I want a cupcake.

Olive

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    « sheet - 20 - Ex-Ravenclaw - Deatheater- pensieve »
    La ragazzina tremava sulla poltrona del mio studio. Si muoveva avanti ed indietro, con un ritmo tutto suo, piangendo e sussurrando frasi apparentemente senza senso, anche se avevo imparato, col tempo e con l'esperienza, che quelle frasi così sussurrate ce le avevano tutte, un senso.Fuori da là, dal mio habitat naturale, la scena mi avrebbe terrorizzato. ma lì dentro sapevo perfettamente cosa fare.Hannah. dissi con fermezza, abbassandomi per guardare la sedicenne negli occhi.Hannah, ripetei ancora una volta, ottenendo il risultato sperato. La ragazzina smise di piangere per un istante e di sussurrare discorsi spezzati, incompleti, per guardarmi negli occhi. Così, brava. Fai un respiro profondo. Sei qui ora, qui con me. E qui in mia compagnia non ti può succedere nulla. E' una promessa. Diedi le spalle alla mora mentre lei seguiva il mio consiglio inspirando profondamente, mentre io mi mordevo il labbro inferiore con forza. Se solo Michael avesse potuto assistere ad una mia visita, una sola...sarebbe stato fiero di me, senza ogni ombra di dubbio.Mi girai di nuovo verso della paziente. Trascinai la sedia vicino a lei per strale più vicino, dato che immaginavo che le sue parole sarebbero state un sussurro...sempre se avesse deciso di pronunciarle, alla fine.Allora. Te la senti, di raccontarmi che cosa è successo quella notte,ora? chiesi guardandola dritta negli occhi, tentando di infonderle tutta la sicurezza di cui ero capace. Lei restò in silenzio qualche altro istante. Ma poi iniziò a parlare. Io tentati un sorriso.Ero a letto, sdraita a pancia in giù. Ero più addormentata che sveglia eppure sono sicura, certa. Io l'ho visto, Dottor De Lamort. Glielo giuro.Io... lei rimase immobile a boccheggiare e fissare il vuoto, mentre io tentavo di calmarla un'altra volta.Hannah.Cosa.Cosa hai visto? Lei mi guardò terrorizzata.Lui. Il dottore. Il tremendo dottore, quello di cui mi hanno parlato Daniel e Bella. Li ha rovinati. I miei migliori amici. Io quella sera dovevo essere lì con loro. Io dovevo... la ragazza scoppiò a piangere ancora una volta ed io mi alzai per tornare alla scrivania. Scrissi due appunti sulla pagina della paziente, mentre lei si zittiva ancora e tornava a guardarmi.Ho paura.Ma tanta paura.Lei non ha paura?Eh?Eh?Non ha paura?<b>Non hai motivo di aver paura, Hannah. Nessuno rischia più di finire sotto i ferri degli estremisti ribelli, te lo assicuro. Ma continueremo a parlarne la prossima settimana

    Ho voglia di un cupcake. Ma tanta voglia di un cupcake. Tu non hai voglia di un cupcake?Eh?Eh?Non ne hai voglia? pensai uscendo dall'ufficio, mordendomi poi un labbro per la mia cattiveria. Mi diressi verso il negozio di dolciumi che preferivo, non potendo smettere di pensare alla povera Hannah, però. Chiesi un cupcake, mentre mi guardavo intorno. Tentavo sempre di lasciare tutto ciò che riguardava il lavoro in ufficio,ma non sempre ci riuscivo. Avevo bisogno, in quel momento, di parlare con qualcuno.
    Arthur Noah De Lamort-Greengrass - I'm the king and you're the queen of disaster.

