Una fottuta sera prima di Natale

Jeremy Milkobitch

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  1. neverajoy
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    LUCY NEVERAJOY ( ) - 15 Y.O. - Hufflepuff, Prefect - neutral - #neverajoy
    « waiting for a sign, waiting for a smile »
    Anche l'ultima lezione si era conclusa. Il ciclo d'insegnamento del primo trimestre era ormai chiuso, e dare lo stop con una lezione della Bulstrode era sempre un toccasana. Il potere rilassante di quella donna era invidiabile, riusciva a mettere a proprio agio persino con uno sguardo, un sorriso di circostanza, un semplice gesto. Non era una santa, su questo ci si poteva mettere una mano sul fuoco. A ragion del vero, molti erano a conoscenza delle sue inclinazioni, del posto che occupava al Ministero e di quello che aveva occupato in passato. La Neverajoy non aveva alcun motivo di conflitto, anzi, riusciva persino a comprendere le sue scelte e ad approvarle. La neutralità in ambito politico derivava da un accordo tacito con suo padre, ma dipendeva solo e soltanto da quello. Se avesse potuto scegliere, non avrebbe esitato a schierarsi dalla parte giusta. Il regime l'affascinava, un giorno avrebbe voluto sedere tra le file dei ministeriali a dettar legge. Il potere era inebriante, una delle poche cose per il quale si sarebbe arrivati ad uccidere pur di ottenerlo. La sua fase omicida Lucinda non l'aveva ancora attraversata, ma probabilmente molto presto non sarebbe stato difficile. La gente che abitava il castello le generava il crimine in maniera impagabile, in particolare quelli del primo anno che sembravano aver scordato la testa nel baule.
    Uscendo dall'aula di Storia della Magia, il volto della tassa si inasprì improvvisamente. Le vacanze natalizie si stavano avvicinando, e l'idea di passarle con suo padre da un lato la inebriava, dall'altro la terrorizzava. Nella sua ultima lettera aveva accennato ad una donna che avrebbe voluto farle conoscere durante la vigilia di Natale. Non era tanto male come decisione, d'altronde sua madre era stata una stronza impagabile ed era anche giusto che l'uomo si rifacesse una vita (magari evitando di trovarne una peggiore, ma vabbé) . Ma l'idea di averla a cena durante una delle festività più importanti dell'anno la metteva in imbarazzo. Più di una volta era stata tentata dal dirgli che lo studio la stressava , dunque preferiva passare le vacanze ad Hogwarts per non distrarsi, ma la verità era che si trattava di una scusa bella e buona. E lui non ci avrebbe creduto. Se ne accorgeva sempre quando la sua zucchina gli mentiva, e ancor peggio quando tentava in tutti i modi di farlo e si mordicchiava il labbro tradendosi immediatamente. Non avrebbe retto un confronto, non in quel momento. Dunque la soluzione era una ed una sola : buon viso a cattivo gioco. Avrebbe sorriso e sarebbe stata carina. Ma se solo quella zoccoletta si fosse permessa a baciare suo padre davanti ai suoi occhi, di sicuro avrebbe imparato almeno una delle maledizioni senza perdono con largo anticipo.
    Strinse al petto il libro, mentre la pergamena scivolava giù a terra. Roteò gli occhi in aria e si abbassò per prenderla tra le dita, rimettendola in cima e voltandosi verso la sua compagna di sventure. « Che palle » esalò, spostandosi rapidamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Al suo fianco, passò indisturbato il suo concasato, il Milkobitch, che come al solito si defilò come una modella da quattro soldi senza neanche spiccicare una parola. Si era più volte chiesta se una lingua l'avesse, ma due cose le avevano dato la risposta : le sue menate da secchione a lezione e le sue famose pomiciate. Sia per l'una che per l'altra azione, una lingua avrebbe dovuto avercela ad ogni costo. Lo osservò sculettare avanzare indisturbato, in solitaria, e si fermò inevitabilmente voltandosi verso la sua amica. « Ti giuro, lo odio con tutta me stessa. Se potessi lo strangolerei! » rivelò, camminando fianco a fianco con Nicole. La loro meta era ancora sconosciuta, e nonostante avrebbe preferito una Burrobirra in compagnia prima delle vacanze natalizie con la sua corva preferita, conosceva benissimo gli impegni che l'avrebbero presa di lì a poco. Le ultime direttive da dare ai ragazzi più piccoli, accertarsi che tutte le richieste in bacheca fossero state esaudite, controllare che chi aveva perso qualcosa l'avesse ritrovata in breve tempo. Se ne sarebbe occupata