sometimes, the past comes knocking.

(most times, it crashes through the door.) w/ Aloysius

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1    
     
    .
    Avatar


    Group
    Inferius
    Posts
    195
    Spolliciometro
    +176
    Location
    south england

    Status
    Offline

    Thad Clayton
    weep little lion man, you're not as brave as you were at the start
    muggle - 16 yo - neutral - healing - just a sad baby
    Nonostante il flop della gita precedente a causa di un'inquietante vecchietto, quel giorno aveva deciso di far ritorno ad Hogsmeade. O meglio, alla locanda più conosciuta della cittadina, I Tre Manici di scopa. Semplicemente per prendere un po' d'aria fresca, ma evitando di gelare standosene fuori al freddo. Per quanto a Different Lodge vi fossero le persone con cui si trovava meglio -anche se non lo avrebbe mai ammesso-, di tanto in tanto aveva bisogno di una pausa. Indossava un paio di jeans chiari sgualciti e leggermente più larghi del dovuto, senza cintura per tenerli su. Una maglietta blu con delle righe orizzontali grigie e rosse, sopra a quella una felpa arancione col cappuccio. Si infilò una giacca blu, un po' troppo stretta e quindi lasciata aperta. Ottima per il clima invernale scozzese. Sul capo si trovava un cappellino da baseball rosso, con una "A" bianca sul davanti. Uno dei pochi oggetti che era andato a recuperare a casa sua prima di trasferirsi definitivamente ad Hogwarts e di voltare pagina. Ironia della sorte, in realtà non gli apparteneva nemmeno, ma questa è un'altra storia.
    Recuperò da terra uno zaino verde con dentro il portamonete semi-vuoto ed altre cianfrusaglie per poi scendere dalle scale, prendendosi tutta la calma di questo mondo. «Hey Thad, vai ad Hogsmeade? Puoi mica...» Il solito Jeremy, sempre a chiedere favori a chiunque avesse avuto anche solo la minima intenzione di fare due passi fuori dal loro alloggio. Un'occhiataccia in direzione del rosso fu quanto bastava per farlo tacere, ma per essere ancora più chiaro, aggiunse qualcos'altro a bassa voce. «Nemmeno per tutto l'oro del mondo.» Gentile come sempre, il piccoletto. Aprì la porta del Different Lodge con conseguente brivido lungo la schiena provocato da una ventata gelida. "La giornata comincia bene..." Alzò gli occhi al cielo, tirandosi la giacca in avanti per provare a coprirsi il più possibile. Fu una vera e propria corsa quella che fece fino alla taverna, con le scarpe che avevano cominciato a bagnarsi per colpa della neve e delle gote ed un naso rosso come non mai (gli mancavano solo i ghiaccioli in faccia per sembrare un cartone animato). Per un pelo riuscì ad evitare di cadere quando era finito per scivolare su una lastra di ghiaccio. Tempo di ringraziare tutti insieme il fatto che avesse avuto i riflessi abbastanza pronti, altrimenti altro che scarpe bagnate e basta. Dopo svariate peripezie (?) raggiunse la porta del locale e la aprì piano, infilandosi all'interno e richiudendola dietro di sé. Non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo nel semplice sentire il tepore all'interno, un bel cambiamento dal generale gelo di quella regione del Regno Unito. Ovvio che dopo mesi di torture in un laboratorio e la scoperta di un mondo magico -che non aveva nulla a che fare con il fantasy che leggeva e si immaginava- sarebbe finito in Scozia, senza un soldo bucato e circondato da sconosciuti. Il massimo della vita.
    Si diresse verso il bancone, sedendosi (mettendoci un bel po' per colpa della sua bassaltezza) su uno sgabello, lasciando le gambe a penzolare ed anzi, muovendole un poco manco fosse su un'altalena. Scommesse su un'eventuale caduta?
    Il suo sguardo era completamente perso nel vuoto, testa persa in qualche pensiero filosofico (?)... Ossia un ragionamento su quanti soldi aveva e quanto avrebbe potuto spendere quel pomeriggio. Doveva urgentemente trovare un lavoro, se non voleva ritrovarsi sotto un ponte a diciotto anni, quando l'avranno mandato via da Different Lodge e da Hogwarts a calci nel sedere. Peccato che ciò avrebbe richiesto parecchie interazioni sociali, molte più di quanto avrebbe potuto sopportare. «Hai intenzione di ordinare, piccoletto?» Fu la voce di un dipendente del locale a risvegliarlo da quella specie di trance in cui era caduto. Alzò lo sguardo e si ritrovò davanti un gigantesco armadio dall'aria leggermente intimidatoria. Solo leggermente, sia chiaro. Finì per aprire la bocca e richiuderla un paio di volte senza dire nulla, manco fosse un pesce. Giusto un colpo di tosse prima di rispondere, balbettando. Caspita quanto era bravo ad interagire con le persone e quanto coraggio, più che altro. Proprio. «Ah, uhm, sì. U... Un bicchiere di succo di zucca.» Niente da mangiare, per quanto lo stomaco lo stesse implorando. Tirò fuori un fumetto dallo zaino, che subito dopo lasciò cadere a terra. Di solito cercava di portarsi dietro libri o qualcosa di meno babbano se proprio doveva leggere in pubblico, ma se un compagno di stanza era in qualche modo riuscito ad ottenere Civil War e a portarlo nel dormitorio, rubarglielo prenderlo in prestito (senza chiederlo, coff) era un vero e proprio dovere. Per il bene dell'umanità (?), così che potesse avere un Thad un po' meno musone, ma sempre chiuso nel suo mondo.
    Cominciò a sfogliare le pagine, leggendone una dopo l'altra e guardandosi intorno di tanto in tanto, nel caso in cui qualche faccia conosciuta dovesse avvicinarsi. In particolare, per evitare il sopracitato compagno di stanza. Lo sgabello accanto al suo sembrava destinato a rimanere vuoto, anche dopo l'arrivo del suo succo di zucca, sbattuto con poca grazia di fronte a lui. Si prospettava un pomeriggio solito, passato in completo silenzio, semplicemente con più rumore di sottofondo ed in una location diversa. A meno che non arrivi qualcuno a migliorare o peggiorare la giornata.
    11 Febbraio '16
    Tre Manici di Scopa

