Lonely but not alone

x clarisse beaumont

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    Zacarias Rui Gomes
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    Zacarias era uno di quelli che riteneva che la fine del turno di lavoro andasse sempre festeggiata, specialmente per i Guaritori. Era estenuante e faticoso sfrecciare da un punto all'altro del Pronto Soccorso, a maggior ragione se si era uno Specializzando come lui. Elaborare diagnosi, curare, dimettere, compilare cartelle, gestire il reparto era fottutamente stressante. Egli credeva tuttavia di essere fatto per quel lavoro, e niente gli faceva pensare che non era adatto a lui. Si impegnava al massimo, ci metteva cuore ed anima e non si lasciava sfuggire nulla. Ci metteva la testa, sempre, e non si lasciava distrarre, sebbene sembrasse un cascamorto impegnato a sedurre le povere Infermiere. In realtà era l'unica forma di intrattenimento che lo accompagnava nel corso della giornata, e di certo non se la faceva mancare. L'importante - diceva - è fare bene il proprio lavoro. I turni erano svariati e talvolta cambiavano. Erano come i camaleonti: si adattavano alle esigenze, seguivano il corso degli eventi e - se necessario - lo tenevano in ospedale per più di quarantotto ore. Quarantotto ore intense, certamente intermezzate da una pausa di almeno un'ora di sonno e, perché no, una di sesso. Senza contare l'obbligatoria mezz'ora per il pasto, che lo vedeva relazionarsi con qualsiasi forma di cibo-spazzatura che gli capitasse per le mani, dalle patatine piccanti, alle gelatine tutti i gusti più uno fino alle fette di torta che le infermiere si portavano per il pranzo, lasciandole incustodite negli spogliatoi. Era una vera faina del cibo, lui. O forse è meglio dire che era una vera faina, e come tale, rendeva sue vittime tante belle pollastrelle. Era entrambe le cose, insomma.
    Dopo uno di quei turni lavoro-cibo-sesso, aveva deciso, fin dall'inizio della sua Specializzazione, che avrebbe dovuto consumare le sue ultime ore di autonomia senza sonno in un locale, a sfondarsi di alcool. Quando e qualora sarebbe crollato... Niente, semplicemente avrebbe dormito, si sarebbe risvegliato in un posto sconosciuto, ma il giorno seguente avrebbe ripreso la stessa vita di sempre.
    Quel 27 di Ottobre, Zac aveva appena terminato uno dei turni più lunghi che avesse mai compiuto da sveglio, senza chiudere un occhio per nemmeno un secondo contato. Il Pronto Soccorso aveva dovuto ospitare i superstiti di una grossa manifestazione magica nel Somerset, in cui il crollo di una grossa trave di legno aveva provocato non pochi traumi e vittime. Il Guaritore aveva accolto quella notizia con grande entusiasmo. Gli erano stati affidati tre diversi casi, che aveva deciso di seguire fino al raggiungimento della staticità della loro condizione. Uno di loro era morto due ore dopo, il secondo si era stabilizzato nelle 22 ore seguenti, mentre l'ultimo aveva appena esalato l'ultimo respiro. Per quanto il brasiliano avesse lottato duramente per mantenerlo in vita, non ci era riuscito; inutile dire quanto questo avesse abbattuto il suo umore. Zacarias si cambiò nello spogliatoio, indossò una felpa bordeau spaiata, un paio di vecchi jeans, scarpe da ginnastica e portò con sé la bacchetta in Acero. Si materializzò ad Hogsmeade, alla ricerca di un nuovo pub in cui rintanarsi per la notte. Sebbene in realtà non ci fosse più nulla da festeggiare, se non l'unico dei suoi tre pazienti sopravvissuto, Zac aveva preso quell'abitudine come una ricorrenza. Non gli sarebbe dispiaciuto condividere quella follia con un amico, qualche volta. Peccato per il fatto che, forse per il suo carattere, di amici non ne avesse.
