“ Never Straight Outta Compton ”

Belladonna & Liam

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    Belladonna Baudelaire
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    Inspiegabile pareva lo scorrere del tempo per una creatura tanto abituata alla sola luce della luna filtrante da dietro le tende della sua villa in Italia. Il giorno era qualcosa di conosciuto, certo, ma ancora lontano e assolutamente incredibile: non ricordava giornate tanto intense nella sua giovinezza, né soli tanto lucenti in qualche scorcio dietro i vetri puliti della sua camera. O forse era solo la dipendenza dal buio che le era sorta dopo cinque anni in cui l'unica luce presente nella sua esistenza proveniva dai contorni fatti d'ombra impalpabile del Dissennatore vicino alla sua cella. Dicevano che era stata forte. Chi la conosceva parlava di lei come una “sopravvissuta”, un timbro di voce orgoglioso come se in fondo l'unica vittima di quella tragicità fosse stata rinchiusa nell'Inferno. E lei li aveva sentiti eccome, i diavoli che cantavano tessendo le lodi delle sue gesta, mai pulite o devote come si ostinava a far credere. Bugiarda e meschina, non era mai stata veramente una brava persona Belladonna: vi era in lei qualcosa che andava ben oltre all'educazione impartitele, ben oltre l'atteggiamento di sua madre nei suoi confronti, qualcosa che non era mai veramente nato ad un certo punto di quella linea che era la sua vita ( sempre più simile ad un circolo vizioso negli ultimi tempi ), quanto più un morbo intriso nel suo sangue, su quelle labbra che di ingenuo non avevano nemmeno la piega quando le sue ginocchia stavano sul pavimento freddo della chiesa. Era davvero possibile che Dio permettesse ad una sua creatura di nascere così, di divenire serva dei vizi ancor prima di staccarsi dal grembo materno? Che colpe poteva avere quel feto se non assumendosi quelle dei suoi genitori, della donna che la tratteneva ancora lontana dal giorno del suo sconvolgimento?
    Forse la bellezza, quella allusività celata dietro l'ingenuità di un vestito dal collo alto e la gonna lunga, i capelli di un biondo così sprezzante dei canoni scuri della sua terra natia raccolti in boccoli che parevano solo più vortici del peccato a cui alludevano. L'eleganza dei suoi gesti, pacati e mai goffi o scoordinati, quasi vi fosse un burattinaio egregio a muoverla tirandone i fili con precisione spiazzante … tante potevano essere le conclusioni che ad un occhio attento avrebbero fatto risaltare quella bambina di quindici anni fra le altre, in confronto macchiate di una grazia quasi banale.
    Il peccato era stato scritto in lei ancor prima che potesse conoscere la parola, e il “demone” in lei aveva atteso, in silenzio e quieto, sepolto nel profondo di un animo che, forse, sadicamente, già lo sentiva; e allora ecco la piega arrogante sul viso ogni volta che la sua mano si bagnava d'acqua santa, o la sottile piacevolezza che provava nel sentirsi gli sguardi dei ragazzi anche più grandi addosso: trasudava male, e chiunque è attratto dal male. Quanto più ingenua ne è la forma, tanto più ne è pregno il contenuto … quasi come di fronte ad una di quelle matriosche sotto cui, strato dopo strato, si trovava il cuore vero del creatore.
    Belladonna sentiva di non esserci ancora arrivata, eppure percepibile era la sensazione che ormai solo un soffio la dividesse dal cuore pulsante nascosto sotto la pelle color avorio del materiale d'alta qualità di cui era fabbricata: porcellana il corpo, seta le labbra, filigrana i capelli. Per quanto pura potesse apparire nel quadro di qualche famoso artista, restava circondata da una tetra oscurità senza nome ben presente in ogni piega del dipinto. E anche per le strade, più di dieci anni dopo le prime consapevolezze, la strega manteneva quell'aura un po' perversa che adesso trasudava anche dal trucco, dai vestiti succinti e estremamente eccentrici. Tuttavia quella sera il programma diverso l'aveva spinta anche a voler scegliere qualcosa di più consono, e un lungo cappotto la faceva apparire quasi anonima ( se solo non fosse risaltata per gli occhiali con cui cercava disperatamente un riparo dalle luci accecanti della Londra notturna ), i capelli raccolti le donavano un'aria matura e composta. Casa Sicla le aveva donato qualcosa che altrove non avrebbe trovato: prima di tutto un riparo decente, un letto da poter chiamare tale, un armadio a quattro ante a sua disposizione ( e inutile era dire che riempirlo non era stato poi così difficile ). Almeno adesso poteva girare per Londra senza sembrare una barbona, con la valigia dietro e il terrore di doversi rintanare in qualche bagno pubblico per i servizi. Già solo a pensarci le tornavano i brividi.
    Secondariamente ( egoista quant'era ) aveva trovato la famiglia che aveva sempre desiderato. Non che ne avesse mai desiderata una, tanto per intenderci, ma … probabilmente nei suoi nipoti e nella sua cugina ( se cugina effettivamente era, nemmeno lei aveva ben chiare gli oscuri intrighi della loro parentela ) aveva trovato quella complicità che le era sempre mancata: aveva iniziato a vivere, e l'aveva fatto sotto il loro tetto sentendosi più libera che appena messo piede fuori da Azkaban. E non sapeva se chiamarlo affetto o interesse, ma sotto il cognome Sicla stava bene, e per la prima volta dopo tanto tempo riusciva a collegare la parola “casa” a quattro mura non piene di spettri.
    I suoi piedi si fermarono di fronte all'insegna del locale, un pub che - a proposito - Erin le aveva consigliato con la malizia nello sguardo che le ricordava qualcosa del suo passato, ma che aveva preferito ignorare per non sentirsi così vecchia. L'avrebbe volentieri portata con sé quella notte, sentiva la nipote estremamente affine a sé ed era stato un po' come ritrovare una vecchia amica, o una giovane se stessa libera dall'ambiente in cui lei era stata costretta, coi capelli biondi sciolti e il ghigno compiaciuto bello in vista senza pudore. Ma, ancora una volta, non era ancora pronta ad accettare l'idea di essere abbastanza vecchia da vedere in qualcuno la sua giovanezza. Scempiaggini sentimentali. Comunque, nonostante iniziasse pian piano a trovare decisamente piacevole la sua compagnia, aveva preferito concedersi un'altra serata in solitudine, ammaliata dalla proposta di un pub a luci rosse in cui poter sfogare la scintilla da ragazzina prima di riprovare ad entrare nei panni della “zia modello”. Panni che non sarebbe mai riuscita a vestire, naturalmente.
