Beautiful Ghost

x Gemello

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. delìght
        +3    
     
    .

    User deleted


    CHARMION HAMILTON ( ) - 25 - Dark Arts Teacher - delight - empty soul
    « and when he looks at me, i swear i can't breathe »
    Era tutta la sera che quel giovane la osservava e lei non aveva potuto fare a meno di ricambiare i suoi sguardi decisi. Era un gioco che le piaceva, dopotutto, ed al quale raramente si sottraeva. Era un gioco che, comunque, solitamente terminava con quegli sguardi. Sua madre non avrebbe approvato i suoi comportamenti, ritenendoli inopportuni per una ragazza appartenente ad una famiglia conosciuta, ma infondo Miranda non l'aveva conosciuta davvero come credeva, prima di morire. Nessuno conosceva davvero Charmion, non del tutto, sua madre sicuramente meno degli altri. Ma tornando a quello sguardo, gli occhi di quel ragazzo le apparivano scuri, ma nascondevano il blu del mare più profondo, ed avrebbe voluto conoscerlo meglio, avrebbe voluto parlargli ma no, non era ancora il momento. Non aveva nemmeno finito il suo Sherry, la sua canzone preferita stava suonando e lei avrebbe potuto godersi quel momento di distanza ancora un po'. Mandò giù un altro sorso di liquore all'amarena, il terzo quella sera, sentendo la sua gola prendere fuoco e strinse le labbra gustandosi quella bevanda. Charmion era tutto, ma in fondo non era niente, la sua apparenza nascondeva il vuoto e lei lo sapeva bene, presto lo avrebbero capito anche coloro che le stavano intorno. Però aveva un dono - anzi, ne aveva tanti - era brava a dissimulare la realtà, talmente brava che tutti credevano ancora alla sua facciata da dura Purosangue inclemente, mentre lei non sapeva a cosa credere. Era facile reputarsi menefreghisti quando non si provava altro che il vuoto, quando la vita si dimostrava confusa, quando i ricordi erano incerti. Per molte persone il vuoto rappresentava un limite, era una scusa per rifugiarsi in sè stessi, per chiudersi al mondo, ma per Charmion il vuoto non era altro che un obbligo a comportarsi come i suoi impulsi più le suggerivano, senza rimorsi e senza rimpianti, spesso a discapito di altre persone. Lanciò uno sguardo al centro della sala per localizzare Shia che sparito cacciandosi chissà dove, ma poco importava. Quando riportò lo sguardo sul giovane straniero, lui era ancora lì e la osservava. Era diffidente, Char, faceva bene ad esserlo. Posò il bicchiere vuoto sul bancone del Fiendfyre, si leccò le labbra arrossate dall'alcolico all'amarena e decise che per quella sera aveva bevuto abbastanza, adesso avrebbe voluto vederci chiaro su quel ragazzo o almeno provare a vederci chiaro, l'alcol la confondeva. Chi era? Charmion non era solita cadere in storielle da una notte e via, come forse i suoi atteggiamenti avrebbero lasciato intendere ad individui troppo