    Giunto nella High Street, si strinse nella felpa, mentre la brezza notturna spirava nella via principale della cittadina. Guardava le insegne scure e poco raccomandabili delle locande fatiscenti che frequentava solitamente, mentre un'insegna luminosa, in lontananza, predominava eccentrica sul paesaggio invernale. La scritta diceva "Fiendyre". Era la discoteca aperta da poco, da qualche anno circa, che rubava oramai la scena a quei locali umidi che anticamente servivano gli alcolici sotto banco agli studenti di Hogwarts. Ora che c'era la Fiendfyre, non c'era più bisogno di impuzzolentirsi i vestiti dal rancido delle vecchie botteghe. Dal canto suo, Rui non c'era mai stato. Era sempre stato incuriosito dalla luce lampeggiante, sicuramente frutto di qualche incantesimo dal momento che l'elettricità da quelle parti non funzionava, ma non si era mai azzardato ad avvicinarvisi. Quella sera, invece, era molto tentato. Mosse qualche passo in quella direzione, finché non si decise ad entrare, convinto anche dal freddo che ormai gli infestava le ossa.
    Come immaginava, dopo aver pagato un pedaggio di ingresso, fu immerso nell'oscurità, rischiarata in maniera confusa da luci di diverso colore, che si soffermavano maggiormente sulla parte centrale della sala, dove maghi e streghe stravaganti ballavano energicamente. Sul lato destro campeggiava il grande amico dell'uomo e di Zacarias Gomes: il bancone. Assordato dall'elevato volume di musica, certamente babbana, si lasciò andare su uno degli sgabelli di fronte al barman, ordinando immediatamente un'Acquaviola. Era lucidissimo, nonostante non chiudesse occhio da fin troppe ore, e non avrebbe mollato presto, ne era sicuro. Le luci e la musica, inoltre, avrebbero contribuito a non fargli perdere quella sfida.
    27th October 2015
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    Edited by intoxicated - 19/11/2015, 19:57
     
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    Era sera, tardi. Clarisse era fuori da qualche ora, in giro per le strade del Mondo Magico, doveva trovare un cliente. Da quello che aveva potuto appurare la francese al telefono, egli non sembrava conoscere per nulla l'ambiente e la faccenda in cui si stava cacciando. Cosa voleva? Aveva una commissione per lei, solitamente la francese selezionava la sua clientela in base ad un sesto senso e si vantava di non essersi sbagliata mai. Non voleva pacchi e non aveva nessuna intenzione di perdere del tempo parlando con gente che non sapeva ciò che voleva. Il giovane le aveva dato appuntamento in dark street, altro fattore che rimarcava il fatto che fosse nuovo di tutto quello, che fosse la sua prima volta. Si fanno scelte stupide quando non si conosce il settore di lavoro, la dark street era troppo scontata per scambiarsi informazioni su un uomo che doveva essere ucciso. La mora aveva cercato di spiegarglielo al telefono, prima velatamente poi con meno discrezione e più insistentemente, ma non c'era stato nulla da fare. Era uno stupido, lo sapeva ancora prima di averlo visto. E allora perché stava andando a quell'appuntamento che con molta probabilità si sarebbe rivelato uno spreco del suo tempo e, forse, pure motivo di delusione? Clarisse aveva bisogno di soldi, soprattutto ora che lei e May si stavano trasferendo a Londra. E, si sa, nei periodi di magra si accetta qualsiasi cosa arrivi. Per questo unico ma fondamentale motivo stava andando lì, nella strada più conosciuta dai maghi per tutto ciò non fosse proprio legale. Arrivò all'angolo in cui si erano messi d'accordo che si sarebbero visti e iniziò ad aspettarlo cercandolo in ogni persona che percorreva veloce quella via. Trascorsero cinque minuti, poi dieci e lui non si era ancora fatto vivo. Cassie sospettava che lui le avesse tirato un pacco bestiale ma non voleva ancora arrendersi all'evidenza, forse perché farlo l'avrebbe fatta arrabbiare ancora più di quanto fosse in quel momento. Poi però lui arrivò. Era un ragazzo sulla ventina, faccia pulita, si vedeva lontano un miglio che non fosse pratico di quell'ambiente e che forse non sapeva effettivamente quello che stava facendo. Camminava ciondolando senza avere il coraggio di guardarla negli occhi, Cassie strinse i denti appoggiata con una spalla al muro a braccia conserte. Lui le parlò un po' di chi fosse e di cosa volesse. Clarisse non ascoltò una parola che non fosse riguardante alla persona che voleva uccidere. Suo padre. La voce del ragazzo tremò nel pronunciarne il nome. La Beaumont chiuse gli occhi. Non c'era quasi nessuna eccezione, lei accettava quasi qualsiasi lavoro ma quello, uccidere un membro della famiglia del mandante, era una delle cose che non rientrava nei suoi servigi. Un no forte e deciso uscì dalla sua bocca. Il giovane la guardò sorpreso cercando di blaterare qualcosa ma lei gli ripeté la sua risposta e gli disse di andarsene. Non l'avrebbe fatto, per nessuna cifra. Quello girò i tacchi e tornò a spalle basse da dove era venuto.
