You can't wake up, this is not a dream.

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  1. »hurricane
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    Kendall Hamilton
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    No, non ne ho voglia. Grazie mille, comunque. fece un semplice gesto con la mano verso al vassoio di toast che il suo compagno le stava porgendo, accompagnandolo con una piccola smorfia che doveva ricordare un sorriso. La stanchezza era troppa persino per rivolgergliene uno come si deve. Quello posò il vassoio lontano da lei, continuando a guardarla negli occhi, con un sorriso di genuina preoccupazione dipinto sulle labbra. Perché no? le chiese poi, portandosi le mani a sostenere il mento, i gomiti posati sul tavolo. Lei alzò lo sguardo che aveva posato sul piatto semivuoto per fissarlo negli occhi blu del ragazzo. Non sorrise, ma nei suoi occhi era ben visibile una scintilla di divertimento. Non si erano mai davvero parlati e quello era, pensò Kendall, un modo davvero inusuale per tentare di prendere confidenza. Perché i toast non mi piacciono. decise di rispondere con tono semplice, riprendendo in mano la forchetta e torturando ancora un po' le sue uova strapazzate, il capo girato leggermente verso il suo interlocutore, in modo da poterlo guardare e tentare di mangiare qualcosa contemporaneamente. Non è vero. ribatté lui, portandosi l'indice della mano destra a giochicchiare con il suo labbro inferiore. Tu prendi un toast e lo cospargi di burro ogni mattina. Kendall, questa volta, sorrise con tutta sincerità, continuando ad ascoltarlo incuriosita. Poi prendi le uova... il moro indicò gli avanzi che ancora stavano nel piatto dorato davanti alla Hamilton. ...e ce le metti sopra. La mora iniziò ad annuire, inizialmente in un movimento quasi impercettibile della testa, poi con più convinzione. Sei un ottimo osservatore. commentò la tassa, portando alla bocca la forchetta. Anche tu sei un'ottima osservatrice. Lo si nota, sai? Che preferisci vivere la tua vita attraverso quella degli altri. il sorriso sulle labbra screpolate e piene di tanti taglietti dovuto al continuo morderle della Hamilton iniziò a vacillare, il sopracciglio destro alzato in un'espressione interrogativa. Wow. Sei...decisamente più bravo di me in questo gioco. gli disse, ora evitando il suo sguardo e concentrandosi sul cibo che le rimaneva da finire, nonostante sentisse lo sguardo di lui ancora, convinto, puntato su di lei. Lo sai anche tu che non è un gioco. la sua voce si era fatta improvvisamente più profonda, i rumori intorno di loro stranamente ovattati. La tua vita gira intorno agli altri. Cosa pensano gli altri di te. Cosa si aspettano che tu faccia. Ti reputi una persona profonda, ma alla fin fine, sei così preoccupata delle apparenze... Il ragazzo scosse piano la testa, il sorriso ora più somigliante ad un ghigno poco amichevole. La mora era turbata ed infastidita. Continuava a fissare il piatto senza sapere cosa dire, come replicare. E il ragazzo continuava a parlarle, impedendole di pensare lucidamente, cosa che le veniva difficile anche in situazioni...più normali di quella. Perché fai così, Kendy? Stai male per tutto e al tempo stesso non ti importa di niente, non fai nulla tutti i giorni tutto il giorno e sei sempre stanca...triste...è questa la Kendall che i tuoi amici vorrebbero accanto? La Kendall che i tuoi genitori vorrebbero come figlia? La sorella che Shia...ORA BASTA! sbottò la ragazzina alzandosi in piedi e gettando sul tavolo con un gesto rabbioso il tovagliolo che teneva poco prima sulle gambe. In pochi istanti era stata aperta e rovistata ben benino da uno sconosciuto come una cassaforte dalla combinazione banale e si era ritrovata in piedi, ad urlare, davanti a tutta la scuola, le guance rosse per la rabbia e l'imbarazzo, gli occhi velati di lacrime che tentava di trattenere con tutta la forza che le rimaneva in corpo. Chi sei? la sua voce era un sussurro spezzato, carico di ira. Cosa vuoi da me e come fai a sapere tutte queste cose? il ragazzo sosteneva il suo sguardo con un sorrisetto impertinente, senza dare alcun segno di cedimento da quello che stava facendo, qualsiasi cosa fosse. Ma come, Kendall? Dovresti dirmelo tu. Dopotutto, sono nella tua testa. La mora lo fissava inorridita, accorgendosi ora che i lineamenti del suo interlocutore erano indefiniti, cambiavano ad ogni suo sguardo come un riflesso in uno specchio d'acqua mosso da una mano. La ragazzina scosse la test una, due, tre volte. Quanto bastava per risvegliarsi.