    Entrò quindi, affatto insicura o perplessa come magari ci si poteva aspettare da una donna sola: in realtà con sicurezza Belladonna aveva mosso i passi osservando attorno mentre la luce soffusa quasi la invitava a levarsi gli occhiali e a spogliarsi degli indumenti più pesanti. La musica mista alle risate dei gruppetti l'accolsero senza stonarla, facendola affondare in uno stato quasi catatonico del piacere sensoriale: il respiro, impercettibilmente, s'era fatto più caldo e pesante sulle labbra, i passi più lenti, contati, mentre s'avvicinava al bancone prendendo posto fingendo di non degnare di uno sguardo lo spogliarellista più vicino, un giovane di bell'aspetto e corpo maturo, vestito ormai solo di una giacca di jeans e dei boxer neri più che attillati. Ne vedeva la muscolatura guizzante ma elegante su braccia e busto, qualche banconota si sporgeva dai boxer e dalle tasche della giacca aperta, di cui il ragazzo ebbe cura di liberarsi poco dopo aver incrociato il riflesso dei suoi occhiali. Impassibile era e rimaneva, mentre le labbra si piegavano a sussurrare un'ordinazione e una banconota andava a posarsi sul bancone sotto la sua mano che prudentemente aveva celato sotto dei guanti grigi. L'inverno londinese non risparmiava le turiste meno ravvedute, e lei l'aveva imparato a sue spese.
    Dopo qualche secondo il barista si mise all'opera per il suo ordine e dopo poco posò davanti a lei un gin tonic che le strappò un sorriso d'apprezzamento: senza tuttavia allungare ancora la banconota, Belladonna afferrò una cannuccia e la liberò dall'involucro, infilandola nel cocktail che prese a girare con distrazione, concedendosi un'altra occhiata al giovane che adesso armeggiava provocante vicino ad un gruppo di giovani, tanto giovani. Forse troppo per un addio al celibato … improvvisamente, sentì davvero il desiderio di avere con sé qualche … “amica”.
    Ecco, dannata Erin. Iniziava con le dipendenze, e nemmeno la conosceva così bene! Da quando aveva iniziato a vivere la propria nuova vita non aveva mai sentito bisogno di qualche “amica” … per favore!, se l'era sempre cavata da sola godendosi le proprie conquiste senza dover spartire nulla! E invece adesso … bah, amica.
    « Patetico » aveva allungato il collo verso il cocktail, succhiandone un po' con la cannuccia stretta fra le labbra che vi lasciarono sopra un segno sul viola, un colore di qualche tono più chiaro di quello nero della sua bocca. Si guardò ancora intorno, sentendo il fresco cocktail scivolarle lungo la gola con leggerezza; lentamente i bottoni del cappotto - uno dopo l'altro - si sbottonarono, lasciando intravedere il completo celatovi sotto, e con eleganza un po' arrogante, la strega diede le spalle al bancone e accavallò le gambe, tenendo il cocktail in una mano mentre il suo sguardo ben nascosto continuava a posarsi sugli individui che dividevano con lei quel piccolo segreto: spogliarellisti simili ad adoni e giovani bellezze esotiche dai corpi sinuosi che col muoversi dei fianchi imitavano una danza serpentesca da cui le era difficile staccare gli occhi, scambi di occhiate fugaci o intense, una complicità che la portò irrimediabilmente a volerne fare parte da protagonista. Una giovane bruna abbracciata ad un palo incontrò il suo sguardo e la provocò con il lento movimento del fianchi, riscaldandola dal basso ventre fino alle labbra a pochi centimetri del bicchiere. Fece in modo che fossero ben in vista abbassando il gomito, e con la punta della lingua passò sul labbro superiore con la medesima lentezza dei movimenti di lei, suscitandole una risatina che non poté non ricambiare. Poi di nuovo girò il volto, seguendo con lo sguardo il filo confuso dei suoi pensieri.