    ROLE CODE © EFFE


    Edited by m e p h o b i a - 5/1/2017, 01:01
     
    .
  2.     +1    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Professor
    Posts
    3,655
    Spolliciometro
    +1,903

    Status
    Offline
    Aloysius angus crane
    « the higher i get, the lower i'll sink »
    pavor ✕ special muggle ✕ death eater ✕ killjoy ✕ 26 y.o. ✕ fotokynesis
    «Quindi... Ai Tre Manici di Scopa» ripeté Aloysius Crane, per quella che forse era la terza o quarta volta. Non che fosse una notizia tanto sconcertante, sia chiaro, quella di dover arrivare ad Hogsmeade, in una delle locande più famose e rinomate della cittadina, ma... In modo alquanto stressante, e senza mai posare le iridi verdi sul volto di Damian Icesprite, il babbano continuò a sfogliare il plico che gli era stato posto dinnanzi: era passata una mezz’ora da quando il Superpavor l’aveva chiamato nel suo ufficio, e di questa circa dieci minuti il biondo li passò a visionare passivamente le pagine di quel rapporto, senza mai realmente prendere in considerazione l’idea di leggere quanto v’era scritto sopra. «Esattamente Angus» di nuovo, il tono secco, freddo ed apparentemente pacato dell’uomo saturò l’atmosfera, mentre la sua mano andava a chiudere la risma di carta; solo in quel momento, senza molto altro con cui temporeggiare, Al si permise di alzare le iridi sul proprio capo. Per un attimo, pensò quasi di mettersi a parlare con il criceto parlante del futuro vice ministro della magia anziché continuare a dialogare con l’uomo dell’imminente missione alla quale era stato designato. Non era mai stato pienamente tagliato per quel lavoro: lo sapeva lui, lo sapeva chiunque lo conoscesse, e sicuramente ne era consapevole lo stesso Icesprite, che in ogni caso si incaponiva ogni volta a farlo partecipare a spedizioni di caccia. Gli piaceva, al Crane, l’idea di lavorare come Pavor: dal momento in cui aveva sentito che v’era un modo per prendere parte attiva allo scovamento dei ribelli, non aveva avuto troppi indugi. Dire che quella lotta fosse diventata la sua ragione di vita sarebbe esagerato e poco veritiero, tuttavia l’idea di stanare la maggior parte della Resistenza, se non tutta, riempiva gran parte delle sue giornate: erano stati loro a rinchiuderlo in dei fottuti laboratori, loro ad avergli rovinato la vita; loro ad avergli dato una speranza dopo la liberazione, e sempre loro ad aver sgretolato tale vano desiderio di fronte ai suoi occhi; non era poi tanto sicuro che dietro l’azione sadica e machiavellica dei Plagiatori non vi fossero quei medesimi rivoltosi, che unicamente avevano cercato un nuovo modo per far prevalere la loro ideologia. Era una questione di principio, la sua. Non era per il Governo che si impegnava a cercarli, non era per lo stipendio, o per una giustizia tanto grande e professata: parlandoci francamente, se ne sbatteva altamente il membro, Aloysius Crane, di ciò che fosse giusto o ciò che invece era ritenuto sbagliato. L’aveva cercato, sapete? E continuava, in realtà, a farlo: cercava di capire dove andare, quale strada prendere, quale delle molteplici opzioni che giorno dopo giorno gli si presentavano davanti fosse quella da scegliere. Inciampava, ogni volta, nell’errore, incapace di fare altrimenti: doveva essere una deformazione familiare, qualcosa di ereditario, o semplice una sua peculiarità. Non ci riusciva, semplicemente; ci provava, ma senza riscontrare alcun successo. Ed era giusto, come non lo era affatto, per lui impegnarsi in quella crociata, ma solo ed unicamente per sé stesso. Per nessuno, al di fuori di Aloysius Angus Crane medesimo.
