Un dannato labirinto

X Roxenne ♥

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    Una luce biancastra, pallida come un riflesso di luna in una notte nuvolosa, fu il suo ultimo respiro. Poi, lo schermo si colorò di una terribile scia blu, e la scritta "samsung", solo di passaggio, segnalò che questa volta era davvero la fine.
    No bello, andiamo andiamo andiamo! Appoggiato al muro interno della scuola, stretto nella sua camicetta troppo leggera, Sean stringeva speranzoso il suo cellulare ormai completamente scarico. Andiamo, bello, non mi lasciare...
    E invece lo lasciò. Era settembre, e il cielo non era ancora totalmente scuro, anche se qualche nuvola grigia annunciava che quella non sarebbe stata la notte migliore del secolo. Faceva freddo, e la sua sensibilità-per-le-cose-fredde non aiutava. Era freddo di per sé Sean, aveva il sangue di un serpente, o di un vampiro, o comunque di una persona senza cuore e senz'anima, cosa che da un lato lo faceva sentire molto figo, dall'altro gli faceva venire una rabbia in corpo che quella di Maria dopo che le ammazzarono il figlio non è niente in confronto. Perché d'inverno Sean gelava, gelava letteralmente come i serpenti, e anche se era solo settembre i suoi sensori lostavano avvisando che quella non sarebbe stata una nottata per niente clemente.
    Già, era solo settembre. Sospirò. Sean era a Hogwarts da così poco. Che poi, "Hogwarts" era un modo di dire. Stava negli alloggi degli sfigati, quelli vicino al platano picchiatore. Bel panorama eh, ma si sentiva piuttosto isolato. Ancora non ricordava bene i nomi dei suoi compagni di dormitorio, e in quello delle ragazze non solo ancora non c'aveva messo piede #stranomlml , ma non aveva proprio visto l'ombra di una femmina attraversare la soglia della porta. E' vero, era stato poco negli alloggi: era tutto così nuovo che si era ritrovato costretto a scegliere come priorità il gironzolare senza meta per perlustrare quel mondo ancora così distante e... beh, i rapporti sociali sarebbero arrivati dopo.
    Inoltre, Sean non era un campione a memorizzare i volti delle persone. Aveva passato quei pochi giorni nella scuola a guardarsi intorno come una giovane marmotta buttata in tangenziale (che brutta immagine), a ispezionare faccia dopo faccia pensando a quanti di quei maghi fighetti dovesse aver già visto nei laboratori senza ricordarsene. Già, forse il motivo più plausibile era che là dentro Sean era troppo occupato a pensare ai suoi poteri e a fare il deficiente con Deimos per degnare di una minima considerazione le altre persone che gli rivolgevano la parola, e che ora aveva resettato completamente.
    Diavolo, sono proprio un pezzo di merda, di disse passandosi una mano tra i capelli. Si trovava in un corridoio, uno dei tanti, chissà quale: Hogwarts era un dannato labirinto. La sua unica certezza era che si trovava davanti ad un enorme arazzo raffigurante una scena confusa, tipo con due amanti e un lago e un...drago? Okay, l'arte medievale non fa per me,, pensò scrollando le spalle. Non aveva ancora visto quell'arazzo o se ne sarebbe ricordato, e il pensiero di essersi perso stava diventando sempre di più una certezza. Rinfilò il telefono in tasca: la speranza era l'ultima a morire, ma beh, alla fine muore anche quella, e l'affluenza di mainagioia nella sua vita aveva fatto in modo che il suo stupido samsung si scaricasse prima che potesse mandare un messaggio di soccorso a Dakota, con scritto qualcosa tipo: "da dove diavolo si esce da' sta prigione maggica" o "VIENIMI SUBITO A PRENDERE". Perché Dakota? Lo conosceva da meno tempo di Deimos, ma un vago presentimento gli diceva che Dak fosse più affidabile, anche se giudicandolo dal suo taglio di capelli non gli avrebbe dato un centesimo; o perlomeno, sembrava uno di quei tipi che il telefono lo guardano spesso. Non chiedetemi perché, era solo una sensazione.
