Can you be my relief?

per Ty

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  1. wyvern.
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    balthazar wyvern
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    Quando la pesante scure calò violenta sul suo collo, Balthazar si svegliò gridando. Gli era parso, per un attimo prima di spalancare gli occhi, d’avvertire l’acciaio temprato della lama recidere l’aria con un fischio. Con tutto se stesso era convinto d’averla sentita farsi spazio nella sua carne, spezzandogli la colonna vertebrale e trapassandogli l’esofago per poi conficcarsi con un tonfo sordo nel legno scheggiato del ceppo. Il dolore, seppur breve, era stato insopportabile. Negli occhi, riflessi, quelli di suo nonno Belfagor.
    Si era frettolosamente calcato la mano sulla bocca, tesa allo spasmo ed ansimante come dopo una lunga corsa. Sebbene il buio fosse quasi palpabile, attorno a sé, sapeva che Ty si trovava a pochi metri da lui, nella medesima stanza, e che quel grido spaventoso doveva averlo svegliato. Accadeva sempre così.
    Dopo le prime volte, durante le quali l’amico era sobbalzato intimorito dal proprio letto e si era affrettato ad accendere ogni luce per accertarsi che lui stesse bene, Balth lo aveva allontanato vergognoso. Ed era stato un po’ egoistico, da parte sua, chiedergli di fingere che nulla stesse succedendo, ma non aveva risposte da dargli se non che a sedici anni si ritrovava ancora ad essere sconvolto da un paio di brutti di sogni.
    Un solo brutto sogno, a dire il vero. Un incubo ricorrente che con buona probabilità era conseguenza dell’iniziazione alla Magia Oscura cui suo padre lo aveva sottoposto, come da tradizione della famiglia Wyvern. Prima o poi, la cosa si sarebbe esaurita da sé – o almeno questo continuava a ripetersi lui – e avrebbe guardato a quelle occasioni solamente come ad un miraggio sbiadito.
    Se non avesse avuto timore che suo padre vedesse in quel turbamento una debolezza, probabilmente gliene avrebbe parlato per chiedergli consiglio. La verità, però, era che con il trascorrere degli anni, dopo la morte di sua madre, si era ritrovato sempre a fingere d’essere qualcun altro. Philly stessa, di cui nessuno sapeva, era la sua valvola di sfogo: la possibilità di fregarsene, anche solo per qualche notte al mese, ed essere anche fragile e debole. Essere, in altre parole, come la donna che lo aveva generato e non come sua zia Vitani avrebbe voluto.
    Quella sera, però, non aveva voglia di combattere. Lo aveva fatto per anni, con la propria omosessualità, arrivando solo con il tempo e dopo mesi di scontri armati ad accettarsi. E ancora non lo faceva nella totalità della sua persona e spesso, per questo motivo, era costretto a rintanarsi nei propri pensieri, così da poter mediare con sé stesso e trovare una via di mezzo che lo accontentasse. A metà tra l’annichilimento e il timore di vivere davvero. Sapeva, dunque, cosa significasse trascorrere un’esistenza con un coltello tra i denti ed un fucile tra le mani: sapeva che, con il tempo, quell’essere sempre pronto ad iniziare una guerra lo avrebbe condotto ad esaurirsi e spegnersi. Come una candela fa sul proprio stesso stelo.
    Si concesse d’essere amato, nonostante tutto, come Ty aveva più volte dimostrato d’essere capace di fare: lo sopportava nonostante i suoi sbalzi d’umore, lo accontentava quando gli domandava di stringerlo a sé e fingeva interesse per le cose di cui gli piaceva parlare. Ty non lo avrebbe rifiutato, non si sarebbe sottratto a quella richiesta.
    Per un attimo, pensò di alzarsi e raggiungere la Sala Comune. Forse, con addosso una felpa pesante e avvolto in una coperta davanti al caminetto, quel freddo terribile che sentiva nelle ossa si sarebbe arrestato. Con la compagnia di un bel romanzo, accompagnato dal rumore placido dell’acqua del Lago Nero, sarebbe stato capace d attendere l’alba e l’inizio delle lezioni. Oppure sarebbe riuscito persino a prendere sonno e a riposarsi per un paio d’ore. Forse non valeva la pena disturbarlo.
    Forse lui si era già riappisolato.
    Indossava solo una maglietta ed un paio di boxer, sebbene fosse letteralmente sepolto al di sotto di uno spesso strato di coperte. Magari, adottando l’utilizzo di un pigiama – cosa che non aveva mai fatto prima di allora – sarebbe riuscito persino a risolvere il suo problema di insonnia. Magari contando al rovescio da cento sarebbe stato in grado di entrare in un magnifico universo alternativo più semplice e gioioso.
    Forse, magari. Bugie.
    «Tyreek» lo chiamò. La voce gli uscì più flebile di quello che avrebbe voluto, rendendo palese quanto il giovane fosse ancora scosso. Si era raggomitolato su un lato, stretto in posizione fetale e dando le spalle al compagno. Attese in silenzio una sua risposta: se questa non vi fosse stata, non lo avrebbe disturbato ulteriormente e si sarebbe davvero recato verso una delle poltrone vicino al fuoco acceso.
    Quando quella giunse, impastata e roca, sentì un moto di vergogna per quanto stava per domandargli. Molto più di una semplice coccola. E sì, aveva già condiviso con lui un letto, ma solitamente non era quello il suo stato: aveva tremato sotto i polpastrelli dell’altro, ma per il piacere non certo per la paura o il freddo. Oramai, tuttavia, non poteva ritrarsi.
    «Posso dormire con te?»
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    Aveva il sonno pesante Tyreek Baptist, così pesante da non accorgersi di nulla di ciò che potesse circondarlo mentre il suo pulsante era spinto sullo zero. Era nel pieno del riposo, sprofondato in un sonno così pesante da sembrare quasi morto, quasi perché il rumore basso e ininterrotto del suo russare ovviava a quella domanda. Pareva più un orso o un cucciolo di balena spiaggiato che un giovane uomo, su un letto che non sembrava essere fatto a misura di un Baptist con un braccio ciondolante dal materasso ed i piedi scoperti dalle candide lenzuola. Il cuscino dava segni di resa dopo essere stato accartocciato e ripiegato in un angolo, mentre un lembo della coperta riposava sgualcita sul pavimento. Il prefetto serpeverde era tutt'altro che una persona delicata, non con le cose almeno, con le persone invece se la cavava un po' meglio. Tyreek a volte peccava di charme, e ciò era visibile maggiormente nelle piccole cose tale era il quadretto appena delineato.