all'ultimo momento come sempre, ma dopo la lezione in quell'aula stra colma di gente aveva soltanto bisogno di starsene per i fatti suoi a riflettere da brava asociale. Salutò con un cenno del capo e un sorriso malizioso il compagno Hades che le sorpassò diretto chissà dove, poi tornò ad ammorbare la sua persona con gli scleri su Jeremy. Non le andava proprio giù quella spocchia che si portava addosso, non riusciva minimamente ad accettarlo e ogni volta che lo guardava le montava su un odio tremendo che culminava sempre in un ripasso di parolacce dalla A alla Z. Paradossale come avesse quell'impatto sulla sua persona. Solitamente, la sua capacità di ignorare l'indifferenza altrui era paragonabile solo alla stima che nutriva per la Bubu. Ma ultimamente, nei suoi confronti era nata quella sottospecie di odio represso ingiustificato. O meglio, una giustificazione l'aveva : l'essere nella stessa casata. O forse era un'altra? Insomma, lo vedeva parlare con il sesso femminile spesso e volentieri, e nonostante non poteva sapere se il suo interesse fosse di tipo fisico o meno la infastidiva il non venir considerata alla stregua delle altre. Si sentiva sminuita. Ti odio Milkobitch. Un pensiero che ormai le attraversava la mente ogni volta che incrociava i suoi occhi da pesce lesso in giro per i corridoi. Probabilmente,Nicole avrebbe voluto ammazzarla. Le stava riempiendo la testa di ipotesi su ipotesi, e quando capì di star esagerando si bloccò immediatamente, cucendosi le labbra e ascoltando quel che aveva da dirle. Si bloccarono nel salone d'ingresso, e Lucy sospirò voltandosi a guardarla. « Ci becchiamo domani tesoro. » e con un bacio sulla guancia l'aveva salutata frettolosamente, percorrendo gli scalini in direzione della sua sala comune. Non sapeva come definire quella giornata, e quel che era peggio era che ancora l'esito non lo conosceva.

    Dopo aver strigliato ben bene un ragazzino di seconda per averlo beccato con un giornaletto porno in dormitorio, era uscita fuori dalla sala comune. Il ritratto alle sue spalle tornò al suo posto, e con le mani giunte dietro la schiena cominciò a camminare. I pensieri che per tutto il giorno le avevano affollato la mente riemersero improvvisamente, e parlando tra sé e sé abbassò la testa osservando i suoi piedi che camminavano da soli. Un passo davanti all'altro, le piante dei piedi che abbracciavano il pavimento chiusi in un paio di scarpe come un altro. Indosso la divisa, appuntata sul petto la solita spilla. Quella sera era il suo turno. Ormai era sempre il suo turno, l'altro Prefetto era malato tipo da sempre. Secondo la buona creanza, qualcuno avrebbe dovuto rimuoverlo dal suo incarico e sostituirlo, ma non spettava a lei occuparsi della burocrazia, ergo era meglio tacere.
    Si accorse di esser finita nel bel mezzo di una scalinata, e la riconobbe come quella che conduceva alla torre di Astronomia, che aveva accolto molte delle sue suppliche prima di un'interrogazione. Aveva invocato il Santo Graal ogni qual volta la Lagrange aspettava i suoi discorsi, l'anno prima, e le era andata sempre bene. Sbattè un piede contro un gradino, e quel sacrosanto mignolino sbattuto contro la pietra dello scalino la fecero imprecare tutti i santi in ordine alfabetico. Stronzo di un Milkobitch, tutta colpa tua. Vai a fare in culo tu e le tue forme da spogliarellista. Ormai la colpa di ogni cosa era la sua, persino una leggera stitichezza che aveva avuto la settimana prima. Non era colpa dei pasti frugali in Sala Grande prima della lezione, no… la colpa era di Milkobitch. Sempre e solo di Milkobitch. Giunse in cima e si guardò intorno. Il freddo le gelò il viso, e maledisse il momento in cui aveva deciso di non prendere una felpa. Non aveva pensato di dover uscire fuori, e difatti tuttora continuava a chiedersi come diamine ci era finita, lassù. Pensò ai caldi corridoi che l'aspettavano all'interno, così si voltò per tornare giù quando sentì un rumore alle sue spalle che la fece girare nuovamente. Inarcò un sopracciglio. « Chi c'è ? » domandò, poi roteò gli occhi in aria e infilò le mani nelle tasche, guardandosi intorno con aria seccata. « Avanti tanto lo sappiamo che ti trovo lo stesso. Fatti avanti e basta, non farmi venire là. » esalò a voce più alta. Aveva le labbra screpolate, e da esse fuoriusciva il classico fumo di quando fa un freddo cane e stai gelando dentro e fuori. Cazzo Milkobitch, almeno questa infamia potevi risparmiartela.