    Kendall, non è possibile. Un'altra volta? Intorno a lei, la sala grande si era lentamente riempita. Ora ricordava, ma certo: si era alzata presto ed era arrivata per prima a colazione, dove si doveva essere addormentata. Di fronte a lei, al suo risveglio, si era ritrovata la sua biondissima compagna di dormitorio, che l'aveva scossa con dolcezza nell'istante in cui si era resa conto dell'inesistenza del ragazzo moro. O forse era biondo? Poteva giurare che avesse auto i capelli rossi. Istintivamente, una volta aperti gli occhi, aveva dato una rapida occhiata intorno a lei per assicurarsi che se ne fosse andato, cosa che ovviamente aveva fatto per il semplice motivo che non c'era mai stato (#wat#inception). Scusa, Connie. Credo sia stato il pollo di ieri sera. si ghermì la mora, passandosi una mano sul viso. Kenny e Connie, sì. La gente si divertiva parecchio. Ma di che ti scusi? Il problema è tuo poi, se sei uno zombie tutto il giorno. E comunque, dubito sia stato il pollo. Fai una vita schifosa. Vai a letto tardi e non fai altro che studiare, leggere e mangiare. Un po' di movimento è quello che ti ci vuole, te lo dico io. le consigliò Connie sedendosi e riempendosi una scodella di cereali e latte. ...zombie? riuscì soltanto a dire la Hamilton, alzandosi lentamente dalla tavola. Comunque hai ragione. C. Ho proprio bisogno di un po' di sport. Sai che ti dico? Vado a correre proprio ora. e detto questo, si diresse annuendo verso l'uscita della Sala Grande, con l'intenzione di tornare a letto a dormire e darsi malata alle lezioni pomeridiani. Ma lo scontro contro qualcosa - o meglio, qualcuno - glielo impedì.
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    Edited by m e p h o b i a - 5/1/2017, 00:56
     
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    ELEANOR QUINN
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    «Ha ricominciato di nuovo a piovere»
    «Ancora?»
    «Già. La pioggia rende la giornata ancora più deprimente»
    Due ragazzi si erano avvicinati a lei per osservare il paesaggio esterno sul quale si affacciava una delle finestre della sala comune dei Corvonero. Non avevano quasi fatto caso a lei, nessun saluto, nessun commento nella sua direzione, ed Eleanor si era limitata a fare lo stesso. Il suo mento era rimasto appoggiato sul palmo della mano, sorreggendone il peso mentre i suoi occhi erano rimasti fissi su un punto indefinito fra le colline e gli alberi che caratterizzavano quel lato del castello.
    I due compagni di casata si erano limitati a sbuffare, prima di allontanarsi continuando a mormorare qualcosa fra i loro che parve essere un'ennesima lamentela. Si lasciò andare ad un piccolo sospiro solo quando fu certa che i due ragazzi fossero abbastanza distanti, sbuffando in modo lieve dalle narici. Aveva sempre saputo che la sua passione per la pioggia era qualcosa di piuttosto insolito e che differiva dall'opinione comune, ma a volte sperava di poter far capire agli altri che lasciare che un evento atmosferico condizionasse le loro emozioni era qualcosa totalmente privo di senso.
