Family meeting

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  1. mr. galloway
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    Anthony-Hopkins

    M. Galloway

    Scheda ▼87 anni ▼ Torturatore ▼ Mangiamorte ▼ Pensieve

    « Expecto Patronum ».
    Dalla punta del suo noce nero prese vita un vortice argenteo che si tramutò in una creatura enorme, simile ad un leopardo pezzato, ma più muscoloso ed imponente. Si depositò elegantemente sul pavimento sporco della Sala delle Torture, fissandolo attraverso gli specchi ambrati.
    « Vieni nel mio ufficio, ti aspetto » sibilò tra i denti, pacato « Va da Erin ».
    Il Nundu balzò lontano scivolando attraverso la porta chiusa e dirigendosi verso la pronipote, ingaggiata da un anno a quella parte nel castello in qualità di aiutante per Erbologia. Quando l'avrebbe raggiunta, nel castello, dopo aver seminato quel poco di terrore che si aspettava seminasse tra gli studenti, l'innocua creatura avrebbe parlato con la stessa voce del vecchio prozio, troneggiando sonora. L'uomo l'avrebbe attesa, le braccia conserte, al di là della vecchia scrivania che durante le torture svaniva nel nulla.
    Una torcia traballante illuminava a malapena l'intero perimetro della stanza, oscurato dalle ante chiuse. Il pavimento macchiato di sangue e sudore splendeva alla luce fioca, gettando qua e là qualche riverbero rivoltante. Quel pomeriggio ancora nessuno studente aveva varcato la soglia dell'Inferno, e quello lo aveva reso abbastanza nervoso. C'erano giorni, infatti, in cui faticava a trovare un momento per tutti i poveri ragazzi che erano destinati a cadere sotto le sue grinfie di ferro; altri giorni, invece, si rivelavano una noia mortale. Ritenne quindi, dal momento che era passato tempo dall'ultima volta che si erano visti, che avrebbe potuto approfittare dell'occasione per intrattenere un'amabile conversazione con la prematura nipote.
    Il Nundu attraversò sordido la porta di fronte ad un irremovibile Meleagant, che con un gesto pigro della undici pollici e mezzo fece svanire la creatura argentea. Ancora Erin non arrivava, ma si prefigurava i lineamenti della giovane strega, non dissimili da quelli delicati ma pungenti di sua madre Ailie.
    Una sedia sgangherata si materializzò con un fischio di fronte al tavolo rovinato, volta ad accogliere la giovane.

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    Edited by mr. galloway - 3/5/2015, 23:25
     
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  2. nymphomaniac
         
     
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    Alone at last. Oh, the pleasure of the pain.
    You really do suffer from insanity, don’t you?
    Hardly. I have to say I enjoy every minute of it.
    erin silver sicla | 19 y.o. | HERBOLOGY ASSISTANT | PUREBLOOD | DEATHEATER

