Alone together

Pre-Quest #05 - xSean

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  1. #deimos
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    « sheet - 18 - ex-ravenclaw ribelle - proprietario fiendfyre »
    Quella di ieri era stata una festa a dir poco assurda. Il compleanno del nipote di un Consigliere del Ministero della Magia, uao. Nella festa di compleanno di un pezzo grosso del Mnistero ci si aspetta che sci siano ministeriali a gogo, pure il Ministro in persona e, perché no, il Presidente degli Stati Uniti. E invece? E invece ci fu un branco di drogati di erballegra. Il nipote si rivelò essere uno strafatto e suo zio non smetteva di parlare di come andasse bene a scuola. Didi non riusciva a credere che quel tipo mezzo smorto riuscisse a lanciare un qualche tipo di incantesimo e ad avere la benevolenza dei professori di Hogwarts.
    Infatti si scoprì che era un Magonò.
    Comunque. Trasformarono il Fiendfyre di Deimos in un casino (il casino senza accento): bibite a terra, vetri rotti, graffi sui muri, eccetera. Deimos restò a guardare sorridente. Il giorno dopo fece una lista dei danni fatti e si recò dal ministeriale, esibendo il conto. Il Consigliere lo scacciò, quindi Deimos si andò a lamentare da suo zio Crowley. Gli era bastato guardare gli occhi rossi del lupo di Crowley per convincere il suo collega ministeriale a pagare i danni fatti.
    Zio Crowley poi gli offrì qualcosa da bere giù al Testa di Porco, luogo nel quale Deimos adesso si trovava. Crowley se n’era da poco andato a causa di una urgente riunione. Non vide Keanu, il proprietario del Testa di Porco, ma solo il suo aiutante, Raiden. Peccato. Quel giorno Deimos non aveva un bel nulla da fare e il Fiendfyre era chiuso per riposo settimanale, quindi decise di fare qualche passo a Hogsmeade. Passeggiò per tutta High Street, poi imboccò un sentiero lastricato che in un minuto lo portò di fronte ai cancelli dell’Aetas, il bosco di Hogsmeade.
    Senza neanche farci troppo caso gli venne in mente l’incontro fatto con Aloysius. Chissà cosa aveva scoperto a proposito della sua somiglianza con Alexander Italie, martire della Resistenza. E chissà se alla fine era venuto in contatto con qualche reclutatore della Resistenza. Anche se sapeva che poteva rivolgersi a Deimos. O magari aveva fatto la scelta che per Deimos era sbagliata: forse si era schierato dalla parte del Governo.
    In quel caso Deimos sarebbe stato in leggero pericolo: Aloysius Crane sapeva, anche se non per certo poiché Deimos l’aveva detto in modo sibillino, che Didi era un Disertore, Ribelle, Resistente, Voltagabbana o Traditore che dir si voglia. Leggero pericolo, appunto. In realtà Deimos non se ne preoccupava più di tanto, anche perché altrimenti non avrebbe detto nulla che riguardasse la Resistenza a Crane. Deimos si fidava di quell’uomo, era più buono e onesto di tanti altri e non avrebbe mai tradito un confidente. Perché in quei minuti, anche se solo in quei minuti, diventarono confidenti e migliori amici.
    Adesso forse erano semplici conoscenti. Deimos non sapeva che tipo di rapporto aveva con Aloysius. O forse non ce l’aveva, seppur quei minuti fossero stati profondamente introspettivi? Non sapeva dirlo, non l’aveva più rivisto. Certo, escludendo il Fairtale, ma lì non si erano parlati, Deimos si era solo limitato a sfotterlo per la sua ubriachezza eccessiva.
    Fece spallucce. Quello che sarebbe stato sarebbe stato. Se ci saranno problemi con Aloysius li affronterò sul momento, si disse, non ha senso crearsi di questi problemi prima che essi si fanno presenti. E poi, sinceramente, Deimos credeva fortemente che Aloysius non l’avrebbe tradito, rapporto di amicizia o meno. Non era il tipo di persona che l’avrebbe fatto. Deimos era un tipo realista e razionale, quindi queste cose le pensava perché le pensava davvero e ci credeva, non lo faceva semplicemente per tranquillizzarsi.
    Indossava bermuda grigi e maglietta bianca con disegnata la torre dei Ravenclaw attorno alla quale volteggiava un corvo (scusa eh, la gente si porta addosso le torri di New York, allora perché non la torre dei Ravenclaw? Eh, sks *mani avanti*), il pomeriggio hosmeadiano era abbastanza caldo, anche se tirava un po’ di vento che donava una sensazione di fresco.
    Cammina cammina, Deimos si ritrovò davanti l’uscita ovest dell’Aetas. Senza pensarci più di tanto uscì dal bosco, rientrò in High Street e, annoiato dalle poche persone che passeggiavano in quel tardo pomeriggio, decise di entrare nel Carrow’s District, lo zoo magico. Diede 7 falci alla cassiera. Si tenne a deditissima distanza dalle Acromantule – era aracnofobico, aveva un panico soprannaturale al solo pensiero dei ragni, ed era anche qualcosa della quale si vergognava anche se non aveva colpe, era una cosa involontaria.
    Si fermò davanti a uno splendido esemplare di unicorno. Subito, dietro quell’esemplare, ne spuntò un altro. I due si avvicinarono, strofinandosi le corna tra di loro. Doveva essere un modo di dimostrare amore e affetto.
    Ah, l’amour.
    Deimos Campbell
    In un’anima piena entra tutto e in un’anima vuota non entra nulla

    psìche, non copiare.
     
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  2. Surprise‚ Beech
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    SEAN BEECH

    AMAMI! ▼ 17 ANNI ▼ BIMBO SPECIALE ▼ NEUTRALE ▼


    Anf, Anf, Anf.
    Piegò la testa per rilassare il collo e appoggiò sconsolato le mani alle ginocchia. Doveva prendere fiato. Riprendere a respirare, se non voleva collassare di botto. Gli sembrava di essersi dimenticato come si faceva.
    Lentamente, Sean sentì un'aria ancora fresca e frizzante riempirgli i polmoni e rinvigorirlo. Inspirò, espirò più volte. Poi rialzò la testa.
    Perché diavolo sono venuto qui? Disse battendosi un pugno sulla testa.
    Quella mattina si era alzato presto e il suo dormitorio gli era sembrato particolarmente buio; era avvolto da un silenzio religioso che lo inquietava e puzzava di sfigato. Era ad Hogwarts da poco, e ancora non aveva avuto voglia di socializzare. Sicuramente quello non era il giorno migliore per cominciare.
    Si era svegliato già col piede sbagliato, scocciato con le zanzare che non l'avevano fatto dormire, con quella lagna umana di Jade che l'aveva chiamato a notte tarda impedendogli di addormentarsi per altre due ore e con l'umanità per il semplice fatto di esistere. Con la solita faccia da mainagioia si era buttato addosso i vestiti stroppicciati del giorno prima, aveva messo Mr President nel suo zainetto ed aveva deciso di correre via da quel posto e di farsi un giro per il mondo.
    Carrow's District era uno dei primi posti che aveva visto quando era arrivato ad Hogwarts. Sua sorella - non che si fidasse particolarmente di lei o del suo giudizio - gliene aveva parlato talmente tanto che la tappa era obbligatoria. In effetti c'era qualcosa che lo ripugnava negli zoo: l'idea di animali tenuti in cattività, confinati in spazi ristretti, costretti ad essere tormentati dagli occhi indiscreti di mille visitatori; ma il modo in cui quegli animali lo richiamavano era qualcosa che non poteva ignorare.
    Era sempre stato un'amante degli animali; erano carini, coccolosi e meno irritanti delle persone. Soprattutto, erano SILENZIOSI. Amava osservarne il comportamento, studiarli da vicino, cercare di entrare nel loro mondo, mangiarli. Guardava nei loro occhi profondi e ogni cosa gli sembrava perdere d'importanza. Erano in prigione, il che era brutto. Ma per quanto potesse essere terribile, in quel guscio erano sicuri. Se le cose fossero cambiate, in mezzo al caos, forse sarebbe stato peggio...
    Finì da Carrow's anche quel giorno. Zainetto a spalle, faccia ancora deformata dalle pieghe del cuscino, si era ripromesso di fare un giretto veloce prima di tornare a Hogwarts. Fermo davanti al cancello d'ingresso si era accorto di come improvvisamente avesse cominciato a fare fresco, nonostante il sole che spaccava le pietre; aveva preso la borsa alla ricerca di una fascetta per evitare che la frangiona bionda gli sbattesse sulla fronte: era già abbastanza idrofobo di prima mattina per sopportare un affronto simile. Ed era stato allora che aveva visto la cerniera aperta.
    Thomas Jefferson ?!...
    Sbem. Sangue gelido nelle vene. Pensò che una morte istantanea sarebbe stata migliore. La sua mente lanciò ogni imprecazione possibile i immaginabile.
    No, no, no, no, no.
    Eccola, un altro schifo di altra schifosissima mattinata di schifo come tutte le altre schifo di mattinate. Le mattine non dovrebbero esistere, pensò.
    Aveva passato correndo come un pazzo la gabbia delle scimmie urlatrici, la vasca degli ippopotami, la zona riservata alle tigri. Gli piaceva correre, ma NON quel giorno. Quel giorno non gli piaceva un cacchio di niente.
    Inspirò ancora una volta, prima di proseguire il suo cammino. Aveva le gambe molli e la testa nel pallone.
    Non era un tipo sentimentale, ma amava davvero quel dannato furetto: non poteva smettere di pensare al suo musetto lungo schiacciato contro le grate della gabbietta del negozio il giorno in cui l'aveva comprato: aveva il pelo arruffato di un animale malaticcio e dei magnetici occhi neri che parlavano e dicevano "portami via di qui, stronzetto di un padrone".
    Ecco, quello era stato il momento del loro innamoramento: Sean l'aveva preso tra le mani e gli aveva detto: "Ciao, Porcheria. Farò di te un principe. Anzi, un Presidente."
    Ed è pur sempre una love-story più avvincente di twilight.
    Che fine aveva fatto Mr President? E se fosse finito tra le grinfie di qualche animale malvagio e assetato di sangue? Scacciò dalla mente quei pensieri accelerando il passo e facendosi largo tra la folla, sorpreso che di prima mattina ci fosse già tutta quella gente.