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  2. rolly olly polly
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    name + surnameolive lewis
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    « i'm a queen and you are fottuto »
    Questa vita non ha un senso e io di questo sono fermamente convinta. Il guaio inguaiato é che a un certo punto tocca darglielo. Certo, ma come si può dare un senso a una cosa che non ha un senso? Forse non si può? Oppure si può? Con arti occulte magari, con l'uso della metafisica trascendentale, mi sa. Peccato che io non sia poi tanto ferrata in quel campo, sarebbe interessante. Magari potrei trovare qualcuno che dà ripetizioni, o qualcosa del genere. In realtà non mi interessa proprio per niente e questi discorsi mi innervosiscono. Sta di fatto che volevo trovarmi un lavoro. Oh. E che palle. Due ore per dire una cosa, mamma mia che nervi. Ok che sono scema e quello che vi pare, ma mi faccio innervosire quando sono COSÌ scema. Devo imparare a riassumere i concetti. Questa vita mi distrugge. Insomma, mi volevo cercare un lavoro. Il punto è che starmene tutto il giorno alla Testa di Porco a bere birra e ubriacarmi dalla mattina alla sera era divertente per carità, ma a un certo punto stucca. E avevo finito i soldi. E Jaime mi pressava. E sapevo che prima o poi avrei dovuto fare qualcosa nella mia vita. Non sapevo se ero pronta ad essere sobria tutto il giorno, ora che ero entrata in quella spirale di sballo e ubriachezza folle, ma ci dovevo provare, per amor proprio. State certi che di amor proprio ne ho con la pala. Mi amo come nessuno si ama, per fortuna. Mi piace amarmi. Mi fa stare bene con me stessa anche quando so di essere una nullità incapace di concludere qualsiasi cosa nella vita. Mi piace essere una nullità, finché la nullità sono io. Ma ancora una volta sono finita a parlare di fumo. Finisce sempre così, tanto vale saperlo. Il Grande Guaio, così lo chiamo, è che io non so fare molto. Certo avevo deciso di unirmi ai ribelli, ma non avevo contatti, per ora. E poi cosa avrei fatto tra i ribelli? Mi sarei ribellata? Ma quello lo facevo anche attraverso il mio stile di vita malsano. Rifiutandomi di essere utile alla società portavo avanti una ribellione tutta mia, quella battaglia che combattevo da tutta la vita, la battaglia per la mia supremazia intergalattica. Non mi stava bene non essere il capo del mondo, e mi ribellavo. Dato che però che questa è una vita di merda non basta ribellarsi da soli, tocca unirsi o nessuno ti sente. Il piano era questo: unita con i ribelli avrei rovesciato il governo, noi saremmo stati a capo del mondo, poi avrei ammazzato tutti i miei colleghi per diventare l'unica è legittima regina. Si, aveva senso. Però dovevo aspettare. E questo comunque non risolve la questione del lavoro. Tra i ribelli non c'erano incarichi concreti, a mio parere (ovviamente sono tutte supposizioni assolutamente infondate, come al solito). Dovevo trovare qualcosa che mi desse da campare. Di stare dietro al bancone della buona e vecchia Testa di Porco avevo voglia zero. Mi ero stufata di servire bevande a qualcuno che non fossi io, l'ultima volta mi ero scocciata talmente tanto che me ne ero andata nel Lussemburgo, pensate. Dovevo trovare qualcosa di più emozionante. Purtroppo, dopo ore ed ore di intenso pensare (non è vero) avevo in mente un'unica e semplice opzione. Tornare a fare quello che facevo con Kay, la noiosa Pavor. Certo questa volta sarebbe stato diverso. L'avrei fatto solo per i soldi, anzi magari non l'avrei nemmeno fatto. Potevo essere una specie di spy kid. Fichissimo. Già mi andava molto di più di farlo. Certo, mi sarei intrufolata al ministero come stupida Pavor, tanto agli stupidi non si interessano mai tanto, e facendo finta di compiere le loro luride missioni avrei combinato un po' di guai. Come Pippi Calzelunghe. Non so se è il paragone più azzeccato, ma mi è venuto così, di getto. La soluzione era intelligente, studiata e assolutamente non da me. Tutto stava nel fingere di essere stupida per non detestare troppe attenzioni. Certo, non sarebbe stato affatto difficile. Dovete sapere che solo chi mi conosce bene sa che sono sveglia in fondo, ma tutto il resto del mondo crede che io sia scema come un lombrico. L'ho sempre avuto questo vizio di fingermi fessa. Fingo di non capire così la gente non si aspetta niente da me e io faccio quello che mi pare. Certo è vero che a volte non ci arrivo proprio alle cose, ma sono casi abbastanza rari. Non mi sforzo, questo si. Ma non c'entra niente adesso. Avrei fatto il pavor-non-pavor. Bello bellissimo. Mi toccava solo passare al Ministero, chiedere un colloquio, quelle cose lì. E come la mettiamo col fatto che ero sparita per tre anni buoni? A quello ci avrei pensato dopo, per ora non ne avevo affatto voglia. Non mi restava quindi che tornare in quel posto orribile e noioso per sbrigare tutte le faccende. Dopo l'ultima traversata che avevo fatto mi ero decisa a comprarmi una cartina e cercare una scorciatoia. Pensavo di averne trovata una, ma ancora non sapevo che era un'allungatoia. Sempre che esista una cosa del genere. Insomma, il punto è che non avevo capito proprio niente, quella che doveva essere una scarpinata piacevole e leggera si era tramutata di nuovo in un incubo senza fine. Che stress. Quello che ci voleva era un bel premio pr aver fatto quella cazzata. Bisogna sempre ricompensarsi e io ero la maestra delle ricompense. Decisi ponderatamente di fare un salto a prendermi un dolce di qualche sorta. Tanto ormai con tutto l'alcol che bevevo ero diventata una panzona, un dolcetto non mi avrebbe cambiato la vita. Cambiai allegramente rotta, sicuramente sollevata di non dover passare subito al ministero. Camminai, camminai, camminai ed ecco il negozio.