    Ma beh, il suo cellulare aveva esalato l'ultimo respiro prima che Sean potesse inviare il secondo messaggio. E il primo, beh, conteneva solo l'esortazione iniziale, il classico. "Dak, porca merda" che inaugura l'annunciazione di brutte, BRUTTE notizie.
    Perché Sean aveva avuto la brillante idea di farsi un giro per Hogwarts, quella sera. Non che fosse una cosa strana, da quando era arrivato finiva a gironzolare per il castello quasi ogni pomeriggio. In fondo, era il castello in cui avevano studiato sua madre, suo padre, e poi Jade e Lienne.
    Non proprio in quest'ordine ma YOLO.
    Era come un mito per lui, una sorta di leggenda che fino a poco tempo prima sarebbe stata irraggiungibile.Voleva imparare a conoscere quel posto e i suoi nascondigli come lo conoscevano loro, magari senza continuare a perdersi nei corridoi, anche se le cose sembravano essersi rivelate più difficili del previsto. Ma quel giorno era arrivato più tardi del solito, e nonostante si fosse ripromesso di tornare al suo dormitorio prima del coprifuoco, ovviamente non ce l'aveva fatta, un po' perché come sempre aveva perso la cognizione del tempo, un po' perché mannaggia al clero aveva imboccato quelle dannate scale, che improvvisamente, PUFF, avevano cambiato direzione. Non c'era da sorprendesi, okay, lo sanno anche i bambini: alle scale piace cambiare, ma mica uno può ricordarsi tutto no?
    Non che l'idea di rimanere per la scuola dopo il coprifuoco lo spaventasse, non era un ragazzo così facilmente impressionabile. Dubitava che qualcuno si sarebbe accanito su di lui solo per un piacevole giretto per i corridoi di Hogwarts alla ricerca di una via di fuga, sant'iddio, non stava mica ammazzando nessuno; per non contare il suo superpowa potere di controllo delle ombre che avrebbe potuto farlo fluttuare felicemente nella dimensione oscura confondendolo con il buio del palazzo.
    Quindi ACAB.
    Mani nelle tasche, attraversò con noncuranza il corridoio guardandosi attorno come un bambino al luna park, fischiettando allegramente. Visto l'orario e la natura cacasotto degli altri studenti, Sean aveva deciso che se la sarebbe presa con comoda continuando il suo piacevole giro turistico senza rischiare di essere interrotto o infastidito dall'irritante presenza umana. Il corridoio era illuminato da una luce fioca. "Non dovresti gironzolare a quest'ora, giovanotto!" Sentì alle sue spalle, ma gli ci volle poco per capire che la voce proveniva da un quadro. Risolse la faccenda sfoggiando un bel dito medio e continuò baldanzoso la sua ispezione, diretto verso le scale più vicine. L'obiettivo? Fare un giretto dei piani superiori, tornare alla sala grande e uscire senza dare troppo nell'occhio.
    Già, ora bastava solo aspettare il buio.