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    Jeremy Milkobitch ( ) - 16 - Hufflepuff - Neutral - chaser
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    Aveva passato tutto il tempo in quell’aula a riflettere su quella lettera, sul fatto che probabilmente questa era già giunta a casa Milkobitch e che Bradley doveva averla letta subito. Quando non gli era richiesto un intervento o quando non c’era bisogno che stesse attento o fingesse un minimo di interesse per le parole della Bulstrode, non faceva altro se non far vagare lo sguardo fuori dall’aula, scorgere il sole che lentamente tramontava al di là del panorama poco visibile a causa della neve che, incessante, continuava a cadere, il tutto sperando, in cuor suo, di vedere il proprio gufo all’orizzonte, individuarlo tra i fiocchi mentre tra le zampe portava una risposta o senza una pergamena legata alla zampa. Desiderava, semplicemente, che quello, tornando, gli desse la conferma che il suo lavoro era stato fatto. Non voleva, in realtà, che questo portasse con sé una missiva, ma avrebbe accettato anche quest’eventualità semplicemente ignorando quanto avrebbe potuto aver scritto la donna: aveva preso una decisione, nel primo pomeriggio, e non era intenzionato a tirarsi indietro; d’altro canto sapeva che se avesse letto un responso di Bradley, tra le sue parole probabilmente sarebbe comparsa, forse anche velatamente, la richiesta di rinunciare alle proprie intenzioni in favore di un ricongiungimento familiare. Ma lei non sapeva, probabilmente, il vero motivo della sua scelta, quindi forse non avrebbe fatto nemmeno troppa pressione affinché lasciasse il castello, quel Natale. Di Mickey, però, nemmeno l’ombra dissimulata dal maltempo: che si fosse perso? Che fosse morto a causa delle intemperie? C’era da aspettarsi di tutto, sentiva l’aura di sfiga di Todd pervadersi in tutta l’aula ed era anche plausibile pensare che l’avesse intaccato nonostante la distanza. Quando la lezione finì, per poco non se ne rese nemmeno conto tant’era preso dalle proprie riflessioni e fu quindi uno degli ultimi ad abbandonare la stanza, in compagnia dei soliti individui con i quali ormai passava la maggior parte della propria vita in quella scuola. L’unico momento in cui si distanziò da essi fu quando vide il fratellastro stesso varcare la stessa porta, stranamente senza urtare nessuno. Nella testa di Jeremy accadde tutto in un attimo: non aveva affatto pianificato di parlare con Ian, né tantomeno voleva avvicinarcisi, ma era giusto che lo sapesse. Non amava le bugie, né tantomeno gli andava che lo venisse a scoprire all’ultimo e da altre fonti: non avrebbe fatto altro che minare quel già fragile –o inesistente, che dir si voglia- rapporto tra i due, e non era quello di cui il moro aveva attualmente bisogno. Sì, non si parlavano, il Tasso evitava il Corvo come meglio poteva, cercava persino di non incrociarne lo sguardo, ma erano comunque i Milkobitch, erano fratelli e, per quanto si potessero essere separati, lo sarebbero sempre stati. Lo prese per la spalla, dopo aver detto a Tyreek che sarebbe tornato in un lampo, senza troppi complimenti e lo condusse lontano dalla folla, evitando all’ultimo un Grifondoro del primo anno che correva all’impazzata con due fiale stracolme di una non meglio identificata pozione, ma della quale il ragazzo non era intenzionato a conoscerne l’effetto sulla propria pelle, e senza fiatare per tutto il tempo, limitandosi a maledire quella sua malsana volontà di entrare in contatto, seppur per poco tempo, con Todd. Breve, conciso, non gli sarebbe servito molto tempo per esporre quanto aveva da dirgli e non ne aveva molto se voleva tornare nel proprio letto, a fine giornata, tutto intero e possibilmente senza graffi, lividi o contusioni di qualsivoglia tipo. Lasciò la presa sulla spalla del rosso solo quando raggiunsero un corridoio non troppo frequentato, facendo in modo che questo si posizionasse davanti a lui. Riconobbe un paio di ragazzi della sua stessa casata, ai quali rivolse un mezzo sorriso ed un cenno con il capo in segno di saluto, prima di tornare a fissare gli occhi azzurri in quelli verdi dell’altro. Sembrava felice, dannazione era felice. Non poteva di certo biasimarlo, dopo mesi passati ad ignorarlo senza troppi problemi doveva essere quantomeno piacevole per lui trovarsi faccia a faccia con Jeremy e, in altri