    Lui si avvicinò, il cuore di Ty batteva all'impazzata. Cercò di dire qualcosa, aprì la bocca ma dalle sue labbra non uscì alcun suono se non un mugugno leggero. Gli occhi del giovane uomo fissi nei suoi, non riusciva a spostare lo sguardo, come se qualcuno gli avesse lanciato un impero. Immobilizzato sentiva il freddo del muro sulla schiena.
    Lui gli si avvicinò, le labbra morbide ad assaporare quelle dell'altro, le due lingue si intrecciarono in un turbine di petali rossi e protuberanze dentro le mutande.

    Dopo che era andato a parlargli nel suo ufficio il nordamericano non riusciva a pensare ad altro che i loro corpi nudi, la tensione sessuale che c'era stata in quella stanza era palpabile, o almeno Tyreek pensava così. Era completamente rimasto stregato da quel ragazzo che era più un uomo ormai, da quando l'aveva conosciuto non c'era mai stato nessuno che fosse riuscito a entrargli dentro come lui aveva fatto.* Nessuno era riuscito a rubargli il cuore, nemmeno Balthazar. Il rapporto con Wyvern era una cosa completamente diversa di quella che provava per Cole. Balth era un amico, era il suo migliore amico, okay, a volte i due si spingevano un po' più avanti, abbastanza avanti per rompere il nastro di carta che separava il confine dell'amicizia ma per lui il concasato era come un fratello, anzi, era il fratello che mai aveva avuto e che aveva trovato in lui. Gli voleva più bene di qualunque altra persona al mondo, non sapeva che cosa avrebbe fatto senza di lui. Si sorreggevano a vicenda, erano piuma e pietra, si completavano, si equilibravano, insieme riuscivano a tenersi a galla nel mare tempestoso in cui affogavano lentamente. Il loro rapporto era speciale come pochi.

    Le mani del Sicla strette sui fianchi, pelle contro pelle. Era caldo ma tremava. Fremeva.

    Il filo di bava che usciva dalle fauci del serpeverde colava sul cuscino, il quale non era l'unico a bagnarsi sempre più sopra quel letto. Le voglie del ragazzo potevano essere soddisfatte, almeno in sogno. Non gli rimaneva altro che quello, mera illusione ormai.
    E poi lo sentì, l'urlo a squarciare la quiete del dormitorio verde-argento, a rompere quel sogno a luci rosse. Il biondo si svegliò di soprassalto; Tyreek Baptist non sentiva nemmeno la sveglia quando dormiva beato ma quel suono aveva imparato ad ascoltarlo. Era Balthazar, lo sapeva bene. Quella non era la prima volta e, purtroppo, il ragazzo immaginava che non sarebbe stata nemmeno l'ultima. All'inizio la cosa l'aveva spaventato parecchio, e irritato insieme. Non era riuscito a dormire per una settimana intera dopo aver capito che quell'urlo sarebbe arrivato ogni notte, lo aspettava fissando preoccupato l'amico. Lo aveva osservato nel buio per ore, senza vederlo propriamente ma immaginando il suo profilo tagliare l'aria a qualche metro da lui. Balthazar gli aveva chiesto di non dire nulla, di non chiedergli nulla soprattutto, di comportarsi come se non fosse successo nulla. Ty all'inizio se l'era presa, si era sentito escluso da quel segreto che il giovane voleva far rimanere tale, ma con il passare del tempo aveva capito e imparato a concedere all'amico lo spazio e il silenzio che desiderava.
    E come sempre accadeva il grido venne soffocato dalla mano del sedicenne, il respiro ansimante mentre i polmoni bruciavano chiedendo ossigeno come alla fine di una corsa stremante. Il nordamericano era fermo, immobile, cercava di non emettere alcun rumore regolando il più possibile il respiro. Si era voltato dalla parte opposta al letto del migliore amico, rannicchiato con le ginocchia portate appena verso il petto. Aspettava, in silenzio, con gli occhi spalancati nel buio. Non voleva irrompere nell'intimità dell'altro, non voleva costringerlo ad una compagnia che poteva non volere, non voleva in alcun modo aggiungersi alla lista dei malesseri di Wyvern in quel momento. Aspettava, un segno, qualcosa, lì in bilico sulla fune da equilibrista che lo collegava al ragazzo.
    Trascorsero una manciata di minuti appena che al biondo sembrarono attimi eterni, prima che l'amico accendesse la candela che lui stava ardentemente aspettando. "Tyreek". Il canale di comunicazione si aprì così tra loro, con un flebile accenno di accento inglese strascicato.
    «Mmmh?!» rispose il prefetto senza sbilanciarsi troppo, fingendo pure di non essere sveglio e con i muscoli in tensione perché preoccupato per l'amico, la voce impastata dal sonno ovviamente aiutava. "Posso dormire con te?" Ty non rispose subito. Era la prima volta che Balthazar gli chiedeva una cosa simile. Non era mai successo che Wyvern dovesse chiedere il permesso prima di infilarsi tra le lenzuola del suo compagno di casa. Gli ormoni ballerini dei sedicenni si agitano molto più spesso di quello che si possa immaginare e non sarebbe stata sicuramente la prima volta che i due avrebbero condiviso lo stesso letto. Balth era solito infilarsi sotto le coperte dell'altro a piacimento e a Ty la cosa non era mai dispiaciuta per nulla, anzi. Ma quella situazione era diversa, completamente diversa da ciò che capitava di solito. Baptist si ritrovò spiazzato, non sapeva che fare. Quando gli incubi si manifestavano il nordamericano aspettava sempre che il respiro dell'altro si regolarizzasse prima di tornare alle sue fantasie notturne, quella invece era la prima volta che il giovane si spingeva a chiedere il suo aiuto. Ty non sapeva cosa fare ma in realtà a pensarci anche solo un secondo la risposta era facile, facilissima. Lo aveva sempre aiutato, c'era sempre stato per lui, in ogni evenienza e la richiesta del moro era solo una di quelle, un'evenienza qualunque.