    Thomas Jefferson! Per la prima volta quella mattina il viso gli si colorò di un sorriso sghembo ma sincero.
    L'animale, gli occhi spaventati e fissi in quelli del padroncino, era fermo come una statua davanti al recinto degli unicorni, stordito, terrorizzato e chissà che altro, avvolto da una luce mistica.
    No, cioè, forse quello no, ma si sa, l'euforia fa brutti scherzi.
    Vieni qua, piccolo bastardo! Urlò con gli occhi pieni di gioia. Il furetto si tirò sulle zampe anteriori, per poi correre all'impazzata contro le gambe di Sean. Era sicuro che dopo quella gita avesse imparato la lezione, ma decise di tenerlo stretto tra le braccia ancora un po' prima di rimetterlo nello zaino.
    Passeggiò davanti al recinto col cuore in pace; si era allontanato dall'ingresso e in quella zona lo zoo era meno affollato, Grazie A Dio: a parte qualche piccolo gagnetto urlante il posto si poteva definire QUASI tranquillo. Dio, se odiava i bambini.
    Ruotò oziosamente gli occhi attorno a sé e lo notò quasi per caso, proprio davanti al recinto.
    Un armadio a due ante, schiena larga, ricciolini d'oro: era impossibile non riconoscerlo anche se era di spalle.
    Dopo aver considerato come la sua solita stronzaggine vuole la possibilità di ignorarlo completamente, girare i tacchi e proseguire il suo cammino in direzione opposta (SO che tutti l'avete fatto almeno una volta nella vita, DAI), la sua carenza di contatti umani ebbe il sopravvento.
    Da quando era finito lì, Deimos si poteva definire forse il suo unico "amico", anche se forse era più un conoscente.
    Gli si avvicinò distrattamente, guardando nella sua stessa direzione nel tentativo di decifrare cosa gli avesse stampato sulla faccia quel sorrisetto inebetito . Rimase qualche secondo fermo, perplesso, a guardare nella direzione degli unicorni, con il labbro inferiore tirato verso il basso, come schifato.
    Devi essere messo male per incantarti davanti a due unicorni che copulano , brontolò, accarezzando il morbido pelo del suo Presidente.


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  3. #deimos
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    « sheet - 18 - ex-ravenclaw ribelle - proprietario fiendfyre »
    Deimos era un amante (non pensate male, grazie) degli animali. Una delle sue materie preferite era Cura delle Creature Magiche proprio per quel motivo. Amava gli animali poiché erano tutti un altro mondo, avevano modi di pensare ed agire differenti e questa era una cosa che lo affascinava. Le creature che amava di più erano quelle che avevano abitudini strane, inusuali. Ad esempio le Fenici, che bruciavano ogni tanto solo per rinascere dalle proprie ceneri. Gli sarebbe piaciuto avere una Fenice, era davvero un animale fantastico. Oppure lo incuriosiva pure l'Ippogrifo, il quale vuole un preciso e attento rituale di avvicinamento: per potersi avvicinare a un esemplare di Ippogrifo bisognava per forza guardarlo negli occhi e inchinarsi a lui. Una creatura eccentrica. Gli piacevano pure gli animali che erano un chiaro segno di bellezza, come gli Unicorni che aveva lì davanti. Gli piacevano gli animali che incutevano rispetto e timore, come i draghi. Tra le tante idee che aveva per il suo futuro, c'era quella di diventare addestratore di animali magici, se non professore di Cura delle Creature Magiche a Hogwarts. Oppure voleva diventare un Dottore al San Mungo. Oppure un insegnante, anche quello gli sarebbe piaciuto.
    E invece? E invece era diventato semplicemente il proprietario del Fiendfyre. Perché? Perché c'è crisi. Era un mago brillante, eppure era diventato un semplice proprietario di una discoteca. Qualcuno poteva definire Deimos come un giovane che aveva buttato all'aria la propria vita o che voleva semplicemente guadagnare tanto facendo un lavoro semplice. In realtà semplicemente a Deimos non andava essere alla mercé del governo. Lavorare come Dottore significava guarire tutti i suoi nemici. Lavorare come insegnante significava insegnare ai suoi alunni a uccidere e rischiare la vita per nulla tentando di fare il professore sovversivo. Addestrare creature magiche significava addestrare animali a uccidere per conto dei mangiamorte. Oppure significava addestrare animali inutili per l'umanità, e Deimos non voleva passare la vita ad addestrare Snasi o creature di quel genere.
    Maeve, la sua migliore amica, insegnava a Hogwarts. E si stava facendo un culo i glutei tanto per poter competere con i suoi colleghi, il fior fiore del loro campo, l'eccellenza nelle loro materie, mentre Maeve Winston sembrava essere solo una stupida neo-diplomata che credeva di riuscire a insegnare. Deimos invece sapeva che Maeve aveva molto da dare. Lei era diversa, sarebbe riuscita ad aiutare gli studenti a cui insegnava, così come lo facevano i molti professori ribelli ai tempi in cui Didi andava a scuola, come Arwen Undomiel.
    In realtà il suo lavoro al Fiendfyre era qualcosa di più. Era un rifugio per la Resistenza, il che significava molto in quel mondo di Mangiamorte. Si era ritornati al tempo dei Nazisti, in cui alcuni ristoranti e botteghe nascondevano delle spie nei loro sgabuzzini. Deimos aveva una copertura: era figlio di un famoso MagiArcheologo, nonché un uomo ricco sfondato, era nipote di una MagiAvvocata, era nipote di un Consigliere del Ministero. Chi mai avrebbe dovuto sospettare di Deimos Campbell? E poi ce l’aveva un altro scopo nella sua vita: era Ricercatore della Resistenza e si occupava di visionare scartoffie per scoprire incongruenze con la storia nuova e ricostruire la storia originaria. Perché ormai era ufficiale: la storia era stata modificata e ai Ricercatori Resistenti spettava il compito di ricostruire la storia di una volta. La causa già si sapeva, o perlomeno la si sospettava: un bivio universale. Bastava un fottuto contro-incantesimo per rimettere tutte le cose a posto, ma non si trovava.
    “Devi essere messo male per incantarti davanti a due unicorni che copulano”. Chiuse un momento gli occhi, per poi riaprirli e voltarsi verso colui che aveva parlato, col sopracciglio inarcato. Non appena riconobbe Sean Beech il’espressione del suo viso si rilassò e sorrise. In effetti doveva sembrare un imbecille: si era fissato davanti a degli unicorni impegnati a scambiarsi effusioni amorose. In realtà stava pensando alla sua vita, senza prestare molta attenzione agli unicorni. «Stavo pensando, non m’importa nulla di loro in realtà», gli rispose con un sorriso semi divertito per la faccia schifata di Sean. «E ciao Sean». In un normale dialogo umano per prima cosa si deve salutare la persona con cui si vuole parlare, ma loro due erano acab e lo facevano dopo #wtf. Sorrise pure al furetto di Sean, che si chiamava Mr. President, per cui Sean lo chiamava sempre con i nomi dei presidenti americani. E altrettanto faceva Deimos: «Salve anche a te, Lincoln». Deimos s’infilò le mani nelle tasche dei bermuda e si allontanò dal recinto degli unicorni, dando un’ultima occhiata a quest’ultimi. «Camminiamo?», invitò, e senza aspettare una vera risposta iniziò a camminare. La strada li avrebbe portati verso i cavalli alati Abraxas, se la sua memoria non lo ingannava. «Beh, come va?», chiese. Aveva appena trovato qualcuno con cui passare la giornata che altrimenti sarebbe stata scialba e monotona.
    Deimos Campbell
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    SEAN BEECH