frangenti, lo sarebbe stato anche il più piccolo dei due. Il problema era che, in quel momento, non seppe che dire, o meglio come spiattellargli in faccia la verità. Si inumidì le labbra, passandovi sopra la lingua e rendendosi conto che ogni secondo passato ad esitare non faceva che illudere il fratello. Se non lo saprà da me oggi, lo saprà domani da qualcun altro, quindi tanto vale, si disse, convincendosi. « Io non torno a casa per le vacanze » Asserì, velocemente, seguendo l’espressione dapprima appagata di Todd trasformarsi lentamente, prendere toni più tristi e meno vivaci che poco gli appartenevano: era Jeremy quello sempre cupo ed imbronciato, lui no. « Ty e gli altri mi hanno chiesto se mi andava di restare qua e... » La mano scompigliò i capelli già di loro poco composti e sistemati mentre volgeva lo sguardo a terra, rimirando le punte delle proprie scarpe. « Niente, questo » Concluse, constatando che una mezza verità gli sarebbe bastata e che non poteva continuare a vedere il suo volto così... triste. Senza dire altro, semplicemente gli passò affianco, dandogli due leggere pacche sulla spalla e salutandolo fugacemente, prima di ritornare sui suoi passi. Prima di cercare di ritornare sui propri passi, dato che probabilmente i Tassorosso che aveva salutato in precedenza non si erano accorti che le loro borse dovevano aver perso un ingente quantità di un fluido attualmente non conosciuto e non conoscibile dal Milkobitch, il quale però non si accorse della macchia sparsasi a terra e su cui non poté, ovviamente, non scivolare, cadendo rovinosamente a terra e macchiando inevitabilmente la toga. Fortuna che le lezioni, almeno per allora, erano finite. « Lascia stare Ian, faccio da solo » Disse, vedendo il Corvonero che già si avvicinava, cercando di aiutarlo. Aiutarlo lui, la causa di quello e di molte altre cadute e problemi di Jeremy? No, meglio di no. Quando si rialzò si sistemò, lanciando la solita occhiata gelida al fratellastro, quell’occhiata che gli aveva sempre rivolto ogni volta che qualcosa andava male, che si ritrovava con il culo per terra o con un ematoma da qualche parte, e per la quale alla fine ridevano, o almeno Todd lo faceva la maggior parte della volta. Quella volta, nemmeno lui si scompose, nemmeno lui alzò gli angoli della bocca ironizzando sull’accaduto, e non era di certo un buon segno. Se lo lasciò alle spalle senza altri indugi, ritornando da dov’era partito e ritrovando i suoi amici. Disse loro che si sarebbe andato a rilassare un po’, sperava che almeno Ty avesse capito a cosa si stesse riferendo con quell’affermazione, e quando chiese loro se si sarebbero visti dopo, magari a cena o dopo di essa, non ricevette alcuna vera risposta, solo alzate di spalle. Dopotutto, la maggior parte di loro sarebbe tornata a casa per Natale e avrebbe dovuto, perlomeno, preparare il baule. Salutò velocemente tutti, sorpassando la gente che già si avviava verso i dormitori, puntando a quello dei Tassorosso.
    Una volta giunto a destinazione, fece cadere a terra la tracolla con un tonfo, togliendosi quanto più velocemente possibile sia la cravatta che la tunica, abbandonandola sul letto e racimolando quello che gli serviva in quel momento. Si infilò un maglione, uno di quelli pesanti che di tanto in tanto regalava loro Bradley e, una volta messosi in tasca tutto l’occorrente si precipitò fuori, ben fissa in mente la sua meta. Ignorò beatamente la maggior parte dei concasati, volendo arrivare quanto prima possibile alla Torre di Astronomia. Amava quel posto, gli dava una certa sensazione di quiete, in più era aperta e non frequentata se non da Jeremy stesso, molto sporadicamente, e alcuni altri. Quando arrivò alla cima di essa, dovette ricorrere all’incanto Lumos per individuare uno spazio dove sedersi: ormai la notte era calata, nonostante fosse comunque ancora sera e non troppo inoltrata, e rimpiangeva i primi tempi di quell’anno scolastico dove non doveva ricorrere alla luce della propria bacchetta per muoversi all’aria aperta a quell’ora. Dovette mettersi in una posizione scomoda, dopo aver tirato fuori dalla tasca il pacchetto di sigarette babbane che aveva preso durante la sua ultima visita ad Hogsmeade ed aver macerato un quantitativo d’erba non indifferente. Il freddo di certo non aiutava il Milkobitch a girare quella “sigaretta” in modo efficace, ma alla fine riuscì. Una merda, ma