    «Certo» Cercò di rendere sicuro il tono di voce, ma trasparì comunque quel misto di paura ed eccitazione che accompagnava ogni cosa ignota.
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    Note (*): oh sì, il doppio senso è volutissimo.


    Edited by tyreek - 4/1/2016, 20:15
     
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  3. wyvern.
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    balthazar wyvern
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    Il cuore gli pulsava nella testa. Lo sentiva in maniera nitida e distinta, gli rimbombava nelle orecchie quasi fosse sul punto di esplodere in mille pezzi. L’immagine di quel muscolo – il quale pareva deciso a non volergli restare nel petto – ridotto in frattaglie lo colpì causandogli un moto violento di nausea.
    Nell’esatto istante in cui aveva biasciato quella richiesta, Balthazar se ne era pentito e il silenzio che aveva ottenuto in risposta da Tyreek non fece che implementare i suoi dubbi. Si pose molte domande: alcune erano questioni stupide, altre altrettanto idiote ma un po’ più profonde e ragionate. La sciocchezza, in tutto ciò, non stava tanto nella sostanza dei suoi interrogativi, quanto nella persona che ne era oggetto. Ty, infatti, non lo avrebbe mai respinto.
    Eppure lui non poteva che continuare ad interpellarsi. Sentiva la sua maglietta zuppa di sudore gelido e non riusciva a non domandarsi se il suo odore fosse insopportabile. Tremava in maniera quasi scomposta, sotto quelle coperte che gli parevano troppo leggere, e non era in grado di superare l’idea che Ty, per colpa sua, non sarebbe riuscito a riposare per il resto della nottata. Sapeva che tra le gambe dell’amico c’era sempre spazio per lui, ma non era convinto che ve ne fosse abbastanza anche tra le sue braccia.
    Loro due non erano una coppia, lui non era il suo fidanzato. Tutte quelle attenzioni che gli rivolgeva, nei suoi momenti di fragilità, erano un regalo fin troppo generoso che il Wyvern sospettava di non meritarsi affatto. Se non fosse stato così scosso, in quel frangente, se il compagno di stanza fosse stato più immediato e celere nel pronunciare quella sola parola, tutti questi castelli di carta forse non sarebbero mai stati eretti. Perché Balth era perfettamente a conoscenza del fatto che all’altro semplicemente non importava.
    Giocavano a Quidditch insieme dal secondo anno, quella non sarebbe di certo stata la prima volta in cui Ty si ritrovava addosso Balth madido. Ed erano amanti, buon dio. Il sapore salato del Baptist quasi gli piaceva: di certo, lo trovava rassicurante o quantomeno famigliare. Sì, a Ty semplicemente non sarebbe importato.
    Si conoscevano da oltre un lustro: lo aveva visto tremare persino in tarda primavera, Ty sapeva che era un tipo freddoloso. Quel gelo avvertito a fior di pelle non era normale, ma neppure poi tanto diverso da ciò che già aveva sperimentato. Sì, a Ty semplicemente non sarebbe importato.
    Lo tormentava da quella che gli sembrava una vita. Fino a quell’istante, nonostante non fosse esattamente prodigo con le altre persone, l’amico non gli aveva mai negato alcun abbraccio. Anzi, molte volte sapeva intuire quando ne aveva bisogno soltanto guardandolo. Sì, a Ty semplicemente non sarebbe importato.
    «Certo» gli disse infatti quello. Assonnato e forse un po’ provato da tutti quei sogni che lo aveva costretto ad interrompere, alla fine lo aveva accolto. In quell’istante seppe che a Ty semplicemente non importava. Ma a lui sì.
    «Grazie» mormorò, decisamente molto sentito. «Prima vado un attimo in bagno» aggiunse, scostando in fretta le coperte sgualcite per poi tentare l’impresa – che fortunosamente gli riuscì – di raggiungere il bagno nella totale oscurità. Prima di accendere la luce, con la quale avrebbe svegliato in maniera definitiva l’amico, chiuse la porta. Poi, si guardò allo specchio.
    Il riflesso che vi scorse era uno dei peggiori della sua persona che aveva mai visto: i capelli disordinati, le occhiaie scure sotto gli occhi, le labbra esangui. Notò per la prima volta i tratti somatici che aveva ereditato da sua madre, quelli che erano riusciti a sopravvivere al forte DNA meticcio di suo padre Astaroth. Fino a quel momento, nella salute, non era mai stato capace di distinguerli. Aveva dovuto essere privato di molte cose – cibo, sonno, serenità – prima di riuscire a vedere in cosa le somigliava. Aprì un’anta nei pressi della superficie riflettente e frugò in cerca di una boccetta cremisi. Prese una Pasticca Ematica (molto più comode della Pozione Rimpolpasangue, ma decisamente più costose) e la ingoiò con una sorsata d’acqua fresca. La sentì scivolare giù per l’esofago e poi nello stomaco vuoto. Si tolse la maglietta, guardandosi tremare in modo ancora più accentuato. Si voltò leggermente.
    Trovò ancora il suo tatuaggio arrossato e doloroso. Suo padre aveva riposto in esso il sigillo iniziatico alle tenebre. Si rinfrescò come meglio poté e usò un po’ di profumo per mascherare eventuali afrori sgradevoli. Il fatto che lo scomodasse non doveva significare per forza che doveva essergli di fastidio. Uscendo, di nuovo nel buio, afferrò la felpa doveva sapeva di averla lasciata la sera prima e, senza dire una parola, lo raggiunse. Scostò piano un lembo delle lenzuola.
    Sapeva, anche senza bisogno di vederlo con i suoi stessi occhi, che il letto in quel momento era sfatto. Ty, infatti, si lamentava da tempo, da quando a differenza sua era cresciuto di quasi venti centimetri, di quanto quei materassi fossero troppo piccoli. Non era affatto inusuale, la mattina, trovarlo avvolto malamente tra le coperte. Non si aspettava, però, di trovarlo di schiena. Si adeguò, sebbene in cuor suo sperasse di poterlo usare per scaldarsi. Si mise fermo, steso di lato, in bilico sul vuoto e neppure totalmente al riparo dal freddo di quella notte di metà gennaio. Fermo a pensare.