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    Se, se borbottò distogliendo lo sguardo.Dite tutti così, voi feticisti degli unicorni; "stavo pensando", "non mi importa" Le sue labbra si tesero in un sorriso provocatorio; allora, scivolò verso Deimos e gli batté un pugno sulla spalla a mo' di saluto, perché dire "ciao" non era abbastanza trasgre per i suoi standard.
    Aveva ancora l'aria di uno che aveva appena corso, se capite cosa intendo: capelli arruffati, ghiandole sudoripare impazzite, occhio vispo stile Mara Carfagna poiana, trachea che esplode, budella di fuori, mascella tesa eccetera eccetera. Non che questo rovinasse la sua immagine, era sempre bello come il sole, solo...un po' meno del solito.
    Si portò un ciuffo bagnato dietro la fronte con una movenza che doveva essere molto sexy ma che finì per essere abbastanza GROTTESCA goffa.
    Tipo un panda che si lecca il pelo.
    Usò la scusa di fare il figo anche per far arieggiare un po' quella maglietta inzuppata del suo virile sudore adoloscenziale. Nella mano sinistra ancora stritolava Mr President, che fissava Deimos con occhi scettici e sprezzanti; avevano già avuto modo di conoscersi quei due, ma la bestiola ancora non si dimostrava particolarmente affabile. Beh, diciamo che non era affatto un animaletto affabile, se non con il suo padrone. Gli piaceva stare per i fatti suoi, nel suo piccolo Antro Oscuro sotto il letto di Sean, nascosto dalla Luce Di Dio, dove poteva pianificare le sue cose perfide senza che nessuno sospettasse nulla. Non è che fosse propriamente cattivo, in fondo non aveva mai aggredito nessuno (a parte quel ragazzo del dormitorio con i capelli unti a cui aveva quasi cavato gli occhi, ma i suoi occhi facevano davvero schifo, quindi Sean non glielo fece pesare): era più che altro costantemente scazzato col prossimo. Aveva gli occhi da demonio, ma con Sean era piuttosto affettuoso, o perlomeno dimostrava gratitudine.
    Quando Deimos lo salutò non reagì in alcun modo, continuò a guardarlo con i suoi fanali maligni. Sean l'afferrò per rimetterlo nello zainetto.
    Che diavolo, Deimos. Oggi si chiama Thomas Jefferson. Non devi chiamarlo in due modi diversi lo stesso giorno, ricordi? disse scuotendo la testa divertito. Altrimenti penserà di doverti uccidere. La zip si richiuse con uno schiocco.
    Il sole era già alto nel cielo e quella parte di parco rimasta tranquilla si stava a poco a poco contaminando.
    Persone, pensò silenziosamente Sean digrignando i denti. A dire il vero a Sean piacevano le città grandi, vive, rumorose, animate dalla folla, quella massa di caproni vestiti tutti uguali e svuotati di ogni individualità. La folla era piuttosto divertente, soprattutto quando la guardava mentre ascoltava la musica, e le mille facce svuotate della parola sembravano dannatamente stupide e ridicole. Il problema sta quando ti distacchi dalla folla e cominci a notare le singole persone. Persone che corrono, urlano, sbavano, puzzano, sfoggiano la loro stupidità come un vanto, ciccano i congiuntivi e soprattutto ESISTONO.
    Quando era arrivata tutta quella plebe? E quei bambini ammassati davanti al recinto che urlavano cose tipo "VOGLIO UNICONNO!"
    Come puoi pensare di avere il diritto di avere un unicorno se non ce l'hai fatta neanche ad imparare a dire una "R"? Sean era disgustato. E poi le donne col passeggino. Ah, le Padrone Della Strada E Non Solo, quasi peggio delle donne col carrello al supermercato. Per il semplice fatto di aver sfornato un coso urlante pensavano di poter fare qualsiasi cosa, del tipo che se sei sulla loro traiettoria anche solo per sbaglio, non importa quanta strada ci sia con cui spaziare, loro ti si lanciano addosso, e ti investono, e se ne sbattono, perché sono "mamme", e Sean aveva imparato che il titolo di "mamma" era piuttosto simile al titolo di "dio", una sorta di lasciapassare per avere diritto su ogni cosa.
    Sospirò: ancora non riusciva a scegliere tra l'isolamento morboso e la repulsione sociale.
    CAMMINIAMO, replicò dopo un profondo respiro, cercando di stare al passo di Deimos. Era molto più alto di lui, e non aveva davvero voglia di rimettersi a correre.
    Camminarono in silenzio per qualche secondo, calciando i ciottoli del sentierino. Deimos aveva sempre quello sguardo assorto. Sean, beh, era solo sudato.
    Fu Deimos a rompere il silenzio con uno schivo "Come va?", la domanda per eccellenza, quella che tutti fanno anche se a nessuno frega niente di come in realtà stia una persona, e a cui tutti rispondono "bene" solo perché è più corto e si pronuncia meglio che "'na porcheria come sempre" o "che domanda idiota". La domanda che Sean non faceva mai perché davvero a lui non fregava niente di nessuno ACAB.
    Ah, io sto bene, insomma... Cominciò Sean grattandosi la nuca. Come stava? Bene davvero. Un po' annoiato, un po' distratto come sempre. Non poteva dire che ci fosse qualcosa di particolare a tormentarlo. Se non per il fatto che...
    No, non doveva pensarci. Non avrebbero parlato di quello. No, non aveva intenzione di dirlo a Deimos. Non avrebbe tirato di nuovo fuori la storia dei poteri o si sarebbe ricaduti nelle solite conversazioni, e a forza di "bla bla bla" si sarebbe finiti a parlare della resistenza, e la testa di Sean avrebbe ricominciato a scoppiare.
    Cercò di sviare il discorso scavando nella sua mente alla ricerca di qualcosa di più superficiale.
    ...Sì, beh, mi sto adattando. E' tutto nuovo, ma è okay.
    Poi scoppiò a ridere.
    Ancora mi perdo nei corridoi.



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  5. #deimos
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    “Se, se”, il sorriso del Campbell si allargò spontaneamente a quelle parole, diventando divertito. “Dite tutti così, voi feticisti degli unicorni”. A quel punto Deimos scoppiò a ridere rovesciando la testa leggermente all’indietro, risata che scemò pian piano. Non si accorse più di tanto del pugno sulla spalla che Sean gli aveva rifilato (pugno sulla spalla: “ciao”, Dizionario Seanese). Sean Beech era uno degli amici che Deimos aveva conosciuto in giro a Hogwarts. Era un wizard e aveva compiuto la maggiore età. Non l’aveva mai visto a Hogwarts quando in teoria doveva essere stato un mago. Glielo fece notare un giorno mentre camminavano per Hogwarts. Era stato un magonò.
    Ritornò ai pensieri sulla questione wizard-magonò. Per i magonò, che tanto agognavano essere maghi, sognando di vivere a Hogwarts, essere diventati wizard, quasi maghi, per metà, rappresentava per loro una benedizione, a prescindere da tutte le sofferenze e le torture sopportate? Sì, decise Didi, almeno per la maggior parte. Però sarebbe rimasta in loro comunque il cruccio di non poter utilizzare una bacchetta come fanno i propri genitori e i fratelli o zii e cugini. Sean cosa ne pensava? Non gliel’aveva mai chiesto perché glii sembrava un argomento un po’ tanto delicato e Sean non era esattamente il tipo di persona a cui piaceva affrontare questo genere di discorsi. A nessuno piaceva, insomma, ma a lui meno di altri.
    Ma Didi non sapeva quanto avrebbe retto. Un giorno o l’altro gliel’avrebbe dovuto chiedere, da un aparte per curiosità, ma anche perché Sean era suo amico e, insomma dai, si vuole sapere come stanno gli amici. No?
    Sean aveva reagito amichevolmente. Mr President, invece, no. Lo fissò con occhi maligni che tanto ricordavano quelli di Graham quando fissava qualcun altro. Quel furetto presidente era un assassino in piena regola. Io non so perché a Sean sta simpatico e viceversa, ma ho un’ipotesi. Solo che fa schifo ed è raccapricciante e quindi la tengo per me. No ok, non v’interessa. Torniamo a Didi e Sini #wtf. “Che diavolo, Deimos. Oggi si chiama Thomas Jefferson. Non devi chiamarlo in due modi diversi lo stesso giorno, ricordi?”, lo informò Sean divertito, mettendo “oggi-mi-chiamo-Thomas-Jefferson” dentro il suo zainetto e chiudendolo con la zip. “Altrimenti penserà di doverti uccidere”.
    Graham era simile a Mr President, solo che i due non si erano mai incontrati. Graham era uno scoiattolo tenero, solo che quando qualcuno gli dava una nocciolina o qualcosa del genere lui cercava di mangiarsi il dito o la mano o il braccio della persona (se era Deim, allora no). Se arrivava fino al braccio, significava che era di pessimo umore, se arrivava a malapena all’unghia allora significava che era di un umore molto peggiore: troppo impegnato per progettare lo sterminio dell’umanità per potersi mangiare il dito di un umano. Ok no, molto no-sense questa spiegazione, ti consiglio di rileggerla altre due volte. Non hai capito comunque? Allora sei scemo Vabbè, ti basti sapere che Graham è uno scoiattolo che vuole sterminare l’umanità, eccetto Deimos. Per ora.
    Deim sorrise nuovamente divertito. «Allora la prossima volta ti chiederò prima il nome del giorno», gli rispose, lanciando un’occhiata allo zainetto di Mr President, come se da un momento all’altro dovesse sbucare fuori a trucidare l’umanità che stava riempiendo lo zoo. «Chiamarlo Mr President gli darebbe fastidio?», aggiunse poi con una sfumatora molto velata d’ironia. In fondo gli stava simpatico, quel furetto, ma ancor di più gli stava simpatico Sean, che teneva a Mr President tanto quanto Deimos teneva a Graham. Graham e Mr Presidente. Lo scoiattolo e il furetto che conquisteranno il mondo. *canzone di conquista del mondo* E non gli fece notare che Mr President già stava pensando di ucciderlo, lui e il resto dell’umanità.
    “Ah, io sto bene, insomma...”. Deimos annuì. Lui avrebbe risposto con un “Ho bisogno di una cavolo di doccia”. Sean era così sudato che se ne sentiva l’odore a metri di distanza. Da lì si sentirono di nitriti dei cavalli alati Abrasax, presso i quali sarebbero giunti fra qualche secondo. Deimos evitò di dire che era la puzza di Sean a far innervosire gli animali, non era una cosa tanto carina da dire. “...Sì, beh, mi sto adattando. E' tutto nuovo, ma è okay”. Deimos annuì, senza sapere cosa rispondere. Poi una risata: “Ancora mi perdo nei corridoi”. Anche Deimos si unì alla risata. Era anche per quello che Sean gli piaceva: sapeva come ravvivare una conversazione che rischiava di diventare noiosa.
    «Io all’inizio non capivo come muovermi per le scale. Una volta senza accorgermene entrai nel bagno delle ragazze a causa di quelle scale e…». Fece qpassare qualche secondo di suspence, poi alzò le spalle concludendo con un: «E niente, non c’era nessuno. Solo che è scattato l’allarme e ho dovuto fuggire da Malfoy». Sorrise, nostalgico. Ovvio, non era nostalgico di quella fuga. Cioè, almeno non solo quello: aveva nostalgia della bella e imponente Hogwarts.
    Si fermò davanti ai cavalli Abrasax. Ce n’erano tre, dietro la recinzione. Uno stava brucando tranquillamente l’erba, un altro aveva gli zoccoli affondati nello stagnetto e l’ultimo stava facendo sbattere le ali senza però librarsi in aria. «Hogwarts ti dà una bella sensazione», commentò, guardando i cavalli. «Ti fa senitire speciale. Ti fa sentire che tutto è possibile». Se era vero per i maghi, chissà quanto vero era per uno che non aveva mai visto Hogwarts prima d’ora, per un magonò. Voltò lo sguardo verso Sean. «Giusto?».
    Deimos Campbell
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    Edited by #deimos - 2/9/2015, 19:16
     