    Così finito di trattare con il ragazzino e dopo aver sbuffato appena quello aveva girato l'angolo, Cassie si ritrovò a percorrere senza una meta precisa le vie di Hogsmeade. Era vestita come il suo solito in total black, una gonna corta di pelle aderente e una maglia con piccoli brillantini sulle spalle, un cappotto di un colore più spento sopra. I capelli le cadevano di lato acconciati in una treccia a lisca di pesce, il trucco sugli occhi era il suo classico smokey eyes nero. Aveva voglia di pensare ad altro, il pensiero di quel lavoro andato in fumo l'aveva fatta incazzare e anche parecchio, voleva solo non doverci più pensare. L'alcol era il rimedio adatto quando voleva cancellare ciò che le vorticava in mente, avrebbe affogato la rabbia in più di un paio di bicchieri. Ma non aveva voglia alcuna di tornare a casa a dar fondo alle bottiglie di whiskey che giacevano mezze vuote nella parte di credenza riservata agli alcolici. No, aveva bisogno di muoversi, di fare qualcosa. E poi se fosse tornata a casa avrebbe dovuto affrontare lo sguardo a punto interrogativo di Maylis e non aveva nessuna voglia di rispondere a delle domande in quel momento, né l'indomani. Risolse quindi che la cosa migliore fosse andare in un lounge bar e rintanarsi là fino al giorno successivo, cancellarsi quell'espressione nera dal viso e tornare dalla gemella il più tranquilla e rilassata possibile. In realtà non lo faceva solo per risparmiarsi la seccatura di rispondere a come fosse andato l'affare ma non voleva nemmeno turbare la sorella, sapeva quanto quella teneva a lei e non voleva farla stare male solo perché lei era di cattivo umore. Così la Beaumont vagava alla ricerca di un posto in cui investire il suo denaro in un afrodisiaco per mente e corpo. Il Fiendfyre, con le sue insegne luminose che facevano molto anni '80, faceva proprio al caso suo.
    Entrò pagando una miseria, nelle discoteche si adottava spesso la strategia economica e politica del le ragazze pagano meno così riusciamo ad attirare una clientela maschile più vasta. Sorrise, quella era sicuramente una buona occasione per trovare qualcuno con cui dilettarsi la notte che stava avanzando, ecco aveva già trovato un posto dove stare, nulla di meglio. Fece l'occhiolino al buttafuori e si diresse rapida verso il bancone del bar. «Prendo anche io un'acquaviola come lui» indicò il ragazzo che si trovava alla sua destra. Si voltò poi verso di lui per scrutarlo meglio; era un bel ragazzo, più o meno della sua età, forse dalle origini latine. Si ravviò i ciuffi corti che le cadevano sugli occhi sistemandoli dietro all'orecchio e sfoderò uno dei suoi sorrisi più luminosi. Al pensiero di quella serata, lontana da qualunque tipo di problema, si sentiva già meglio.
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    Edited by clàrisse - 14/12/2015, 00:01
     
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    La fine di un turno di lavoro, oltre a conciliare il sonno, conciliava tutti i pensieri che si erano accumulati nella giornata e che aveva messo da parte, per operare senza distrazioni. Uno ad uno sfilavano nella mente, facendosi spazio tra il bisogno di svagarsi e quello di bere qualcosa. Era proprio per quello, forse, che concludeva la giornata in un locale o in un pub a bere finché Morfeo non avesse deciso di prenderlo tra le sue braccia Se si fosse coricato, si sarebbe rigirato nelle coperte per tutta la notte, e gli ci sarebbero volute delle ore per addormentarsi. I pensieri che lo attanagliavano non l'avrebbero mollato presto. E quindi, cosa c'era di meglio di una bella sbronza scacciapensieri? Sfortuna che l'alcol ormai lo reggeva fin troppo bene e gli ci sarebbe voluto più di un bicchiere per pensare ad altro, o meglio, non pensare proprio. Per questo motivo, era solito trangugiare gli alcolici come fossero bicchieri d'acqua dopo una giornata trascorsa sotto il Sole cocente africano. Li mandava giù uno dopo l'altro, cercando comunque di non crollare nel tanto temuto sonno. Doveva vincere quella sfida e riuscire a tornare con le sue gambe nell'appartamento a Colchester.