    Tuttavia, per quanto si impegnasse, sapeva di non essere l’essere umano più consigliabile a ricoprire quel ruolo: non era spietato, aveva degli scrupoli; era in grado di far male, obbligato per sopravvivenza quantomeno a saper girare il coltello prima che fosse il suo petto quello a sanguinare, ma non era quello che si sarebbe permesso di iniziare un conflitto. Eppure, continuava. Testardo, non demordeva: aveva visto quella possibilità e non se l’era fatta sfuggire. Avrebbe potuto, in verità, restare nelle retrovie, agire in nome del team edificato da Rea Hamilton senza ammantarsi con il vessillo del Ministero. Fingere di non esistere, considerando che era una delle cose che più desiderava: ma faceva, il Crane, sempre le scelte meno congeniali.
    La sua fedeltà, poi, nel Governo veniva messa a dura prova quando erano missioni come quelle a venir lui assegnate. «Le fonti sono certe?» chiese, quasi stizzito, al Superpavor. Certo, come se fosse nella posizione di mettere in dubbio gli ordini del proprio capo, il quale in tutta risposta alzò un sopracciglio, unica movenza a rompere il ghiaccio impresso sul volto. Più volte Al si era chiesto se mai l’uomo aveva sorriso, o se tale privilegio spettasse unicamente al criceto: perché, beh, di quello era abbastanza sicuro. Chi dinnanzi ad Angus –che nome adorabile, per un criceto, eh?- non avrebbe smosso la propria, dura, espressione? «Gwen Rosewood in persona ha stilato questo rapporto, sono certo siano informazioni attendibili» «Perché non è la squadra della Baines allora ad occuparsene?» Domanda legittima: se, come riportato dalle Spie del Ministero, più presunti Ribelli erano stati visti varcare la soglia del locale, a volte da soli a distanza di pochi minuti ed altre, invece, in gruppi più formosi, secondo il modesto parere del Crane era compito dei Segugi intervenire, scovare i rivoltosi e poi lasciare ai Pavor semplici il resto del lavoro. Sta di fatto che, come già accennato, Al di quel lavoro non è che ci aveva capito molto, né era interessato a capire troppo: un po’ lo stesso ragionamento che riservava alla vita. «Le fonti sono attendibili, sì, ma preferisco mandare un mio uomo sul campo a verificare» «E ovviamente mandare me è parsa l’idea più sensata» sancì. Che avesse un debole per l’alcool non era un mistero per nessuno, tantomeno per l’Icesprite: era anche abbastanza certo di averlo incontrato, in una delle sue poco rare serate all’insegna della sbronza, al Lilum. Magari ci aveva anche parlato, chissà, o forse aveva tentato di mantenere un certo contegno in sua presenza. Non ci è dato saperlo, come nemmeno al babbano rimane memoria troppo sicura di quella nottata. Il silenzio che seguì la sua affermazione non fece altro che confermare le sue ipotesi; tuttavia, ne rimase offeso e non mascherò questo suo sentimento troppo visibilmente. Quando notò che la quiete in quell’ufficio era già troppo spessa, alzò gli occhi verdi su Damian, mostrandosi ferito nell’orgoglio da quella taciuta insinuazione. «Questi sono gli ordini, Angus. Vai sul posto al più presto»
    Fu abbastanza inutile replicare, far notare che era troppo presto per andare ai Tre Manici di Scopa, che non ci sarebbe stato nessuno ma che soprattutto essendo ancora alto il sole nel cielo ordinare qualcosa l’avrebbe fatto passare inevitabilmente come l’ubriacone del paese. Come poteva passare inosservato senza un boccale ricolmo di liquido ambrato di dubbia provenienza? Se fosse stato in compagnia, non si sarebbe fatto certi problemi. Se a quella missione fosse stato abilitato anche Eugene, per esempio, sarebbe filato tutto più liscio, anche l’alcool giù per l’esofago. Era già capitato, ovviamente, che i due per il Bene Superiore avessero alzato un po’ troppo il gomito nel bel mezzo di un’ispezione –e forse anche per quello era diventato difficile che i due lavorassero a stretto contatto-, pertanto non sarebbe parso troppo strano se fosse successo nuovamente, anche se in pieno giorno. L’idea di chiamare Drake, per quell’evenienza, non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello. Fino a quando lo trascinava a scoprire nuovi livelli di ebbrezza nei vicoli di Diagon Alley andava bene, ma di immischiare quell’amicizia con quel lavoro non se ne parlava proprio. Non era mai successo, e sperava che tale evenienza non si verificasse mai, ma una perlustrazione di quel genere, se era vero che il pub era un luogo di ritrovo per Ribelli, poteva finire male. Era grande e vaccinato, l’Abrahams, ma sarebbe stata una sua responsabilità e non lo voleva. Non poteva permettere accadesse qualcosa, non voleva.