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    Perchè riuscivo ad andare ovunque tranne che al ministero? Questo era un mistero (mistero ministero ahahahha capita?), un mistero bello e buono. Feci per entrare quando mi sembrò di vedere una faccia conosciuta. Si, era decisamente una faccia conosciuta, conosciutissima. Ma chi era? Rimasi imbambolata a fissare un biondino, quello dall'arai conosciuta, che stava entrando nel negozio a sua volta. Pensai intensamente, come solo io so fare e la risposta arrivò più in fretta del previsto. Era Arthie, compagno di scampagnate da mangiamorte nonchè grande, grandissimo amico mangiamorte (ho già detto mangiamorte?). E ora? Che dovevo fare? Salutarlo? Palesarmi? Fare finalmente il mio ingresso nel mondo? MA PERCHE' NO. « ARTHIE! QUI! » Mi sbracciai nella sua direzione sorridendo tutta allegra e pimpante come se niente fosse. Magari lui mi avrebbe aiutato con il lavoro. Magari poteva risparmiarmi un colloqui! O magari no, ma magari si! Sorrisi sempre più affabile e affascinante (???) « Olive. Ricordi? »
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    Dovrei parlarvi forse del cupcake che chiesi, di cosa successe a quel povero cupcake poco dopo, di cosa successe a me poco dopo, della montagna di fazzolettini delle lunghe dita affusolate, dei capelli e di tutta quella crema al cioccolato. Ma non lo farò o, almeno, non per ora. Avete presente quando da bambini, vostra madre vi ammoniva dicendovi: "Vedi di non farti male perché sennò ti sistemo io"? Ma che logica aveva una frase del genere? Nessuna, apparentemente. Ma io l'ho capita, qualche anno dopo. Quando ti sbucci un ginocchio, ti fai male, sì. Ma se tua madre ti picchia rischia di farti ancora più male, facendoti risultare la sbucciatura una cosa da nulla. Ecco perché, in momenti come quello del cupcake, dei fazzolettini e tutto il resto, per limitare la mia vergogna al minimo, amo ricordare il momento più imbarazzante della mia vita, così da far sembrare quello che mi successe da Red Velvet una cosa da nulla. Avrò avuto sì e no dodici anni. Ero al secondo anno e c'era una ragazzina che no, non mi piaceva, ma mi stava particolarmente simpatica e non avevo proprio voglia di fare delle brutte figure con lei. Mi invitò un pomeriggio vicino al lago con sua sorella maggiore, che, all'ultimo anno, aveva imparato da poco a trasfigurare una sedia in un violoncello. Non ricordo il perché precisamente di quel piccolo teatrino nei pressi del lago, nè dove fosse stato Michael nel mentre. Insomma, sapevo come si faceva perché lo avevo visto fare tante volte tra le mura scolastiche, fatto sta che la seguii e sua sorella eseguì l'incantesimo perfettamente. A questo punto la ragazzina, che si chiamava Cadence, mi disse di saper suonare il violoncello e che mi voleva mostrare come si faceva. Suonò un pezzo breve e molto semplice ma io ne rimasi davvero impressionato. Le chiesi se potessi provare e, per farla breve, lo strumento mi scivolò sulla sua caviglia, per aiutarla lanciai l'arco che finì in faccia a sua sorella e per finire, quando sollevai il violoncello, mi scivolò e le cadde di nuovo addosso, ma stavolta sul piede sano. Nessuno venne mai a sapere per mia fortuna che ero stato io a far rimanere le due sorelle in infermeria per una settimana, ma mi sentii in colpa per molto tempo.Posso dirvi che non mi sembrò così tragico quando, appena ricevuto tra le mie mani il dolcetto, venni distratto da una ragazza che, urlando, sembrava stesse salutando proprio me. Riuscii a spaventarmi e così, dopo un paio di tentati salvataggi falliti, il dolcetto mi cadde. Ops... riuscii soltanto a dire mentre la ragazza alla cassa, comprensiva, mi passava un paio di fazzolettini che presi afferrando pure le sue lunga dita affusolate e tirandogliele un po. Chiedo scusa... sussurrai rosso come un pomodoro. mentre pulivo per terra tutta quella crema al cioccolato. Quando finii, non mi accorsi che me era rimasta un po' sulle dita e mi passai la mano tra i capelli, sporcandoli. Emh...Olive? Sì, credo di ricordare...mi fa piacere rivederti. dissi infine ostentando sicurezza, come se nulla fosse successo, mentre una ciocca di capelli color cioccolato che una volta doveva essere stata bionda mi penzolava davanti agli occhi. Che imbarazzo.
    Arthur Noah De Lamort-Greengrass - I'm the king and you're the queen of disaster.

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