    Quando il barista gli preparò la prima Acquaviola, Zacarias la bevve d'un fiato e scrutò il fondo del bicchiere attraverso di esso. Non che trovasse qualcosa di interessante nella sua sfericità o nell'ultima goccia rimasta, ma le preoccupazioni stavano iniziando a venire a galla. Ripensava alla sua giornata, ai tre pazienti, alle morti, al reparto... E poi, come sempre, il ricordo del Laboratorio tornò a tormentarlo, rivangato dall'immagine del San Mungo e dei suoi corridoi, tremendamente simili a quelli dello stesso posto in cui avevano cercato di sottrargli i poteri. Lo stesso fottutissimo posto in cui si era profondamente innamorato di Octavia, che non sentiva da troppi giorni. Meccanicamente, infilò la mano nella tasca e produsse il telefono cellulare babbano che aveva acquistato per restare in contatto con lei. Stava imparando ad usarlo. Alla fine, bastava soltanto guardare lo schermo e premere su di esso per comporre i numeri e le parole. Continuava comunque a pensare che le missive e i gufi fossero di gran lunga più all'avanguardia. Lo schermo nero era vuoto. Nessun messaggio, nessuna telefonata. Otto era scomparsa dalla circolazione, non che si trattasse di un fatto imprevedibile, dal momento che la ragazza riusciva a stupirlo ogni volta, ma iniziava comunque a preoccuparsi. Cosa poteva esserle successo? Probabilmente stava soltanto iniziando ad ignorarlo. Il suo carisma non aveva fatto abbastanza, forse. Magari era riuscita a far tornare in sé Elijah, lo scienziato pazzo che l'aveva fatta fuggire dal Laboratorio prima che gli venisse cancellata la memoria. Lottava per lei e il suo cuore da così tanto, che oramai non soffriva più. Era diventato immune a quella sofferenza, aveva messo il cuore in pace: lei amava lui. Ma allo stesso tempo pretendeva di rimanere in contatto con lei, di sapere che stava bene, che era tutto ok. Non chiedeva nient'altro.
    Comunicò con un cenno all'uomo oltre al bancone di servirgli un'altra Acquaviola, e quello obbedì. La musica alta, la luce soffusa e il forte vociare dei maghi lo stava aiutando a restare sveglio, ma è inutile dire che le palpebre avevano iniziato a pesargli. Quanto avrebbe voluto potersi sdraiare e addormentarsi nell'immediato. Bevve un buon sorso dell'alcolico, deglutendo a fatica, quando una giovane ragazza si avvicinò al bancone, ordinando un'Acquaviola. Nel farlo, lo aveva indicato e aveva iniziato ad osservarlo. Gliela stava servendo su di un grande piatto d'argento. Il Guaritore mandò giù l'ultimo sorso e batté il bicchiere sul bancone, dedicando un occhiolino eloquente al barista. Senza esitare ulteriormente, si girò sullo sgabello, posizionandosi lateralmente verso la ragazza. Doveva essere molto giovane e poteva quasi dire avesse l'età di Octavia, su per giù. Indossava una gonna corta in pelle, che aderiva sulle cosce e la rendeva estremamente sexy. Zac si gustò quella visione per qualche secondo, contemplandola dalla testa ai piedi, per poi fare un fischio di approvazione. Fischio che, per altro, si sarebbe sentito poco dato l'elevato volume della musica. La sferzò con un ghigno beffardo, puntando i suoi occhi in quelli di lei. - Da quando le minorenni possono bere? - chiese, in parte rivolto all'uomo del bancone, sorridendo. Si voltò verso di lui e con sguardo plateale gli soffiò - Offro io per la cosce da schianto -. Tornò a guardarla, allungando una mano e ammiccando più volte - Zacarias, encantado -. Oh sì, carne fresca. Aveva fatto più presto del solito a trovare la sua vittima d'amore. Pregustava già il sublime odore di marcio del vicolo dove se la sarebbe sbattuta. Era quello di cui aveva bisogno: sesso e alcol. Erano le uniche cose in grado di distrarlo dai pensieri. L'immagine di Octavia non svaniva mai, quello era scontato, ma l'avrebbe rimpiazzata con la sua nuova sciaquetta.