sciocchi, troppo spesso preferiva andarci piano, perché in fondo, uomini o donne che fossero, le perone spesso non le piacevano. Raramente le trovava piacevoli, troppo spesso le reputava irritanti, e coloro che poteva dire di apprezzare si contavano sulle dita dispari di una mano: Rea, Anjelika e Raine. E poi c'era Shia, con il quale aveva un rapporto inclassificabile nella scala dei rapporti sociali (?) Shia era...davvero troppe cose. Non c'era spazio nel suo mondo confuso per altre conoscenze, ma esistevano delle eccezioni per le quali anche lei era disposta a rischiare: quel ragazzo lo era per una serie di motivazioni infinite. proprio pem pem doveva ballare quel pole squirrel? almeno l'hai trovato! la tua psw speciale è: perdonano
    Era iniziato tutto circa una settimana prima, in quello stesso locale, o forse Charmion si era resa conto della presenza del giovane solo allora, non poteva saperlo. Ma il suo sguardo l'aveva colpita, le era familiare e aveva smosso qualcosa di assopito dentro di lei da troppo tempo, qualcosa che non riusciva a spiegarsi e che non avrebbe potuto capire. Si era sentita pedinata, aveva pensato che quell'ombra fosse una delle tante vittime sopravvissute alle sue torture al Ministero, e che adesso cercavano vendetta, ma poi aveva rivisto lui, quella sera, e l'aveva collegato alla sua ombra. Scese dallo sgabello del bar sul quale era stata seduta, ammiccando al barista e pensò di aggirare la folla in pista passando al suo fianco, ed ora, avvicinandosi a lui, potè osservarlo meglio. Ma certo, lo aveva già visto al Ministero altre volte, non per delle semplici visite, era probabile che lui lì ci lavorasse ma Charmion non avrebbe saputo dire in quale ruolo.
    Buonasera. Avanzò per prima quel saluto verso il ragazzo, convinta che anche lui volesse presentarsi e che non fissasse la gente per lavoro o per sport (anche se ognuno aveva le proprie manie eh) Sono Charmion Ed allungò la mano verso di lui per stringerla, prima di prendere posto in uno dei divanetti là presenti. Ah, Merlino quanto erano comodi i divanetti in un locale? Charmion avrebbe passato le serate seduta lì, semplicemente a godersi l'atmosfera. Era vestita con un abito dal tessuto lucido color oro e nero che le fasciava perfettamente la vita. Quindi...Il ragazzo che non smette di fissarmi da tutta la sera ha un nome? Sapeva di essere attraente, certo, ma se quel ragazzo fosse stato mandato da qualcuno per altri motivi? Davvero, chiunque avrebbe avuto una scusa per farla fuori e Charmion non temeva certo di trovarsi faccia a faccia con un probabile assassino, anzi, questo se possibile la eccitava. La eccitava ancor di più vedere la luce vitale di chi le voleva male spegnersi per sempre. Ma gli occhi di quel tipo erano troppo belli per essere spenti, Charmion credeva in lui.
    the heart is deceitful above all things,