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    Sean inspirò una profonda boccata di aria fresca e di odio . Per un momento pensò di non rispondere alla provocazione di Deimos, ma non ce la fece: la vocetta malvagia dentro di lui aveva ricominciato a parlare, e quando prendeva il possesso della sua lingua Sean non poteva cercare di trattenerla.
    Non mi deludere, Deimos pensò. Non provocare il Gran Maestro mettendo in dubbio la sua Dottrina.
    "Mr President", sei serio? Disse in uno sbuffo. Scrollò le spalle arrogantemente, abbandonandosi ad una risatina roca e nervosa. Tu ti lasceresti chiamare "ragazzo mediocre"? O preferiresti che ti chiassero con il tuo nome?
    Scosse la testa, come se sapesse che le sue parole sarebbero finite nel vuoto. La filosofia con cui aveva stabilito la polivalenza dei nomi di Mr President non era facile da comprendere né da spiegare. Il resto del mondo non era pronto non avrebbe potuto capire il suo ermetismo, nemmeno Deimos: non avevano molto in comune, loro due. Probabilmente come amici avrebbero fatto schifo. Ma avevano condiviso un'esperienza, il che era già qualcosa: e quella dei laboratori non era un'esperienza qualunque. Era stata la cosa più eccezionale che Sean avesse vissuto, per non contare come quell'esperienza gli avesse cambiato la vita. A ripensarci un sorriso colorò le sue labbra sghembe e screpolate. Se era felice? Sì, era dannatamente felice; felice come avrebbe potuto esserlo prima, ma ora aveva i poteri, e se già quando era relegato a una routine più solitaria e mediocre considerava la vita "il suo gioco preferito", beh, ora quel gioco aveva preso una piega più divertente ed emozionante.
    Cercò di tornare con la mente sulla terra quando si accorse che Deimos gli stava parlando, ma la distrazione gli aveva fatto perdere il filo del discorso.
    ...entrai nel bagno delle ragazze prima di quelle scale e...
    Rimase accigliato qualche istante. Cosa? Come? Come si era arrivati a parlare di quello? Aveva detto qualcosa prima?
    Si sforzò di non interromperlo, sperando che lasciandolo parlare a vuoto forse si sarebbe andati a parare da qualche parte e avrebbe ritrovato la via perduta.
    E infatti, così fu.
    Hogwarts, già, stavano parlando di Hogwarts. La scuola dei suoi sogni. Aveva desiderato talmente tanto di essere tra quelle mura che ancora non aveva avuto il coraggio di "viverla" come avrebbe voluto. Forse, la prima volta che c'era entrato aveva sentito un'aria diversa da quella che si sarebbe immaginato, ed aveva avuto paura di scoprire che il suo sogno avrebbe potuto rivelarsi un incubo. Ma non era stata che una sensazione, uno di quei flash che ti sfiorano senza una valida motivazione e che era scomparso con la velocità con cui si era presentato, lasciando in lui soltanto un qualcosa che ancora lo faceva sentire diverso , o estraneo .
    Lo lasciò finire, ridacchiò, scosse nuovamente la testa.
    Sei un demente. Davvero, a questo giro mi hai battuto, disse sogghignando distrattamente. Cercò di immaginare un piccolo Deimos a fare casini in giro per Hogwarts ma nella sua testa non riuscì a prendere forma nessuna immagine, né per quanto riguarda la figura di un Deimos appena adolescente, con un'acne arretrata e un fisico ancora infantile e asciutto, né riguardo qualsiasi cosa che potesse riguardare la sua vita fuori. In effetti, faceva fatica ad immaginarselo fuori dai Laboratori, senza il camice e quell'espressione allucinata e costantemente stanca. Non si era mai soffermato più di tanto per chiedersi se lui avesse vissuto lì dentro nello stesso modo in cui aveva vissuto lui. Era come un personaggio installato in quel contesto in modo quasi provvidenziale, qualcuno con cui parlare quando era solo, che l'avrebbe ascoltato, anche se era stanco o dolorante.
    Deglutì, chiedendosi se continuasse a considerare quel ragazzo solo come un esperimento.
    Poi sorrise soddisfatto.
    Ho fatto un pensiero davvero profondo, disse tra sé e sé sogghignando sotto i baffi. Dovrei farlo più spesso e scriverci un libro, tipo Kant.
    Hogwarts ti da una bella sensazione, aveva detto Deimos distraendolo da quel pensiero. Giusto?
    Giusto, più che giusto.
    Già. E' tutto dannatamente nuovo e figo. E sono figo anche io, capisci? E sono dentro. Ora doveva avere una faccia da schiaffi particolarmente felice.
    Si inchineranno tutti ai miei piedi, vedrai, disse. Quando me ne andrò Hogwarts parlerà ancora di Sean Beech.
    *voce fuori campo: Beech, plz -.-*
    Camminare senza avere nulla di particolare da fare era una di quelle cose che lo annoiavano a morte, pensò. Un po' perché era un iperattivo tuttofare, uno di quei ragazzi che devono avere sempre la giornata piena e sfruttare la vita al massimo; un po' perché oziare tutto il giorno lo rimandava alla sua "vita babbana", a quelle giornate inutili passate davanti a Real Time, lontano dalle sue sorelle e in balìa di una madre piuttosto distratta e assorta. O peggio, al periodo in cui Lienne era sparita. Allora le giornate erano davvero vuote, e sembravano susseguirsi scivolando una dietro l'altra senza che in quella casa nessuno percepisse lo scorrere del tempo.
    Da quando era finito nei laboratori le cose erano cambiate. Era come "scattata l'avventura", come se prima tutto fosse stato cristallizzato in una sorta di "pausa": allora si era ripromesso che non avrebbe più buttato tempo senza fare niente, perché c'era SEMPRE qualcosa di dannatamente inutile e fantastico da fare.
    Piantò i piedi sullo sterrato di scatto, proprio davanti ai cavalli ,come travolto da una scossa elettrica.
    Si guardò intorno circospetto, ma era ancora presto perché ci fosse gente a quel punto dello zoo. Forse c'era qualche guardia in giro ma... beh, Sean era veloce.
    Oh, OOOH. Quanto mi dai se scavalco il recinto e mi faccio una cavalcata?