    Il barista gli servì l'altra Acquaviola. Il brasiliano la agguantò con grazia e la trangugiò come le altre due, badando che la ragazza lo stesse guardando. Quanto adorava pavoneggiarsi in compagnia dell'altro sesso.

    27th October 2015
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    Edited by intoxicated - 19/11/2015, 19:58
     
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    Con il trasferimento a Londra la sua vita si stava riempiendo di uno stress che mai avrebbe pensato. Non era abituata a quei ritmi, a dover scegliere cosa portare via dalla casa a Lione e cosa invece lasciare. Erano passati ormai quasi cinque anni da quando lei e Maylis si erano trasferite in quell'appartamento che dava sul fiume, lì, lontano dal vecchio maniero del padre. Si trovava bene a Lione, era un bel posto, tranquillo, e non era mai stata sua intenzione quella di cambiare casa. May con quella novità le aveva stravolto tutti i piani. Non fraintendetemi, Clarisse non era una ragazza che amava fare piani o che organizzava le sue giornate secondo qualche schema specifico, anzi, non aveva mai preparato nulla in vita sua ma fino a cinque minuti prima di ritornare a casa quella sera se avesse dovuto pensare al suo futuro l'avrebbe visto a Lione, o almeno in Francia e invece... Il Ministero della Magia aveva assunto May come pavor e adesso lei si ritrovava a fare quello che mai avrebbe voluto fare: ordine. Ordine tra le sue cose, ordine tra i suoi vestiti, tra i suoi gioielli, tra le sue scarpe e borse. Ordine sulle armi da portare via, ordine su tutti e avrebbe dovuto buttare via parecchie cose poiché May era stata tassativa: una valigia. Una valigia in cui far stare tutto, una valigia grande okay ma una sola, era un modo per capire cosa davvero era importare e poter in qualche modo ricominciare, a Londra. Non le piaceva come idea ma la mora aveva accettato, aveva imparato su cosa era meglio non fare storie con la gemella e lamentarsi per il trasferimento era una di queste. Tutto questo era successo proprio a lei che amava il disordine, che amava accumulare oggetti inutili per il solo gusto di farlo. Non era strano infatti che di tutta la casa la parte più incasinata fosse la sua stanza, era un disastro, proprio come lo era lei. Carte ovunque, i cassetti strabordavano di biancheria mal riposta mentre le ante dell'armadio non si chiudevano a causa dei maglioni accatastati sul fondo mentre appendini vuoti facevano le ragnatele appena sopra.
    Tra tutta quella noia e il lavoro che andava un po' a rilento Cassie aveva bisogno di sfogarsi, di stare un po' senza pensare a fare la cosa che sapeva fare meglio, dopo l'uccidere, ovvero il rimorchiare, anzi, far credere agli altri di averla conquistata. Ed era proprio per quel motivo che quella notte si trovava al Fiendfyre, con addosso dei vestiti che mai avrebbe lasciato in quello che era diventato ora il suo vecchio appartamento. Il ragazzo che aveva puntato face roteare lo sgabello per mettersi accanto a lei. Il fischio che ne seguì chiarificava senza alcun dubbio il suo parere; la minigonna di pelle faceva sempre bene il suo lavoro. Ora che lo poteva osservare meglio, senza che le strane luci della discoteca alterassero di troppo i suoi connotati, lui pareva ancora più carino. Non doveva essere troppo più grande di lei e aveva quel pizzico latino che aveva trovato raramente negli uomini con cui era andata fino a quel momento: le piaceva.