    Edited by etc. - 24/9/2018, 00:08
     
    .
  2.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    465
    Spolliciometro
    +556

    Status
    Offline
    Gemes Hamilton ( ) - 25 - telekynesis - hunter - team hamilton
    « no matter how many deaths that i die, i will never forget »
    Non era mai stata sua intenzione approcciarsi, né come primo interessato ad un dialogo né come interlocutore interpellato dall’altra persona. Per tutto quel tempo, dacché gli era stato possibile farlo, tutto quello che passava per la mente era di tenere tutto sotto controllo, osservare la situazione da lontano senza farsi vedere, seguire ogni minimo spostamento e stare attento al più insospettabile dettaglio. Era stato da sempre il loro pedinatore personale, secondo alcune prospettiva poteva essere scambiato per il loro angelo custode, se solo non fosse di Gemes Hamilton che si sta parlando. Non gli era mai passato per la mente di intervenire nelle loro vite, convincendosi che non gli importasse affatto, e così tutto sommato era. Era maniacale, doveva solo sapere come andassero le cose, come procedevano le vite altrui, quali fossero le loro abitudini e passatempi, quali pub frequentavano quando erano nel loro habitat e chi ritenevano meritevole della propria compagnia. Tutti avevano un hobby: c’era chi passava il tempo a fare découpage, chi scommetteva su quale cavallo fosse più veloce, chi andava a pescare sulla riva di un lago sperso tra le montagne e chi faceva surf. Gemes aveva questa fissazione di non voler aver nulla fuori dalla propria portata; non che fosse un patito dell’ordine, per quanto ci tenesse: più particolarmente, quello che voleva era sapere. Tutto e niente nello specifico, semplicemente sapere. Sapere cosa si celasse dietro un increspatura della fronte, dietro uno sguardo basito, dietro un sorriso spontaneo e dietro uno tirato. Conoscere il motivo di un passo veloce, frettoloso, il perché delle fugaci occhiate rivolte ai dintorni. Comprendere i segreti nascosti oltre i costumi degli individui, quali paure e preoccupazioni potessero risultare così importanti da dover a tutti i costi essere protette da quella maschera. Gemes era un predatore, di quelli che studia attentamente l’ambiente che lo circonda, da lontano e senza intervenire prima di essere sicuro di poterlo fare senza ripercussioni; un arma, senza un’anima o presunta tale, che mirava a scovare le debolezze altrui per poter preservare le proprie, estrapolandole e manipolandole a proprio piacimento.
    In tutto quel tempo, non si era mai esposto, mai l’idea di camminare nella loro direzione gli era passata per l’anticamera del cervello. Quei primi sette anni senza la loro presenza non aveva ritenuto opportuno, per mancanza di occasioni e mezzi, tornare sui suoi stessi passi, ma non appena il momento risultò essere propizio non poté riservarsi sporadiche visite nella propria città natia. Sporadiche nonché, per il resto del mondo, inesistenti. Già prima di potersi muovere attraverso la materia, quando ancora non era in grado di muovere nemmeno un ciottolo con la sola forza del pensiero ed era incapace di materializzarsi ovunque lo aggradasse, l’Hamilton era in grado di muoversi furtivamente, senza mai dare nell’occhio. Un’ombra: lo era stato dalla nascita e, nel crescere, aveva perfezionato questa sua naturale inclinazione al nascondere la propria persona agli altri, ma soprattutto a sé stesso in ogni senso fosse possibile farlo. Un maestro dell’elusione che mai nessuno aveva scoperto: quei pochi che avevano tentato di farlo, avvicinandosi così pericolosamente alla realtà, ne erano rimasti bruciati -ma anche folgorati, o pugnalati, in base alle situazioni- potendo però vantare, dall’altra parte, di aver toccato la vera essenza di Gemes con le proprie mani come ultimo gesto. Fortezza della propria anima, suo malgrado ancora presente, non aveva mai permesso a qualcuno di scorgerlo nei paraggi di Presteigne in tutti quegli anni, non aveva mai lasciato a qualcuno l’opportunità di dire che Gemes Hamilton, quel bambino che Miranda e Graysen aveva rinchiuso nella propria camera e che aveva avuto l’ardire di fuggire dai genitori, era stato visto nei paraggi della propria, ormai non più definibile tale, dimora. L’aveva fatto per sé, e non per i fratelli, non per la cugina: solo ed unicamente per la propria persona, come ogni cosa. Li aveva seguiti, li aveva tenuti d’occhio, aveva giudicato silenziosamente tutte le loro mosse: mai aveva incrociato gli occhi, chiari come i suoi e come li ricordava, di Charmion e Raine, mentre la bionda chioma di Frederick non gli era mai stato possibile individuarla tra la folla. ”Allora va bene. Non voglio essere un mago, Gemes. Voglio essere come te”. Un fastidioso prurito al palato, una sensazione che ogni volta cercava di repellere dalla propria mente