riuscì. La portò prima davanti agli occhi, incurvando la bocca verso il basso non sapendo se essere soddisfatto del proprio lavoro o se fosse da cestinare da subito. Nel dubbio, la roba era buona e non c’era alcuna necessità di gettarla dalla Torre. Un gesto della bacchetta lo aiutò ad accendere la canna che si era appena rollato, facendogli aspirare quel sapore acre, quel retrogusto amaro ed inebriante che gli faceva ogni volta chiudere gli occhi mentre cercava di trattenere l’aroma, mentre lo sentiva toccargli prima i polmoni e poi la mente, mentre dietro le palpebre calate l’immagine che ogni volta gli si ripresentava era quella di una baracca, di una donna vestita alla bell’e meglio e di un bambino dalla vivacità inespressa. Fece un altro tiro, non sentendo che, lì vicino, c’era qualcuno. « Chi c'è ? » « Stocazzo » rispose, silenziosamente, alla fastidiosa voce della prefetta dei Tassorosso, così tanto sussurrato che non avrebbe potuto sentirlo ma che a lui, almeno, suscito una risata ed un leggero colpo di tosse. Soffiò via il fumo, mentre questa continuava ad interrogarsi chi vi fosse nell’ombra. « Avanti tanto lo sappiamo che ti trovo lo stesso. Fatti avanti e basta, non farmi venire là. » Rimase impassibile, senza muoversi dal suo posto e senza premurarsi di nascondere l’arma del delitto che teneva tra i polpastrelli dell’indice e del pollice ma, anzi, portando nuovamente il filtro alla bocca, rivelando la propria posizione tramite il flebile rossore dell’apice della canna. « Una volta che mi hai trovato, che fai? » Il fumo, misto alla condensa dovuta al freddo di quella serata di metà dicembre, uscì di nuovo dalle labbra di Jeremy, ancora intento a perlustrare l’orizzonte, ancora in attesa di qualcosa che non sembrava arrivare mentre sentiva già, dopo quei pochi tiri, un piacevole mal di testa: la prima fase, quella che non lo tangeva più di tanto, assuefatto da quand’era bambino alla tossicità del fumo passivo della madre, eppure la sua fase preferita, quella che ogni volta andava cercando, quella che ogni volta lo faceva sentire meglio, seppure per poco.
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    Edited by clàrisse - 5/1/2016, 15:14
     
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  3. neverajoy
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    lucyneverajoy
    « today , tomorrow, mainagioia »
    15 Y.O. | hufflepuff | prefect | neutral | pureblood
    Nella testa della Neverajoy correvano un'infinità plurima di cose. Storia della magia, mainagioia, lezioni, mainagioia, Natale in arrivo, mainagioia al quadrato, ma soprattutto… freddo, gelo, mainagioia. Il suo cognome, ancora una volta, non la stava tradendo. Tener fede all'origine e all'ascendenza di esso sembrava essere poco difficile, in quel momento, in cui qualsiasi cosa rasentava un fastidio senza precedenti. Avrebbe solo voluto starsene al caldo tra le coperte in dormitorio, magari leggere un libro, uno di quelli interessanti e senza alcuna figura. E invece quel cazzo di turno di notte incombeva su di lei come una spada di Damocle che stava per mozzarle la testa e tutte quante le dita dei piedi. Probabilmente neanche l'avrebbe sentito, il dolore. Troppo freddo. Il suo cervello era ghiacciato come un Calippo al limone chiuso nel freezer a velocità massima, oggetti entrambi incomprensibili per lei che era una purosangue. Eppure, un Calippo le sarebbe andato a genio subito. Quello, insieme alle sigarette babbane delle quali già si sfondava senza pari quando e come poteva. In quei momenti, le mancava terribilmente Nicole. Quella sua folle compagna di giochi che adesso forse se la stava godendo come non mai nel suo dormitorio, magari al caldo, e magari in compagnia di un bel figo che la riscaldava. Ok, no. Non era da lei. Eppure il pensiero della sua amica in compagnia di un culo da urlo le aveva fatto spuntare un sorriso a trentadue denti su quella faccia inebetita. Era meglio farlo sparire al più presto, o le si sarebbe gelata la mascella e quel sorriso sarebbe durato nei secoli dei secoli amen. Avrebbe vinto anche un premio, a rigor di logica. Rimanere ibernate su di una torre in una delle notti più fredde dell'anno meritava il suo nome scritto in un misterioso albo conservato come una reliquia. Stava sognando anche troppo… il congelamento si era esteso persino nel suo cervello con larga probabilità.