    Era invevitabile, lo sapeva, lo aveva sempre saputo. L'ineluttabilità del caso, del fato - o del caos secondo quelli che ella stessa riteneva i più realisti - era una di quelle troppe cose che, la giovane Sicla, proprio non riusciva a sopportare, eppure.. Sapeva sarebbe successo, ma non mosse un arto quando accadde. Rimase seduta, con le gambe accavallate a guardar dinanzi a sé, con gli occhi volti verso l'alto senza fissar nulla e la mascella a dondollare, in un moto spastico, infastidito e rassegnato. « miss sicla non è qui per farci del male, state calmi.. » La donna che parlava era poco più grande di lei, ma grosse rughe già le solcavano il volto attorno agli occhi e le labbra. Erin riconosceva la vecchiaia prematura come uno dei effetti collaterali della paura. Quella donna, quella giovane donna, di certo aveva, per metà della sua vita, temuto così tanto ciò che la circondava che ora, probabilmente, non sarebbe riuscita nemmen a viver l'altra metà che le restava. « v-vero miss sicla? » Il volto angelico di colei che veniva chiamata con l'appellativo di miss, si ricompose e le sue labbra, senza schiudersi, s'inclinarono appena in un sorriso rivolto ai mocciosi impauriti dinanzi a lei che avevano appena smesso di urlare tenendosi abbracciati l'un l'altro. Dopo secondi eterni, infine, aprì le mani che aveva tenuto a ciondolar oltre le proprie gambe e facendo spallucce, sospirò. « Vero. Per oggi. » Chinò il capo d'un lato e arricciò il naso. Erin continuava a muoversi e comportarsi come se fosse lei la cerbiatta e non il cacciatore. La tattica dell'esca; apparire ciò che non era pur di prender ciò che voleva. Se solo non fosse stato per il suo nome.. Oh, che disdetta. Bastava che qualcuno conoscesse il suo nome e sapesse affibbiarlo al suo volto e puff, diveniva così tutto inutile. Il disagio e l'orrore che scatenava il nome Sicla, poi, era irreversibile, ma è improbabile pensare il contrario: Erin non era poi così placida, per così tanto. La brama, alla fine, chiama sangue, sempre. Era la prima volta che aveva a che fare con i mocciosi del primo anno, sino ad allora, per un motivo o per un altro, era riuscita a raggirare quello scomodo evento, ma quell'oggi no. Infondo come vi ho già detto, Erin sapeva che sarebbe successo, così come sapeva cosa sarebbe successo. Fu quello, di fatto, il più scontato degli avvenimenti. Appena la responsabile addetta a quel mucchio di Grifondoro nuovi di zecca, ebbe presentato la bionda figura in testa al trenino che avevano formato nel mezzo della serra più piccola, tra quelle adibite negli esterni del castello, tutti i marmocchi, nessuno escluso, avevano iniziato ad urlare e ad agitarsi. Erin Sicla non aveva nemmeno ancora proferito parola, né si era alzata dal suo scranno di legno che non era nulla più che una semplice panca in mezzo a dei vasi di belladonna. La donna dalle premature rughe, ci mise un bel pò prima di riuscire ad acquietare tutti, ma quando vi riuscì, finalmente pronta a iniziar il suo discorso sulla materia per cui Erin era assistente, qualcos'altro dissestò nuovamente l'equilibrio silenzioso della serra. « AAAH, E' UN MOSTRO! » Una figura argentea dalle spropositate e sgraziate dimensioni fece capolino dinanzi tutti i presenti all'interno di quella serra sin troppo piccola, per il Nundu. Mentre i ragazzetti ancora urlavano e la donna cercava, ancora, alla stregua delle sue forze, di calmarli, Erin rivolse il proprio sguardo verso il volto della Bestia, impassibile e in attesa. Sapeva per cosa venivano usati i sicarium, anche se lei mai in vita sua ne aveva evocato uno, per quello e per nessun altro scopo. « allora? » Il caos incalzava e infine, portò tutti a uscir da quel luogo ormai divenuto sin troppo piccolo per riuscir a contenere urla, panico, disperazione e Nundu. « Vieni nel mio ufficio, ti aspetto » Nell'istante in cui riconobbe il tono della voce che rimbombò su ogni vetro a lei circostante, Erin sorrise, questa volta, di autentico compiacimento. Raccattò le sue cose e qualche secondo dopo che anche la bestia si fu dileguata, anche lei lasciò gli esterni del castello per dirigersi al suo interno. Non fremeva dalla gioia né dalla curiosità di adempiere all'ordine che le era stato mandato con fattezze bestiali, ma la devozione per l'uomo che l'ebbe chiamata a sé, l'unica devozione che ella ebbe mai sviluppato in vita sua, accelerava il suo passo verso la meta. Melegant Galloway, suo prozio, era forse uno degli uomini più temuti lì al castello. Era in lista con nomi importanti quanto quello della Lagrange, lui. Un timone di timori, quella lista, un vanto essere uno dei capitani, dunque. Il regno dove dominava solo ed incontrastato il vecchio uomo, però, era la sala delle torture; uno degli anfratti più decadenti e piacevoli in cui recarsi, per Erin. Conosceva la strada come se l'avesse percorsa ogni giorno sino ad allora, l'ormai ex serpeverde, ma in realtà vi ci recava solo tre giorni su sette, in media. Ahimè, ancora troppo poco, ma forse ancora per poco. Era quella la vacillante speranza che la rendeva, a suo modo, gioviale. Che l'uomo l'avesse richiamata per darle finalmente la lieta novella che tanto attendeva? Avrebbe forse potuto da allora anch'ella macchiarsi di sangue legittimamente all'interno di quelle mura intrise di orrori che tanto aveva, per anni, adorato frequentare per devozione, più che per dovere? Lo scricchiolio della porta che venne delicatamente aperta dalla giovane Sicla, fu tenebroso quasi quanto gli interni che aveva celato, ma ella non esitò affatto.tumblr_n1gdjbxWou1r6z0dfo2_250 In contesti come quello, Erin Sicla, sembrava calzar sempre alla perfezione. La tenebra era una seta pregiata per il suo corpo plagiato d'oscura malvagità. Melegant era seduto dietro un dozzinale banco che non meritava il nome di scrittoio, così come la sedia posta dinanzi ad esso, a stento avrebbe potuto definirsi propriamente sedia. Tutto ciò che costituiva quel luogo che non fosse ritenibile un'arma o affine, era di fatto, solo legno marcio con la pretesa d'esser assemblato come mobilio. « come posso esserti utile? » Legiadra e silenziosa Erin tornò nuovamente seduta, a gambe accavallate, con quell'aria vagamente vitrea e distante che la contraddistingueva. Nonostante le sue volontà in merito al perchè di quell'incontro fossero ben precise, Erin sapeva che a far sfociare queste in speranze, nulla avrebbe ricavato. Lei odiava, d'altronde, la speranza stessa; ciò che rappresentava, ciò che suscitava, la definizione stessa, di speranza, la oltraggiava. No, non sperava che lo zio le chiedesse di prender posto accanto a lui in quella sala cui tanto, tantissimo dolore, sangue e disperazione avrebbe potuto donare, ma lo voleva e furia di voler qualcosa, Erin, era capace di divenir furia per quel qualcosa.