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    Il lavoro del prefetto era tutt'altro che semplice, sopratutto se si poteva chiamare "Lavoro". Io lo preferivo chiamare "sfruttamento di minori per non spendere altri galeoni assumendo guardie notturne". La voglia di andare in giro per la scuola di notte, a controllare se ci fosse qualche bambinetto stupido dietro l'angolo che soffre di manie di ribellione, è pari allo zero, sopratutto in serate come quella. L'autunno era arrivato da un bel po' e ci trovavamo in quel periodo dove svestirsi e mettersi qualunque cosa addosso era troppo faticoso e il freddo ti assaliva come se fosse un leone che agguanta la propria preda. Sono sempre stata una ragazza un po' pigra di fondo, che si scoccia di fare un po' tutto e che preferisce l'avventura ai controlli notturni, ed l'inverno è sempre stato il momento in cui spegnevo la lampadina nella mia testa e me ne andavo in letargo per un paio di mesi, facendo la nullafacente tutto il giorno. Quando avevo accettato, tramite la lettera, questo incarico, non mi aspettavo di certo tutto questo, ma mi aspettato privilegi o qualcosa di simile, qualcosa che mi aiutasse a scappare dall'oscurità che la scuola stava accumulando. In parte l'avevo fatto anche per funzionare come spia per la ribellione, lo ammetto, ma le informazioni ultimamente erano nulle e quelle che arrivavano non erano manco tanto importanti da comunicare con urgenza. Mentre guardai tutte le mie compagne di stanza rimboccarsi le coperte con uno sguardo di un ragazzo a dieta mentre guarda i propri amici mangiare il gelato, decisi di iniziare a prepararmi, altrimenti sarei potuta andare nel mondo dei sogni da un momento all'altro. Indossai la solita mantella grifondoro invernale di tutti i giorni, azzeccando il distintivo sulla tasca laterale, ben visibile, in modo che i fantasmi dei quadri non potessero accusarmi di essere una fuorilegge. I quadri sono sempre stati delle spie, e probabilmente sarebbero l'ultima persona(cosa) a cui direi un mio segreto, non sanno tenere la bocca cucita neanche se li pagassi in qualche modo. Dovevo ammettere che ero invidiosa delle mie amiche, ma con uno sforzo di coraggio presi la bacchetta e la infilai nella tasca abnorme di quella mantella e me ne uscii silenziosamente per non disturbare il silenzio.
    Il freddo nei corridoi era tre volte maggiore della stanza e gli spifferi che passavano tra una mattonella e l'altra ti facevano sembrare di stare all'aperto invece che nella scuola. Almeno non pioveva, e la luna era ben visibile dalla finestra appena fuori dalla mia stanza. Penso di essere sempre stata affascinata dalla luna, l'unica cosa di veramente interessante in quel mondo sottosopra. Camminai tramite i corridoi e tra un tratto e l'altro fui costretta ad usare la mia bacchetta per illuminare la zona dato che molte fiaccole erano state spente dagli spifferi di vento. Lumos pronuncia per l'ennesima volta illuminando la zona con la mia bacchetta e camminando sotto il muro per non calpestare qualcosa di strano, come topi o qualche insetto.
    EHI TU! Sobbalzai stringendomi al muro e cercando di illuminare davanti a me con la bacchetta, notando che a chiamarmi era stata una signora da un quadro. Ma che fai? Sei una vera Maleducata...ehi, non è che mi faresti un favore? la guardai stranamente riprendendomi dallo spavento e illuminando il suo viso. Aspetta, prima mi dai della maleducata e poi mi chiedi un favore?...oggi mi sento magnanima, che vuoi? Dissi guardandola con occhi storti, non mi erano mai stati simpatici i volti dei quadri, avevano un non so chè di sinistro e di loro non ti potevi fidare mai, solo la signora del quadro davanti all'entrata della casa grifondoro mi era simpatica. Accendimi le fiaccole, ahimè, non vedo che oscurità quaggiù, da circa due ore. Fallo e ti dirò un segreto. Disse alzando le sopracciglia come se la cosa fosse davvero molto interessante, ma a dir la verità me lo aspettavo. Sospirai spegnendo la luce della mia bacchetta e puntandola verso il bastone che stava sul muro di fronte Incendio. dissi lanciando la magia.
    Le fiamme mangiarono il tronco in poco tempo e la zona fu di nuovo ben illuminata. Lo sai che se qualcuno ti dice un segreto è perchè si fida di te e non lo vuole far sapere agli altri ? mi girai verso la signora del quadro che appariva felice dalla nuova illuminazione del suo luogo. Non è proprio un segreto ma ho visto passare un ragazzo di qua e non aveva nessun distintivo da prefetto! E' andato verso destra ed io ti consiglierei di acchiappa- Non gli feci finire la frase che ricominciai a camminare a passo svelto verso il posto che mi aveva indicato la signora: le scale.
    Appena arrivata notai un ragazzo che camminava a passo lento su una scala che stava appena cambiando direzione. EHI TU! NON SAI CHE NON PUOI STARE IN GIRO? dissi urlando in modo da farmi sentire dal ragazzo. Spostai lo sguardo verso le scale e notai che quelle dove stavo io sopra, andarono a combaciare con le sue, feci un sorriso quasi divertito ed alzai la testa verso di lui Bingo.