quando scambiava i capelli dorati del fratello per quelli di un estraneo. Glielo aveva detto di non seguire le sue orme, lo aveva avvisato perché a lui, a loro, il venticinquenne ci teneva per quanto risultasse strana anche al proprio intelletto una tale considerazione. Per quello li seguiva, per quel sentimento misto di amore e odio che nutriva nei confronti di quella parte della propria famiglia che non aveva colpe, se non quella di essere tutto ciò che lui non era potuto essere e che, di conseguenza, l’aveva reso un emarginato, un reietto. Con il passare del tempo li aveva visti crescere, li aveva visti maturare e li aveva per giunta persi di vista quando era stato rinchiuso nei Laboratori: dopo quell’esperienza, semplicemente, poté studiare più da vicino la loro esistenza e, nell’evenienza, tirare i fili alla quale questa era legata. Quante volte, nell’oscurità di un vicolo di New Hovel, aveva pedinato la cugina, assicurandosi che ella dal sobborgo magico non ne uscisse, ritenendo quella troppo fragile creatura inadatta al mondo esterno, sempre così buona con tutti. Gli dava la nausea quel suo essere così... così diversa da lui, così diametralmente opposta al mostro che era diventato e che, inevitabilmente, avrebbe potuto compromettere anche la cugina. E, in quel caso, aveva mosso i fili, in quel caso si era reso burattinaio della vita altrui, facendo in modo che la ragazza rimanesse relegata lì. Cure che il buon Hamilton non si era invece dovuto sobbarcare nel caso di Charmion. La gemella, per quanto fosse sempre parsa, a Gemes, vulnerabile e remissiva, aveva dimostrato di saper trovare la propria strada, di aver capito cosa fare. Ma aveva anche capito, nella breve ma intensa visita fatta ai genitori, che lei, del fratello, non doveva avere alcuna memoria. Quei pochi ritratti, le testimonianze dell’esistenza stessa del gemello, erano sparite dalla magione degli Hamilton, cancellate o modificate; la conferma sovvenne dopo che ricevette il ruolo di cacciatore per il Governo, quando quegli occhi li incrociò nei corridoi del Ministero ma questi, tuttavia, non ricambiarono il suo sguardo. La cosa, tuttavia, non poté che compiacerlo. Era rimasto nell’ombra, e tale era diventato per la propria famiglia –o meglio per coloro che erano rimasti in vita. Non doveva preoccuparsi per loro perché loro non l’avrebbero fatto per lui: alla fine della giostra, si riduceva tutto a quello, un tacito scambio di favori che nessuna delle due parti aveva chiesto.
    Dbdebds
    Non era mai stata sua intenzione approcciarsi con nessuno di loro, avere un contatto. Erano la sua famiglia, erano la sua debolezza ( chi più e chi meno ), ed in quanto tali era meglio, per sé stesso, tenerli alla larga dalla propria vita. Non ci aveva mai provato, mai aveva dato segno di essere presente per loro, né tantomeno era quello a cui mirava. Semplice osservazione, in pratica lo faceva per mestiere. In pratica, era ancora capace di illudere sé stesso sul motivo che lo spingeva a fare tutto ciò. Era stato sciocco a seguirla fin dentro quel locale, sciocco continuare a puntare le iridi azzurre contro la nuca della sorella, sciocco a fermarsi in quel posto, sciocco a pensare che non l’avrebbe visto: a quanto pareva, era un ottima osservatrice. Buon sangue non mente. Stette immobile contro la colonna, il doppiopetto ancora abbottonato che copriva una semplice camicia bianca ed una giacca scura, tra le mani un bicchiere ricolmo di un liquido ambrato ancora immacolato, in attesa che la ragazza, una volta averlo individuato tra la marmaglia di gente, lo raggiungesse. Quando ciò avvenne, ignorò quel prurito al palato, eluse quella presentazione con un semplice e sdrucciolevole sorriso, il migliore che avesse –ovvero il solito #toofab #toohamilton-, ricambiando la stretta di mano senza scomporsi di una virgola. « Quindi...Il ragazzo che non smette di fissarmi da tutta la sera ha un nome? » Sì, era proprio sua sorella, sagace e diretta, anche leggermente ubriaca. Peccato che ella non sapesse di esserlo. La seguì, prendendo posto davanti a Charmion ed adagiandosi contro lo schienale del divanetto. « Gemes » annunciò; avrebbe dovuto rivelarle dapprincipio il cognome, togliendosi tutto il divertimento di trattare con una gemella smemorata ed inconsapevole di star provandoci con lo stesso fratello? Già detto che l’Hamilton era uno stronzo? « In realtà, è un po’ che ti seguo. Ma immagino tu lo sappia già » le ammiccò, sorseggiando il bicchiere di whisky che ancora teneva tra le dita. L’aveva seguita, sapeva ormai tutto di lei, anche quello che si era perso negli anni passati nella casa dei Withpotatoes, ma mai avrebbe sospettato di poter riparlare con lei: mai l’aveva programmato e, di solito, quello che non programmava di rado veniva veramente fatto.
    the heart is deceitful above all things,
     