    Aveva sempre apprezzato il modo in cui poeti, scrittori e filosofi sfruttavano le gocce che cadevano dal cielo per paragonarle alle lacrime che rigavano le guance di coloro che provavano dolore, che erano in pena, ma perchè per una volta qualcuno non provava a paragonare la pioggia ad un pianto di gioia, un pianto liberatorio?
    Come una nuvola che si scarica di ogni tensione, come un rombo di tuono che grida al mondo la sua presenza, mostrando per un istante soltanto la sua vera essenza. A questo punto trovava quasi ironico che lei, che temeva così tremendamente di piangere, di mostrare la vera sè stessa agli altri, ora stesse paragonando il suo fenomeno atmosferico preferito ad un'azione che mai e poi mai avrebbe compiuto, a costo di mordersi le labbra fino a farle sanguinare e a stringere i pugni pur di non cedere ai sentimenti.
    Forse, in fondo, era vero che la pioggia intaccasse il proprio stato d'animo in senso negativo, ma la trovava ancora una cosa stupida e alla quale ribellarsi. Dopotutto, lei amava la pioggia. L'avevo già detto?
    Numerose immagini percorsero la sua mente, tutte prive apparentemente di un nesso logico fra di loro. Sua madre, il nostalgico profumo della sua vecchia casa, quella canzone che aveva udito anni fa e che l'aveva convinta a cantare fregandosene che le finestre fossero spalancate, una delle volte in cui aveva tentato di non assumersi le sue responsabilità, ed infine la sua fobia. Quella per la quale molti le avevano riso in faccia, quando aveva provato a spiegare loro di cosa avesse paura. "Bè ma tutti hanno paura di morire in fondo, cosa vuol dire?" le era stato risposto e ciò non aveva fatto altro che rafforzare i suoi timori, impedendole di parlarne veramente con qualcuno che avrebbe capito davvero.
    Sbattè le palpebre più volte, interrompendo quel filo di pensieri incoerenti fra loro ma legati alle sue esperienze. Distolse finalmente lo sguardo, posandolo ora sull'interno della sala comune, ormai quasi del tutto vuota vista l'ora. Era rimasta ad osservare quella finestra dalle prime luci dell'alba, captando solo di tanto in tanto i mormorii delle persone che le passavano affianco e guidando i suoi pensieri sulla scia delle parole pronunciate da altri.
    «Eleanor, vieni con noi a fare colazione?»
    Una delle sue compagne di classe, all'ultimo anno anche lei, aveva attirato la sua attenzione con un lieve gesto della mano mentre insieme ad un'altra ragazza e ad un ragazzino di massimo tredici anni si dirigevano verso l'uscita. Annuì e si alzò, sistemandosi la felpa azzurra che indossava sopra una maglietta che recitava "Ravenclawsome" a caratteri cubitali. L'aveva fatta stampare sua mamma qualche anno fa per il suo compleanno, ed era ora diventata una delle tante magliette che utilizzava per dormire. Forse avrebbe dovuto cambiarsi, indossare qualcosa di più consono, ma era ancora scandalizzata da quella volta che un Grifondoro era sceso a colazione indossando una mega tuta a forma di unicorno e se poteva lui, perchè lei non doveva avere il diritto di dimostrare di essere Ravenclawsome. (?)
    Si diresse quindi verso la sala grande, lo stomaco che cominciava ora a brontolare pretendendo nutrimento e le sue guance arrossate per l'imbarazzo di quei rumori. Ma evidentemente gli altri con lei dovevano avere altrettanta fame, perchè cominciarono a parlottare riguardo a cosa avrebbero potuto mangiare quella mattina a colazione. Lei restò in disparte, ascoltando i loro discorsi ed intervenendo solo quando lo reputava necessario, come sempre in pratica. Fu in quel momento che, le mani nascoste dentro le tasche della felpa e la testa rivolta verso una delle ragazze di fianco a lei che stava parlando, che andò a scontrarsi improvvisamente contro qualcosa. Anzi no, voltando la testa notò che si trattava in realtà di qualcuno.