    the world is gonna judge you no matter what you do, so live your life the way you fucking want to
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    Edited by Surprise‚ Beech - 4/9/2015, 13:06
     
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  7. #deimos
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    « sheet - 18 - ex-ravenclaw ribelle - proprietario fiendfyre »
    “"Mr President", sei serio?”. Inarcò il sopracciglio. Con Sean Beech non esistevano mai risposte giuste. Lui rispondeva sempre sfottendoti e facendoti ridere. Oppure sfottendoti e basta, ma con Didi non l'aveva fatto mai. Credo. “Tu ti lasceresti chiamare "ragazzo mediocre"? O preferiresti che ti chiamassero con il tuo nome?”. Deimos sorrise ancora divertito. Stare con Sean era uno spasso. Annuì, comprendendo meglio la logica del nome. Mr President non si chiamava Mr President, era solo qualcosa che lo identificava ma il suo nome è un altro, un nome che cambia ogni giorno.
    «Ora ho capito», esordì. «Forse», aggiunse. «Mr President lo identifica, ma il suo nome è un altro. E cambia di giorno in giorno. Non si chiama Mr President, è come se fosse una targa per identificarlo, ma non è il suo vero nome». Annuì. Come le macchine: le macchine hanno un proprio numero di targa identificativo, ma quello non è il nome. «Insomma, capito». Gli venne da ridere poiché aveva appena spiegato qualcosa che a un'altra persona sarebbe risultato assolutamente insensato, mentre lui ne aveva parlato come se fosse qualcosa di importante che bisognava per forza capire.
    Quindi Deimos è un ragazzo mediocre che si chiama Deimos.
    Sean Beech e Deimos Campbell, se si fossero conosciuti a Hogwarts sarebbero stati forse due amici/nemici che si sarebbero lanciati frecciatine a ogni ora del dì e della notte. Invece erano amici e anche abbastanza stretti. Non furono i loro caratteri a unirli, ma le circostanze.

    Mesi prima
    “Svegliatevi, esperimenti”, lo chiamò un custode delle celle facendo sbattere la bacchetta sulle sbarre. Deimos alzò lo sguardo vacuo. Non aveva dormito per niente, quella notte. Le sofferenze della serata precedente erano state troppo grandi. Ma non doveva ridursi così. Doveva farsi forza. Guardò gli altri letti di quella cella. Sheridan dormiva rotolandosi nel letto, agitata, senza svegliarsi. Anche gli altri dormivano.
    Deimos distolse lo sguardo. I suoi occhi erano segnati da profonde occhiaie. Debole. Ecco cos'era. Un debole che si faceva sottomettere dai famosi Dottori. Omicron, si chiamava uno, ed era un giudice dei Mangiamorte. Delta, si chiama un altro, ed era un famoso magi-biologo. Deimos riconobbe molti Dottori: alcuni erano sapienti e scrittori. Feccia.
    Il custode si allontanò, lanciando uno sguardo truce ai letti in cui dormivano gli altri esperimenti. Persone inutili, considerati peggio che escrementi, che venivano chiamati esperimenti. O per numero. Mai per nome. Perché dare loro un nome, se erano solo cavie? Quando il custode si allontanò Deimos alzò il dito medio nella sua direzione, assumendo un'espressione da "Fo****i, imbecille". Lo credevano debole e lo era. Ma da domani no. Da domani avrebbe conservato le energie per fuggire. Voleva fuggire da quel maledetto posto e indossare cose decenti, non quel camice di carta come unico indumento. Sotto non aveva nulla, e il contatto tra pelle (soprattutto quella intima) e carta lo raccapricciava.
    Il suo sguardo si fermò su un'altra figura dietro le sbarre. E la sua espressione vacua si trasformò in un sorriso. Qualcuno con cui potersi sentire un po' più umano. Si alzo dal letto e, vacillando per i crampi alle gambe provocati dalle torture della sera precedente, si avvicinò alle sbarre. Si sedette, non riuscendo a stare in piedi e appoggiò il proprio fianco alle sbarre. «Ciao, Sean». Lui sorrise come aveva fatto sempre, senza nemmeno salutare. E iniziarono a parlare di... cose. Cose. Cose umane. “Res humanae fragiles caducaeque sunt”, le cose umane sono fragili e caduche. Basta solo un isolamento, basta togliere la libertà. E l'umanità scompare.
    Deimos, parlando con Sean, si sentiva più umano. E acquisiva più speranza, spesso gli strappava un sorriso altrimenti impossibile da acquisire nei Laboratori. L'unico rimpianto nel lasciare i Laboratori fu il non poterlo più rivedere e il non essere riuscito a salvare i suoi compagni di cella, come Sheridan.


    Invece alla fine li rivide. Sia Sheridan, sia Sean. E con Sean recuperò il rapporto di amicizia a Hogwarts. Sheridan... lasciamo stare. Ora aveva pure una cotta per lei.
    “Sei un demente. Davvero, a questo giro mi hai battuto”. Sorrise e non commentò più, anche perché non sapeva con cosa commentare. Con Sean si sentiva più... libero. O, come direbbero i giovini, trasgressivo. Anzi, trasgry. Meow.
    “Già. E' tutto dannatamente nuovo e figo. E sono figo anche io, capisci? E sono dentro". Sorrise annuendo. Era proprio quello che voleva dire. Ti faceva sentire parte della fiaba, parte del mondo, parte della magia. Ti faceva sentire magico. Eri magico. Hogwarts era... fantastica. Casa. “Si inchineranno tutti ai miei piedi, vedrai. Quando me ne andrò Hogwarts parlerà ancora di Sean Beech”. Deimos sorrise. Anche lui l'avrebbe voluto, essere ricordato. Lasciare una traccio in ogni posto in cui passava. Non morire mai nel ricordo degli altri. Essere immortale. Aveva ancora una lunga vita davanti, chissà se ci sarebbe riuscito. Chissà se ci era già riuscito. Chissà se persone come Maeve, Arryn, Sheridan, Sean già pensavano a Deimos quando era lontano da loro. A Deimos piaceva significare qualcosa per qualcuno. Significava esistere, significavate dare un senso alla vita.
    Ragionare filosoficamente era utopico se si stava nelle vicinanze di Sean Beech eppure Deimos lo faceva comunque. È un caso perso.
    “Oh, OOOH”. A Deimos non piaceva quell'esclamazione. Era tipo “Ascolta, ascolta. Sto progettando un piano malvagio. Tipo plagiare Kedavra e sfuggire al suo controllo”. “Quanto mi dai se scavalco il recinto e mi faccio una cavalcata?”.
    Deimos inarcò un sopracciglio guardandosi intorno. Non c'era nessuno. Un cartello diceva “Pagando 6 Falci potrete cavalcare gli esemplari Abrasax”. Non era molto illegale la cosa. Al massimo se li scoprivano pagavano una multa per non aver pagato. Quegli animali si potevano cavalcare. Fece uscire la mano sinistra dalla tasca, grattandosi la nuca. «Mh... Dipende da chi arriva per primo. Se arrivi per primo in sella a uno di quelli ti offro qualcosa al Fiendfyre», tanto non avrebbe pagato niente. «Se vinco io... boh, mi basterà un pacco di noccioline». Sorrise. La sua parte razionale gli dava dello stupide e illegale, la sua parte nascosta di ragazzo attivo gli diceva di farlo e rischiare. Diede retta a quell'ultima vocina.
    Deimos Campbell
    In un’anima piena entra tutto e in un’anima vuota non entra nulla

    psìche, non copiare.
     