    Solitamente, durante i loro incontri notturni, a quel punto Balth soleva infilarsi più sotto. Ty alzava leggermente i fianchi, così da permettergli di sfilare i boxer – l’unico indumento con cui dormiva – e gli faceva poi spazio tra le proprie cosce tornite, esponendosi alle sue carezze. Non aveva mai visto in quel gesto, nel prenderlo tra le labbra e dargli piacere, nulla se non la possibilità di compiacersi vicendevolmente. E non sapeva se ciò fosse quello che l’amico voleva da lui anche in quella situazione, ma se così fosse stato, pur d’avere poi la possibilità di stare con lui fino al rumore della sveglia, lo avrebbe fatto. Non voleva stare solo.
    Accoglierlo dentro di sé non era per Balthazar un prezzo troppo alto da pagare, di certo non con lui. Poteva darglielo, poteva darsi.
    Ingoiò un nodo di timore e poi aprì la bocca per proporglisi. Successe qualcosa che gli impedì di emettere anche solo un suono.
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    Gli incubi erano cominciati da qualche settimana, forse da un mese, Tyreek non ne era sicuro, non era mai stato bravo a contare. Sebbene Balthazar non avesse voluto parlargli di cosa effettivamente sognasse ogni notte che lo terrorizzava al punto da farlo svegliare di soprassalto urlando, il biondo prefetto si era domandato ardentemente che cosa potesse essere a turbare così tanto l'amico. Se l'era chiesto e si era risposto in molteplici modi, uno diverso per ogni notte che trascorreva insonne a causa della preoccupazione per l'altro. Il giovane era fatto così, non gli interessava quasi nessuno ma per le poche persone che contavano per lui il nordamericano dava il massimo. C'aveva provato per una settimana intera a rimettersi a dormire, aveva pure comprato... okay, rubato a un concasato dei tappi per le orecchie in modo da non farsi svegliare nel cuore della notte dall'ululato di Wyvern ma non era servito, non tanto perché lo stridore terrorizzato del sedicenne riusciva ad infilarsi nelle intercapedini che si formavano tra la figura perfettamente cilindrica dei tappi e le irregolarità dei padiglioni di Baptist, ma più perché il peso sul cuore non lo lasciava riposare tranquillo. Era naturale per lui preoccuparsi per l'amico, teneva a lui più di quanto tenesse a sé, forse addirittura più di quanto tenesse alla Nimbus 4000 comprata appena qualche ora prima con il buono della Bulstrode -e lui adorava quella scopa, ci avrebbe fatto sesso se solo... mmhh... Sentiva un senso di dovere verso il ragazzo, agiva come se fosse naturale per lui proteggerlo, tenerlo sotto le proprie ali, Balthazar era il fratello che non aveva mai avuto.
    Il giovane Baptist stava coricato su un lato, le gambe distese quasi per tutta la loro lunghezza rischiavano di fuoriuscire dalle coperte pesanti che lo avvolgevano. Tyreek, dal primo giorno in cui aveva dormito a undici anni nel letto del dormitorio serpeverde, si era lamentato di quei materassi a suo dire troppo piccoli e delle lenzuola che avevano il magico potere -Hogwarts: scuola di magia e stregoneria, no?- di scoprire ogni volta una parte diversa del suo corpo. Il problema principale non era la stazza del battitore, era effettivamente un ragazzo ben piazzato: spalle larghe e muscoli pompati dall'allenamento intensivo per il quidditch ma Tyreek era alto solo un metro e settantacinque e le sue misure, per quanto il ragazzo non volesse crederci, si adattavano perfettamente a quelle del materasso che gli era stato assegnato. Era più questione di abitudine che di vera mancanza di spazio, a casa sua in Nevada egli aveva una camera tutta per lui, nella quale al centro troneggiava il suo letto da una piazza e mezza. La sua casa in Nord America era una dimora di altri tempi; una bifamiliare occupata solo da loro tre da quando nonno Baptist aveva tirato le cuoia. I soffitti erano molto alti, il mobilio pacchiano e la carta da parati iniziava a ingiallirsi sulle pareti, tutto in quella casa dava un'idea di pesantezza e noia: era stata dipinta su di misura dei proprietari, o almeno così Ty considerava i propri genitori. Così abituato il prefetto si ritrovava stretto in un dormitorio che concedeva il risposo dell'ala maschile di una casata intera. Quindi, sebbene avesse dormito molte più volte al castello che nella sua reale casa, Tyreek si ritrovava ogni mattina a biascicare allo specchio, mentre si lavava i denti, quanto avesse dormito male a causa del giaciglio troppo stretto e scomodo. In quel momento però la sua attenzione era focalizzata completamente su un argomento diverso rispetto al solito su quel letto, Ty pensava a Balthazar. Gli aveva dato una risposta positiva, lo aveva invitato nel suo letto dopo che quello aveva richiesto di entrarci, come un ospite che bussa piano alla porta nella paura di disturbare. Il biondo si aspettava che l'amico si rintanasse svelto sotto le sue coperte, così veloce da non permettere al freddo di aggrapparsi con le sue dita gelide alle sue gambe nude, così rapido da sentire solo lo spostamento d'aria mentre il mostro di ghiaccio mancava il suo bersaglio. E invece la cosa non accadde, il sedicenne non sentì lo sconquassamento del materasso né lo spiraglio di buio entrare dentro alla sua tana calda. Nulla di tutto questo successe, infatti furono altri i suoni che arrivarono alle orecchie del ragazzo: "Grazie. Prima vado un attimo in bagno". Aveva forse bisogno di evacuare gli scarichi? Il bisogno impellente di urinare si era manifestato proprio in quel momento?! Il nordamericano non disse nulla, sebbene la sua stupida curiosità volesse porre all'altro domande che si sarebbero rivelate demenziali e, soprattutto, fuori luogo. Attese così in silenzio impaziente, Baptist avrebbe giurato di non aver mai visto scorrere il tempo più lentamente di così. Balthazar sembrava non voler tornare più dal bagno tanto che al serpeverde venne in mente l'idea di potersi alzare e andare a vedere se stesse bene, ma sarebbe stata una cosa idiota da fare infatti la escluse subito dopo averla pensata.