    .
  3. delìght
        +2    
     
    .

    User deleted


    25 - DARK ARTS TEACHER - DELIGHT - EMPTY SOUL
    CHARMION
    hamilton

    ✖ ✖ ✖ ✖ ✖ ✖

    and then he looks at me, i swear i can't breathe
    C’era sempre un qualcosa di incredibilmente inquietante nello sguardo di Charmion Hamilton quando, con una tranquillità inumana, raccontava di come avesse trovato i corpi dei suoi genitori distesi sul pavimento di casa in una pozza di sangue ed infilzati come spiedini con gli attizzatoi del camino. Il suo sguardo brillava di una macabra luce di soddisfazione, eppure nessuno avrebbe potuto dire nè capire da dove nascesse quella strana luce, che certamente non si sarebbe dovuta trovare nello sguardo di una figlia afflitta dal dolore. Nemmeno lei sapeva dirlo, non lo capiva, non si capiva. La verità era che Charmion non aveva provato niente di niente quella notte, nemmeno dopo essersi ritrovata dinnanzi al fatto compiuto. La Hamilton non si era lasciata scuotere dai singhiozzi, nè si era fatta anche solo toccare da quella notizia, che l’aveva lasciata pressocchè indifferente, distaccata e fredda. Fredda come il ghiaccio. Aveva studiato la scena dell’omicidio con un distacco degno di un investigatore, ma era probabile che persino un investigatore si sarebbe lasciato coinvolgere da quell’omicidio più di quanto avesse fatto lei. La sua mente annebbiata aveva risposto in modo inumanamente lucido: aveva tirato fuori la sua bacchetta, ed aveva ispezionato la casa, senza lasciare alcuna traccia che potesse far intendere il suo passaggio tra quelle mura, ma non aveva trovato niente che potesse in qualche modo ricondurre l’omicidio ad un evidente movente. I gioielli di sua madre erano rimasti nella cassaforte di cui conosceva la combinazione, non erano stati toccati, così come i documenti dei suoi genitori. Allora...perchè? Che Charmion sapesse, Graysen e Miranda non erano invischiati in chissà quali attività illegali, ma ancora a distanza di un anno Charmion non si era data una spiegazione dell’accaduto.
    Aveva sospirato, si era seduta sulla poltrona del salotto, luogo in cui era avvenuto l’omicidio, ed aveva pensato bene di fumarsi una sigaretta, pensando al da farsi mentre aspettava che i soccorsi raggiungessero Preistegne. Non ci era voluto molto, Guaritori e Pavor del Ministero si erano fatti in quattro per quei due maghi Purosangue. Avevano raggiunto l’abitazione degli Hamilton in meno di trenta minuti, e per prima cosa, ancora prima di controllare se anche solo per errore i coniugi Hamilton fossero ancora vivi, avevano chiesto a Charmion di consegnare la propria bacchetta per verificare gli ultimi incantesimi eseguiti. Quella richiesta aveva suscitato in Charmion un profondo senso di rabbia e frustrazione, tanto che dovette buttar giù tutti i santi dal cielo per trattenersi dal compiere gesti molto avventati. Non ci era riuscita, comunque, a trattenersi. Con una spinta ben assestata aveva sbattuto al muro l’uomo che le aveva fatto quell’assurda richiesta. Dopotutto era una povera figlia disperata, aveva perso i genitori da poco, li aveva trovati morti e trafitti, e questa non poteva che essere una scusa per poter fare tutto ciò che voleva senza conseguenze per almeno una settimana. Stai forse insinuando che li ho uccisi io? Eh? Cosa pensi, che sono un’ebete che ammazza i genitori e poi chiama il Ministero per costituirsi? Avete sbagliato persona. Fottuti imbecilli. Una o due lacrime avevano coronato quella scena già di per sè perfetta. Ah, nessuno aveva osato dirle niente, anzi, chi di dovere aveva strigliato la guardia che aveva domandato la sua bacchetta, per la poca delicatezza utilizzata nei confronti di una figlia distrutta. Comunque, ancor prima di organizzare il funerale, Charmion si era diretta alla Gringott per rivendicare l’eredità che gli era stata lasciata dagli Hamilton. Quando il Goblin all’entrata aveva chiesto la sua bacchetta, per controllarne l’identità, Charmion gliel’aveva porsa con una mansuetudine degna di una puffola.
    Poi sì, aveva pensato anche al funerale, certo.
    Se si fosse ritrovata dinnanzi a sè il responsabile della morte dei suoi, gli avrebbe stretto la mano prima di ucciderlo, dopotutto aveva osato troppo. E non importava quale motivazione avesse avuto per ucciderli, in questo modo lei non avrebbe più potuto scoprire per quale motivo i suoi l’avessero obliviata, e non avere più questa possibiltà l’accevava di rabbia.