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    Edited by my hair smells like chocolate - 21/1/2017, 16:37
     
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    «Tu, tu con i capelli strani» Esordì l’irlandese, alzando le sopracciglia in direzione di un omuncolo che, da circa venti minuti, stava cercando di attirare la sua attenzione. Inutile specificare che non aveva ascoltato una parola di quanto l’uomo andava narrando. «Non sono capelli, è la mia testa» Rispose quello, inumidendosi le labbra intimorito. In effetti specificare una cosa del genere, quand’era ovvio che a Callaway non poteva fregare un cazzo di meno, era abbastanza pericoloso. Ma anche interessante a dirla tutta, non erano capelli?, di fatti lo mise finalmente a fuoco, soffermandosi su di lui qualche istante. Gli occhi scuri socchiusi, le sopracciglia ben delineate aggrottate nello sforzo di comprendere l’incomprensibile. «Buon Dio figliolo, ma sei andato da un bravo dottore?» Il solito diretto, ed adorabile, Liam Callaway. Ammorbidì la frase con un sorriso che suscitò nell’uomo l’effetto contrario, facendolo indietreggiare contro la parete. Liam si infilò una sigaretta fra le labbra, intimandogli con indice e medio di avvicinarglisi. «Fammi accendere» Non una domanda, ma non si poneva neanche prendere come un ordine; un ordine avrebbe presupposto la possibilità di disobbedienza nel proprio cagnolino interlocutore, mentre quella di Callaway era una mera constatazione. Questi, tremante, afferrò una scatola di fiammiferi lì vicino, sfregando lo stoppino contro la parte ruvida, ed avvicinò cautamente la fiamma alla punta della sigaretta. Senza alcun preavviso Liam gli afferrò il polso, facendolo sobbalzare. «Attento, chi gioca con il fuoco rischia di bruciarsi» Nuovamente sorrise, aspirando una boccata di fumo che illuminò la brace del cilindro di tabacco stretto fra le proprie labbra. Quanto si divertiva a spaventare la gente? Troppo, e probabilmente un simile comportamento da ingrato mentecatto gli si sarebbe rivoltato contro. Sempre probabilmente, Liam si sarebbe divertito da morire, e non letteralmente dato che in troppi già ci avevano provato. Come si soleva dire, what doesn't kill me...had better start running. «Come ti chiami?» Domandò, poggiando entrambe le gambe sopra la scrivania. Riusciva a sentire la musica del Lilum sin da lì, l’ufficio posto dietro i privè; soave faceva vibrare ogni cosa –le gambe del tavolo, il liquido ambrato nella bottiglia di whisky-, creando in chi l’ascoltava il desiderio di avvicinarglisi di più, di sentire quella musica sulla pelle, nelle vene, come il profumo di un amante da troppo atteso. «Amal. Amal Ocho Beat, Signore» Amal… Amal Ocho Beat, davvero? Subitaneo portò nuovamente i piedi al suolo, poggiando i gomiti sul tavolino. Giunse le mani fra loro, la sigaretta che ignara di quanto stesse accadendo continuava a bruciare. «Mi prendi per il culo?» Lui scosse il capo, deglutendo vistosamente. A labbra dischiuse, un espressione stupita sul viso dai tratti delicati, Liam battè le entrambe le mani sul tavolo. «Amal Ocho Beat, sei promosso» Non sapeva neanche quale fosse il suo lavoro, ma con un nome del genere sicuramente meritava uno stipendio più alto. Una specie di ringraziamento ai suoi genitori: e poi, se l’avesse aumentato di grado, se lo sarebbe ritrovato più spesso al fianco, e così avrebbe potuto prenderlo per il culo a vita. Ama l’Ocho. Anal (Ocho) Beat. A malOcho. L’idea lo divertiva e lo inquietava al tempo stesso. «Ma io sono un contabile, Signore. Non sono previste promozioni» Un contabile! Ecco perché lo stava ignorando. A Liam, i guadagni del Lilum, non facevano né caldo né freddo. Aveva rilevato il locale quando ancora era ufficialmente morto, e l’aveva mantenuto solo perché affezionato alla bizzarra ed alquanto stravagante atmosfera che solo il Lilum era in grado di creare. Non aveva bisogno di soldi, buon Dio, Callaway ci sguazzava nei quattrini dei suoi fuggitivi genitori. Almeno qualcosa dovevano averglielo lasciato, almeno quello. Senza contare che aveva un altro lavoro al Ministero: ebbene sì, Liam era un consigliere. Consigliava ben poco, limitandosi a guardare in cagnesco un certo Crosta (o era Boiler? Croiler? La cosa lo toccava relativamente), fare due amichevoli parole con Edith (dopotutto girava voce che si stesse per licenziare, lasciando così il posto vacante… e Callaway non voleva essere impreparato al nuovo venuto), fregare il caffè che teoricamente avrebbe dovuto essere riservato al Ministro, e fine. Quelle erano le sue complicate mansioni di ministeriale. Credeva che l’incarico gli fosse stato dato perlopiù sulla fiducia, forse persino dalla sorpresa di ritrovarselo vivo e vegeto sotto agli occhi, ma non gli importava. Magari perfino Aaron stesso, il Ministro, aveva messo una buona parola per lui. Raccomandato. Azz, con questi presupposti Liam non riuscirà proprio a dormire la notte, sapendo di aver fregato il lavoro a chi, forse, lo meritava di più.
    No, andiamo, nessuno lo meritava più di lui. Oltre ad essere dannatamente bello, carismatico e divertente, era anche incredibilmente intelligente. Lo sapeva lui –ovvio- e lo sapevano loro. Avevano tutto da guadagnarci ad averlo al Ministero; gli stava facendo un favore, ecco com’era la questione. Inutile sottolineare che la modestia non rientrava fra le qualità dell’irlandese, ma dopotutto a suo dire la modestia altro non era che una finzione per i perbenisti, troppo occupati a proteggere le apparenze per accettare la realtà (ossia che non avevano qualità da millantare) . Lui credeva nelle sue capacità, e reputava giusto non nasconderlo. Mancava d’umiltà, gli avevano spesso detto. Se mancassi d’umiltà, dolcezza, non starei parlando con te #cheschifoipoveri. Boom, bitches.
