Eye of the tiger

Thane

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  1. charlie (brown)
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    « sheet - 24 - muggle - medium - pensieve »
    La luce del tramonto illuminava la vietta donandole un’atmosfera magica, quasi surreale. Charlotte Hamilton, i lunghi capelli castani sciolti sulle spalle che si muovevano sinuosi seguendo i movimenti del vento, osservava la scena sgranocchiando una ciambella allo zucchero. La testa inclinata leggermente verso destra, le gambe incrociate, i fianchi appoggiati ad un vecchio palo della luce. Nulla in lei lasciava trapelare il perché fosse lì e di questo Charlotte era molto fiera. “Assumi un atteggiamento noncurante” le aveva detto Al prima di entrare in quello che aveva tutta l’aria di essere un negozio ma che, e Charlie ne era quasi sicura solo che non riusciva proprio a ricordarselo, probabilmente un negozio non era. E lei lo aveva fatto. Si era stampata sul volto l’espressione più neutrale possibile, aveva preso una ciambella dalla macchina del suo amico e si era appoggiata a quel palo come se fosse la cosa più normale del mondo.
    Una macchina si era fermata dopo qualche minuto, ma Charlie non ci aveva dato troppo peso. L’uomo all’interno del veicolo l’aveva fissata per qualche secondo, un sopracciglio alzato e due intensi occhi azzurri che cercavano di comunicarle qualcosa di fin troppo chiaro. Incrociando le braccia sotto il seno, Charlotte aveva schiuso le labbra in un sorriso. “Mi dispiace, non sono della zona quindi non saprei proprio come aiutarla se deve andare da qualche parte” Si era stretta nelle spalle, poi aveva dato un morso alla ciambella, cercando di ignorare l’uomo che continuava a fissarla fin troppo apertamente. Chiuse gli occhi per qualche secondo, ma quando li riaprì il tizio non se ne era ancora andato, anzi, si era appoggiato alla portiera e continuava ad osservarla con la mano chiusa a pugno appena sotto il mento. Iniziava a stufarla. Tendenzialmente Charlotte cercava di vedere il meglio nelle persone. Vedeva qualcosa di luminoso in chiunque, anche in coloro che stavano lentamente per essere divorati dall’oscurità. Ma c’erano momenti in cui questo suo atteggiamento le portava solo guai, e quello sembrava proprio uno di quei momenti. Deglutì, schiarendosi leggermente la voce, poi si chinò verso l’uomo, senza accorgersi che un biglietto –sul quale Al aveva scritto “ricordati che stai aspettando Al”- le scivolava via dal palmo leggermente troppo sudato. “Se è qui per la mia ciambella, mi dispiace deluderla ma, sa, preferirei tenerla solo per me al momento” Disse, esibendosi nel suo sorriso più amichevole ma mantenendo uno sguardo che di amichevole aveva poco. “Quindi può anche andare” aggiunse poi, tornando ad appoggiarsi al palo in attesa di sentire il motore dell’auto accendersi. “Tu non sei Rea” le parole, un sussurro incredulo, roco, le fecero venire i brividi. No, lei non era Rea, ma evidentemente l’uomo la conosceva. Quell’uomo conosceva sua sorella. Aprì la bocca, cercando di parlare, ma le parole le morirono in gola e l’uomo mise in moto e andò via prima che lei riuscisse a fermarlo.
    Si passò una mano fra i capelli, agitata. Se quell’uomo l’aveva scambiata per Rea, vedendola lì per strada, c’era una sola spiegazione possibile: sua sorella era a Londra, e probabilmente faceva anche la prostituta. Ma Rea, la Rea che lei aveva conosciuto, non si sarebbe mai abbassata a fare la puttana qualunque. No. Fece qualche passo, buttando la ciambella rimasta nella spazzatura, e continuando a camminare non si accorse di aver calpestato il bigliettino di Al, oramai dimentica del motivo che l’aveva portata a sostare accanto ad un palo. Continuò a camminare per qualche metro, immersa nei suoi pensieri. No, proprio non riusciva ad immaginarsi sua sorella come Julia Roberts in Pretty Woman. Rea al massimo, riusciva a vederla come metress, o escort d’alto borgo. E se faceva la metress lì a Londra.. Allora non sarebbe stato difficile rintracciarla.
    Camminò per qualche minuto, o forse qualche ora, continuando a rimuginare sulla sua gemella, fino a quando non si trovò davanti all'entrata dello Zoo, ed improvvisamente un sorriso genuino fece capolino sul suo volto. Era proprio con Rea che era andata allo zoo per la prima volta, quando ancora erano bambina. Riusciva a ricordarsi come tutto le era sembrato grande, come gli animali –seppur in gabbia- le erano sembrati maestosi, forti, spettacolari. Ricordava che si era fermata davanti ad un ippopotamo, incantata, mentre i suoi genitori andavano avanti senza degnarlo di uno sguardo. L’ippopotamo stava per entrare nella piscina, sul viso un’espressione così beata che per un lungo attimo Charlotte, allora ancora bambina, l’aveva invidiato come mai le era successo. Per anni, dopo quell'esperienza, quando le chiedevano cosa avrebbe voluto fare da grande rispondeva che lei avrebbe fatto l’ippopotama. ma quello è un neburi nel suo habitat naturale! la tua psw speciale è: thirteenth
    Prima che se ne rendesse conto, era entrata. Si osservò attorno, notando quanto tutto fosse diverso dai suoi ricordi ma allo stesso tempo così simile. Alla sua destra, un leone dalla folta criniera stava ruggendo per un pubblico entusiasta, alla sua sinistra una tigre riposava ignara della confusione che la circondava. Davanti a lei, un sentiero in terriccio si estendeva per miglia nella promessa di un viaggio indimenticabile. Fece qualche passo, osservando ciò che la circondava con entusiasmo, il cuore leggero come il battito d’ali di una farfalla, poi si lasciò cadere su una panchina in legno, lo sguardo incantato fisso sulla tigre sonnecchiante, il desiderio di riuscire a spegnere per qualche minuto la mente proprio come lei.
    Charlotte Hamilton - Those who are dead are not dead, they're just living in my head