    Spense la sigaretta sotto la suola della scarpa, esalando l’ultima boccata di fumo che quella gli aveva permesso stringendosi un po’ di più nella giacca di pelle prima di varcare la soglia. Non ci voleva una gran preparazione per entrare dalla porta, né uno straordinario coraggio, tuttavia con la mano posata sul pomello Al ci rimase qualche minuto, respirando profondamente. E si ripeteva, in quegli interminabili secondi, di dover entrare lì dentro solo, ed unicamente, per lavoro. Non per svago, non per annegare di nuovo sul fondo di un bicchiere e sperare che qualcuno lo riportasse a casa –cosa che, per inciso, avveniva raramente: la maggior parte delle volte passava la notte riverso in qualche vicolo adiacente, ma questa è un’altra storia. Solo, ed unicamente, per lavoro. Alzò gli occhi, fino ad allora tenuti chiusi nel ripetersi quel mantra appena bisbigliato, cercando di intravedere oltre il vetro traslucido del portone qualcosa: tuttavia, lo strato di brina che lo ricopriva rendeva interminabile l’intento. Smosso da un cliente, o più propriamente spinto a “togliersi dal cazzo”, si decise ad entrare, annusando già da subito l’aroma che lo chiamava (davvero, poteva quasi sentire il proprio nome sussurrato) da dietro il bancone. Si beò per qualche istante del piacevole torpore regalato ai viandanti dai riscaldamenti della locanda, prima di notarlo.
    L’avrebbe riconosciuto ovunque, e diamine quanto gli era mancato! Erano anni che i suoi occhi non avevano il privilegio di posarsi su di lui, eppure non se lo sarebbe mai dimenticato. Ah!, quanto amava quel cappello. E, come sospettava, d’altronde, sotto di esso popò di meno non v’era che Thad Clayton. Non si chiese, non volle chiedersi, per quale fottuto motivo era lì, nel centro nevralgico del mondo magico. Non aveva intenzione di farlo: magari era un mago, no? Quando gli Estremisti avevano preso Al, il ragazzino non aveva nemmeno compiuto dieci anni: era possibile, possibilissimo, che fosse arrivata anche per lui la lettera di Hogwarts a spiegargli che era insita in lui la magia. Non che fosse una bella cosa, secondo il Crane, tuttavia era sempre meglio di dirsi, vedendolo seduto al bancone intento ad ordinare un succo di zucca, che anch’egli era stato rapito. Celere, già dimentico della promessa di non bere per qualche ora, almeno fintanto che il suo turno non si fosse concluso, si sedette sullo sgabello libero affianco al ragazzino, fissandolo per qualche secondo senza che questo si accorgesse della sua presenza. «Brutto figlio di puttana, sapevo che ce l’avevi tu» si proclamò, sfilando il berretto dalla testa di Thad ed ammirandolo nostalgico. «Senza offesa per Elizabeth, ovviamente. A proposito come sta la mamma?» chiese innocentemente, ma ammiccando colpevole, nascondendo in quello sberleffo il prurito al palato che quel nome era in grado di riservargli. Distolse subito lo sguardo, puntandolo sul cameriere dall’altra parte del bancone: non era affare di quel giorno, Liz; si ripeteva, Aloysius Crane, che non doveva essere affatto affar suo. Eppure, riusciva comunque a fargli male. «Due Burrobirre!» «Ma Al, è appena pomeriggio!» In tutta risposta, il Pavor fece per aprire la bocca ma, consapevole di non poter dire nulla in sua discolpa, la richiuse in una smorfia di complicità. Perlomeno, il cameriere si era abituato alla sua molesta presenza: il prossimo passo era il non farsi fare certe domande scomode.
    - rule #1 never be #2 - code by ms. atelophobia
     