    "Da quando le minorenni possono bere?" Da quando lei sembrava una minorenne? La seccatura si vaporizzò subito, nel momento in cui la francese capì come sfruttare la cosa a suo piacimento. Lui la considerava una ragazzina, un'ingenua che avrebbe riuscito a far sua senza alcun problema. Lei ci avrebbe giocato sopra. "Offro io per la cosce da schianto" Arrossì volontariamente e sorrise timidamente nascondendo il viso puntando lo sguardo verso il basso. Quella notte sarebbe stata il tenero agnellino, la ragazzina giovane ed inesperta: sarebbe stato divertente. Il castano allungò la mano (no, non in quel senso. Anche se Cassie avrebbe scommesso che non sarebbero trascorso troppo tempo prima che lui ci provasse veramente) per presentarsi. "Zacarias, encantado". Lei fece lo stesso «Primrose», un altro sorriso. Tra gli assassini si faceva chiamare Rose, Primrose era un po' la sua altra identità. Osservò il giovane trangugiarsi due acquaviole. Si stava mettendo in mostra, era un pavone gonfiato ma a lei andava bene così. Le piacevano le persone che bevevano, lei stessa lo era. «Non so se fai bene ad offrirmi da bere, ho voglia di ubriacarmi 'sta sera!» Aveva voglia di bere, aveva voglia di cancellare tutti i pensieri che le frullavano in testa ma soprattutto aveva voglia di annullarsi lei. Doveva scomparire quella notte, non ci sarebbe stata nessuna Clarisse Beaumont quella sera, nessun sicario di Lione, nessuna combattente, ma solo una ragazza che voleva soddisfare le sue voglie e quelle del concentrato di testosterone che aveva davanti. Sarebbe stata Primrose, una ragazzina dalla voglia di un corpo caldo su di lei, sarebbe stata quello che in realtà era, per quella notte. Avrebbe seguito i suoi istinti animali e basta, niente romanticherie, solo mero sesso occasionale. Era bello non avere legami, era bello farsi scopare e basta. Aspettava solo che lui se la facesse, aspettava solo il sublime odore di marcio del vicolo dove se la sarebbe sbattuta -cit.
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    Edited by clàrisse - 13/12/2015, 23:59
     
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    Zacarias Rui Gomes
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    Zacarias non aveva idea di quanti abbandoni, in media, potesse sopportare una persona, senza considerare il carattere, le attitudini e le reazioni, prima di trovare un punto di collasso. Dal canto suo, da quando la madre aveva lasciato lui, il padre e Leonel, affrontava quel tipo di situazione in maniera difficile, la prendeva sempre come una questione di Stato e rare erano le volte in cui riusciva ad accettarlo, senza prima farsi perdonare. Quello di Octavia, in particolare il non rispondere ai suoi messaggi e alle sue chiamate, era un abbandono quotidiano; ogni fottuto giorno una pugnalata in pieno petto, che ricuciva per essere riaperta. Ma Zacarias, per quanto non lo desse a vedere, era clemente e paziente - forse solo nei suoi confronti - e riusciva a tornare sui suoi passi, solo per strapparle uno sguardo, un sorriso, un cenno di consenso, qualsiasi cosa che gli lasciasse pensare di aver fatto la cosa giusta, di essere ad un passo in meno di distanza da lei. A Octavia Cronenberg era perdonato tutto, forse più di quanto fosse perdonato alla madre babbana. Ed era quello il motivo per cui illudeva le donne per poi piantarle in asso dopo una notte di sesso: riversava il suo quantitativo di abbandono personale, che custodiva nella psiche lesa e ferita, sulle donne, sperando di poterne trarre conforto o soddisfazione. Si trattava di un processo involontario, ma certamente messo in atto in tutta lucidità - alcolici a parte.
    Quella giovane fanciulla che sedeva a qualche decina di centimetri di distanza dal suo corpo rilassato sullo sgabello del bancone, una gamba distesa e l'altra fletta, ancorata al poggiapiedi della sedia, la mano sinistra infilata nella tasca dei jeans per una sola falange, l'altra a rigirare distrattamente il bicchiere appena svuotato, a cui non dedicava apparentemente alcuna attenzione. I suoi occhi castani erano intenti a studiare con sfocata preziosità la silhouette accattivante della ragazza. Si soffermavano più volte sulla minigonna e su quel tratto di coscia che essa lasciava intravedere peccaminosamente. Con uno schiocco sgraziato delle dita e un ghigno poco presente, ordinò l'ennesima Acquaviola - la quarta, precisamente - che avvicinò svelto alle labbra, senza però distogliere l'attenzione dal suo filoncino di pane appena sfornato. In lei non vedeva altro che una delle tante, una da sbattere ed abbandonare nel giro di poco tempo. Non riusciva a vedere altro nelle donne, non che lo facesse con cattiveria, ma l'unica persona che riusciva a distinguere dalla massa attraente e del gentil sesso, era Otto. Non si immaginava nemmeno lontanamente di intraprendere qualcosa che andasse oltre il rapporto sessuale con una delle sue donne qualsiasi.