    Quella stessa luce che aveva accompagnato lo sguardo di Charmion per mesi dopo la morte degli Hamilton, si era ripresentata quella sera nei suoi chiari, non appena aveva visto quel giovane di nome Gemes. Forse in fondo, dentro di sè e sepolta sotto cumuli e cumuli di ombre, si nascondeva ancora la verità, si nascondeva la sua infanzia e tutto ciò che era stata prima dell’oblivion. Era necessariamente così, perchè in altro modo non si sarebbe spiegato il suo comportamento, ed il trasporto che provava nel guardare quel giovane ragazzo. Sì, Gemes. Che bel nome, Gemes...Annuì al ragazzo che aveva preso posto nella poltroncina al suo fianco. Avanti, manifesta le tue intenzioni Gemes. Chi sei? Domandò incuriosita. Ma certo, le fiabe non facevano per lei, e certamente il giovane, per quanto fosse bello, aveva più l’aspetto del serial killer che del ragazzo infatuato per un qualsiasi motivo. Era sicura che Gemes non la stesse seguendo per la sua chioma bionda e fluente. Ti ha mandato quella vacca della Baines? Ah, il reparto spie di Glykeria Baines straripava di persone poco raccomandabili. Mignotte per lo più, ma non mancavano anche altri tipi loschi e dalla dubbia reputazione che venivano mandati dai pavor torturatori per intralciarne il lavoro nei modi più svariati. Brutto ambiente il Ministero. Tutto girava intorno al lavoro, secondo Charmion, ed era convinta di aver già visto il giovane proprio nei corridoi della struttura.

    hamiltons do it better


    Edited by shane is howling - 14/12/2015, 17:46
     
    .
  4.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    465
    Spolliciometro
    +556