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    SEAN BEECH

    AMAMI! ▼ 17 ANNI ▼ BIMBO SPECIALE ▼ NEUTRALE ▼


    Scattò senza pensarci due volte lasciando una scia di polvere per terra. Sean era veloce: piccolo, smilzo, ma veloce. Non era il tipo da perdere tempo andando in palestra solo per poi fare il narcisista e vantarsi dei suoi bicipiti scolpiti. Probabilmente credeva che il bicipite fosse un tipo di bicicletta futuristica. No, a lui piaceva correre come una gazzella nei parchi di Londra, maglietta sbracciata e immancabile fascetta rossa in testa, e gasarsi quando qualche marmocchio urlava: "Visto mamma com'è veloce quel tipo là?" .
    Beh, il successo che non aveva con le ragazze lo aveva con i bambini.
    Il che da un lato potrebbe essere piuttosto inquietante.
    Ad ogni modo, Sean amava sopra ogni cosa le gare. Perché? Perché lì non era una questione di Correre, ma di Vincere. E di grazia, facendo una graduatoria delle Gioie Della Vita vincere era decisamente ad un livello più alto, nonostante quello che potessero dire quei falsoni il cui motto di vita è: "Non importa vincere ma partecipare! *cuoricini cuoricini*".
    Insomma, la classica solfa di chi non aveva mai vinto, pensava sempre lui. Di chi era stato sconfitto anche dalla vita.
    Ma lui era un vincente e per lui era diverso: una gara non vinta era come una ragazza senza tette o una macchina senza manubrio.
    Inutile.
    Nella vecchia scuola le Olimpiadi erano un appuntamento fisso, ovviamente. Chiamarle "Olimpiadi" era quasi ironico, ma quando la nuova preside aveva optato per quell'appellativo nessun insegnante aveva osato controbattere contro il suo, ehm, "MODO-SFIGATAMENTEPOSITIVISTICO-DI-VEDERE-LE-COSE". Era una tipetta giovane, nonostante insegnasse già da parecchi anni, ed era una di quelle professoresse convinte che la propria scuola fosse la migliore del mondo. Una di quelle "Noi siamo alternativi e proponiamo tante iniziative belle e originali!" che tradotto con un dizionario meno poetico sarebbe: "prendiamo i soliti stupidi eventi scolastici e mettiamoci un nome più maestoso". Così la giornata della musica era diventata "St Osvald's got talent", le mostre del laboratorio di arte erano il "London Mini Expo" e la stupida corsa campestre al campo sportivo, beh, quelle erano le "Olimpiadi". Una gara di velocità e resistenza sotto il sole cocente in cui non finire in ambulanza con l'ossigeno era già una vittoria.
    Ma beh, Sean amava quella stupida gara. Al colpo di pistola i suoi piedi erano sempre i primi a scattare e la vittoria era assicurata.
    Beh, quasi sempre.
    Una sfida persa in partenza! Urlò quindi.
    Pensò che non sarebbe finito ad Azkaban per una cosa del genere. Probabilmente. Altrimenti sarebbe stato un peccato. Ma aveva voglia di cavalcare, quindi perché negararsi questa piccola gioia? Non aveva mica chiesto la luna.
    Sì, sarebbe saltato su quel dannato cavallo, l'avrebbe fatto impennare come nei telefilm, si sarebbe fatto un giro al galoppo e poi sarebbe saltato via prima che qualcuno avesse avuto il tempo di accorgersi di qualcosa. Sì, poteva funzionare.
    Dopo aver pensato di saltare con classe la staccionata stile pubblicità dell'Olio Cuore, si rese conto che le sbarre di legno erano DAVVERO alte e, beh, lui non lo era.
    Già, non lo aveva calcolato.
    Un attimo di incertezza e panico; poi, si arrampicò alla svelta sulle travi di legno appiccicose, si calò sull'erba poco coraggiosamente e riprese a correre verso il suo obiettivo, accorgendosi di avere già il fiatone. Nella sua borsa, Mr President scalciava incuriosito.
    "Il Prescelto" era il cavallo più vicino. Testa basta, esaminava l'erba in modo inquietante, senza mangiarla. Appena fu abbastanza vicino gli piantò le mani sulla schiena e il contatto lo fece rabbrividire: non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che era salito su un cavallo, ma sicuramente non aveva più di nove o dieci anni.
    Fantasticoso.
    Una bella spinta e fu sopra. Il cavallo nitrì, sollevandosi in un baleno sulle zampe anteriori. Sean afferrò la sua criniera, sussultando. Gli sembrava di essere davvero in alto, e il suo cuore prese a palpitare. Si sentiva una sorta di Zorro alle prime armi.
    WOW... mormorò con una faccia estasiata e inebetita. Forse il cavallo avrebbe tentato di disarcionarlo. Forse no. Si tenne saldo stringendo le gambe contro la pancia dell'animale. Per evitare che cominciasse a scalciare, cercò di rimettersi in posizione eretta e diede due colpetti coi piedi che, seguendo il suo Dizionario -Sean/cavallo - cavallo/sean, era il segnale per partire al galoppo. Deimos doveva essere dietro di lui. Forse stava facendo lo stesso, ma non ne era sicuro. Aveva vinto la sfida? O era stato sconfitto?
    Un colpo lo fece saltare sulla schiena dell'animale e per un secondo perse l'equilibrio. Si afferrò di nuovo con tutta la forza alla sua criniera, e prese un respiro profondo.
    Fiu, per un pelo...
    Poi, eccolo: il rumore degli zoccoli sulla terra, il veloce sussultare del dorso, la criniera svolazzante al vento, un'aria fresca e rigenerante sulla faccia: il cavallo aveva iniziato la sua corsa, e Sean non era più così sicuro di starsi divertendo. Zorro avrebbe saputo fermare quel cavallo, no? Ma lui non era Zorro. Non lo era affatto.
    Ma quel millesimo di secondo di spaesamento fu seguito all'istante da un senso di panico e terrore.
    No, non di già, mormorò tra sé e sé.
    Era stata quella voce, una voce profonda e lontana, a farlo sussultare. Non avrebbe saputo dire se era frutto della sua immaginazione o meno; ma quello che le sue orecchie avevano captato era una sorta di nervoso: "Ehi!" , seguito da un fischio.
    La voce non era di Deimos.

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  9. #deimos
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    Sean Beech non aveva nemmeno risposto. Deimos non fece nemmeno in tempo a dire l’ultima sillaba dell’ultima frase che Sean era già partito, veloce come un fulmine. Deimos, senza nemmeno pensarci, senza nemmeno elaborare del tutto il fatto che Sean fosse già partito, iniziò a correre facendo uscire anche l’altra mano dalla tasca. Scattò all’improvviso così come l’aveva fatto Sean, correndo verso la recinzione. Concentrazione, ecco cosa insegnavano a Hogwarts. Corri e non pensare. Correre è il tuo unico pensiero.
    Deimos, appena arrivato a Hogwarts, aveva preso in somma antipatia le materie pratiche, in cui bisognava muoversi e correre. Deimos, a 11 anni, era anoressico. Odiava fare attività fisica più di qualsiasi altra cosa. Poi scoprì il Quidditch, unica tra le materie pratiche a piacergli. Volare sulla scopa, sfrecciando tra i cieli… regalava la più bella sensazione che un mago o una strega potessero provare. Quella di essere sopra a tutto, essere staccato da terra.
    Poi durante il primo anno conobbe Maeve Winston. Una delle ragazze più brillanti. Condividevano molte cose: l’anmore per la lettura e la cultura, in primis. Lei aveva già molto del suo carattere di ora, Deimos era invece molto più schivo, taciturno e timido. Eppure si aprì con la bionda Winston. Maeve Winston lo fece sorridere e gli fece comprendere l’importanza di molte cose. Non esistevano solo i libri e le idee e la cultura. Esistevano pure le persone, gli amici, la vita. Deimos quindi anche grazie a Maeve riuscì a diventare più aperto al prossimo, più socievole. Decise di applicarsi meglio nelle attività fisiche, scoprendo di esservi portato. Cominciò a seguire una dieta molto più appropriata. E si sviluppò molto in altezza e robustezza.
    Non sentì nemmeno il “Una sfida persa in partenza!” di Sean. Troppo occupato a correre. Troppo occupato anche per accorgersi che i suoi capelli stavano volando #wat, alcuni sbattendo sui suoi occhi. Non si prese il disturbo di spostare le ciocche di capelli dalla sua visuale. Doveva correre.
    Non appena arrivò davanti alla recinzione, una staccionata di legno alta, si fermò. Solo per aggrapparsi alla sbarra più alta a cui poteva aggrapparsi con le mani. Poggiò i piedi su due sbarre più in basso e si diede una spinta, in modo tale da aggrapparsi con le mani ad altre sbarre ancor più in alto. Che si rivelò essere l’ultima. Fece passare il proprio corpo dall’altra parte della staccionata, guardò verso terra notando che era troppo in alto per poter saltare. Scese di un paio di sbarre più in basso, poi si lasciò andare. Cadde in piedi sull’erba bagnata.
    Si voltò subito correndo verso il primo cavallo che poteva vedere. Era quello che, stando fermo, sbatteva le ali. Ora era fermo, incuriosito dall’apparizione di Deimos. Deimos capì che stava per spaventarlo, quindi rallentò l’andatura, senza nemmeno chiedersi dove fosse Sean e chi fosse arrivato per primo. Il cavallo, bianco come le ossa, avvicinò il suo muso. Gli Abrasax, l’esemplare di cavallo alato più fifone e affettuoso. Deimos sorrise. «Ciao bello», sussurrò, poggiando la mano destra sul suo muso e accarezzandolo. Il cavallo chiuse gli occhi neri come le notti di luna nuova e senza stelle e nitrì, felice dell’attenzione che Deimos dimostrava a lui.
    Camminò, continuando ad accarezzarlo. Era un maschio. Gli accarezzò il collo, affondò le mani nella criniera. Non gli toccò le ali che se ne stavano tranquille, poggiate sui suoi fianchi. Gli occhi del cavallo lo seguivano. Deimos voleva avere un cavallo. L’aveva chiesto a papà Arryn quando era piccolo, suo padre si era limitato a guardarlo male. Sua madre… sua madre era già morta, ma Deimos sapeva come avrebbe reagito: si sarebbe messa a ridere, dando un buffetto al marito e spiegando a Deimos che i cavalli alati necessitano di una patente.
    Non aveva la sella, il cavallo. Fa niente. Deimos aveva imparato a cavalcare i cavalli alati durante le ore di insegnamento di Cura delle Creature Magiche. Gli venne naturale issarsi sul cavallo senza urtargli le ali poderose. Il cavallo scalciò con uno zoccolo l’erba, strappandone alcuni ciuffi, e nitrì. Non era arrabbiato, voleva solo dire “So che sei lì”. Deimos sorrise, accarezzando la sua criniera, stringendo per bene le gambe tra i suoi fianchi, per evitare di scivolare.
    “Ehi!”. Merda fu il primo pensiero che gli passò per la mente. Senza nemmeno cercare Sean con lo sguardo, alzò gli occhi. Oltre la recinzione un uomo tondo e grosso dagli occhi porcini e dai vestiti tradizionali magici teneva stretta nella sua mano quella di sua figlia. Una cosa era buona: non era un dipendente dello zoo. “Che ci fate voi, lì?”. E quindi non sapeva chi fossero gli altri dipendenti.
    Deimos sorrise alzando la mano. «Salve». La faccia indispettita dell’uomo diventò furibonda. «Siamo dello zoo, dobbiamo…», coccolare?, lavare?, pulire?, dar da mangiare?é, collaudare?, «…far sgranchire le zampe ai cavalli». La sua espressione si fece dubbiosa. «Sa, altrimenti stanno fermi tutto il tempo e… insomma, capisce». Lui mantenne per un altro po’ la stessa espressione dubbiosa e sospettosa. Poi alzò la mano scuotendo la testa. “Scusate allora, buon lavoro”. Didi annuì: «Si diverta!», esclamò.
    Non c’era nessun altro nei paraggi della staccionata. Solo a quel punto Deimos si guardò intorno per cercare Sean. Lo vide dietro di sé, un po’ più a destra, di spalle. Per questo non si erano visti a vicenda prima. Diede due gentili pacche sul collo del cavallo. «Andiamo dal ragazzo dietro, dai». Lui nitrì e, sbattendo le ali senza però alzarsi in aria, fece un giro su sé stesso., avvicinandosi all’altro cavallo, quello su cui c’era Sean. Guardò Sean con un sorriso. Già s’era dimenticato della scommessa di poco prima e, sinceramente, non gli importava più sapere chi aveva vinto.
    «Fra poco arriva gente, ci conviene andarcene prima di finire seriamente nei guai». Si guardò alle spalle. «Tanto i cavalli alati ci sono anche nella Foresta Proibita». Ed era proibito andarci. Come se Deimos non lo avesse mai fatto.
    Deimos Campbell
    In un’anima piena entra tutto e in un’anima vuota non entra nulla