    «Ah. Allora ti nomino impiegato del mese» Si strinse nelle spalle, un ghigno storto sulle labbra sottili, soddisfatto di sé stesso per essere riuscito a trovare un compromesso. «Ma noi non abbiamo …» Esasperato, aveva una pazienza limitata, estrasse la bacchetta e lo mise a tacere magicamente con un Silencio ben piazzato, portandosi nel mentre un dito alle labbra. «Anal Bitch, non era una domanda, era un affermazione. Metterò una tua foto incorniciata dietro il bancone, con tanto di targhetta con il nome. Complimenti. Anzi» Soffiò il fumo verso l’alto, stringendo la sigaretta fra i denti per non farla cadere mentre le mani, rapide, tastavano il cassetto della scrivania. Estrasse una macchina fotografica, è davvero necessario che vi spieghi il normale utilizzo dell’apparecchio in quell’ufficio? #mlmlml, puntando l’obiettivo su Beat. «Sorridi» Non gli diede effettivamente il tempo di fare alcunchè, mentre scattava l’istantanea. In tutto quello, il povero Amal non aveva mai avuto voce in capitolo. Bello essere il capo, eh? Spense la sigaretta nel posacenere vicino, alzandosi in piedi. Indossava un paio di pantaloni neri, scarpe eleganti, una semplice maglietta bianca ed un paio di bretelle nere. Un abbigliamento a dir poco casual, e se solo non fosse stato così meravigliosamente Liam Callaway, avrebbe tranquillamente potuto passare per un impiegato qualsiasi. Strinse la fotografia fra le mani, chiudendo la porta in faccia ad un silenzioso ma blaterante Amal, mentre entrava nel locale vero e proprio. Il Lilum si srotolò davanti ai suoi occhi in tutta il suo fascino, avvolgendolo fra le spire del profumo, delle risate gutturali, e dei gemiti poco convinti di chi a stento si tratteneva dal posare le mani sul suo personale. La prima idea che tutti si facevano del locale, era rozza e davvero poco lusinghiera: pensavano davvero che avesse uno strip club da strapazzo, lui? Aveva classe perfino quando si lavava i denti, figurarsi in un luogo del genere: non era volgarità, era erotismo. Quel genere d’eccitazione calda che ti sprona ad aprire la mente, a lasciar andare i freni inibitori, a godere appieno delle bellezze offerte dall’umanità. Se i suoi avventori non sapevano cogliere la differenza fra seduzione e sesso, potevano anche portare le loro palle nel primo striptease dei bassi fondi. Fuori la plebe. Sorrise a chi di dovere, prese qualche mano da sfiorare appena con le labbra, ed infine scivolò dietro il bancone. Arrivato a quello che, secondo lui, era un punto decoroso, appiccicò al muro la foto di Amal Beat, con tanto di nome ed etichetta “impiegato del mese”. Non particolarmente bello, e la foto se possibile gli rendeva ancor meno giustizia: la pelle olivastra pareva di un grigio malato, i radi capelli ricci gli disegnavano uno stempiato cerchio sulla testa, e gli occhiali dalla montatura dorata erano leggermente storti. Non aumentava particolarmente la carica sessuale, ma di certo –specialmente non con un Liam nei paraggi- non poteva azzerarla. Magari si sarebbe perfino impegnato a trovargli qualche ammiratrice, sicuramente la madre di Amal gliene sarebbe stata grata. Osservò il suo lavoro per qualche istante, quindi si infilò l’ennesima sigaretta fra le labbra. I gomiti sul bancone, sporto in avanti, fu fra i fortunati di quella sera ad assistere ad un adorabile, ed alquanto lascivo, scambio di attenzioni fra due belle donzelle: una sua spogliarellista, ed una cliente. Ne osservò il profilo, incantato dalla particolarità della donna, mentr’ella passava dolcemente la lingua sul labbro superiore, suscitando una risatina nell’altra mora. Aveva un’aria diversa dalle donne che era abituato a vedere da quelle parti –ma anche altrove- e di certo non gli era sfuggito quanto bene avesse risposto alla provocazione della giovane al palo. Scivolò languidamente al fianco della bionda, lui ancora dietro il bancone e lei dalla parte opposta a dargli le spalle. Soffiò il fumo verso destra, così che non la infastidisse, quindi si avvicinò all’orecchio sinistro di lei. «Sembra che tu le piaccia» Bisbigliò appena, divertito, accennando un mezzo sorriso sghembo nella sua direzione.
    the heart is deceitful above all things,


    Edited by [never] trust a callaway - 11/9/2016, 22:56
     
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    Belladonna Baudelaire
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    Non c'era stato nulla di veramente programmato in tutto ciò. Aveva semplicemente risposto ad un alquanto erotica provocazione, senza spingersi oltre perché se c'era una cosa che non tollerava era l'esagerazione, in campo sessuale in modo particolare. Preferiva di gran lunga ammiccamenti, soprattutto se non interessata a concludere- non che non fosse brava anche in quello, per carità, semplicemente sapeva che stavolta sarebbe stato impossibile, e quindi non si lasciava trascinare più di tanto dalla foga del momento. Apprezzava quel corpo, apprezzava quelle linee morbide, quelle forme sode che avrebbero piegato chiunque al suo volere in cambio anche solo di una promessa irrealizzabile, e quei sorrisi che forse, più del muoversi sinuoso di quel corpo, attiravano la donna appoggiata pigramente al bancone.
    I pensieri erano tanti e diversi nella sua testa affollata, numerosi fra essi parevano addirittura non aver soluzione tanto erano intricati, più simili a dilemmi che altro. Si chiedeva ripetutamente- e non senza una certa dose di preoccupazione- quale sarebbe stato il suo futuro a quel punto, cosa sarebbe successo a lei. C'erano molte incognite in quel momento nella sua esistenza, e il suo passato tornava a vorticare nel presente, impedendole di concentrarsi con attenzione su quel futuro che a volte sembrava farsi vicino e altre invece si allontanava di colpo, promettendosi difficile a conquistarsi. Aveva bisogno di staccare la mente da tutto ciò a volte, e farlo così sembrava essere uno dei pochi metodi capaci anche di farle raggiungere una pace mentale necessaria per la donna in quell'ultimo periodo di alti e bassi.
    Sospirò delicatamente quindi, godendosi come molti lì dentro le movenze di quella ragazza che seppe catturare e tenere incollato a sé lo sguardo solitamente sfuggente di Belladonna. Non era facile averla, così come incuriosirla, ma chi ci riusciva poteva naturalmente vantarsi interessante: che poi il mezzo per tale fine fosse il corpo, una parlantina spiccata, o un carattere eccentrico... a Belladonna non importava più di tanto, si godeva le esistenze altrui con semplicità, lasciando che fossero essi a sgomitare per un briciolo di attenzione.
    Tornò con le labbra alla cannuccia lentamente, abbassando appena lo sguardo sul cocktail dolce che le regalò attimi di puro godimento: rinfrescante e delicato, lungo la gola il gin graffiava ricordandole che era solo al primo e la notte era assurdamente giovane, ma oltre a ciò scacciò anche quelle assurde preoccupazioni che erano nate nel momento esatto in cui si era resa conto di sentirsi un po' sola. Aveva fatto in fretta a farle sparire, facendo appello al potere del gin, ma ora doveva solo continuare a tenerle buone e lontane da quella serata che in fondo prometteva molto bene. Le bastava non pensare a null'altro se non al corpo della riccia mora che, nonostante l'attimo in cui aveva preferito il cocktail a lei, adesso era tornata a guardarla seducendola con quella lenta danza. E Belladonna, naturalmente, non poteva che restarne ammaliata.