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    Nonostante preferisse di gran lunga girare col suo skateboard per le piste di Londra piuttosto che visitare musei e pinacoteche, Sean Beech non era del tutto insensibile all'arte. Aveva sempre ritenuto che i fregi del Partenone fossero una gran figata, davvero, good job Fidia (anche se il fatto che fossero TUTTI nudi lo disturbava, voglio dire, davvero è così difficile fare una statua vestita? DAVVERO? I vestiti sono così belli); e poi gli piacevano i quadri di Klimt,con tutto quell'oro stile "che schifo i poveri" e quelle donne sempre dannatamente nude coi capelli al vento e i colli senza ossa.
    C'era qualcosa di fottutamente inquietante in effetti a pensarci bene, ma Sean andava matto per le cose un po' creepy.
    Lui stesso sapeva essere dannatamente inquietante, a volte.
    Oh, e ovviamente apprezzava la musica, anche se i suoi gusti erano piuttosto controversi e si distanziavano non poco da un Mozart, da un Beethoven o da qualsivoglia robaccia vecchia trita e ritrita; era più uno...sperimentalista, diciamo.
    Il che non significa che ascoltasse Justin Bieber, no. So che lo state insinuando. NO. *giulia rabiosa*
    Ma - per l'amor di Dio - ogni opera d'arte è bella finché è discreta e non rompe i coglioni.
    Ma andiamo con ordine.
    Non aveva ancora finito tutto il giro del piano superiore quando, BOOM, si era ritrovato davanti le scale che davano al piano terra; non portavano esattamente all'atrio con l'uscita principale, ma questo non era un problema. A forza di gironzolare, un'uscita l'avrebbe trovata, per non contare che avrebbe avuto anche una scusa valida per gironzolare ancora un po' prima di abbandonare definitivamente il castello. Il suo sonno era ormai andato a farsi benedire, e sapeva che anche se per qualche miracolo ancora ignoto fosse riuscito a materializzarsi nel suo dormitorio proprio in quel momento, non sarebbe riuscito a chiudere occhio neanche pregando tutti i santi, i profeti e le varie divinità del Pantheon. Quindi, perdere tempo non gli dispiaceva poi così tanto.
    Quella scuola sembrava essere avvolta da una sorta di aurea splendida e terribile allo stesso tempo. Passo dopo passo, Sean continuava a percepirne il fascino esattamente come lo percepiva una volta, vedendola in fotografia, quando il suo presente sembrava ancora un sogno irraggiungibile, una realtà che gli era stata negata.
    Ma Hogwarts aveva anche un lato più enigmatico, più oscuro, che Sean ancora non riusciva a definire. Come se la scuola dei suoi sogni venisse inglobata ogni giorno di più da una sorta di minaccia oscura. O forse no. Forse era solo una sensazione.
    Sospirò, sfiorando il muro del corridoio con la mano aperta: sì, lì era esattamente dove doveva essere.
    Imboccò le scale, e non era neanche a metà strada quando un rumore molesto lo fece trasalire.
    Drizzò le orecchie all'erta, guardandosi intorno di qua e di là alla ricerca della fonte da cui provenisse quel suono. Non era difficile da capire. Era un rumore di passi.
    Scosse la testa, e per qualche secondo sperò di esserselo solamente immaginato; ma la risposta arrivò prima di quanto Sean potesse immaginare.
    «EHI TU! NON SAI CHE NON PUOI STARE IN GIRO?»
    La sua voce lo fece sobbalzare prima ancora che potesse vedere la sua figura comparire di scatto dal corridoio, lo stesso corridoio da cui poco prima era sbucato anche lui. A quella distanza, era ancora solo una sorta di massa scura immersa nella penombra, avvolta dalla luce rossastra delle candele dei corridoi, che ne mettevano in risalto i capelli, anch'essi rossi. Camminava decisa verso le scale del piano superiore, come se già sapesse che l'avrebbe trovato lì. Come se in qualche modo l'avesse prevenuto, l'avesse messo in trappola. Come un dannato genio del male invisibile che vede tutto e sente tutto e sa tutto. Come Dio, insomma #wat.