    Status
    Offline
    Gemes Hamilton ( ) - 25 - telekynesis - hunter - team hamilton
    « no matter how many deaths that i die, i will never forget »
    Con gli occhi, freddo specchio di un’anima che aveva relegato negli angoli più nascosti della sua persona, insieme ad una certa dose di moralità e sentimentalismi di svariato genere, studiò attentamente il volto della gemella. Forse, più del dovuto, con più minuzia di quanto non avrebbe voluto fare: aveva imparato ad essere discreto quando ve n’era il bisogno, essere l’ombra che non si nota sulle pareti di una strada illuminata e il suono dei passi che non senti arrivare alle spalle; ma al contempo aveva imparato a carpire i dettagli, Gemes Hamilton, sapere quando era opportuno permettersi di osare e quando invece era superfluo avvicinarsi, più congeniale essere lo spettatore invisibile dietro la colonna. Conosceva le proprie carte, il telecineta, alla perfezione e sapeva, altrettanto precisamente, quando giocarsele; quando il momento poteva essere considerato opportuno, quando era quasi esplicitamente richiesto il suo intervento, quando era il suo turno di entrare in scena: ma è pur sempre dell’Hamilton che si sta parlando. È sempre, esso, opportuno, sempre è richiesto il suo intervento, che sia questo implicito od esplicito. Senza contare che la scena è universalmente riconosciuta come sua: qualsiasi scena, qualsiasi spettacolo, qualsiasi attore è di sua proprietà. Pretenzioso, non è così?, da parte del moro credere che fosse effettivamente così che girasse il mondo: ma non era forse così? Avreste potuto dargli torto in alcun modo? Era in grado, l’Hamilton, di capire l’esatto istante nel quale far calare il sipario su una scena che non meritava d’essere vista ad oltranza, che egli reputava già conclusa e che, agli occhi di tutti gli altri, non sarebbe potuta apparire in nessun’altra maniera. Apriva e chiudeva lo spettacolo, a suo piacimento, e nessuno se ne accorgeva: solitamente, più spesso di quanto non ci si capaciti, nessuno se ne accorgeva perché non poteva ritenersi capace di raccontarlo, in seguito; altre volte, il leggiadro movimento di Gemes sul palcoscenico della vita, quel sorriso al quale tutti non potevano se non sorridere di rimando, quella voce carezzevole, miele sul palato e balsamo sul corpo, non lasciavano adito ad insinuazioni e la sua non poteva che essere considerata una provvidenziale apparizione, effimera e piacevole. E si portava, quando scompariva dietro le quinte, prima di tirare le corde del sipario, gli oggetti di scena per i quali era apparso: ma nessuno ci faceva caso, a nessuno importava se mancava qualcosa quando quella carenza veniva colmata da quella piega sulle labbra carnose, da quello sguardo penetrante. Era necessario, Gemes Hamilton. A quel mondo, a quelle persone, anche se talvolta questi stentavano a capirlo. Ed in quanto tale, egli sapeva capire cosa v’era di altrettanto necessario, sapeva coglierlo e sfruttarlo a proprio vantaggio: l’aveva imparato, aveva dovuto.
    Ed era necessario, in quell’esistenza, comprendere quale fosse il momento migliore per agire. Quando, volgarmente parlando, cogliere l’attimo. Mai, in verità, avrebbe osato avvicinarsi così tanto a Charmion Hamilton, sua sorella. La sua gemella. Quale sarebbe stato il suo vantaggio, nel farlo? Alcuno, per l’appunto. Fuggendo, non aveva solo scelto di allontanarsi da Graysen e Miranda: avrebbe dato troppo importanza alle loro persone, troppo avrebbe risaltato l’esilio da loro imposto ad un ancora innocente bambino, il loro gesto sconsiderato e frutto di una mentalità troppo chiusa. No: fuggendo, aveva già da allora, quando la bionda attendeva con ansia la lettera da parte della scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, scelto di lasciare dietro tutte le proprie debolezze, tutti i propri affanni, tutte le vulnerabilità che non gli avrebbero permesso di diventare quello che, a venticinque anni, poteva dire di essere. Perfetto. Perché poteva ancora vederla, nei tratti più delineati e precisi, nei morbidi capelli di un biondo che così tanto differivano dai propri, negli occhi chiari di lei, quella bambina che troppi anni prima gli aveva assicurato che tutto sarebbe andato per il meglio, che insieme avrebbero trovato una soluzione. Ma non potevano, e non lo fecero. Perlomeno, Gemes non lo fece con, o grazie, a lei. Charmion, lei, era quella giusta, quella con ogni cosa al proprio posto, della loro famiglia: non doveva dimostrare nulla, non aveva niente che non andasse. Non era lei a doverlo sistemare.