    .
  3.     +1    
     
    .
    Avatar


    Group
    Inferius
    Posts
    195
    Spolliciometro
    +176
    Location
    south england

    Status
    Offline

    Thad Clayton
    weep little lion man, you're not as brave as you were at the start
    muggle - 16 yo - neutral - healing - just a sad baby
    Era una giornata tranquilla, quasi come le altre. L’unico errore era stato quello di dover uscire dal dormitorio pur di leggere quel fumetto. Il risultato era l’aver visto una parte non esattamente bella del mondo magico, con ubriaconi al bancone già di prima mattina e un po’ troppe persone. Non sopportava essere in compagnia, voleva evitarla il più possibile. Legarsi a qualcuno, in un mondo simile, era profondamente sbagliato. Aveva detto addio persino a sua madre, facendole credere di essere stato rapito, non essendo più tornato a casa se non una volta, per recuperare ciò che poteva servirgli. Ora era povero in canna, solo in un mondo che odiava. Il fantasy non è mai bello come lo si immagina da bambini. Vorrebbe poter avvisare ogni singola persona nel mondo babbano dei rischi di questo mondo, ma probabilmente se anche solo ci provasse verrebbe ucciso malamente. O peggio, torturato.
    Certo, aveva delle abilità di guarigione improbabili, ma provava dolore. Sarebbe stato orribile e non ci teneva affatto a vedere di cosa sarebbe stato capace il governo.
    Per quanto si fosse fatto alcune conoscenze, certe arrivano persino ad un livello simile ad ‘amicizie’, non c’era mai stato qualcuno con cui aveva voluto davvero legarsi. Cercava sempre di allontanarsi prima che ciò potesse accadere, ma forse qualcosa stava per cambiare. Non capita tutti i giorni di ritrovarsi di fronte a quello che oramai credeva un fantasma. Ignaro della sua presenza, troppo preso dal lasciarsi portare via da quel fumetto. In fondo sì, continuava a sperare che qualcos’altro succedesse e che rendesse la sua vita nuovamente normale. Era sempre stato un sognatore eppure ora l’idea di essere un Deadpool dei poveri non lo faceva per niente impazzire. Fare del bene, essere un eroe. Ora che ne aveva la possibilità, voleva solo essere lasciato in pace dal presente e sì, anche dal passato. «Brutto figlio di puttana, sapevo che ce l’avevi tu.» Eppure, non appena sentì quella voce con qualcosa di un po’ troppo familiare, non esitò a voltarsi. Gli occhi spalancati, la mascella che per poco non colpisce il pavimento. «Al. Credevo fossi…» L’accenno di quello che sembrava quasi un sorriso, ma che si spense quasi immediatamente. Non si vedevano da praticamente dieci anni, ma l’altro aveva già una certa età. Non andava via durante l’anno scolastico, quindi non aveva alcuna possibilità di essere tra i più fortunati di quel mondo. No, non era di certo un mago. Forse, piuttosto che essere lì in mezzo, catapultati in quella situazione di merda, la morte sarebbe stata una gentilezza.
    «Senza offesa per Elizabeth, ovviamente. A proposito come sta la mamma?»Continuò a fissare Aloysius, come a cercare di osservarlo per bene, di rendersi conto che si trattasse effettivamente di lui e non di un qualche sconosciuto mutaforma che magari lo prendeva per il culo. «Erm… Non lo so. Non l’ho più sentita.» rispose, fin troppo timidamente. I sensi di colpa a riguardo erano fin troppi ed ogni volta che qualcuno parlava anche solo della propria famiglia lo distruggeva. Sentire il nome di sua madre portava un dolore maggiore di ogni altra cosa. Gli mancava, in fondo era solo un ragazzino. Lo spingeva ad immaginare cosa lei potesse pensare. Meglio del farsi vivo in quello stato. «Quindi sette anni fa… avevano rapito anche te, vero?» Ecco il signorino, pieno di tatto come sempre. Con tanto di “anche” per distruggere ogni tua possibile speranza del fatto che lui fosse semplicemente un mago. No, non ha avuto nemmeno quel privilegio. Si è ritrovato strappato dalla propria famiglia, senza più voler tornare indietro. Sentiva di non poterlo fare, rovinarle la vita così tanto.
    «Due burrobirre!» Alzò un sopracciglio in direzione del biondino, voltandosi poco dopo verso il cameriere. Sembrava ragionare, in parte, con quel «Ma Al, è appena pomeriggio!» eppure no, capiva perfettamente. Certe pseudo-amicizie all’interno del castello, specialmente con lo spacciatore di alcool di fiducia, gli avevano fatto capire che non era mai troppo presto per bere. Aveva fin troppe cose da dimenticare, anche a quell’età. «Mi può dare due bicchieri vuoti?» Insomma, una richiesta piuttosto stupida. Chiunque potrebbe domandarsi perché, ma in fondo a chi importa di uno stupido babbano di quell’età? Infilò il fumetto nello zaino sgualcito, provando nel frattempo a recuperare il cappello dalle mani di Aloysius per rimetterselo in testa. «Vieni.» Dove? Il giovanotto stava indicando un tavolo, nell’angolo del locale, momentaneamente vuoto. E non aspettò nemmeno l’altro per dirigersi. In realtà, gli avrebbe tirato leggermente la camicia per invogliarlo a muoversi, ma nulla più. Si limitava a confidare nel fatto che l’avrebbe seguito.
    «Me lo tenevo da parte, ma ora che lavoro a scuola sto mettendo da parte un po’ di soldi.» Ora chiunque si sarebbe potuto chiedere di cosa stesse parlando. Ma non vi preoccupate, subito vi schiarirà le idee. Si piega per spostare un’asse già malmessa, tirando fuori una bottiglia di rum, già aperta. «Non volevo rischiare di portarlo dentro.» Perché era ancora minorenne, in teoria. Ringraziamo Jack per quella bottiglia, mh?
    Si era dimenticato di far presente giusto una cosa ad Al. Quel rum era orribile, ma in fondo non se ne intendeva di alcolici, come poteva saperlo? Beh, era il rum e la notizia peggiore doveva ancora arrivare. «Ah, non ho del succo di pera con cui buttarlo giù.» Buona fortuna, Al.
    11 Febbraio '16
    Tre Manici di Scopa