    Sentì infine, dopo minuti durati ore, il rumore attutito dei suoi piedi scalzi scivolare sul parquet. Un lembo di lenzuola si mosse dalla staticità mortale a cui erano condannate e Balthazar si infilò silenzioso sotto di esse, delicato a tal punto che il rumore del suo respiro riuscisse a coprire quello dello spostamento del cotone. Egli si distese di lato, quasi sull'orlo del materasso, in bilico tra il tepore del suo migliore amico e la voragine gelida e buia. Le lenzuola sfatte e la coperta sbilenca del battitore ormai dovevano essere un territorio familiare per Wyvern, il quale però sembrava trovarsi come estraneo in casa propria. Tyreek continuava a dargli la schiena, immobilizzato in quella posizione che era nuova per il suo corpo abituato ad una disposizione più a stella. Era la prima volta che Balth cercava riparo da quegli incubi, era la prima volta che necessitava di lui per qualcosa di più di un semplice appagamento sensoriale, quella volta era... strana, alcuni l'avrebbero definita quasi speciale. Si voltò lentamente verso l'amico, in gesti morbidi e curati apposta per non muovere troppo il letto a causa del suo spostamento, e si avvicinò a lui. Un'ondata di profumo lo avvolse insinuandosi dentro le sue narici, solo in quel momento il serpeverde capì cosa il coetaneo era andato a fare in bagno. Le labbra del prefetto si incurvarono appena, se conosceva un poco Wyvern il ragazzo lo aveva fatto per lui, forse perché sudato o forse solo per rendersi più gradevole a sé stesso e all'altro. Si avvicinò tanto da far toccare le loro ginocchia, infilò piano una gamba tra quelle del giovane, solo qualche centimetro, abbastanza per sentire sfregare appena la peluria che ricopriva le zampe di entrambi. Circondò la vita dell'amico con un braccio, completamente, fino ad aggrapparsi con la mano al fianco che giaceva sul materasso. L'altro braccio si mosse in alto, attorniò il collo magro del purosangue passando le dita tra i capelli corti di quello. Sentiva il fiato caldo di Balthazar rompersi addosso alle sue labbra, i nasi quasi a sfiorarsi, Tyreek fissava dritto di fronte a sé cercando i suoi occhi nel buio e illudendosi di averli trovati proprio davanti ai suoi.
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    Edited by tyreek - 4/1/2016, 20:17
     
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    Pensava di rado a sua madre, perché farlo, ogni volta, gli causava dolore. Gli era capitato, in quegli anni – otto, oramai –, di raggiungerla con il pensiero, ma di rado ciò era avvenuto al di fuori delle ricorrenze in cui suo padre la celebrava. Balthazar, poi, aveva progressivamente dimenticato il valore di alcune di quelle giornate: si scordava spesso il giorno del compleanno di lei, o quello dell’anniversario del matrimonio con suo padre. Ciò che non dimenticava mai, invece, era la data del suo decesso. Ricordava di come sua zia Vitani fosse passata a svegliarlo la mattina presto, portandolo nella magione dei Sicla, e di come persino Therese li avesse raggiunti lì. Rimembrava con lucidità, sebbene fosse all’epoca solo un bambino, il grande affetto che le due donne gli avevano riservato, quel giorno.
    Un sentimento inusuale, per lui, da parte loro.
    Aveva compreso solo più tardi che quello non era reale amore, ma solo pietà. Quello vero, quello di una madre per il proprio figlio, non gli sarebbe più spettato in sorte, poiché Reidun, alla fine, aveva perso la propria battaglia contro la malattia. Era sempre stata troppo fragile, disse qualcuno durante la cerimonia funebre e guardandosi attorno Balthazar, scrutando negli sguardi degli altri, seppe che in qualche modo ci si aspettava da lui la stessa cosa. E lui sapeva anche, in cuor suo, di essere la copia esatta della donna che lo aveva cresciuto, ma decise in quel preciso istante di cambiare. Di tenerla lontana, in un angolo remoto dei propri pensieri, e di tornare da lei di rado.
    Tyreek Baptist era stato diverse volte causa di eccezioni. In alcuni frangenti, come durante un’azione particolarmente affiatata nel Quidditch o dopo un pomeriggio passato a scherzare, Balth si doveva chiudere un po’ in se stesso, per non lasciare che l’ombra della tristezza gli si dipingesse sul volto. Dopo cose anche comuni, per esempio uno scherzo ai danni di qualche ravenclaw, od altre che mai avrebbe condiviso con la propria madre, come la volta in cui si erano attardati nello spogliatoio, il giovane Wyvern si puntellava su un pensiero che gli riusciva difficile smuovere. “Dio, quanto mi piacerebbe fartelo conoscere”.
    Il fato aveva voluto che quella non fosse la loro sorte e che lui non avesse avuto il tempo per raggiungerla a casa, un giorno, e dirle «Mamma, questo è Ty, il mio migliore amico». Non aveva avuto modo di farglielo incontrare, di mostrarle qual era la compagnia di cui si circondava e, magari, di affezionarcisi. Perché non poteva credere, nelle fantasie di quel pensare, che sua mamma, così dolce ed affettuosa, potesse non amarlo. Si diceva, anzi, che probabilmente Reidun sarebbe stata quasi odiosa nel ripetergli continuamente che doveva portarlo a casa loro ad ogni occasione. A volte arrivava persino a dirsi che la donna probabilmente avrebbe insistito con alacre convinzione per averlo come genero. Perché, per lui, Ty non si poteva odiare in alcun modo.
    In altre occasioni, invece, si ricordava che non aveva avuto modo neppure di farle conoscere ciò che lui era diventato e che, forse, quella proiezione non le sarebbe piaciuta. Bastava così poco per distruggere tutti i suoi castelli di carta.
    Ma in quel momento, non aveva alcun dubbio. Se Reidun avesse potuto vederlo, mentre come al solito gli muoveva sempre un passo a favore, non ci sarebbe stata in lei che accondiscendenza. Perché mentre tutto gli crollava attorno, in rovine di polvere e disincanto, Tyreek era lì, con lui, a ripararlo.
    Quel silenzio che stava per interrompere, con una domanda che poco aveva di ingenuo e casto, venne infatti smorzato dal suo compagno. Avvertì chiaro il suo coraggio che si faceva fisico, sfidando apertamente tutto ciò che si era taciuti. Una temerarietà che lui non era stato capace di estrarre, dopo aver osato domandargli rifugio, ma di cui c’era di certo bisogno per superare l’impasse che nelle ultime settimane si era sedimentato sulla loro relazione. Trattenne il fiato, mentre l’altro si voltava per stringerlo. Non si oppose al ginocchio che voleva farsi spazio tra le sue gambe: non si opponeva mai, a Ty, in realtà; in quell’occasione, tuttavia, quel gesto era privo di implicazioni scabrose, e saturo invece di un bisogno lancinante di trovarsi per fare fronte al vuoto. Di esserci, lì. Davvero.