    Com'era possibile? Una soffiata? Telecamere? Qualche potere magggico? Pura coincidenza?
    Non fece neanche il tentativo di mettere a fuoco la figura per riuscire ad identificarla: la mantella invernale dei grifondoro, il distintivo in bella vista.
    Era un dannato prefetto.
    Merda, pensò stringendo le labbra e fiondandosi a raffica giù per le scale alla ricerca di una via di fuga. Il quadro, quel fottuto quadro vecchio. Doveva essere stato lui a parlare, Sean ne aveva la certezza. Quello sporco traditore a cui aveva fatto il dito medio... ah, non avrebbe mai immaginato che un quadro potesse essere tanto suscettibile.
    «Pittura bagascia» blaterò affannato mentre si precipitava come un fulmine giù dalle scale. «Se ti rivedo a lezione, giuro che farai una brutta fine».
    Saltava i gradini due per volta con l'agilità di una gazzella: se nella maggior parte delle attività fisiche era una schiappa, nella corsa se la cavava benone; e considerando che la ragazza si trovava a un piano più alto, sicuramente sarebbe riuscito a scendere più in fretta. Sarebbe morto d'infarto, ma sarebbe arrivato prima, non c'era dubbio.
    Sollevato, alzò il capo e si portò soddisfatto una mano alla tempia, rivolgendo alla rossa un saluto da generale.
    «Mi dispiace, tolgo il disturbo!» Gridò sorridendo tra sé e sé. Anche se il cuore gli scoppiava nel petto, la sicurezza di riuscire a farla franca lo aveva improvvisamente fatto sentire benissimo. Si sentiva una sorta di piccolo criminale con alle calcagna uno sbirro infuriato: e il bello era che si trovava lì per puro caso.
    Arrivò al fondo delle scale sentendosi un naufrago che tocca terra dopo anni in mare. Era molto sicuro della propria velocità, abbastanza sicuro da concedersi di fermarsi un istante a respirare profondamente per evitare di morire soffocato. Si piegò a metà appoggiando le mani alle ginocchia, e inspirò a lungo chiudendo gli occhi. Tempo un paio di secondi e si tirò nuovamente dritto, espirando a pieni polmoni. Riaprì gli occhi, ancora con un sorrisetto beffardo stampato sulla faccia.
    «C-COSA?» indietreggiò di un passo, trasalendo. Il sorriso si cancellò dal suo volto rapidamente come si era generato.
    Come aveva fatto?
    Il suo tallone toccò il bordo dello scalino, e Sean si rassegnò all'idea di essere in trappola. Si sedette sbuffando sullo scalino, grattandosi la nuca alla ricerca di qualche scusa convincente che non lo facesse sembrare un totale idiota.
    «Merda», bofonchiò.


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    Fissai il ragazzo scuotendo leggermente la testa con aria di disapprovazione: nessuno se ne stava in giro per i corridoi con quel freddo e a quell’ora sapendo che ci sono prefetti e caposcuola come guardie in tutta la scuola: è quasi impossibile scamparla, soprattutto se si manda a fanculo un quadro di una signora del periodo rinascimentale. Scesi le scale lentamente, il colpevole aveva capito di essere in trappola perché si mise a sedere su uno dei scalini con aria da bandiera bianca e con occhi alla ricerca di qualche scusa buona per scamparla alla sala delle torture.
    Forse era la parte che odiavo maggiormente di quella scuola di magia: le punizioni erano troppo severe e molte volte anche i bambini più piccoli erano costretti a subire delle torture che, nella maggior parte dei casi, li traumatizzavano. Io ero dell’opinione che le persone erano diventate crudeli col passare del tempo in quella scuola e che era il comando la base di tutti i problemi. Tutto si basava su un’organizzazione che era sbagliata partendo dal proprio obiettivo. In fondo erro diventata prefetto per valorizzare il mio ruolo da ribelle, sapere più informazioni era essenziale, evitare torture era meglio e un po’ di bene e di positività in quella scuola non faceva affatto male.