    «Sembra che tu le piaccia» «Come darle torto» una risatina in risposta a quelle parole che aveva sentito all'orecchio, per cui era venuta prima la necessità di rispondere piuttosto che scoprire a chi appartenesse quel tono caldo e divertito che le solleticò l'orecchio sinistro. Restò ancora per qualche attimo con gli occhi catturati da quelli della ragazza, affogando nell'oscurità di una pupilla più nera del carbone, per poi far scivolare lo sguardo lungo tutto il suo corpo, lungo le forme generose che avevano iniziato a contorcersi con eleganza e seduzione, creando un connubio intrigante che sapeva ammaliare. Solo dopo incessanti secondi si decise a voltare il capo verso la voce, osservando il viso del corpo che si sporgeva dal bancone, sigaretta in bocca e aria piuttosto compiaciuta. Non poté che mostrare un cipiglio a metà fra il divertito e il perplesso, chiedendosi chi fosse e cosa precisamente ci facesse lì dietro: aveva visto il barista, e non lo ricordava simile a quel ragazzo. Gli sembrava giovane per tutto ad essere sinceri, se non per il ruolo di ballerino e quindi, dall'alto della sua indifferenza a riguardo, non poté che fare spallucce restando voltata verso di lui ma con tutte le attenzioni rivolte al bicchiere che man mano andava svuotandosi. «E tu che ci fai qui? Non dovresti accompagnarla?»
    Poteva quasi suonare come un complimento al suo aspetto per lo meno, ma di certo non voleva essere null'altro se non una fine provocazione mentre allargava il sorriso in modo provocante, finendo di bere con un sospiro un po' sconsolato. Agitò il bicchiere sotto il naso del giovane avvenente, «Comunque già che sei lì puoi riempirmelo del primo alcolico che trovi sotto mano» e senza troppi complimenti tornò a guardare davanti a sé, cercando di non pensare più di tanto al giovane al suo fianco. Doveva avere sulla ventina, ma difficile era per Belladonna afferrare qualcosa di lui, soprattutto se l'unica cosa su cui la sua mente ora si era concentrata stava nel suo portamento, nel modo fiero e spigliato con cui era apparso di punto in bianco parlandole all'orecchio. Non voleva ammettere di averlo trovato seducente, e non per orgoglio personale o chissà quale altra barriera impostatasi: semplicemente Belladonna aveva percepito- se possibile- l'ego di quel giovane, in qualche occhiata e in quel tono di voce... e diciamocelo, non aveva proprio intenzione di accrescerlo maggiormente palesando una sottile attrazione nei suoi confronti.
    Era più facile concentrarsi sulla ragazza che adesso dava loro le spalle, mostrando quelle grazie eleganti su cui volentieri la donna avrebbe lasciato un morso, piuttosto che sull'avvenente dietro di lei e su quelle labbra su cui, di nuovo volentieri avrebbe lasciato un morso.

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    Edited by my hair smells like chocolate - 21/1/2017, 16:36
     
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    Non sapeva sinceramente cosa portasse le persone all’interno del Lilum, specialmente quando ancora inconsapevoli che al suo interno avrebbero potuto trovare lui (anche perché, altrimenti, la motivazione sarebbe stata ovvia). Cosa si aspettavano di trovare? Spesso era stato costretto a mettere in chiaro ai buttafuori che non gliene fregava un cazzo se la clientela portava soldi, dovevano essere scelti accuratamente. Non voleva omoni ubriachi e dalle mani troppo lunghe: sì, era uno strip club, ma non di quel genere. Aveva un carattere rude, Liam, ma la volgarità non aveva mai fatto parte della sua indole: il Callaway era un gentiluomo, cui unica pecca, a dire di molti, era la bacchetta un po’ troppo facile. Non provava rimorso nell’uccidere o nel torturare, avanzando invece un profondo sentore di piacevole superiorità. Un assaggio di potere, nel cremisi sangue altrui, di come dovesse sentirsi il fantomatico Dio ad accogliere anime quotidianamente. C’era un qualcosa di temibilmente confortante nei colori sfumati del locale, in quel profumo di carne giovane mista ad alcool e fumo, nella musica bassa che vibrava in ogni osso. Aveva il sapore, sulla lingua, di cose che non avrebbero mai dovuto vedere la luce del sole; che rimanevano lì, segregate fra quelle quattro mura, perché sotto l’impetuoso mezzogiorno non avrebbero avuto le stesse tiepide tonalità. Sarebbero parse sbagliate, un errore. Ma lì? Al Lilum tutto era concesso: potevi essere chi preferivi, anche solo per una sera. Potevi fingere di avere la vita che avevi sempre desiderato, di essere l’uomo che sognavi di essere prima di chiudere gli occhi la sera, o la donna per la quale avresti ucciso. Era un segreto sussurrato a fior di labbra, la promessa che la notte sarebbe stata eternamente giovane e l’alba non sarebbe mai giunta.
    Era sfibrante, quella vita. Era un groppo alla gola difficile da deglutire, una guerra che in troppi volevano combattere senza le armi adeguate. Una guerra che in troppi si erano stancati di combattere: che senso aveva continuare a cercare di sovvertire un sistema, quando quel sistema funzionava? Una domanda che il Callaway si era fatto spesso, mentre annodava la cravatta per andare al Ministero. Dovevano solo seguire le regole, e nessuno ci sarebbe andato di mezzo. Se solo avessero percorso i binari corretti, non ci sarebbe stato spazio per bestie come lui, pronte a lanciarsi sulle carogne ancora calde per spremere ogni più infida parvenza di vita. Senza una motivazione adeguata, perfino Liam sapeva rimanere al proprio posto: ricavava piacere dalla sofferenza altrui, che motivo c’era di nasconderlo?, ma non l’avrebbe inflitta se non ne avesse avuto un motivo. Invece c’era sempre. Un gruppo di maghi disorganizzati dalle ambizioni troppo grandi e le mani infinitesimamente piccole, con nulla fra le dita se non la cenere dei loro compagni. Ma Dio, perché continuare? Madri avrebbero ancora figli, amanti avrebbero ancora le lenzuola calde, fratelli potrebbero stringere a sé la propria famiglia. Liam non aveva particolari legami che lo spingessero, ogni mattina, ad alzarsi e fare la cosa giusta. Le persone della sua vita sapevano cavarsela meglio di lui fra quelle siepe troppo alti, e di certo non avevano bisogno del suo aiuto. Le persone sbagliate, le compagnie sbagliate: solo il meglio, per l’uomo giusto.