    La pelle ruvida di lui, contro la propria intirizzita, gli sembrava potesse addirittura generare scintille, ma così non accadde. Anzi, laddove Ty lo sfiorava un tepore piacevole cominciava a diffondersi, tanto da spingerlo a volerne di più così da mettere fine a tutti quei tremori. Aveva sempre apprezzato le sue cosce toniche e i polpacci muscolosi, ma mai ne era stato così attratto, quasi invaghito. L’amico di sempre, senza rumore o rimbrotti, lo aveva accolto tirandolo a sé. Il suo braccio attorno ai fianchi, sul limitare della felpa, gli aveva sfiorato l’ombelico e l’addome causandogli un sussulto inatteso che, sebbene dovuto al suo tocco gentile, sperò egli scambiasse per l’ennesimo spasmo di gelo. La distanza tra le loro membra, tra le loro scapole, era stata annullata con una sola torsione: avvertiva il suo torace ampio contro la schiena e il moto leggero del suo petto che si gonfiava ad ogni respiro, per poi svuotarsi d’un fiato – pacato – contro le pieghe del proprio collo scoperto. Con le dita della mano sinistra, o meglio con le falangi quasi congelate, percorse piano quel braccio che era molto di più: era la porta serrata di un tiepida prigionia cercata, una corda tesa verso il conforto, le spire di una vipera che solo per lui non aveva fiele ed era vita. Un laccio emostatico stretto poco sopra al gomito, così da poter smettere di sanguinare. Ne tracciò la linea flessuosa, incontrò la peluria leggera e si lasciò guidare da una vena in rilievo che sapeva perfettamente dove trovare. Fino al suo polso, al dorso, alle dita. Vi intrecciò le proprie e chiuse gli occhi per godersi quel momento, poiché sapeva che purtroppo sarebbe sparito presto, che avrebbe dovuto dargli delle spiegazioni. Eppure, mai prima d’allora si era sentito tanto in pace. Nonostante il dolore.
    Quando cominciò anche ad accarezzargli i capelli, immaginò di tirarselo addosso e allacciare le mani poco sopra il suo sedere per baciarlo a lungo, senza fretta, nell’incavo caldo della clavicola. Poi, sarebbero venute anche le labbra, ma solo dopo avergli lasciato addosso un marchio che rendesse palese il suo passaggio sulla sua carne. Non sapeva la ragione di quel desiderio, forse voleva solo restituirgli una piccola porzione di ciò che gli stava dando. Perché Balth, sulla propria pelle, era convinto che tutto l’inchiostro che vi aveva sotterrato in qualche modo lo riflettesse. Vi aveva tatuato gli stemmi della sua famiglia, ma era il ragazzo al suo fianco l’unico esponente di cui aveva davvero bisogno.
    Aspettò di quietarsi, rintanato sotto le coltri, prima di aprir bocca. Si voltò a guardarlo, o meglio ad osservare il buio dietro il quale supponeva si trovasse, e non seppe cosa dire.
    Voleva ringraziarlo. Voleva parlargli. Voleva smorzare l’attenzione con una battuta stupida. Voleva deviare verso qualcosa di semplice, come il Quidditch. Sospirò.
    «Papà mi ha iniziato alla Magia Oscura» disse.
    E tu, tu sei davvero il mio unico conforto.

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    Le dita del giovane serpeverde si perdevano tra i capelli corti dell'amico. Scivolavano leggere ricavandosi cammini tra la foresta di alberi tutti uguali che era la parte bassa della testa di Wyvern. Erano morbidi, quasi setosi, Tyreek che ai suoi capelli faceva di tutto aveva sempre adorato la naturalezza di quelli di Balthazar, di un castano che avevano in molti ma che sul sedicenne sembrava essere stato dipinto addosso. Le punte arricciate e sbarazzine gli cadevano leggermente sulla fronte facendo piroette e creando archi che Ty considerava buffi ma anche stupendi. I suoi capelli invece, quel biondo finto che stava scorrendo via dalle miriadi di increspature che essi possedevano lo lasciava insoddisfatto e insofferente. Li aveva colorati più volte, passava dal biondo al nero con tanta facilità che ormai nemmeno lui ricordava più il suo colore naturale. Baptist teneva molto alla sua capigliatura ed era per questo che spesso trascorreva ore davanti allo specchio per sistemarsi con cera o gel quelle setole fastidiose che continuavano a ricadergli sugli occhi. Adorava la capigliatura del suo migliore amico almeno quanto detestava la propria.
    Stringeva Balthazar a sé tanto da permettere alle due figure di toccarsi. Il suo corpo caldo, quasi rosso dal bollore, venne in contatto con quello gelato del coetaneo. I peli della gamba, la quale stava chiusa tra quelle dell'altro, si rizzarono al sentire la pelle fredda del ragazzo. La mano che gli cingeva la vita si insinuò piano sotto la parte terminale della felpa per accarezzare dolcemente la pelle che ricopriva l'anca. I due erano così vicini da poter annullare la distanza che ancora intercorreva tra di loro tramite un semplice soffio di vento. Tyreek era perso negli occhi dell'altro che era convinto di aver trovato davanti ai suoi, qualcosa gli diceva che erano proprio lì e che l'amico, come lui, lo stava guardando. Averlo così vicino, stretto tra le sue braccia, non solo gli faceva nascere in petto un sentimento di affetto profondo, di amore si potrebbe anche dire, ma, la carne infondo è sempre carne, scaturiva dentro di lui qualcosa di più più intenso e meno casto di un sentimento fraterno. Il sangue affluiva ad entrambe le parti a flusso discontinuo, il corpo di Ty era ancora provato dal sogno interrotto di una manciata di minuti prima e la così stretta vicinanza del compagno di scorribande animava in lui una voglia che ben poco il biondo teneva repressa. Nelle mutande bianche, decorate con le rennine rosse, qualcosa sembrava dotato di vita propria. Baptist si sentiva voglioso ma anche un po' in colpa per quella sua erezione maldestra che rovinava il momento di dolce intimità tra di loro, purtroppo però anche volendo non poteva farci nulla.