    © psìche, non copiare.


    Edited by etc. - 23/9/2018, 23:55
     
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  2. thane.
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    30 - spia- mangiamorte- scheda ()

    Bruciò il messaggio che l’Anonimo gli aveva fatto recapitare a casa da un ex-partecipante di Armageddon, così da cancellarne ogni traccia, come gli era stato insegnato. Aveva un nuovo obbiettivo: insensato, per chiunque altro, ma non per lui. Joel semplicemente non si faceva domande, eseguiva meccanicamente. Studiò la scheda del suo obbiettivo, Elphias Carrow, proprietario di un celebre zoo di Hogsmeade. L’uomo era diventato uno degli anelli di una catena di spaccio di sostanze stupefacenti di cui l’Anonimo voleva sapere ogni cosa. Lui si sarebbe dovuto infiltrarsi, coprendo le sue reali intenzioni facendosi passare per un pusher del quartiere dei muggle, desideroso di entrare nel giro.
    Divenne Jasper Logan, ventisettenne di bell’aspetto con il vizio dei tatuaggi. Ricoprì le sue braccia, con la magia, di simboli, neri o colorati, scelti opportunamente da un catalogo che teneva proprio per quel genere di occasioni. Uno scorpione, una pin up, Topolino, una foglia di cannabis, un bracciale maori, una scritta in cinese e un paio di date. La morte di sua madre e la nascita della sua nipotina, decise. Accorciò notevolmente i suoi capelli sui lati, arrivando quasi a rasarseli, e diede un aspetto caotico ai suoi ricci volutamente accentuati. Fissò il tutto con molta lacca: Jasper amava curare il proprio aspetto finto trasandato. Scelse un grigio chiaro con qualche striatura verde per i suoi occhi: una piantina abbandonata sulla terrazza, durante un giorno di pioggia metropolitana.
    Indossò poi un paio di jeans stinti, pagati fior di quattrini, una maglietta bianca con scollo a v di una firma italiana rinomata e un giacchetto leggero d’un non precisato colore a metà tra l’arancio e il marrone chiaro. Un abbigliamento, nel complesso, piuttosto costoso: tipico di qualcuno abituato a fare soldi facili, in gran quantità. Del resto, lui era J-Lo.
    Non la cantante, lo spacciatore. Un nome piuttosto funzionale, per i suoi clienti, considerando la fama della sculettatrice babbana in questione. Passò agli accessori: un paio d’occhiali da solo costosi, abbandonati contro il petto muscoloso, un bracciale d’oro sottile e un iPhone dell’ultimo modello. Si guardò allo specchio: nonostante l’apparire e l’impiego, era un tipo timido. Uno di quelli che non hanno mai la forza di reggere uno sguardo troppo a lungo, uno di quelli che lascia sempre passare gli altri, se la strada si incespica in un piccolo ingorgo. Uno di quei ragazzi abituati a fare da tappezzeria al liceo. Anni terribili, quelli, per J, all’epoca obeso e nerd appassionato di videogiochi. La sua vita, da che vi era entrata la droga, era notevolmente cambiata. Si guardò allo specchio.