    ROLE CODE © EFFE


    Edited by thaddy bear; - 16/9/2016, 17:07
     
    .
  4.     +2    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Professor
    Posts
    3,655
    Spolliciometro
    +1,903

    Status
    Offline
    Aloysius angus crane
    « the higher i get, the lower i'll sink »
    pavor ✕ special muggle ✕ death eater ✕ killjoy ✕ 26 y.o. ✕ fotokynesis
    «Al. Credevo fossi…»
    Sorrise mesto, il Crane, senza distogliere lo sguardo dal cappellino da baseball che teneva tra le dita. Sempre quella costatazione sorpresa, sputata senza ritrosie da più bocche di quante il biondo avrebbe mai desiderato.
    “Al, credevo fossi scappato in Messico dopo aver messo incinta qualche liceale: ti ci vedevo bene con i baffi ed il sombrero.”
    “Al, credevo fossi andato a convivere da qualche parte, che ti fossi sposato con… com’è che si chiama? Ah, sì!, Jo. A proposito, come sta?”
    “Al, credevo fossi partito per un giro del mondo con i Medici senza Frontiere! Cosa? Non era quello che volevi fare? Ah ma pensa, avrò frainteso. L’hai presa la laurea, alla fine?”
    “Al, credevo fossi andato via, che non saresti tornato più. Beh, non che tu sia effettivamente tornato, alla fine: siete spariti in molti, sai?”
    “Al, credevo fossi morto.”
    Ed ogni volta che le udiva, accuse o meno che potessero suonare alle orecchie di un attento ascoltatore, perforavano la carne all’altezza del petto. Perché si ricordava tutto ciò che il mondo magico gli aveva sempre celato, e ciò che invece gli aveva portato via senza chiedere il permesso, strappandolo con cattiveria dalle dita che s’ostinavano a tenerlo stretto. Perché si ricordava di tutte le perdite, e di quanto gli piacesse la sua vita prima che quel carico di letame gli venisse scaricato addosso, escludendogli un cammino che si era impegnato a costruire, togliendogli un’autonomia che si era guadagnato. Perché si ricordava di quanto avesse fatto male quella reclusione di quasi cinque anni, seppure con le unghie e con i denti si dimostrava tenace, incapace di cedere nonostante i colpi incassati; di quanto si era costretto ad essere forte, quando voleva soltanto tornare a casa.
    Perché significava che, in un modo o nell’altro, tutti quelli che davano fiato a quelle voci erano finiti nella sua stessa merda, a meno che non ci fossero già immischiati da prima. Ogni volta, subito era felice di rivedere volti conosciuti in un ambiente estraneo: gli ricordavano la sua vita, l’adolescenza passata a girare per i corridoi del liceo con la giacca della squadra di football prendendosi gioco dei più sfigati soltanto per amalgamarsi ad una massa con la quale gli piaceva condividere le serate sugli spalti poco frequentati di un campo di calcio, gli screzi affettuosi con quelle poche persone che riusciva a considerare propri amici; gli ricordavano la sua famiglia, quei genitori di cui aveva scoperto solo recentemente di non essere figlio ed i cugini con i quali adorava passare del tempo - con chi in un modo, con chi nell’altro: con Euge preferiva lerciarsi a merda e racimolare soldi con le lap dance nei locali più improbabili, mentre con Deejay si addestrava a vivere alla dura vita del ghetto londinese -; gli ricordavano i primi amori, quelli più innocenti e quelli più passionali. Appena il sorriso si faceva più pronunciato tra le pieghe di un volto troppo tirato rispetto alla giovane età, la realtà lo colpiva in piena faccia come un treno in corsa. Avrebbe preferito che nessuno avesse mai dovuto dirgli “Al. Credevo fossi…”, e che tutti continuassero a credere a quel cazzo che gli pareva. Era meglio per loro ed era, soprattutto, meglio per lui. Lasciò quindi che si rispondesse da solo, sollevando semplicemente le sopracciglia con fare allusivo mentre la domanda sulla madre scivolava innocua dalle labbra.