    Il prefetto sussultò appena nell'attimo in cui le falangi blu di Balthazar si appoggiarono piano sul suo avambraccio, fu la differenza di temperatura a causare quel salto millimetrico dal letto, una sensazione inaspettata. Le dita del ragazzo iniziarono a percorrergli il braccio, usando una vena pulsante di sangue come linea guida per arrivare alla meta. Scese fino al polso, accerchiando con grazia l'ossatura grossa del giovane arrivando finalmente alla sua destinazione. Intrecciò le dita con quelle di Tyreek e il serpeverde sorrise dentro di sé addolcito da quell'azione. Si sentiva bene, si sentiva avvolto dall'amore che l'amico gli confermava ogni momento di più. Il prefetto continuava ad abbracciarlo, coccolandolo tra le sue braccia e facendogli così sentire la presenza che gli voleva bene, che c'era e che ci sarebbe stato sempre per lui. Era felice.
    Balth si voltò e finalmente gli occhi dei due si incontrarono per davvero. Il silenzio però non venne spezzato e proprio in quel vuoto di suoni Ty si torturava mordendosi il labbro con gli incisivi. Le pulsioni che arrivavano dal suo corpo erano di natura dualistica, un po' come la luce. C'era la parte corpuscolare che spingeva affinché egli soddisfacesse le sue voglie e pensieri più reconditi nella sua mente, mentre la parte ondulatoria faceva oscillare l'amore che provava per lui in un loop di abbracci e carezze. Era convinto che la cosa migliore fosse stare tranquillo accoccolato a Balthazar e lasciare che i nodi si sciogliessero da soli, ma le sue mani prudevano per intrufolarsi nei posti nascosti di Wyvern. Aveva voglia di toccarlo e di farsi toccare. Aveva voglia di assaggiare le sue labbra, di intrecciare la lingua con quella dell'inglese, voleva accarezzargli i pettorali non troppo segnati, scendere fino ai fianchi e fermarsi lì, vicino, non troppo ma abbastanza da farsi desiderare dall'altro. Voleva sentirlo eccitato almeno quando lo era lui, baciargli il collo seguitando a farlo fino ad arrivare all'attaccatura delle orecchie. Tyreek lo desiderava e a causa di quei pensieri qualcosa lì sotto si faceva sempre più duro e ingombrante. Si sentiva quasi in colpa, Ty, nel reprimere le sue voglie ma doveva, se no sarebbe stato ancora più male a ripensare di aver rovinato tutto solo perché aveva gli ormoni ballerini di un sedicenne in piena crescita. E mentre era perso in discussioni filosofiche contro il Ty angioletto e il Ty diavoletto che sedevano sulle sue spalle, la voce fievole di Wyvern risuonò nel dormitorio interrompendo così il prolisso mare di sensi di colpa misti a desideri sessuali che vorticava nella sua testa.
    "Papà mi ha iniziato alla Magia Oscura". Al nordamericano mancò il fiato per istanti che durarono un'eternità. Tyreek non sapeva bene cosa dire, non sapeva nemmeno a che cosa effettivamente alludesse il ragazzo con quell'affermazione. Magia Oscura. Più volte ne aveva sentito parlare ma la cosa non gli era mai interessata più di tanto, aveva le conoscenza basilari di uno studente di Hogwarts su quell'argomento, ovvero minime. Non aveva mai letto nulla in proposito ma da quello che aveva capito carpendo informazioni qua e là l'iniziazione ad una pratica così tenebrosa poteva essere molto... impressionante. Il suo cervello fece scorrere scene più o meno raccapriccianti che gli era capitato di vedere in qualche horror babbano, una pellicola affilata passava per la sua testa mentre le labbra si aprivano in una smorfia sofferente. Fortunatamente l'altro ragazzo non aveva la possibilità di vederlo, non sarebbe stato affatto bello scorgere nel viso di Baptist una, ben a fuoco, ombra di terrore. Deglutì cercando di cancellare le immagini più forti dalla mente. La curiosità spingeva dentro di lui più della paura di scoprire cosa fosse successo. Una vaga idea si insinuò nel cervello del serpeverde, sinuosa come il serpente che faceva da stemma alla loro casa. Passò lentamente le dita su quell'enorme tatuaggio scuro sulla schiena di Balth che mai aveva assunto un significato così importante fino a quel momento. «Cosa ti ha fatto?» Le sue labbra tremarono nella domanda; sapeva che la risposta non gli sarebbe piaciuta affatto.
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    balthazar wyvern
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    16 Y.O. | pureblood
    Gonna Find You and Make you want me
    «Sto cercando di capirlo» disse, sussurrando, per rispondere alla sua domanda «Non ho trovato nulla nei libri della biblioteca, neppure nel Reparto dei libri Proibiti».
    Ottenere quel permesso, quello di visionare i volumi contenenti i principi di una magia ben più avanzata di quella che veniva insegnata durante le lezioni, era stato per il giovane Wyvern alquanto semplice. Se la consultazione di questi tomi era di solito consentita con grande cautela solamente agli studenti più promettenti, lui, che di certo non si poteva dire brillante, era dovuto ricorrere ad altri mezzi. La fortuna – e assieme a questa lo spiccato desiderio di potere – aveva voluto che suo cugino, di Hogwarts, fosse il Preside e che quindi egli avesse l’autorità d’aprirgli con una sola firma le antiche porte di bronzo di quell’ala della scuola. Ovviamente, tutto ciò non lo aveva condotto a nulla, se non ad un paio di stranuti per la grande quantità di polvere che si respirava tra quegli scaffali.
    «Per ora, so solo che questi sogni … questi incubi, ne sono la prima conseguenza. Dio solo sa cosa mi aspetta». Dicendo quelle parole, gli sfuggì un sospiro che diceva molto sul suo sconforto.
    Non era mai stato praticamente avvezzo alle religioni, Balthazar. Grazie al padre, lo stesso uomo che lo aveva instradato su un percorso che fin dai primi passi gli era apparso molto problematico, aveva potuto conoscere esponenti di ogni fede: nessun monaco o prelato, però, era stato capace di sovvertirlo, sradicando il suo regime ateistico a favore di una sentita conversione. Il più delle volte la morte di sua madre, così innaturale e precoce, gli impediva di convincersi dell’esistenza di un disegno divino più ampio, in cui lui stesso fosse compreso. Un’entità più grande, studiandolo anche solo per uno spazio temporale minuscolo, avrebbe dovuto sapere quanto bisogno aveva della guida di Reidun, per capire dove dirigersi.