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    SEAN BEECH

    AMAMI! ▼ 17 ANNI ▼ BIMBO SPECIALE ▼ NEUTRALE ▼


    L'essere umano è solito porsi domande a cui non è dato trovare risposta. E non si intende domande tipo:
    Gli alieni esistono?
    Bensì cose come:
    Gli alieni hanno già invaso il nostro pianeta?
    E' lecito ritenere che la seguente sia una domanda a cui un devoto reporter dell'Area 51 che ha avuto il piacere di avvistare extraterrestri in carne ed ossa e di scoprire che essi non vogliono Invadere, ma solo Colonizzare la nostra amata Terra, vanterebbe di saper rispondere, ma che agli occhi di un comune mortale resterà sempre avvolta nel mistero.
    Ma facciamo un altro esempio a caso.
    Mettendo il caso che un Sean, diciassettenne mediocre più interessato ai video games che all'ippica, si trovi improvvisamente su un possente cavallo al galoppo, e che per una strana ragione senta l'esigenza di dover frenare il suddetto cavallo, con la complicazione che sempre il suddetto cavallo si trovi ad essere al momento ospite di uno zoo e non abbia briglia alcuna, ebbene, come si comporterebbe Sean per fermare il suddetto cavallo?
    Nella mente del nostro eroe si figurarono tre possibili risoluzioni al problema:

    a) aggrapparsi saldamente alla criniera del cavallo e tirarla con possanza come se fosse una briglia, sperando che la criniera abbia l'intangibilità dell'Etere piuttosto che del capello umano e che il cavallo non abbia sensibilità corporale o sia semplicemente molto, molto paziente;
    b) mettere le mani davanti agli occhi del cavallo, sperando che questi rimanga disorientato al punto da fermarsi per chiedersi chi sia, dove si trovi e quale sia il suo ruolo nel mondo.
    c) saltare giù dal cavallo come Zorro, rompersi qualche costola e raccontare di aver fatto a pugni con un gruppo di mascalzoni intenti a molestare una giovane donzella.
    Naturalmente, loro si sono fatti più male di lui.


    Sean era così impegnato a decidere quale fosse la scelta più conveniente che quasi non si accorse quando il cavallo puntò i piedi: perché sì, il fottuto cavallo puntò i piedi, e quando Sean tornò con la testa sulla terra, beh, l'enorme bestia adagiata sotto il suo fondoschiena era ferma.
    Accigliato, confuso, compiaciuto ma forse un po' deluso di aver sprecato tutto quel tempo a pensare, Sean si accorse di aver appreso una nuova verità sui cavalli: [...] essi possiedono la facoltà di compiere scelte autonome e hanno uno spiccato senso dell'ironia.
    Si era fermato proprio davanti al recinto, nella direzione da cui era giunto quell'"EHI" molesto. Una voce acida che l'aveva fatto trasalire in modo tale che se non fosse stato su un enorme cavallo imbizzarrito si sarebbe dato alla corsa pazza verso Hogwarts lasciando Deimos a sguazzare nella merda senza ripensamenti, perché è così che un buon Sean si comporta con gli amici, e con una birra e due chiacchiere in un pub tanto si sarebbe dimenticato l'episodio #sorrynotsorry.
    La voce proveniva da un essere umano a forma pentagonale, piuttosto tozzo dunque, disgustoso come quasi tutti gli uomini di mezz'età. Doveva avere dai trenta ai settant'anni, ipotizzò. Ed aveva per mano una bambina bruna dagli occhi seri, brutta come la Guerra Civile.
    In Sean prese forma un'altra di quelle domande a cui solo Dio Onnipotente può rispondere:
    ma esistono bambini che non siano inquietanti, disgustosi e fastidiosi alla vista?
    Perché Sean non odiava molte cose. Ma tra quelle cose che odiava c'erano i bambini.
    "Bambini", un nome tenero e innocuo per descrivere qualcosa di terrificante e spaventoso: perché attenzione, non si sta parlando di piccole creature piene di amore da regalare al mondo, ma di mostri veri e propri, freddi, insensibili ed egoisti, tutti protesi verso i loro scopi malvagi.
    Non importa se non sanno ancora leggere, scrivere o formulare pensieri corretti:loro piangono, perché hanno già capito che la vita è dolore e che l'unico modo per non affondare nella disperazione è scegliere la via del Male.
    Sanno di disturbare, e godono nel farlo. Se vogliono un giocattolo, stai pur certo che urlano finché non lo ottengono. E non parliamo di quando giocano tra loro: non si parla di giochi, ma di Guerre, che finiranno per forza in lacrime e sangue.
    Per questo e per altro, Sean odiava i bambini. Per tale ragione, lui - campione in esperimenti di mimica facciale - cercò di cancellare l'amarezza e il ribrezzo che avevano pervaso il suo amorevole cuore con un sorriso che avrebbe fatto da manforte al discorso di Deimos.
    Già, il discorso di Deimos, Per Tutti Gli Dei Celesti.
    Era così poco convincente che avrebbe voluto mettersi a piangere, o a ridere, o a giocare a the last of us remastered CHE NE SO.
    NEMMENO LUI CI CREDEVA MENTRE LO DICEVA.
    Il sorrisetto sul suo volto divenne sempre più sforzato.
    Ma dico, Amico Mio, Testadicazzo. Mi hai visto? Il labbro cominciò a tremargli. Ho diciassette anni e ne dimostro dodici. COME POSSONO PENSARE CHE SIAMO DELLO ZOO?
    Cercò di non guardare nella direzione di Deimos per non incenerirlo con lo sguardo. Non aveva ancora capito se fosse un tipo sveglio o no. Ma a quanto pare sapeva togliersi dalle situazioni di merda, perché Santo Grahal, era davvero riuscito a far smammare il vecchio.
    Non era convinto, ovviamente; Sean non riusciva a capire come Deimos potesse pensare di averlo convinto. Aveva il classico sguardo da "sochemistaiprendendoperilculomaastogirotilasciofarepiccoloteppistastronzo". Però, aveva schiodato, e questo era sufficiente.
    Ah, dici che conviene che ce ne andiamo? , Fece con un tocco d'ironia mista ad ansia. Si buttò giù da cavallo e gli sembrò di saltare da un palazzo a tre piani. Scusa patetica. Pa-te-ti-ca. Non so neanche come tu abbia fatto. Forse è un arte. Bah. borbottava mentre si allontanava.
    Si voltò a guardare Deimos che si accingeva a scendere da cavallo con una grazia che purtroppo non rientrava nel suo DNA.
    Già, senti, è stato figo e ci siamo fatti la nostra cavalcata. Ma ora torno a Hogwarts, okay? Niente foresta proibita. Non ci sono mai stato, ma credo sia sai, ehm... trovare le parole giuste non era mai facile. ...tipo PROIBITA. Non voglio mettermi nei casini ora, queste cose si fanno di notte, di giorno non ha senso, capisci? gesticolava molto perché le parole non sempre erano adatte ad afferrare i suoi concetti più estremi, ma le sue mani funzionavano alla grande. ...si perde la magia, insomma, 'ste cose si fanno di notte Deimos, si sa. Probabilmente sarei già dovuto tornare... si grattò la testa chiedendosi che ore fossero. E probabilmente Mr President mi ha vomitato nella borsa dopo tutto questo su e giù.
    Si trovò di nuovo davanti alla staccionata e stabilì che stavolta sarebbe stato più tattico passarci sotto.
    Probabilmente, in realtà non aveva solo voglia di ricevere una punizione e dover spiegare tutto a sua madre, che aveva già troppi casini per conto suo. O era solo poco coraggioso, e se salire su un cavallo in uno zoo non era un'impresa così pericolosa, entrare nella foresta lo era, e lui non amava il pericolo.
    Magari un'altra volta, Deimos! Alzò la mano, come se fosse pronto a squagliarsela.