    Coop dove sei? Continuava a pensare, immobile e impettita, i piedi puntati in un pavimento ormai poco visibile dalla distesa innevata. Sentiva il naso scoppiarle sul volto, probabilmente somigliava alla renna Rudolph con un raffreddore da centodieci e lode. Cercò di non pensarci, nonostante le ossa le facessero lievemente male e la pelle cominciava a diventare un quadro di ceramica caduto a terra e pieno di crepe. D'istinto, spostò la spalla lungo il muro in attesa di una risposta. Aveva sentito un flebile sussurro provenire dall'angolo più remoto, ma non vi si era avvicinata poiché era anche quello più esposto alla leggera brezza che soffiava quella notte. Lo stronzo doveva essere anche sprezzante del pericolo se era seduto di culo a terra a ghiacciarselo, perché di sicuro se fosse stato in piedi Lucy lo avrebbe visto già da tempo. Non si sarebbe stufata di attendere una risposta. A tutti i costi avrebbe aspettato fino ad ottenerla. Gelarsi lì fuori senza ottenere neanche una minima soddisfazione era da completi idioti. Stava per continuare la sua invettiva contro il malintenzionato, invitandolo “con grazia e gentilezza” a uscire ancora una volta allo scoperto, quando avvertì ancora una volta una voce. Non troppo in lontananza, ma poco più alta di prima. Come se stessero parlando due lingue diverse ma nello stesso emisfero. « Una volta che mi hai trovato, che fai? »
    Non seppe come prendere quell'affronto diretto. Di sicuro non si trattava di uno del primo anno, quelli se la cagavano sotto a primo impatto e venivan fuori con delle scuse terribili e da far pena. La voglia di insegnar loro come inventare balle era all'ordine del giorno, eppure la prefetta non si era mai scomposta più di tanto e aveva sempre portato a termine il suo lavoro con la massima serietà possibile. Comportamento degno di nota, indiscutibile. Eppure odiato da parte dei più.
    Roteò gli occhi in aria. Quanto le pesava il culo in quel momento avvicinarsi al soggetto in questione solo Merlino poteva saperlo. Ormai sembrava diventata una protesi perfetta per il muro, poiché staccando la spalla trovò immensa difficoltà, ma dopo esservi riuscita avanzò verso il punto incriminato ciondolando. Un vento freddo le investì il volto, costringendola a socchiudere gli occhi e a fermarsi per un secondo. Cazzo. Pensò, poi finalmente quando ebbe a tiro di schioppo il misterioso colpevole rimase stupita nel ritrovarsi di fronte proprio quel Milkobitch su cui tanto si era dannata poco prima di salire su quella torre. Chiamatelo karma o come cazzo vi pare, ma quello fu un caso dannatamente assurdo e nefasto. Sbuffò sonoramente e rimase in piedi, ferma, guardandolo dall'alto. « Ah ma quindi parli? Avevo i miei dubbi. » rispose inarcando un sopracciglio. Solo dopo si accorse che tra le dita aveva una sigaretta, una di quelle babbane. Una di quelle che cercava di procurarsi da giorni tramite il “contrabbando” che avveniva tra le mura scolastiche. Rimase lì, indecisa se fare la spia con i suoi superiori oppure no. Dopotutto si trattava di un suo concasato e non andava a loro favore quella situazione, anzi, li annichiliva. Nessuno aveva molta simpatia per i tassi, si cercava sempre di sminuirli, e di far credere che fossero degli sfigati senza pari. Sfigato lui, poi, a fumare una sigaretta lì sopra a quell'ora della notte. Si sapeva quanto i controlli girassero, e una Montgomery non ci avrebbe pensato due volte ad andare a spifferare quel che era successo per agevolare quelle serpi maledette. Minchia se ti odio, Milkobitch. D'istinto voleva prenderlo a calci in quel suo fantastico culo sedere, al quale pensava maledettamente da giorni, dall'altro lato avrebbe voluto sedersi al suo fianco e assaporare una sigaretta in tranquillità prima dell'inizio delle vacanze di Natale. Peraltro stava accadendo un evento miracoloso che sarebbe rimasto nella storia delle cose assurde di quell'anno… le aveva rivolto la parola. Non che le importasse dopotutto, ma quella sua strafottenza odiosa aveva iniziato a darle sui nervi nell'ultimo periodo. Quando l'avrebbe raccontato a Nicole non c'avrebbe creduto.
    « Che faccio? » chiese poi retorica, seccata dal fatto che non riconoscesse la sua autorità. Sei inferiore Milkobitch, fattene una ragione. « Potrei fare qualcosa, come non fare niente. » fece spallucce, restando in piedi e distogliendo lo sguardo da lui per portarlo in direzione dell'orizzonte, esattamente nel punto che stava guardando anche lui. « Hai intenzione di pensare ancora al senso della vita, o mi offri una sigaretta? » domandò infine, tornando a guardarlo in attesa di un responso. Le venne da pensare che fosse talmente tanto stronzo da negarle, possibilmente, anche quella richiesta che gli aveva fatto. Dopotutto non lo conosceva, ma quel modo di fare da mega gnocco le dava poca possibilità di cambiare idea. Certo che il destino era proprio strano. L'ultima sera ad Hogwarts, passata a far da baby sitter a Milkobitch in una torre, di notte, al gelo. Mai na gioia tendente all'infinito, proprio.