    Jasper era perfetto, riflesso nel vapore consolidatosi sulla superficie liscia a causa della doccia che si era fatto. Passò due volte una mano contro quel vetro che gli rimandava il suo corpo. Si cercò quasi disperatamente, ma non si trovò. Non si trovava mai, Joel. Lui ogni volta si perdeva, come uno sbuffo di vapore.
    Per lui, dietro ogni maschera, ve ne era sempre una nuova: proprio per questo era riuscito a divenire il Mietitore di Thanatos. Preparò le armi poco appariscenti di cui avrebbe potuto aver bisogno: qualche spillo infilato in punti strategici dei suoi abiti e un paio di boccette di veleno di variabile pericolosità.
    Uscì di casa correndo, con un paio di converse nere, sporcate per il troppo utilizzo. Si accese una sigaretta: Marlboro rosse, una vera sfida per i suoi polmoni poco avvezzi al fumo. Fece una prova, nascosto in un vicolo – posto perfetto per J-Lo –, e si ritrovò a tossicchiare senza fiato. Al terzo tentativo gli riuscì una bella boccata deglutita di petto e si ritenne pronto per proseguire. Percorse le strade con un passo sostenuto e il volto chino. Ogni tanto si guardava in giro, come a rubare un angolo di quel mondo da portare con sé. Come uno di quei poeti romantici sazi dinnanzi allo spettacolo della natura. Superò, in fine, l’alto cancello e la scritta che lo informava d’essere giunto alla meta. Pochi passi.
    Ed eccola.
    La variabile non prevista e, probabilmente, imprevedibile. Rea Hamilton, sua collega presso il Ministero con cui non aveva mai avuto il piacere – o il dispiacere a dire di molti, ma lui non si permetteva di giudicare, non vestito da J-Lo – di incontrare. Si dicevano molte cose, su di lei. Alcune veramente poco gentili riguardo a lavoretti extra in cui pareva amare prodigarsi per tariffe nel complesso accettabili, visto il suo bel aspetto e il carattere da vera dominatrix. Avevano condiviso qualche spazio, come quello dell’ascensore, solo per pochi istanti, ma in passato erano stati presentati l’uno all’altra e viceversa. Quindi lei, almeno che non avesse la memoria molto poco allenata o che avesse deciso, com’era possibile, di rimuoverlo totalmente, avrebbe dovuto riconoscerlo. E di certo tutti quei tatuaggi non le sarebbero passati inosservati. Di certo non lo scorpione sul collo.
    Doveva quindi decidere cosa fare: mandare in malora la propria missione secondaria o quella principale? Doveva essere J-Lo lo spacciatore o Thane il Pavor? Cercò un punto di contatto tra i due.
    J-Lo avrebbe evitato in ogni modo di fare un torto ad un contatto; Thane non si sarebbe risparmiato dal salutare cordialmente un collega.
    Avrebbe evitato il sorriso di Thane e i suoi modi troppo espansivi. Avrebbe scartato l’eccessiva timidezza di Jasper.
    La guardò per un attimo negli occhi, in cerca di un segno del fatto che l’avesse riconosciuto, nonostante quei marchi. Poi, alzò la mano destra in un saluto. «Hamilton!» disse solamente.



    JOEL "THANE" DOE
    ❝ Pull away your eyes, there's nothing left to hear.
    I'm alone, but I know everything you fear ❞


    CODICE ROLE SCHEME © dominionpf
     
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