    Fece un passo indietro, evitando così che l'impatto la buttasse a terra e risparmiandosi così una figuraccia di prima mattina, per poi notare solo successivamente di essere finita addosso a Kendall.
    «Scusami!» esclamò immediatamente, lo sguardo sinceramente preoccupato. «Stai bene?»
    Estrasse le mani dalle tasche per avvicinarle nella direzione della ragazza, ma non la sfiorò pur continuando a mantenere lo sguardo fisso su di lei per assicurarsi che non si fosse fatta male davvero. O che non la odiasse per esserle andata addosso come un treno #ciaotreno
    «Sei sicura di non esserti fatta male?» le domandò ancora poco dopo, invitandola a seguirla all'interno della sala grande per assicurarsene. Aveva notato che stava uscendo da lì e per un attimo pensò che forse avrebbe dovuto lasciarla andare per evitare ulteriormente di infastidirla, ma ormai era troppo tardi. Certo, nulla l'avrebbe trattenuta dall'andarsene, comunque.
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    Era sempre stata una ragazza distratta, con la testa fra le nuvole. Veniva rimproverata fin troppo spesso durante le lezioni per la sua disattenzione: fissava semplicemente un punto nel vuoto, una mano a reggerle la testa , e immaginava situazioni nelle quali non si sarebbe mai trovata, inventava storie meravigliose. Preferiva di gran lunga il mondo alternativo che inventava da sé a quello nel quale viveva, pieno di restrizioni e quasi totalmente privo di gioie. Nella sua mente tutto andava come doveva andare, non vi erano mai contrattempi. Non esistevano figure di merda, né errori. La sua vita immaginaria era una di quelle sitcom nelle quali alla protagonista andava tutto bene. Noiose, dite voi? Beh, Kendall non la vedeva così. Di certo, quel giorno, avrebbe fatto volentieri a meno di andare a scontrarsi contro quella figura in movimento davanti a lei, che nemmeno aveva visto. Nel suo mondo ideale sarebbe arrivata sana e salva nella sala comune Tassorosso in poco più di cinque minuti, tempo di raggiungerla, insomma. Si sarebbe buttata a letto, data per malata, sarebbe stata la giornata più bella del mese...(?)e invece? Per colpa dell'urto, cadde all'indietro, perdendo l'equilibrio e andando a sbattere con violenza l'osso sacro sul duro pavimento. Rimase lì per qualche istante, disorientata, mentre più di una risatina iniziava ad alzarsi intorno a lei. Le guance le diventarono rosso peperone, le mani vagarono per un istante in aria, fino a trovare il solido appoggio di quel pavimento sul quale era caduta. Si rialzò in un balzo felino, alla velocità della luce. Sì, avrebbe tanto voluto sperare che nessuno avesse visto niente, ma certo non poteva. Dopotutto era l'ora di colazione e si trovava in sala grande, le risatine non se le era di certo immaginate. Annuì con vigore alla domanda della ragazza e, lentamente, come se si stesse svegliando solamente in quell'istante - e probabilmente era davvero così - mise a fuoco i lineamenti della giovane, che non aveva riconosciuto dalla voce: Eleanor Quinn, Corvonero. No, Kendall non aveva un ottimo rapporto con i corvi o, meglio, non le piacevano particolarmente, ad eccezione di pochissimi soggetti, che si potevano contare su di una mano. Ovviamente la conosceva, era di un solo anno in avanti rispetto a lei e avevano frequentato più di una lezione insieme. Non sarebbe stata capace di definirla sua amica, ma la sua presenza nel castello era piacevole, quando la incontrava per i corridoi le dedicava sempre un sorriso od un suo, solito, timido ed impacciato saluto. Kendall non la guardò dritta negli occhi, per l'imbarazzo e perché probabilmente in quel momento sulla faccia aveva dipinta un'espressione non ebete, di più. Quando la Corva volle davvero assicurarsi della sua incolumità, la Tassa ebbe