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    Jeremy Milkobitch ( ) - 16 - Hufflepuff - Neutral - chaser
    « the shadows on my wall don't sleep, they keep calling me »
    Chiuse gli occhi, chiuse la mente. In un tutt’uno e come se una prefetta di Hogwarts non l’avesse appena scoperto a consumare sostanze psicotrope, poggiò la testa contro la parete esterna della Torre di Astronomia. Jeremy Milkobitch non era esattamente uno di quelli che si definirebbe sprezzante del pericolo, coraggioso ed audace da non muoversi da quella sua posizione per sfida alla società o a quel che volete, ma non si mosse affatto quando riconobbe la voce di Lucinda Neverajoy, o quando udì il rumore dei tacchi delle sue scarpe echeggiare nella penombra. Non poteva assolutamente dire di conoscerla, se non per il mero fatto che condividevano la stessa Sala Comune da cinque anni, né gli era mai troppo interessato approfondire i rapporti con la ragazza: non che fosse esattamente selettivo per la propria cerchia di conoscenze, nonostante si impegnasse con tutto sé stesso per dimostrarsi distaccato e schivo rispetto ai rapporti umani, ma mai ella aveva attirato troppo la sua attenzione. Di certo, non desiderava che ciò accadesse quella stessa sera. Era il suo momento, quello. Quello, mentre il pungente sapore dell’erba gli stuzzicava ancora una volta il palato, mentre nuovamente tratteneva il fumo dietro le labbra. Quello, il momento di pensare laddove il pensiero risultava inibito. Disomogeneo, scostante, così com’egli era sempre stato o come perlomeno s’era convinto d’essere, e in tale maniera prediligeva rimembrare le azioni già portate a termine, le decisioni prese e i progetti venturi. Giudicare a posteriori quanto fatto, inebriato da fattori esterni, gli era sembrato da un trimestre a quella parte la soluzione migliore perché, in fin dei conti, tutto faceva tranne che riflettere. Chiudeva gli occhi, come in quel frangente, conscio o meno che ogni pensiero non l’avrebbe fatto che ridere, che tutto era più leggero ed irrilevante e, sotto una psichedelica luce, più bello. Chiudeva gli occhi, consapevole che riaprendoli tutto avrebbe girato vorticosamente per diversi secondi, che sarebbe rimasto seduto con le spalle al muro o disteso a terra, immobile. Contrariamente rispetto al motivo che lo spingeva ad isolarsi sempre più spesso anche dai suoi amici più stretti preferendo la compagnia di Maria, da una parte Jeremy sapeva benissimo che si dava alla droga, e per ora solo a quella leggera, per non pensare a nulla. Per non pensare a Run, la quale aveva abbandonato quella che era stata la sua famiglia tanto quanto lo era per lui, un nido sicuro e caldo nel quale due madri che avevano di meglio da fare che prendersi cura dei propri figli li avevano lasciati, sparendo nel nulla, e al buco nel petto che aveva regalato al Milkobitch, allontanandosi da loro da tre anni a quella parte. Per non pensare ai suoi migliori amici, gli unici con i quali scambiasse qualche parola e tanti bei momenti e che, tuttavia, sentiva di non conoscere affatto: voleva bene a ciascuno di loro, sinceramente e con tutto sé stesso, ed erano le uniche persone fuori dalla propria famiglia per le quali avrebbe smosso mari e monti, eppure in un certo qual modo li vedeva lontani ed irraggiungibili, socievoli, spiccati, intelligenti, come lui non sarebbe mai stato e presto anche loro se ne sarebbero resi conto. Per non pensare a sua madre, la maggiore delle causa del malessere del tassorosso ma che tuttavia non riusciva ad odiare –non come odiava suo padre, ovviamente- per come l’aveva cresciuto o per come l’aveva ripudiato lasciandolo sullo zerbino di Bradley: si ripeteva che non era colpa sua, che probabilmente era malata, che un giorno avrebbe fatto ritorno, anche se in quelle fantomatiche rimpatriate iniziava a non crederci più. Per non pensare a Bradley, persino per quello si nascondeva negli anfratti che i primi raggi di Luna non riuscivano ad illuminare, convinto che con quel suo atteggiamento scontroso e talvolta irriverente non fosse mai andato a genio alla donna, nonostante questa continuasse a trattarlo come se fosse suo figlio, come Lilith Myers non aveva mai fatto –oh, come l’avrebbe amato ora che era il degno figlio di sua madre! Per non pensare a suo padre avrebbe voluto insinuare, ma quella era una costante nella sua vita che non voleva e che, tuttavia, si ostentava a rimanere: anzi, in quei momenti il desiderio di insultarlo, picchiarlo, distruggerlo sotto più punti di vista di quanti non potesse immaginare si acuminava, raggiungendo picchi d’astio inespressi ma che rarefacevano il respiro e gli serravano la mascella involontariamente. L’unica cosa buona di quell’uomo era la famiglia che gli aveva lasciato come eredità, come fil rouge. Il resto, spazzatura.