    E, in ogni caso, non l’aveva fatto.
    Senza contare che, come se non bastasse, aveva osato dimenticarsi di lui. Non che la faccenda, in ogni caso, non giocasse a suo favore. Se lo infastidiva, questo era scontato e sciocco da parte mia ribadirlo: non ci si scordava di Gemes Hamilton, non era una scelta concepibile o un obbligo ammissibile. Ella, poi, che aveva promesso di esserci sempre, e per sempre, sul davanzale di una finestra che allora era in grado di sostenere la presenza di entrambi; ella, che per di più avrebbe dovuto vantare, con il gemello, un legame che travalicava il normale legame fraterno, non aveva alcun diritto di scordarsi di lui, della sua esistenza. Tuttavia, come già detto, la cosa poteva essere considerata un vantaggio, come ogni cosa, alla fine, accadesse attorno al telecineta: se in tal modo non si manifestava, non era poi molto il tempo che intercorreva fino a quando, di fatto, lo diventasse. Se lei non lo ricordava, egli non aveva alcun bisogno di disseppellire cadaveri di un passato tormentato ed ormai accantonato, giusto?
    Non v’era nessuno, al Fiendfyre, che potesse conoscerlo in maniera stretta: di certo, dire che non vi fosse nessuno che lo conosceva sarebbe stato sbagliato ed ingiusto; come poteva non esserci nessuno che lo conoscesse, o che volesse conoscerlo nel peggiore dei casi? Non poteva, appunto. Questo, oltre all’aver veduto, precedentemente, la bionda raggiungere tassi alcolemici accettabili al fine della conversazione che mirava ad intrattenere con lei, era stato un monito ad avvicinarsi quando Charmion notò la sua modesta presenza. «Avanti, manifesta le tue intenzioni Gemes. Chi sei? Ti ha mandato quella vacca della Baines?» Sorrise, portando gli occhi cerulei dapprima sul pavimento, poi verso il viso perfetto di Charmion. Fu quasi istintivo, se non fosse che ogni suo movimento veniva calcolato con la minima minuzia, tirare fuori il labbro inferiore, imbronciato. Una prassi, quand’erano più piccoli, quella: quasi a mo’ di scherzo, quotidianità ridondante nella vita dei gemelli Hamilton, era quel broncio incupito e spesso finto, usato per ogni evenienza di quella loro esistenza al limite della simbiosi. Un vero peccato che ella, in quelle condizioni, non avrebbe saputo riconoscerlo. «Non lavoro per la Baines» disse, senza constatare che di fatti il suo reparto era gestito da quell’inetto di Palmer. Ammettere che lavorava, teoricamente parlando, per quell’essere non rientrava ancora nelle sue facoltà: di fatti, l’Hamilton lavorava solo ed unicamente per sé stesso. «Non ho alcuna intenzione da manifestare, Charmion, per chi mi hai preso?» chiese, innocente come solo Gemes Hamilton poteva sembrare di essere. L’aveva preso, effettivamente, per la persona giusta. «Chi sono... mi rammarica, questa tua domanda» Perché, andiamo!, davvero si aspettava avrebbe risposto? Chi era, Gemes Hamilton? Solo poco tempo addietro aveva dovuto rispondere ad una domanda simile, costretto a dire quella che per i più era la verità. Ma di certo, ostentare la realtà dei fatti alla bionda non rientrava nelle sue priorità: si era scordata di lui, non c’era bisogno che ella se ne ricordasse. Lo faceva per sé, lo faceva per lei, a chi importava? Ma quanto, effettivamente, non lo ricordava? Non aveva fonti certe, e questo lo turbava, sull’amnesia della Hamilton, ed era per quello, tra le altre cose, che l’aveva fatto sedere a quel divanetto. «Dovresti saperlo, chi sono io. Non ti ricordi di me?» Doveva capire, capire quanto andare a largo in quella convinzione, quanto possibile era scavare nelle rimembranze di Charmion. Quanto poteva osare, senza scavare troppo nelle proprie di reminescenze. Era, pur sempre, una Hamilton; era, pur sempre, una sua debolezza.
    the heart is deceitful above all things,
     
    .
3 replies since 7/12/2015, 19:53   380 views
  Share  
.
Top