    the world is gonna judge you no matter what you do, so live your life the way you fucking want to
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  11. #deimos
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    e4w10Wz
    « sheet - 18 - ex-ravenclaw ribelle - proprietario fiendfyre »
    Quella di Deimos si chiamava “faccia tosta”, ovvero “rischiare una denuncia”. Se entrare nel recinto degli Abrasax senza pagare costava insulta, figurati che cosa sarebbe potuto costare il dire “Siamo dello zoo, controlliamo gli animali, smamma”. Quello poteva essere il direttore dello zoo e avrebbe potuto capire che loro due non erano dei dipendenti. E invece quel tizio somigliante a un maiale s'era rivelato essere un deficiente credulone. Grazie a Merlino.
    “Ah, dici che conviene che ce ne andiamo?”, rimarcò Sean con ironia. Deimos annuì con la stessa sua ironia. Sean, senza farselo ripete, balzò giù da cavallo in modo un po' tanto poco sgraziato. Si vedeva che non aveva fatto Cura delle Creature Magiche. In effetti, avrebbe dovuto farlo. Tutti gli Esperimenti usciti dai Laboratori ormai erano parte del Mondo Magico, avrebbero dovuto imparare non solo a controllare i propri poteri (similmente come i maghi e ls streghe facevano con Incantesimi,Trasfigurazioni e Arti Oscure) ma anche a comprendere il mondo che li circondava. Avrebbero dovuto studiare almeno Cura delle Creature Magiche, Storia della Magia e Erbologia. E Pozioni, Scherma, Corpo a Corpo e Strategia? E, perché no, Volo?
    Anche gli Esperimenti erano degli umani, proprio come i maghi. Possedevano la stessa intelligenza, avrebbero potuto fare grandi cose proprio come i maghi. Avevano dei poteri e, anche se erano una novità, potevano essere sfruttati grandemente allo stesso modo con cui i maghi sfruttavano la bacchetta (astenersi da pensieri laidi, si parla di bacchetta magica di legno). Chiunque ci avrebbe pensato. Pure i Mangiamorte. Allora perché non avevano aperto l'istruzione anche agli Esperimenti?
    Facile a dirsi. Volevano renderli degli ignoranti incapaci di protestare e capire bene il meccanismo con cui funzionava il Mondo Magico, volevano loro impedire di sapere la storia del Mondo Magico, conoscerne gli animali e le creature e le piante. Il Governo che non dà istruzione al proprio popolo ha paura del popolo stesso. Dall'istruzione partiva tutto. E poi, non era solo paura. Sì, avevano paura che gli Esperimenti potessero ritorcersi contro il Governo e affondarlo, peggio dei Disertori o Ribelli che dir si voglia, ma non solo: il Governo affermava, ancora una volta, la supremazia della purezza del sangue magico.
    Un mago è sempre migliore di un Babbano o di un Esperimento solo perché nelle sue vene scorre sangue magico. Per questo il Governo tendeva a rendere migliore la vita dei maghi e delle streghe rispetto a quella degli Esperimenti. Senza però rendersi conto che maghi e Esperimenti stavano stringendo amicizie e alleanze. O forse lo sapevano, ma non sapevano come trovare rimedio.
    Erano tempi bui quelli. Il Governo era stabile ma sembrava sul punto di vacillare. La Resistenza era più forte che mai, ma poteva venire spezzata subito. La comunità magica era ricca e fiorente, ma una nuova “razza”, quella degli Esperimenti, ne era entrata a far parte, corrompendo gli equilibri della comunità e rendendola meno facilmente trattabile ma più vulnerabile.
    “Scusa patetica. Pa-te-ti-ca. Non so neanche come tu abbia fatto. Forse è un arte. Bah”. Deimos si riscosse dai suoi pensieri. Era successo di nuovo. So era di nuovo ingarbugliato nei suoi pensieri senza rendersi conto della realtà che lo circondava. Senza rispondere al commento sulla sua “arte” del prendere in giro le persone, affinata grazie agli anni nella Resistenza in cui il segreto è di casa (c'è addirittura una lista di scuse dal titolo “Scuse per giustificare il galeone in fiamme”), poggiò le mani sui fianchi del collo del cavallo, piegò il busto in avanti e alzò la gamba destra facendola passare al lato sinistro. Poggiò la mano destra sulla schiena del cavallo, dove era seduto poco prima e vi poggiò poi anche la mano sinistra, scendendo tranquillamente toccando la terra con i piedi. Certo, la sua altezza superiore alla media lo aiutava, ma erano serviti anche gli anni in cui aveva cavalcato Thestral e altri cavalli, nonché Ippogrifi, durante le ore di Cura delle Creature Magiche.
    “Già, senti, è stato figo e ci siamo fatti la nostra cavalcata. Ma ora torno a Hogwarts, okay? Niente foresta proibita. Non ci sono mai stato, ma credo sia sai, ehm...”, iniziò a polemizzare Sean mentre i due si dirigevano verso la staccionata, per uscire. Deimos alzò gli occhi al cielo. Che rompipalle. “...tipo PROIBITA. Non voglio mettermi nei casini ora, queste cose si fanno di notte, di giorno non ha senso, capisci?”. Annuì, reprimendo la tentazione del dire “Sì, hai ragione, d'accordo, ok” in modo molto ironico. “...si perde la magia, insomma, 'ste cose si fanno di notte Deimos, si sa. Probabilmente sarei già dovuto tornare... ”, ma quanto gesticolava, poi, Sean? A Deimos ricordava molto la zia biologica. “E probabilmente Mr President mi ha vomitato nella borsa dopo tutto questo su e giù”. A quella frase Deimos scoppiò a ridere, divertito, immaginandosi la scena di Sean che apriva il suo zaino riversando nel letto un furetto tutto impiastricciato di vomito. “Magari un'altra volta, Deimos! ”.
    «Non ho detto andarci adesso, magari stanotte. O la notte prossima», gli rispose inarcando il sopracciglio. «Tutti ci sono andati, alla Foresta Proibita. È proibito anche uscire durante l'ora del coprifuoco, eppure lo fanno tutti», iniziò a elencare. «È proibito duellare nei corridoi, eppure lo fanno tutti; è proibito parlare a lezione, eppure lo fanno tutti...». Si accorse di una cosa fantastica. Esisteva un cancello. Non c'era bisogno di scavalcarla, la staccionata. Estrasse la bacchetta e, lanciando un Alohomora non verbale alla serratura, aprì il cancello uscendo dal recinto. «Sono proibite tante cose, eppure tutti se ne fregano». Addirittura lui qualche volta l'aveva fatto, anche se era estremamente ligio alle regole. Figurarsi se non lo faceva Sean. Alzò le spalle. «Se cambi idea dimmelo, io ci sono stato tante volte e mi sono fatto beccare solo la prima volta». E il professore l'aveva mandato in Sala Torture per tre quarti d'ora, si ricordava alla perfezione anche quello. Bei tempi.
    Guardò l'orologio che portava al polso. «Devo andare da mio padre adesso. E tu dovresti tornare a Hogwarts mi sa», indicò l'orologio. «Ci incamminiamo insieme verso l'uscita?», chiese e, senza aspettare una risposta, iniziò a camminare verso l'uscita dello zoo. Una volta davanti ai cancelli dell'uscita si sarebbero salutati e Deimos sarebbe andato da suo padre.
    Ah no. Li avrebbero rapiti e portati nei Labirinti, mai una gioia.
    Let the game begin.
    Deimos Campbell
    In un’anima piena entra tutto e in un’anima vuota non entra nulla

    psìche, non copiare.
     
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