    Ma se era lì, a gelarsi il culo ed a riaccendersi la canna che ad intervalli regolari il freddo gli spengeva –in momenti come quelli capiva perché Ned Stark fosse tanto preoccupato dall’avvicinarsi dell’inverno, ed anzi ne condivideva tutta l’ansia ed il terrore- era per non pensare a suo fratello. Ian, quel ragazzino pallido e lentigginoso che sei anni addietro l’aveva accolto come fratello tanto calorosamente nonostante non sapesse chi fosse. Ian, il rosso suo coetaneo che avrebbe dovuto detestarlo per essere piombato lì nella sua vita annunciandosi come figlio dello stesso uomo che aveva ingravidato la madre dieci anni prima. Ian, il tenero sfigato che non ne faceva una giusta, ma che metteva il cuore e tutto sé stesso in quello che faceva, e che dopotutto gli voleva bene. Era lì, a ridere sornione di quel « Ah ma quindi parli? Avevo i miei dubbi. » detto dalla concasata, lasciando il fumo fuoriuscire dalle narici, per non pensare al fratellastro. Difficile, in linea teorica, farlo, considerando che era stato al suo cospetto giusto poco tempo prima, eppure non voleva rimproverarsi del dolore che doveva avergli procurato, della chiusa allo stomaco che lo stesso Bitch poco Milko aveva provato, perché sapeva di essere nel torto. Sapeva di avere il coltello dalla parte della lama, sentiva l’acciaio incidere sulla carne e vedeva il rosso sangue uscire dalla ferita, ma non per questo decideva di lasciare la presa. Non ancora. Ostinato, a volte, capriccioso, ancora si chiedeva perché il cappello l’avesse messo nella casata della buona Helga, lui che di buono più andava avanti e più si accorgeva di aver ben poco. Gli serviva solo un po’ di tempo. Sì, il tempo necessario a tornare a calpestare le sue stesse orme o il tempo necessario affinché tutti si accorgessero di che persona fosse.
    Jeremy voleva solo pensare di non dover pensare, quella sera. Lasciarsi tutto alle spalle e stare da solo, ma ovviamente cioè non fu possibile. Sia perché, inevitabilmente, era ricaduto nel vortice di quei pensieri e sia perché Lucy sembrava averlo pedinato fin lassù. « Che faccio? Potrei fare qualcosa, come non fare niente. » Forse era l’erba ad essere davvero buona, perché in altre occasioni il Milkobitch non si sarebbe lasciato sfuggire così tante risate strozzate. « E sappiamo entrambi che non farai nulla, vero Neverajoy? » chiese, retorico, ammiccando nella sua direzione per poi rendersi conto che nel buio non avrebbe nemmeno notato l’occhiolino. Ma ehi, ci aveva provato! « Hai intenzione di pensare ancora al senso della vita, o mi offri una sigaretta? » Tralasciando il fatto che M A I avrebbe pensato che una come lei trasgredisse le regole –LE REGOLE OMG- della scuola per fumare di nascosto, ma poi non stava rompendo le palle per il coprifuoco, o cose simili da prefetto di sta ceppa. Peccato solo non si fosse accorta che quella non era una sigaretta. Ma, dopotutto, chi era lui per negare qualcosa? Era un Tassorosso, no? « Le ho finite » mentì, in un primo momento, portandosi lo spinello davanti al volto e soffiando sulla cima per ravvivare la fiamma per raccapezzarsi su quanto già avesse fumato –quasi metà #random #wat. « Ma se ti siedi qua –sì, è una prova di coraggio- puoi fumare la mia » sancì, aspettando che questa decidesse che il pavimento di marmo non era poi così freddo (bugia) per passarle la canna. « Comunque trovati un altro cognome, Neverajoy. È triste e troppo lungo, non mi piace » disse, sorridendo nell’ombra e girandosi a guardarla. Era carina, non l’avrebbe mai potuto mettere in dubbio né gliel’avrebbe mai detto, fosse mai che si montava la testa più del necessario!, ma non era per quel motivo che la fissava attento, un velo di malizia a coprire la curva delle labbra. Stava solo aspettando che traesse una boccata d’erba per divertirsi delle conseguenze. Bitch poco Milko dopotutto non era un soprannome a caso.
    the heart is deceitful above all things,
     
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