    Sfilò, con estrema baldanza, il sorrisetto beffardo, quello da "sei già mia", e finalmente stanziò lo sguardo sul suo. Gli occhi, chiari - forse blu -, giocarono su di lui un effetto quasi nullo: in essi non vedeva la profondità che scorgeva in quelli della Cronenberg. Le sensazioni che agitavano il suo animo quando la babbana era nei pressi, non riaffioravano che in sua presenza. Avrebbero potuto trasferire i suoi occhi, le sue labbra o qualsiasi sua caratteristica fisica su chiunque altro, ma lui non si sarebbe mai sciolto come quando era in sua compagnia.
    Le mani si intrecciarono e il ghigno del brasiliano si fece più largo e, per qualche motivo, inquietante. La ragazza, dai lineamenti melliflui e delicati, si presentò con il nome di Primrose; Zac, per quanto già in parte assuefatto dai fumi dell'alcool, non era ignorante e nemmeno stupido. L'accento della giovane donna, che aveva percepito appena, dato l'alto volume della musica che risuonava in tutto il locale, tradì immediatamente le sue origini, così come il nome. La R roulé tipicamente francese svelò parte del suo passato, sebbene aprisse soltanto una grossa ed incolmabile parentesi. Non gli restava che approfondire il rapporto, ed utilizzare quell'informazione - o meglio, intuizione - a suo vantaggio, per protrarre quella conversazione e, perché no, farla sfociare a ciò che ambiva.
    - Mi piaci già - commentò, quando dichiarò di volersi ubriacare, mentre le labbra sudamericane del guaritore si sciolsero in un sorriso che non lasciava spazio a fraintendimenti. - Un'altra Acquaviola - comunicò con tono quasi sprezzante al barista, corredato ad un cenno secco della mano. Lo sguardo resse, per tutto il tempo, quello chiaro della ragazza, se questa avesse deciso di non abbassarlo. Zacarias mandò giù l'ultimo sorso del suo alcolico, deglutendo a fatica e leccandosi eloquentemente le labbra, in modo comunque contenuto.
    Tutt'attorno a sé, la vita procedeva. Schiere di maghi e streghe danzavano a ritmo di musica e non, chi in maniera scatenata, chi elegantemente, chi in modo tranquillo e rilassato. Alcuni ascoltavano semplicemente la musica, altri sedevano ai divanetti disposti lungo le pareti della sala, nei pressi di bassi tavoli coperti da bicchieri vuoti. La calca affollava una grossa pista, su cui le luci proiettavano colori, lampeggiamenti e flash. La musica sovrastava le voci, le risate, le urla, i canti e tutto ciò che le bocche altrui emanavano nelle loro sensazioni, stimolate da chissà quale fonte.
    E poi c'era lui, i sensi lievemente appannati dall'Acquaviola, lo sguardo fisso sulla sua nuova preda. Gli occhi di lui studiavano i giochi di ombra che la luminosità della stanza produceva sul suo volto, dandole una nota oscura e più attraente di quanto già non fosse. Fece per parlare, quando si accorse che la musica era più alta e non l'avrebbe potuto sentire. Così, in modo cauto ma deciso, senza sembrare troppo brusco, si sbilanciò verso l'orecchio destro, nascosto dalla chioma castana, domandandole - Vieni dalla Francia? Sei qui in viaggio? -. Stette ben attento a produrre un soffio leggero, che potesse accarezzarle l'orecchio e muoverle i capelli, mentre glielo chiedeva. In realtà immaginava avesse soltanto origini francofone, dal momento che si trovava da sola e lo aveva compreso perfettamente, fino a quel momento. A meno che non fingesse. Inoltre, ella avrebbe certamente inteso il suo accento straniero, che, sebbene non fosse troppo marcato, attirava l'attenzione di molti. Erano pochi a riconoscere si trattasse di quello brasiliano, ma era facile comprendere venisse dal Sudamerica.
