente, anche se ci fosse stata, lui non ne avrebbe parlato. Scosse piano la testa, tentando di pensare ad altro. non si piaceva quando Leto monopolizzava i suoi pensieri, il che capitava piuttosto spesso. Si sentiva vulnerabile, con troppi punti scoperti. Lanciò quindi qualche occhiata intorno a sé, alla ricerca di una distrazione. E la sua distrazione si palesò sotto forma di bionda all'ennesimo bicchiere. Quando la vide, Oliver capì che era bella. Insomma, non ci voleva una scienza, pure lui aveva due occhi. I capelli di seta, gli occhi azzurro ghiaccio, la pelle diafana, i lineamenti che sembravano essere stati disegnati da un ottimo artista. Quando il ragazzo gli portò la sua burrobirra, Oliver gli rivolse un sorriso tirato. Provava quest'antipatia nei confronti di coloro che lo facevano sentire bene, che in realtà, probabilmente, era dovuta al fatto che non potesse sopportare l'idea di non riuscirsi ad accettare. Si avvicino quindi alla bionda con veloce e scattante movimento dell'anca sinistra, facendo dapprima finta di niente, poi girandosi verso di lei e dedicandole uno smagliante sorriso. Questo lo offro io. disse al barista, riferendosi all'ultimo drink che la sconosciuta aveva ordinato. Niente, certe sensazioni non riusciva proprio a provarle in presenza di una donna. Eppure era convinto che, con una spintarella, qualcosa sarebbe uscito fuori. ma non usciva mai fuori un bel niente, se non una profonda incazzatura nei confronti di sé stesso, perché non poteva essere "normale". Gli avevano inculcato una certa mentalità, i ragazzi con i quali aveva vagabondeggiato per circa due anni dopo essere fuggito dall'ennesimo orfanotrofio, della quale proprio non riusciva a liberarsi. E lo stava distruggendo. Cosa ci fa una bella ragazza come te qui, tutta sola? le chiese con ancora il sorriso smagliante dipinto sulle labbra e tono da marpione. La risposta in realtà la sapeva, grazie alla telepatia poteva avere tutte le risposte di cui necessitava in pochi attimi. Ma si morse la lingua per non fare la solita figura che si faceva con le nuove conoscenze: quello dello schizzato. Sì, perché nonostante fossero nel mondo della magia, aveva imparato a sue spese che alla gente non faceva piacere che lui gli frugasse nelle menti come in un cassetto alla ricerca delle chiavi. Lanciò un'occhiata veloce intorno al locale prima di sentire la risposta dell'altra, soffermandosi per un istante sulla pioggia che batteva ancora contro la finestra, ricordandogli i giorni più bui della sua esistenza. E parlando di giorni più bui...il volto della ragazza gli era particolarmente familiare. Incrociò di nuovo lo sguardo del giovane e questo, ancora una volta, gli sorrise. Brivido. NO, OLIVER. CONCENTRATI SULLA RAGAZZA.

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    Cornelia Jean Grey ( ) - 23 - Phoenix - Mangiamorte - Explosive
    « I know it's like to be afraid of your own mind »
    Chiuse gli occhi, giocherellando con il bicchiere. Il liquido al suo interno dondolava, a volte appena sotto al bordo, mentre con il vetro disegnava piccoli cerchi concentrici sul bancone.
    Non sapeva che ore erano, aveva perso la cognizione del tempo al secondo bicchiere di Whisky Incendiario, ma doveva essere da un po' che era lì a giudicare dalle luci improvvisamente accese nel locale. Iniziava ad essere tardi.
    Presto suo cugino sarebbe arrivata al nuovo Maniero dei Grey per cercarla, o meglio, per controllare che non si fosse fatta del male da sola o che non avesse dato fuoco a tutto. Se non l'avesse trovata là, avrebbe certamente sguinzagliato i suoi segugi per trovarla.
    Sembrava averla presa molto a cuore.
    La cosa avrebbe dovuto procurarle piacere, a qualunque persona normale avrebbe fatto quell'effetto, al contrario lei si sentiva quasi offesa da quell'improvvisa attenzione nei suoi confronti. Si era ormai creata la sua personale visione del mondo come quel buco oscuro e freddo che di lei non voleva più saperne, un luogo ostico in cui non c'era spazio per qualcosa di innocente come l'affetto o l'amore... e di certo non avrebbe cambiato idea ora, nonostante la preoccupazione per la sua incolumità dell'Icesprite.
    Jean era schiva, non si fidava di nessuno, men che meno del suo stesso sangue. I primi a tradirla erano stati proprio loro, i suoi genitori, coloro che per definizione avrebbero dovuto proteggerla dalle cose brutte. Nonostante avesse un buon ricordo del cugino, l'unico che giocava assieme a lei, che non la ignorava come facevano tutti gli altri, questo non bastava. Niente era mai abbastanza per lei.
    E poi, quella era un'altra vita. Lei era un'altra persona.
    Bevve un sorso, storcendo la bocca quando il sapore amaro e pungente le pizzicò la lingua, tutto quell'alcool iniziava a darle il voltastomaco ma non avrebbe smesso. C'era qualcosa di rassicurante in quella nebbia di pensieri, indistinti, senza un corpo, come se più provasse ad afferrarli più questi sembravano sfuggirle dalle dita.
    Quello era l'unico modo che conosceva per quietarli e per rendersi innocua.
    Bevve di nuovo.
    Non avrebbe fatto nulla di diverso in quella casa. Anzi, lì sarebbe stato molto peggio: beveva fino a perdere conoscenza sul pavimento, sul divano... sul letto. Ovunque.
    Quelle mura la facevano sentire in prigione, legata ai fantasmi del passato. Non era raro che la notte si alzasse, dopo aver ripreso lucidità o stanca di rigirarsi fra le coperte tentando di ignorare le voci dentro la sua testa, intorno a lei, che sussurravano ad ogni angolo, accusandola, ed uscisse senza una meta precisa a vagare per le strade fino all'alba.
    Se avesse continuato a quel ritmo era sicura che sarebbe impazzita o morta... sperava prima la seconda. In effetti iniziava a chiedersi perché fosse ancora lì a vivere una simile esistenza.
    A quanto pare, Jean aveva paura anche della morte.
    « Cosa ci fa una bella ragazza come te qui, tutta sola? » Una voce la distolse da quei pensieri, riportandola per un breve momento alla realtà.
    Alzò gli occhi al cielo « Oh mio dio, ti prego no » mormorò con un tono non poi così sottovoce, incurante che l'avesse sentita, con la voce impastata dagli alcolici. Si voltò appena per vedere il suo interlocutore e studiarlo, con un sopracciglio alzato. Era giovane. Troppo giovane.
    O almeno così le sembrava.
    Resa ancora più incurante e schietta di quanto non fosse dal quinto bicchiere di Whiskey sorrise beffarda guardando il ragazzino « Non dovresti essere a scuola o... ovunque vadano i ragazzini ora? »
    Non le importava se avrebbe ferito i suoi sentimenti, né tanto meno se avrebbe pianto, si sentiva più a suo agio quando le persone mantenevano le distanze e quando non lo facevano, ci pensava il suo pessimo carattere a fare il resto.
    Se non aveva nessuno vicino in grado di poterle fare del male, era più al sicuro.
    Sbuffò quando lo vide ancora lì, in piedi « Forse non sono stata chiara. Evapora. Non sono dell'umore »
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    PERDONAMI PER L'IMMENSO RITARDO e scusala per il suo carattere, è una str... ehm... ragazza poco cortese
     
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