    Ma al Lilum, nulla di tutto ciò esisteva. Non c’erano guerre, non c’erano traditori o sostenitori del Regime, differenza di sangue o razze. Gli stronzi che cercavano l’ennesimo shottino dove affogare i propri dispiaceri, andavano in locali sotto marca come la Testa di Porco o i Tre Manici, di certo non mettevano piede al Lilum: non avevano sgabelli abbastanza bassi con i quali invitarli al suicidio, quindi era inutile facessero la loro, non troppo, bella presenza. Chiariamoci: Liam Callaway disdegnava il genere umano, esattamente come qualsiasi altro felino (giacchè egli era certamente più animale che uomo). Preferiva rimanere a distanza di sicurezza, evitando così che contaminassero la sua esistenza con i loro inutili problemi, osservandoli ed abbuffandosi delle loro emozioni come un fottuto Dissennatore. Cosa vi devo dire, si divertiva così. Ma, ed un ma esisteva sempre, si sentiva quasi… vicino alla clientela del Lilum. Quasi umano, mentre si rispecchiava in quei sorrisi sghembi rivolti al terzo cocktail, o nel desiderio lampante delle loro labbra quando adocchiavano una delle ballerine. Quello, Liam Callaway, poteva comprenderlo meglio di chiunque altro: il bisogno quasi fisico di allungare la mano, sentire il corpo caldo sotto il proprio palmo, ma la consapevolezza di non poterlo fare. Una dolce costrizione che vedeva la propria soddisfazione nelle dita che affondavano sui braccioli delle poltroncine, nelle unghie premute contro i polsi, nella dolcezza ruvida del whisky.
    Quella necessità, ed il bisogno di volerlo credere illusorio ed effimero quanto i sorrisi intravisti sul palco. Ci sguazzava, il moro, fra quelle pupille dilatate; perfino la sua smorfia, sghemba e divertita, era sincera. Naturale per lui avvicinarsi alla bella donna (*inserire risate qui perché sono veramente muy simpatica*) seduta al bancone, le labbra a sfiorarle l’orecchio in un bisbiglio che avrebbe udito solamente lei. Meno naturale, invece, fu la risposta di lei: spontanea, quasi ch’egli avesse detto la cosa più ovvia e scontata del mondo. Non v’era però la malizia altezzosità che gli avrebbe fatto storcere il naso: era un commento dato da una sicurezza che Liam, fautore per eccellenza di quella caratteristica, non poteva che supportare. Inoltre, dopo una seconda occhiata più accurata, non poteva che darle ragione. «Come darle torto» Si ritrasse ridendo, una risata bassa e del tutto mascolina, scuotendo lievemente il capo. «touchè, dolcezza» commentò alzando le mani in segno di resa, consapevole lezioso di aver perso. Non amava perdere, ma in determinati casi sapeva accettare la sconfitta con piacere. se solo avesse saputo che fosse una baudie, non l’avrebbe accettato così di buon grado. Ma è un’altra storia. «E tu che ci fai qui? Non dovresti accompagnarla?» Rimase a guardarla per un tempo indefinito, le labbra strette fra i denti e le sopracciglia inarcate. Non sapeva se prenderlo come un complimento riguardo il suo fisico, che d’altro canto non aveva bisogno di elogi da parte di nessuno perché andiamo, era oggettivamente meraviglioso, oppure come un’offesa per il paragone con la plebe. Rilasciò le labbra dalla morsa ferrea, gli angoli incurvati verso l’alto. «nessuno qui dentro ha abbastanza denaro per permettersi una mia performance» rispose, stringendosi anch’egli nelle spalle. «a meno che tu non voglia salire sul palco. In quel caso, potrei fare un eccezione» il sorriso si fece più rilassato e malizioso: Liam Callaway aveva il lanciato il guanto di sfida a Lady Chicken, let the game begin. Poggiò i gomiti sul bancone, intrecciando le dita fra loro: se doveva fare il barista, tanto valeva titillare ogni clichè: «cosa cerchi qua?» domandò vagamente curioso, andando subito al sodo della questione. Chiederle cosa l’avesse portata lì, sarebbe stato assai superficiale: ovviamente era alla ricerca di qualcosa che solamente il Lilum poteva donarle, così come gli altri avventori del locale. Sottolineare una donna come lei sarebbe stato sessista, senza contare che il Lilum era un ambiente di tutto rispetto e dalla clientela più varia. «Comunque già che sei lì puoi riempirmelo del primo alcolico che trovi sotto mano» Ah, allora era proprio parte della plebe più povera. Aveva l’aria, la donna dai capelli dorati ed il sorriso seducente, di essere consapevole non solo di sé stessa, ma anche dell’inferiorità altrui; pareva cresciuta sotto una campana di vetro, dove tutto le era stato dovuto, offertole su un vassoio d’argento con tanto di inchino. Era sempre stato un ottimo osservatore, ma anche se la sua deduzione fosse stata accurata, la cosa non l’avrebbe turbato particolarmente; non era il genere d’uomo che sventagliava ai quattro venti le lotte cui era andato incontro per arrivare dove si trovava, principalmente perché combattere gli piaceva – ed era una delle cose in cui era più bravo. Sarebbe stato di poca classe, come vantarsi delle amanti con gli amici. Il sangue con cui si era sporcato le mani valeva quanto, per Liam, i guanti bianchi che la donna poteva aver potuto vantare nel proprio passato.