    Aveva tatto, Aloysius, tuttavia con persone come Thad andava a finire che o mancasse del suddetto, oppure che parlasse senza pensarci troppo: erano un babysitter e il bambino che, non facendo nulla, gli permetteva di guadagnare soldi per l’alcol. Tutto qui. Niente puttanate magiche, niente laboratori, niente morti e rapimenti: solo quello, solo loro. Evidentemente, non era così. A pensarci meglio, almeno per il Pavor, non lo era mai stato. «Erm… Non lo so. Non l’ho più sentita» Si morse l’interno della guancia, rigirandosi il tessuto vagamente rovinato dal tempo tra le dita. «capisco» disse soltanto, alzando le iridi verdi verso il proprio interlocutore. Normalmente, e se fosse stato chiunque altro seduto su quello sgabello, avrebbe risposto che gli dispiaceva: una risposta neutra, adatta a tutte le situazioni ed a tutte le persone. Mi dispiace ma, meh, che ci posso fare? Non era quello il caso, e cercò di farglielo capire maggiormente con lo sguardo; lo capiva davvero: aveva visto morire suo padre, quel lontano dicembre del duemilanove, e dopo poche ore aveva sentito dire che sua madre era morta, come avrebbe potuto non capirlo? E se tanti altri prima d’allora gli avessero detto quella stessa parola invece di scialbi “mi dispiace” fini a se stessi, probabilmente non si sarebbe ritrovato a ventisei anni a logorarsi il fegato già alle prime ore del pomeriggio. Aveva superato da diversi anni la fase del dispiacere, ormai più affine a quella della rabbia, e da quando aveva trovato qualcuno che era riuscito a capirlo, si sentiva decisamente meglio.
    «Quindi sette anni fa… avevano rapito anche te, vero?» se era privo di tatto, il Clayton, probabilmente avrebbe anche dovuto incolparsi da solo. «wow, thaddeus» esordì, accompagnando l’esclamazione con una morbida risata. «sai sempre come intavolare un discorso» nota bene: di solito non lo faceva. Era il bambino più silenzioso che Al avesse mai avuto l’onore di conoscere, ed ogni volta che il biondo tentava di portare avanti un dialogo, questo si rinchiudeva maggiormente nel proprio silenzio, facendo demordere ogni buon intento.
    No ok, non è vero, a volte parlava e in quei casi avrebbe soltanto voluto abbracciarlo come il mini peluche qual era ancora adesso ancora adesso, esclamando frasi a caso come “OH MIO DIO MA ALLORA PARLI!”, “ti prego, ora dì che sono il babysitter migliore del mondo così lo registro”, “non ho capito, hai detto che mi adori? No dai, non stare zitto ora!”, “THAD! Chi ti ha insegnato quelle parolac- ah, io, giusto”. Ma cosa dico: era esattamente quello che faceva.
    «comunque è successo…» strinse le labbra, tamburellando a tempo sul bancone le dita: l’algebra era sempre stata un problema. «sei anni e due mesi fa, mi pare; comunque sì, io e mia madre rapiti, mio padre ucciso» dicendolo si strinse tra le spalle, con una semplicità che avrebbe potuto far sembrare che, ormai, era acqua passata: semplicità che venne però tradita dallo sguardo, non più sul volto del ragazzo ma lasciato a vagare sul locale, come a non volersi focalizzare su nulla in particolare. «Mi può dare due bicchieri vuoti?» wat.
    Ritornò con gli occhi smeraldo sul profilo del babbano, sul volto l’espressione confusa di una bionda alle prese con calcoli trigonometrici applicati alla fisica quantistica. Bicchieri vuoti? Talmente sconcertato, che nemmeno sentì il cappello sfuggire dalle dita, lasciandosi trascinare dalla presa esercitata sulla camicia verso un tavolo poco lontano.