    27th October 2015
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    Non era entrata in quella discoteca per farsi ammirare dai ragazzi con gli ormoni su di giri, non solo almeno. Aveva voglia di bere, di ubriacarsi come non lo faceva da un po', ma soprattutto aveva bisogno di sentire il calore di qualcuno sulla pelle. Non era importante chi egli o ella fosse, doveva solo aver bisogno di lei quando lei ne aveva di lui/lei. Si sentiva molto sola, sebbene non avrebbe avuto il coraggio di rivelarlo nemmeno a Maylis. A volte piangeva, così, senza che ci fosse un apparente motivo. Si era autoconvinta che la vita che si era ritagliata un po' qui e un po' lì fosse perfetta per lei: nessun attaccamento sentimentale, nessuno a cui essere legata. Le piaceva molto la sua libertà e non l'avrebbe scambiata per nulla al mondo e allora perché a volte si svegliava nel cuore della notte con le lacrime agli occhi mentre si stringeva nelle lenzuola? Clarisse Beaumont era un enigma tanto per se stessa quanto per gli altri. Non riusciva a darsi pace, il suo animo era continuamente in lotta, spesso solo contro il vento. Aveva bisogno di calore umano ed era ciò che quella notte stava cercando. Aveva voglia di fare sesso. Voleva sentire la pelle dell'altro a contatto con la sua, affondare le unghie nella sua carne nel mentre dell'orgasmo che le avrebbe fatto dimenticare per un attimo chi fosse e cosa stesse cercando. Aveva bisogno di annullare tutto. Era una notte come un'altra e non la prima in cui quelle sensazioni ossessivamente ostinate le pervadevano le membra. Sembrava quasi che il suo corpo non riuscisse ad andare avanti senza quelle sveltine, e sapeva di non essere l'unica. Non era la sola dentro il Fiendfyre a cercare compagnia per una notte che non avrebbe saputo affrontare con l'ausilio delle proprie forze. E poi era una bella ragazza, non avrebbe fatto troppa fatica a trovare qualcuno che volesse perdersi all'interno del suo corpo.
    Il ragazzo che stava a non più di manciate di centimetri da lei aveva sicuramente capito cosa la francese volesse, non c'erano in effetti troppi motivi di incomprensione. Lui desiderava la stessa cosa, entrambi sapevano quale sarebbe stato l'epilogo di quella serata e vibravano caldi nell'attesa. Sembrava un ragazzo carino, non uno dei soliti microcefali che frequentavano quei posti. Le sue mani delicate e curate indicavano che egli svolgesse qualche impiego di una certa importanza o, perlomeno, qualcosa che sarebbe potuto essere definito dai più rispettabile. Aveva il viso pulito ma il cipiglio da chi sapeva ciò che voleva e, soprattutto, l'otteneva sempre. Le piaceva, ed era da considerarsi un'eccezione: non erano tanti quelli che piacevano alla Beaumont. Ma non era importante, l'unica cosa che interessasse alla ragazza in quel momento era che lui covasse dentro di sé gli stessi desideri nascosti. Ed era così.
    Si era presentata come Primrose, col senno di poi non sapeva se aveva fatto una buona scelta, forse colui che aveva davanti le ispirava abbastanza da dargli il suo vero nome. Ma, in fondo, chi se ne importava? Se lo sarebbe dimenticato dopo qualche altro bicchiere. Così come lei non aveva nessun interesse nel tenere a mente quello spagnoleggiante Zacarias.
    "Mi piaci già". Era impossibile che lei non gli piacesse, glielo leggeva nelle pieghe delle labbra che si continuavano ad allargare in sorrisi tipici del pescatore che ha appena preso all'amo la sua succulente cena. Molto più spaventoso che cordiale, Clarisse lo riteneva eccitante. "Vieni dalla Francia? Sei qui in viaggio?" le sue labbra pericolosamente vicino al suo viso. «Vengo dalla Francia e no, non sono qui in viaggio» Gli sorrise appena spostandosi e rivolgendo la sua persona verso il barista. Bevve in un sorso l'acquaviola che lui aveva ordinato per lei. L'effetto dell'alcol iniziava a sentirsi, lo avvertiva nella lentezza con cui ora richiudeva le palpebre, le musica sbatteva soffice sulle sue orecchie per poi esplodere in modo quasi fastidioso a contatto con i timpani. Ok, era il momento di scollarsi da quel bancone e di lasciare il tempo all'alcol per circolare attraverso tutto il suo corpo. Si alzò dallo sgabello, senza dare alcuna importanza al fatto che la gonna le fosse salita un poco, e si avvicinò al giovane annullando lo spazio tra il suo petto e quello dell'altro. Accostò il viso al suo, i loro nasi si sfiorarono appena, erano così vicini che sarebbe bastato un soffio perché le loro labbra si toccassero. Le piaceva avvertire la tensione che c'era tra loro, quelle vibrazioni di un piacere atteso, si leccò appena le labbra all'idea. «Balliamo?» la voce uscì calda e sensuale, mentre la sua mano era persa a giocherellare dietro l'orecchio del brasiliano.
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