    E poi, sinceramente, la storia della bionda era l’ultima cosa cui era interessato, più attratto invece dalle dita flessuose ed il sorriso morbido. La carne era debole, e Liam Callaway difficilmente cercava di resistere alle blande tentazioni umane. Che poi queste non si spingessero mai al di là di una notte fra lenzuola sudate e gemiti soffocati nel cuscino, non era di certo un problema suo (e non lo era mai stato per nessun altro). «con piacere» commentò cimentandosi nel più profondo degli inchini, levando poi gli occhi scuri sulla donna. Prese il bicchiere e senza voltarsi afferrò, letteralmente, la prima bottiglia che gli capitò a tiro, svitandone il tappo e versandola con professionalità e fluida eleganza nel contenitore di vetro. Solo dopo osservò l’etichetta, sorridendo lieve alla cliente. «non sei stata fortunata» ripose l’acquavite all’albicocca sullo scaffale, porgendo il cocktail alla donna prima di fare una mossa all’olio cuore, con tanto di mano sul bancone, e prendere posto vicino a lei con un sospiro soddisfatto. «ma possiamo rimediare» Nella mano destra stringeva una bottiglia di whisky ambrato; si portò un dito alle labbra, intimando alla donna di mantenere quel segreto fra loro. «non dirlo al mio capo, ha davvero un caratteraccio»
    Neanche ve lo sto a dire, che il suo unico capo era Dio.
    E se lassù non ci fosse stato nessuno, tanto meglio per Liam Callaway.
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    Belladonna si era sempre tenuta fuori da questioni di vario genere.
    Viveva una vita frenetica, a tratti caotica, e in perenne bilico fra un divertimento e un altro, senza stare a preoccuparsi del domani. Il Lilum per lei era una porta come le altre, quella dove aveva deciso di infilarsi quella sera per vedere dove, stavolta, l'istinto l'avrebbe condotta: e si sa, l'istinto della femme fatale raramente sbagliava, e ancora una volta seppe di aver fatto la scelta giusta quando si era rapidamente calata nella penombra di quel posto, lasciando che la musica riempisse le orecchie ma non risultasse troppo invasiva. C'era altro per quello, altro come l'alcol che bruciava la gola, o le carezze degli amanti.
    Per lei non era neppure stato difficile entrare, guardandosi attorno pensava che se ne dovevano vedere parecchie di clienti come lei, perse nel loro affascinante mondo fatto di perfezione- e che di quei spettacoli sapevano vedere solo l'eleganza di un corpo che sa bene come muoversi, come ammaliare. Belladonna ad una prima vista era superficiale, persa nel suo mondo in cui tutto era bello, tutto era pulito, e anche le azioni più deplorevoli nel loro piccolo potevano essere giustificate... per questo non poteva far altro che fermarsi a guardare col naso all'insù le ragazze e i giovani, credendo -forse fin troppo ingenuamente- nei loro amori carnali e passionali... Nulla che avesse vissuto sinora.
    Sospirò con una certa amarezza nel rendersi conto che i suoi amori erano stati così diversi da apparire nullità in confronto: rapidi, rubati, indolori si potrebbe dire- dopo le due di mattina, si chiama sveltina, no?, nulla che potesse in qualche modo avvicinarsi a ciò di cui la stavano illudendo. Per questo un po' li invidiava, un po' li trovava irraggiungibili- non avrebbe mai goduto di un amore così carnale e passionale da mozzarle il fiato, e forse, iniziava a credere, era lei stessa ad allontanarsene... temendo di finire delusa da tutto ciò che resta incompiuto e lontano.
    Belladonna poteva sembrare superficiale, ma nell'amore era così delicata che anche il più piccolo soffio di vento avrebbe saputo trascinarla via senza particolare sforzo. Tuttavia, guardandosi attorno, non si sentiva così male come poteva sembrare dallo stringersi di un cuore gonfio di aspettative- pareva una donna fatta e matura, perché era nei suoi modi e un po' si era calata nei panni della donna vissuta, com'era giusto che fosse ora che si ritrovava ad essere addirittura zia. Non che quel ruolo le andasse stretto, per carità, le aveva regalato gioie quanto angosce, ma doveva ammettere che ormai le pareva quasi strano pensare a come recuperare gli anni che le erano stati strappati. Erano volati via, che lei lo volesse accettare o meno: non li aveva vissuti ma non ne poteva nulla lei e non sembrava esserci modo di ritrovare -o
    sostituire- quanto sembrava essere andato perso.
    Soffiò con disincanto, cercando di restare il meno coinvolta possibile in quanto vedeva- del resto per quanto potesse lasciarsene ingannare, aveva anche la ragionevole sensazione di come tutto fosse stato costruito molto sapientemente, a rigor di logica per affascinare e illudere. Eccitare e incuriosire, ma bastava davvero poco per spezzare l'incantesimo che andava creandosi in quel luogo... e lei lo sapeva. Sorrise pigramente; non per questo avrebbe rotto l'incanto, era una signora, non la strega cattiva- da un certo punto di vista era quasi più divertente veder gli altri crollare mentre lei se ne stava composta a giudicare in silenzio, saggia e distaccata.
    Pareva quasi parte dell'ambiente, tanto si trovava a suo agio anche in un luogo in cui non aveva mai messo piede sinora: sia nel farsi eccessivamente coinvolgere che nel cercare di restare impassibili, era davvero facile finire per essere divorati da ciò che vi era attorno, confondendosi, come se si trattasse dell'ennesima cliente abituale o di una di quelle figure sgargianti, caduta dal proprio angolo di cielo per un drink. «touchè, dolcezza» il ragazzo apparso dal nulla la portò quasi a sorridere, di un sorriso molto diverso da quanto mostrato finora- era divertita, di un divertimento incuriosito che quasi rendeva maliziosamente interessato lo sguardo. Alzò le spalle in risposta, tornando ritta sullo sgabello con le gambe accavallate e i gomiti appoggiati all'indietro, sul bancone, elegante e austera- davvero l'ennesima immancabile figura di quel luogo.