    Due.
    Bicchieri.
    Vuoti.
    Disarmante, per il Crane. Si voltò appena, dopo essersi seduto, guardando con sguardo sognante le burro birre che, ormai prive di qualcuno che le reclamasse, venivano affidate ad altri avventori. «due bicchieri vuoti» ripeté ancora, sottovoce, fissandoli. Confidava che il ragazzino avesse un asso nella manica, sennò l’avrebbe picchiato come ai bei vecchi tempi – no, non è vero.
    Cioè, non lo picchiava, vi pare.
    Al massimo era Thad a rincorrere Al con qualche strano ed appuntito arnese da cucina. Piccolo sociopatico.
    Si rivelò un asso nello zaino, quello del Clayton, ma tant’è. La bocca di Al si aprì in una perfetta O, misto di approvazione e stupore ed orgoglio, prendendo senza chiederlo nemmeno la bottiglia tra le proprie dita. «ma questo…» assottigliò le palpebre portandolo più vicino, e ascoltando il cuore dell’alcol Aloysius Angus Crane capì. «questo non è semplice rum, thaddino» uno sguardo preoccupato saettò da parte a parte del tavolo, carica di tensione. «questa è la benza di spaco! ma che bella bottiglia, dove l’hai trovata?» quando udì che era finita la pera sort of PEEEEVA PEPEPEVAAAA wat, non poté che sentirsi chiedere, in un angolo recondito della propria mente: cos’è che provi?
    Paura.
    Tanta, davvero tanta paura.
    Quella roba era imbevibile. Una volta, allo SpacoBot, notando la presenza di Run in tale covo di… meh, non sapeva come definirli - come definirsi - aveva tentato di fare colpo sulla figlia sfidando la sorte con la “grande sfida”: bere tutta la bottiglia di alcol alla goccia. La leggenda narra che solo il proprietario del locale ci fosse riuscito, prima dell’avvento dei Crane nel mondo magico.
    Perché sì, aveva vinto la sfida.
    Anche due giorni di coma etilico, ma aveva vinto la sfida. Alcuni potrebbero dire “ma è stato inutile, non sai nemmeno se tua figlia ti ha visto farlo!”; a quello, Al non ci aveva mai pensato.
    Comunque. «sarebbe stato meglio del latte» constatò saggiamente, da vero adulto responsabile quale non sarebbe mai stato, senza staccare gli occhi dall’etichetta scura che non presagiva, come sempre, nulla di buono. La stappò, versandone mezzo bicchiere ciascuno. OKAY, forse era tanto.
    Ma mai, quanto una bottiglia intera. «sono allenato a berlo senza pera, in ogni caso» disse, in un primo tentativo di avvicinarsi il bordo del recipiente alla bocca. Sentì tutti i sensi intorpidirsi, il cervello spegnersi e la bionda precedentemente citata risolvere i calcoli matematici: non c’entrava niente, giusto per farvi capire l’assurdità ed il misticismo della bevanda. «passo la metà delle mie giornate a bere per dimenticare gli ultimi sei anni della mia vita: credi che non sia pronto a berlo senza pera?»
    Mai.
    Non si era mai pronti.
    Senza esitarci un istante di più, mandò giù il contenuto, aspettando di esprimersi in alcun modo al riguardo wat fintanto che Thad non avesse fatto lo stesso, ripetendosi che poteva resistere. Poteva resistere, doveva solo assottigliare le palpebre per evitare che il rum uscisse sotto forma di lacrime watwat. «quindi» tentò, mentre un alito di rigurgito gastrico faceva sentire la sua presenza. «come ci sei finito in questo mondo di merda?»
    E sapevano entrambi, che per affrontare una discussione del genere non sarebbe bastata una sola bottiglia di benza.
    - rule #1 never be #2 - code by ms. atelophobia
     
    .
3 replies since 16/2/2016, 23:34   334 views
  Share  
.
Top