    Fissai il ragazzo, ero a qualche metro da lui ed incrociai le braccia come se fossi una madre che accoglie il proprio figlio dopo che ha fatto tardi il sabato sera con gli amici. Pensavi di cavartela sul serio cercando di scappare? Pensa che la donna che hai mandato a fanculo è ancora sconvolta dal tuo gesto, lo dirà a tutti per il resto della settimana, ignorante. Blaterai sperando che almeno stesse sentendo un po’ della ramanzina che gli stavo facendo. Non riuscivo ad essere troppo cattiva, ma mi divertiva invece essere minacciosa ed impaurire le persone, dopotutto dovevo calarmi bene nel ruolo. Allora, dimmi che ci facevi qui in giro, e se non sarà soddisfacente, sarò costretta a ricorrere ad una punizione che sarebbe meglio evitare, credimi.
    Non avevo mai visto quel volto, o forse sì, dopotutto Hogwarts pullula di ragazzi e riconoscerli tutti sarebbe davvero un’impresa impossibile: immagino quanto sia difficile per i professori ricordare tutti i nomi. Dopo un po’ alcuni li individui facilmente, soprattutto se hanno un ruolo importante nelle varie attività scolastiche e soprattutto se sono simpatici. Non ero una ragazza che andava d’accordo con tutti, anzi, la maggior parte delle persone mi sono indifferenti, sono piuttosto selettiva, quindi non conoscevo davvero tutti, più che altro ero riconosciuta io per il mio ruolo. Ero la Boyer con cui tutti la scampavano, colei che gli salvava sempre il culo e chiudeva sempre un occhio sulle cose fatte senza permesso.
    Tic Toc Canticchiai aspettando una sua risposta ed appoggiandomi ad una delle ringhiere fredde di marmo della scala, osservando il ragazzo come se stessi aspettando il turno dal dottore. Venni scossa dal tremolio dello spostamento di quella scala, e mi guardai attorno. Diavolo, mi scordo che a queste stupide scale piace cambiare.
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    Inspirò, massaggiandosi la fronte poco al di sopra delle sopracciglia corrugate. La ruga che formavano sul suo volto quando aveva quell'espressione era un solco profondo, e di tanto in tanto Sean temeva che un giorno sarebbe rimasta stampata lì, sulla sua bella faccia, e non se ne sarebbe più andata.
    Perché quella era la sua espressione tipica. La adottava praticamente in qualsiasi situazione sociale: quando qualcuno gli faceva una domanda del cazzo, quando lui faceva una domanda intelligente e qualcun altro rispondeva con una risposta del cazzo (perché in un modo o nell'altro, è scientificamente provato che alla plebe piaccia dar mostra della propria infinita ignoranza e povertà), quando cercava di capire qualcuno che si comportava in modo inconsueto o che adottava un atteggiamento sospetto, quando una persona grassa coi leggins gli rivolgeva la parola, quando un bambino gli chiedeva una sigaretta e...beh, in circa altre 999 situazioni, pensò Sean strizzando gli occhi e alzandoli meditativo, mentre rifletteva su quanto la stima numerica potesse essere accurata. Constatò che considerato quanto fosse favoloso potesse essere accurata circa al 99%, quindi strinse le labbra in un mezzo sorrisetto soddisfatto e tornò con lo sguardo sulla ragazza.
    «Oh, ciaaao» Biascicò ironicamente stringendo i denti e scuotendo la manina. Forse era una sua intuizione, ma la tipa non sembrava esattamente felice di vederlo.
    Fece un tentativo di esaminare la sua espressione più accuratamente, consapevole che cercare di capire i sentimenti di una donna fosse come gettarsi nel fuoco per recuperare l'anello di Frodo.
    Quando una femmina parlava, beh, lì l'interpretazione era già più facile, essendo a conoscenza di qualche regola base:

    Si=No
    No=Sì
    Forse =No
    Certo, fallo pure se vuoi = Fallo e ti ammazzo la nonna
    Decidi tu= la decisione giusta dovrebbe essere ovvia
    Ti amo= voglio i tuoi soldi
    Non sono arrabbiata= sono arrabbiata
    [e altre circa 999]

    .