    Il moretto -suvvia, poteva concedersi il vezzeggiativo dal momento che lo sentiva più piccolo -- o forse perché continuava a vedersi nell'ottica saggia della zia responsabile- aveva dei modi di fare a dir poco eleganti, e questo fu il suo primo punto a favore. Poi, dal momento che sapeva essere superficiale, anche il fisico asciutto e mascolino accompagnarono con un altro punto, portandola a girarsi verso di lui dopo davvero poco- che ci poteva fare, aveva un debole per i baristi!, ne avrebbe volentieri acchiappato uno per lasciarsi “alcolicamente parlando” mantenere da lui, aw. Tuttavia ancora non aveva inquadrato il suo ruolo all'interno del locale: non era stata detta con malizia la frase sul suo aspetto, perché Belladonna in fondo non era troppo difficile da capire- se voleva essere crudele, lo era senza troppi giri di parole. Andava riconosciuto che non smerciava complimenti, ma questo non doveva in alcun modo rovinare il pensiero fatto sul ragazzo: sei un bel ragazzo attraente all'interno di uno strip club, non sei un cliente -- conclusione: che ci lavori qui? *accento molto maccheronico*, nulla per cui offendersi. «nessuno qui dentro ha abbastanza denaro per permettersi una mia performance» oh. Questo suonò decisamente molto interessante alle orecchie della donna, che quasi parve illuminarsi e allungarsi più verso di lui, volendo come provare l'autenticità dell'affermazione che nulla aveva da invidiare a ciò con cui gli aveva risposto nell'ammettere che sì, se la intendeva bene con quella giovane. «audace» commentò assottigliando gli occhi per fissarlo, senza sapere quanto credergli o meno- questa era la magia. Potevano davvero raccontarle ogni cosa, e la donna avrebbe faticato a vedere il falso o il giusto nascosto dietro quelle che potevano tranquillamente essere battute, scherzi- «a meno che tu non voglia salire sul palco. In quel caso, potrei fare un'eccezione» «molto audace» rincarò mentre rideva divertita, dondolando quasi sullo sgabello prima di tornare immobile, con gli occhi incastrati nei suoi. Non stette nemmeno a chiedersi quanto vi fosse di mera provocazione o sagace invito «balleresti con me?» chiese, da una parte per sapere cosa effettivamente il ragazzo avrebbe fatto, dall'altra perché in realtà le piacevano quei “giochi”, la lenta e interessante seduzione con cui sapeva tranquillamente di giocare con altri esseri umani.
    A pensarci, fuori dal contesto, sapeva che si sarebbe gettata in qualsiasi genere di avventura senza timore, ma stavolta, non era esattamente la stessa cosa: pareva quasi una sfida, perché si sentiva un'anima affine al ragazzo e -ahimé- la cosa comportava quasi un bisogno di prevaricazione... come se due personalità forti fossero in qualche modo finite l'una accanto all'altra, nessuna delle due interessata a voler subire passivamente l'altra. E la cosa -andava specificato?- la stava letteralmente facendo impazzire, come una bambina, con gli occhi grandi a riflettersi nei suoi interessata e più che eccitata, trattenendosi -solo per costume- dal bruciare tutte le basi per ottenere la sua “vittoria”- che poi, in cosa consistesse il premio, neppure lei avrebbe saputo dirlo.
    Il ragazzo si chinò verso di lei, e in risposta Belladonna fece solo in modo che più quegli occhi si incastrassero, fin quasi a far male «cosa cerchi qua?» domanda interessante per un barista- o qualunque cosa effettivamente fosse, non erano ancora giunti ad una conclusione soddisfacente da quanto vedeva. Inspirò fin quasi a gonfiare il petto generoso, riflettendo con una certa comicità elegante nei movimenti pacati «se lo sapessi, non pensi che sarei già uscita?» spiccia, di poche parole- sapeva tagliare il discorso perché era una donna che non amava girare intorno alle cose, tutto di lei gridava ciò che voleva, lo gridavano gli occhi, con quello sguardo velato da malizia, e le labbra piegate in un morbido sorriso-- era una donna che andava dritta al sodo, e se avesse voluto qualcosa di specifico a quell'ora se lo sarebbe già preso. «mi piace pensare che anche stanotte, se qualcuno lassù vuole, me ne tornerò a casa con quello che ho trovato» che non doveva per forza essere un compagno o una notte infuocata, tanto meno qualcosa di cui accontentarsi. Oh no, Belladonna nemmeno sapeva il significato del termine accontentarsi, pigro rimasuglio di chi non aveva il fegato di strappare -a volte con le cattive- ciò che credeva di meritare... allargò il sorriso quindi, e le si illuminarono gli occhi nel vederlo armeggiare col suo bicchiere. «aspetta» e allungandosi posò le mani sui suoi occhi, coprendoli -senza in alcun modo premere- così da oscurargli la vista «per correttezza» faticando davvero molto a restare seria mentre il moretto prendeva la bottiglia di acquavite e la versava senza fare guai- solo allora Belladonna tornò seduta composta, con le mani posate sotto il mento, ad osservare l'operato con una certa nota di delusione. «non sei stata fortunata» piegando pigramente la testa di lato «magari la dea bendata stasera mi assisterà in altro» e senza mancare di allusività tornò a guardare il giovane negli occhi, svelando solo un po' dell'interesse che poteva provare nei suoi confronti- in fondo, la stava davvero divertendo.
    Persino la mossa di saltare il bancone le parve azzardata ma le provocò un sorriso divertito, sorpreso della decisione che non si sarebbe aspettata proprio in quel momento «ma possiamo rimediare» «ow» e i suoi occhi non poterono astenersi dal correre dal suo petto a ciò che teneva nella mano destra, un invitante whisky di cui volle sapere il nome quando, sporgendosi verso di lui, la mano si strinse sulla sua costringendolo a girare su se stessa la bottiglia «decisamente troppo audace» perché, da quel che se ne intendeva, doveva davvero essere uno dei migliori degli ultimi anni.
    Tornò a guardare il ragazzo, e non servirono parole quando le intimò di tenere la bocca chiusa a riguardo che immediatamente malevolo nacque il sorriso sulle labbra laccate di rossetto della donna «direi di andarcelo a godere in qualche luogo lontano da occhi indiscreti...» e senza complimenti saltò giù dallo sgabello afferrando la bottiglia, per poi incamminarsi, con le mani dietro la schiena, a passo lento lontano dai divanetti affollati, voltandosi solo per ammiccare al ragazzo e invitarlo a seguire quell'istinto che con facilità la condusse lontano dalle luci calde e dai corpi sinuosi.

    belladonna cavendish baudelaire
    life is awesome, i confess; what i do, i do best
    You Sit And Stay I Don'T Obey // by ms. atelophobia
     
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