l'ardore di ricambiare il suo sguardo, con un sorrisetto cortese dipinto sulle labbra, le mani tese in avanti che si muovevano velocemente in gesti goffi. Sì, sì, è tutto a posto, stai tranquilla. la mora lanciò un'occhiata al pavimento, per assicurarsi che non le fosse caduto niente che dovesse raccogliere - se c'era una cosa che proprio non sopportava allora quella era piegarsi in pubblico - per poi tornare a posare il suo sguardo negli occhi color ghiaccio della sua interlocutrice. Le sorrise ancora, indicando poi la porta, il colorito porpora che non abbandonava le sue gote neanche per un istante. Allora...allora io vado, prima che la gente inizi ad additarmi disse con un filo di voce, il massimo che la stanchezza le permetteva, aggiungendoci una risatina un po' nervosa. Fare brutte figure per lei era tremendo. Certo, non è piacevole per nessuno, ma se ci sono persone che la buttano sul ridere, che ci passano sopra, che non ci danno troppa importanza...beh, potete stare certi che Kendall non faceva e non fa parte di questa categoria. Lei le brutte figure le cataloga, le archivia nei meandri della sua memoria e poi le ritira fuori nelle notti d'inverno (#wat) non riesce a dormire, provando lo stesso identico imbarazzo che aveva provato quando erano accadute. Disagiata namber uan.
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    Non era mai stata brava nelle relazioni sociali. Poteva apparire simpatica, divertente anche, in grado di portare avanti una conversazione riguardo a fatti correnti e quotidiano ma la verità era che la maggior parte delle volte che chiacchierava con qualcuno aveva il timore di pronunciare la frase sbagliata, di offendere il suo interlocutore o di lasciare che le sue parole venissero fraintese.
    Ogni giorno, di solito prima di andare a dormire, non poteva fare a meno di domandare a sè stessa se avesse involontariamente offeso qualcuno con le sue esclamazioni, o se coloro che conosceva avessero cominciato a farsi un'idea differente su di lei rispetto a quella che lei voleva dare loro. Era una ragazza strana lei, che sognava ad occhi aperti desiderando di vivere un'altra vita, pur avendo il timore costante di abbandonare la sua attuale e rischiando di capitare così in una situazione ancora peggiore. Perchè dopotutto non poteva lamentarsi del trascorrere dei suoi giorni: un pensiero egoista in effetti, considerando la situazione attuale non solo del mondo magico ma anche dei babbani, costretti a vivere fra soprusi, ingiustizie e violenze. Forse avrebbe dovuto sperare di vivere in un mondo utopico dove non solo lei ma tutti quanti erano felici e privi di preoccupazioni, ma non ci riusciva mai veramente. E così si ritrovava bloccata in un costante loop, un cane intento a mordersi la coda senza possibilità di riuscita, dove desiderava di andarsene e volare via ma allo stesso tempo temeva di staccare i piedi da terra.
    Poche erano le persone che non provocavano questo effetto di disagio in lei, talmente poche che Eleanor sapeva esattamente chi fosse ognuna di loro. Thea lo era certamente, lei era la sua confidente fidata, colei alla quale avrebbe potuto dire tutto senza il timore di essere giudicata e ciò la aiutava a rilassarsi in sua presenza e a comportarsi con naturalezza senza ponderare ogni parola pronunciata. Suo padre, al contrario, era un visitatore sporadico di questa categoria, al quale Eleanor sapeva di poter raccontare tutto... ma solo se riguardavano determinati argomenti approvati dall'uomo. Dakota, Jeremy, Tiffany e la professoressa Winston stessa erano custodi di alcuni dei suoi segreti e dei suoi pensieri ma la Corvonero aveva dedicato a loro solo una parte di essi, come se quelle persone possedessero ognuna una tessera del puzzle contenente solo alcuni pezzi di lei.