    Ma cosa fare quando una ragazza ti sta in piedi di fronte, guardandoti con aria inquisitoria come se si sentisse superiore (maledetto il giorno in cui la donna si è emancipata), tamburellando le dita contro la ringhiera della scala?
    Sean strinse le labbra; davvero, cos'era quella roba? rabbia? noia? lieve scazzatura generale? Schifo? Biasimo? Solo voce grossa? Cosa, donna, cosa?
    «Pensavi di cavartela sul serio cercando di scappare? Pensa che la donna che hai mandato a fanculo è ancora sconvolta dal tuo gesto, lo dirà a tutti per il resto della settimana, ignorante.»
    La sua voce interruppe il breve istante di silenzio.
    «Allora, dimmi che ci facevi qui in giro, e se non sarà soddisfacente, sarò costretta a ricorrere ad una punizione che sarebbe meglio evitare, credimi. »
    Tralasciò completamente la seconda frase: ignorante?Un po' eccessivo per aver sfanculato una vecchia spiona inaridita. Aveva ragione, era stata quella laida a parlare, e sicuramente l'avrebbe fatto anche se Sean fosse stato più cortese: era stato avvisato più volte, quei maledetti quadri non si facevano mai gli affari loro.
    Decise di lasciar passare l'insulto, perché rispondere brillantemente a una donna arrabbiata significava morte certa, e si limitò a tenere quello sguardo perplesso su di lei, facendo il possibile per non sembrare sfacciato come al solito. Era già nei casini, meglio non peggiorare le cose. Tuttavia, voleva anche farle capire che non era spaventato, e che avrebbe dovuto abbassare quella cresta, perché mai e poi mai si sarebbe lasciato intimidire da una ragazza, probabilmente anche più piccola di lui. Poco importava se era un prefetto.
    E poi, chi gli dava la sicurezza che si trattasse davvero di un prefetto?
    Magari era solo il cosplay di un prefetto #luccacomicsmood.
    «Tic Toc», disse la ragazza, come se già non fosse abbastanza faticoso inventare una scusa che non lo facesse sembrare un coglione totale. Il tremito della scala la spinse ad alzare il braccio di scatto, cosa che gli innescò un immediato sghignazzo, che soppresse nonappena i suoi occhi rincontrarono lo sguardo della ragazza.
    «Oh, è una storia piuttosto divertente!» cominciò col sorriso più smagliante che riuscì a sfoderare. «C'era questo cagnolino che girava intrappolato nei corridoi della scuola e io...» Lo sguardo della ragazza lo raggelò.
    Agghiaccianti, le ragazze sanno essere veramente agghiaccianti.
    Sospirò.
    «Okay, okay. Poche balle. E' stato un incidenteSguardo glaciale. «nonono, davvero! Non so come siano le punizioni in questa cosa, ma non voglio farmi strigliare per una svista simile, okay?» Disse portando le mani avanti. Sapeva cosa doveva dire e sentiva già il disonore salire per le sue vene e ridere, ridere dall'interno del suo corpo. « Io mi sono...tecnicamente perso. Sono nuovo e stavo girando per la scuola. Stavo solo cercando di memorizzare un po' l'ambiente, niente di che. Ma poi...beh, sai com'è, si è fatto tardi e ho preso le scale giusto una manciata di minuti prima del coprifuoco. Ma poi le scale hanno cambiato direzione e ora non ho la più pallida idea di dove cacchio sono! » Tirò fuori il cellulare spento dalla tasca come alibi, sempre tenendo l'altra mano alzata.
    «Vedi, ho cercato di scrivere a Dak...ehm, Wayne, di farlo venire a prendermi ma il mio telefono è morto. »
    Un idiota. Avrebbe fatto la figura di un totale idiota, ovvero di quello che effettivamente era. Da un lato è un bene, di solito le donne apprezzano la sincerità. Forse.
    scrollò le spalle, accennando un sorriso sghembo.
    «Andiamo. Sono solo un novellino.» Disse sfoderando un sorriso da angioletto.
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