    Lasciò cadere il discorso. Non sapeva cos’altro aggiungere e non voleva neppure farlo: quei pensieri avevano continuato ad accavallarsi in modo ciclico nella sua mente, senza dargli resa, nelle ultime settimane. Se ne era lasciato travolgere e quelli, con il medesimo effetto d’una goccia che cade infinitamente sulla superficie di una roccia, lo avevano scavato, fino a raggiungerlo in profondità, laddove il suo animo era più esposto. Desiderava davvero solo poterli spegnere, lasciarli da parte in un mucchio di macerie accatastate e non farvi più ritorno.
    «Vorrei poter essere altrove» aggiunse d’improvviso, tradendo il suo stesso proposito di tacere «Vorrei poterti portare altrove». Gli cinse con le dita la mano con cui docile si era divertito a toccargli i capelli e senza fretta se la avvicinò alla bocca. Le parole successive le disse sfiorandone la pelle con le labbra. «Un posto isolato, come un piccolo chalet. Sperduto, circondato solo da un bosco sconfinato di sempreverdi e sommerso dalla neve. Vorrei potessimo restarcene in silenzio, avvolti da delle coperte davanti al caminetto. A leggere qualche romanzo non impegnativo, o a guardare quella teleficosa dei Babbani» proseguì, ritrovandosi a sussurrare, quasi non volesse svegliarlo «Tu dovresti occuparti del fuoco, uscire a fare legna. Se spettasse a me, la mia pigrizia ci farebbe crepare assiderati in poco tempo. Io però potrei imparare a scaldare qualche zuppa in scatola». Ridacchiò, conscio che non sarebbe affatto riuscito nell’impresa di mettere qualcosa di caldo in tavola. «Uh e i marshmallow! E il sesso! Senza tutti i miei amici di scorribande, dovresti essere tu a soddisfare tutte le mie … pulsioni?».
    Soppesò per un breve istante quella possibilità. La fedeltà, al suo amico, seppur imposta, gli sembrava l’inizio di una relazione amorosa. Se davvero quello scenario si fosse realizzato, nascondersi ancora al di sotto di quella definizione un po’ sciocca – “scopamici” – che si erano dati, sarebbe stato impossibile. Balthazar, infatti, amava quel ragazzo in un modo così sincero e naturale che già glielo faceva ritenere parte della sua famiglia. Se egli avesse potuto avere persino l’esclusiva sul suo corpo, se il Wyvern si fosse abituato ad avere solo lui dentro di sé, sarebbe stato perduto.
    Così poco gli sarebbe bastato: l’assuefazione data dallo spingersi contro la sua schiena, la costanza del baciarsi, il cercarlo sempre nel buio. Prendersi, perdersi, ritrovarsi.
    «Se mai dovesse accadere, non portarti dietro i vestiti, Ty, sarebbe spazio sprecato nella valigia» scherzò.
    Prima di voltarsi. Per prenderselo.
    Scivolò tra le sue braccia, in quella stretta rassicurante ma che non lo soffocava mai, e poggiò la testa sul suo cuscino. In silenzio, a pochi millimetri dal suo viso e da quegli occhi che sapeva essere ancora aperti. Mandò una mano in avanscoperta, sul suo torace eburneo. Ne conosceva le linee scalfite, ma percepirne la consistenza sotto i polpastrelli era ogni volta una sensazione quasi ancestrale. Scivolò verso l’alto, superando il capezzolo e raggiungendone il collo magro e flessuoso. Lì la sua pelle era ancor più profumata: l’aveva già ispirata, in passato, per goderne prima d’assaporarlo. Giunse fino al suo mento, che riconobbe dalla barba leggera non rasata, e si spostò sulla guancia. Il suo palmo sembrava essere stato creato proprio per stare in quella precisa posizione: l’orecchio di lui tra pollice ed indice, e la sommità delle altre dita perse tra i capelli. Ridusse la distanza.
    Nel preciso istante in cui si mosse per averlo, chiuse gli occhi ricadendo in una tenebra ancora più densa di quella in cui era stato immerso fino ad allora. Si perse.
    Lasciò che a guidarlo fosse quel suo respiro leggero, quello che non riusciva a trattenere. Sapeva che lì, nel punto in cui il suo fiato caldo ne rifuggiva il dominio, doveva dirigersi. Strinse leggermente la presa e lo recuperò.
    Inclinò il naso di lato per non cozzare con quello di lui e gli sfiorò la bocca con la propria. Morse piano il suo labbro inferiore, affinché si dischiudesse da quello superiore. Aveva solo bisogno di ricevere il suo beneplacito per cominciare a giocarvi con la lingua. Gli parve d’avvertire il rumore famigliare generato dall’inserire le chiavi nella porta d’ingresso di casa e credette con convinzione che egli non avrebbe mai potuto trovarsi in un posto migliore di quello. Sulla sua bocca, contro il suo petto, tra le sue gambe, dentro il suo sguardo. Senza alcuna direzione, o una bussola, solo nel calore di cui Tyreek gli faceva dono. Perché lì, nell’assoluto caos, si ritrovava.
    «Ty» sussurrò, leggermente affannato, discostandosi appena. La mano scivolò precipitosa, ma sapiente, verso il basso, laddove qualcuno premeva da diversi minuti per ricevere attenzioni. Se ne era accorto molto tempo prima, ma aveva finto di non darvi troppo peso: che un uomo fosse eccitato, appena sveglio, non era affatto inusuale. Solo con il passare dei minuti, solo dopo aver rincorso quella fantasia che sapeva di spensieratezza e felicità, aveva deciso di approfittarne. Non sapeva definire quel gesto: voleva davvero soddisfare Ty, ma lo stava facendo anche e soprattutto per sé. Era quindi altruistico o puro egoismo? Forse entrambe le cose e nessuna delle due.
    Scostò l’elastico dei boxer e non indugiò affatto sull’ingresso. «Permettimi d’amarti, stasera»
    E dolcemente, i due, come era soliti fare, fecero l'amore.
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    Edited by wyvern. - 20/1/2016, 22:58
     
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