    Lei era così: una figura composta da tante parte scomposte fra loro, che solo una volta unite insieme avrebbero dato ad una sagoma concreta e riconoscibile. Ed in quel momento non potè fare a meno di domandarsi se qualcuno sarebbe mai riuscito a completare quel rompicapo, a vederla davvero per come lei era, completa.
    La sua solita fila di pensieri priva di un reale senso si interruppe bruscamente in contemporanea con lo scontro con Kendall, che si rivelò essere un impatto molto più brusco per la Tassorosso di quanto non lo fosse stato per la Corvonero. La scrutò, preoccupata e la aiutò ad alzarsi, cogliendo comunque la reazione dell'altra: la vide distogliere lo sguardo, mantenendolo basso ed interpretò erroneamente quel gesto come dovuto al nervosismo per l'evento appena avvenuto.
    L'aveva rassicurata, affermando che fosse tutto a posto, ma Eleanor non vi credette nemmeno per un istante e si sentì ancora più in colpa per questo motivo. Corrucciando le sopracciglia e mordendosi il labbro inferiore tese una mano avanti a sè, ma non riuscì a sfiorare la ragazza, timorosa che il contatto fisico potesse peggiorare la situazione.
    Udii le sue successive parole pronunciate a bassa voce, quasi tremolanti, ed il suo riferimento ad alcuni ragazzi nelle vicinanze che avevano cominciato a ridere sebbene non in modo sguaiato. Eleanor era certa che non lo stessero facendo con cattiveria, ma capiva perfettamente anche il punto di vista di Kendall. Ed in quel momento realizzò che forse il suo desiderio di allontanarsi da lì non fosse colpa della Corva, ma solamente della situazione che si era venuta a creare. In realtà, non era che conoscesse poi così bene la Tassorosso: al di fuori delle lezioni in comune e di incontri sporadici lungo i corridoi del castello, ciò che sapeva sul suo conto le era giunto alle orecchie più attraverso le descrizioni di altri -che, comunque, erano sempre positive- che non direttamente dalla ragazza stessa.
    «Aspetta» la fermò in un gesto improvviso e non ponderato, questa volta sfiorando il polso della ragazza con le sue dita.
    «Ti va di venire a fare colazione con noi... cioè, con me?» le domandò poi, correggendosi dopo aver notato che i ragazzi con i quali aveva percorso la strada dalla sala comune alla sala grande erano ormai seduti al tavolo, senza probabilmente essersi resi conto di ciò che era accaduto. «Preferirei assicurarmi che tu stia bene davvero» aggiunse, sperando che ciò la convincesse definitivamente. Se così non fosse stato, l'avrebbe lasciata andare senza insistere oltre: in realtà, in un'altra circostanza probabilmente non avrebbe detto nulla, permettendole di allontanarsi da lì senza nemmeno tentare, ma era stata lei a dare inizio a tutta quella catena di eventi ed il minimo che poteva fare era essere sicura che Kendall non si fosse fatta male.
    Se la Tassorosso avesse accettato, si sarebbe quindi diretta verso uno dei tavoli adibiti per la colazione, sedendosi e cominciando a riempire il suo piatto di prelibatezze che ogni giorno venivano preparate e servite per gli studenti. Avrebbe trascorso alcuni minuti a mangiare in silenzio, riflettendo intanto riguardo a cosa dire. Frugando nelle tasche della sua felpa, avrebbe poi estratto una scatolina in cartone rettangolare contenente un mazzetto di 52 carte da gioco raffiguranti i quattro semi -cuori, quadri, picche e fiori.
    «Che ne dici di far passare il tempo con un gioco di carte?»
    Le avrebbe proposto cominciando a mischiarle con lentezza, per evitare che le scivolassero dalle mani finendo tutte a terra e rimediando così la sua figuraccia della giornata. Non avrebbe certo pensato al fatto che molto probabilmente quel tipo di carte era sconosciuto ai maghi, specialmente a quelli purosangue come Kendall.
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