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    Edited by .mother chucker - 24/5/2015, 00:01
     
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  3. mr. galloway
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    Anthony-Hopkins

    Meleagant Galloway

    Scheda ▼87 anni ▼ Torturatore ▼ Mangiamorte ▼ Pensieve

    Quando Meleagant vide la ragazza sfilare oltre lo stipite, si alzò e con un delicato cenno del capo, simulò un piccolo inchino. Tra membri della stessa famiglia, soprattutto nel ramo nobile e antico dei Galloway, era consuetudine rispettarsi con gesti estremamente cordiali, anche se spesso sfociavano nella banalità babbana.
    L'uomo era avvolto in una lunga tunica verde pistacchio, appena aderente sul ventre gonfio e sollevata a mostrare i piedi nudi. La barba curata gli conferiva un'aria più ordinata e pulita del solito. Gli occhi saettarono ingordi sul profilo flessuoso della sua pupilla, mentre prendeva posto sulla sedia sghemba. Le parole, come al solito, si erano bloccate in gola come un rospo dei più grossi, sinceramente ammaliato dallo spodestante sex appeal e al contempo dal disprezzo omicida che la distingueva. Non si sedette più, altresì scelse di camminare lentamente attorno al tavolo che li divideva con poca utilità.
    « Ti ringrazio per essere venuta » esordì, le mani intrecciate dietro la schiena, e il naso rivolto al soffitto. Un sorriso cavalcava le labbra sottili, prefigurando qualcosa di losco che solo la mente complessa del vecchio poteva comprendere. « Ho disturbato qualcosa di importante? » chiese fingendo reale interesse. Si bloccò a qualche centimetro dal tavolo e smise di darle le spalle, per sfoggiare un cipiglio interrogativo.
    Quando riprese a camminare, incespicando di tanto in tanto nel lungo tessuto, si diresse lento e rassicurante verso di lei. Erin era forse l'unica donna che avrebbe potuto accettare di sposare, se solo avesse avuto la sua età. Meleagant, dall'alto dei suoi ottantasette anni era oramai destinato a trascorrere gli ultimi anni in solitudine, accompagnato alla morte dai suoi tre felini e dal Runespoor che, una volta inerte, era sicuro l'avrebbe divorato. La giovane assistente riportava tutte quelle caratteristiche che il ramo Sicla, imparentato da parte della madre Ailie con quello dei Galloway, aveva cercato di impartirgli, nella ferrea educazione pro regime. Rimpiangeva una madre come la Cavendish quando ripensava alla strada che suo fratello Hoel aveva accidentalmente intrapreso, accoppiandosi con una babbana e dando vita ad un rifiuto della stessa sorta. Non c'era da stupirsi se il vecchio torturatore se n'era occupato personalmente, facendoli svanire dalla faccia della terra. Quello, di sicuro, era stato una dei più terrificanti e spietati tra i suoi omicidi, ma nulla gli aveva mai fatto pensare avesse sbagliato.
    E ora era rimasto completamente solo e per tutti quegli anni fingeva di essere l'unico e ultimo erede della famiglia Galloway; tuttavia, il maniero della famiglia ospitava ancora una donna, che con arroganza ed egoismo si era appropriata dell'intero stemma casale: Cliona Galloway, sua sorella. Sebbene avesse oramai novantatré anni, li portava bene ed inoltre, tra le altre cose, la longevità, dopo l'esemplare vita del nonno Lionel, era di famiglia. Se da una parte lo considerava un fatto positivo, dall'altro iniziò a temere che probabilmente sarebbe deceduto prima di lei. Più volte aveva tentato di sopraffare la donna, che l'aveva cacciato dal castello, con la manipolazione, invano: Cliona si era rivelata l'unica persona a riuscire a sfuggire totalmente al suo controllo mentale.
    Rimuginò su quanto avesse avuto in comune con il defunto Morholt e quanto avrebbe voluto fosse ancora vivo, ma dal momento che aveva deciso, dopo anni e anni di assassinii nel nome di Voldemort, di ritirarsi, dimostrandosi ingenuo, era giusto che se ne fosse andato, così come era venuto. Una macchina da guerra, era stato, abbindolabile come pochi ma fedelissimo servitore. All'età di settantanni, quando Tom Riddle in persona decise di eliminarlo, era ormai poco più che un uomo meccanico. Aveva una gamba di ferro, volto segnato dalle cicatrici, un braccio amputato e due dita dell'altra mano donate per una buona eventuale causa.
    Non poté non ricordare Darren, il fratello gemello della ragazza a cui si stava lentamente avvicinando, mentre il silenzio si dilatava tra i due. Il ragazzo era rimasto ucciso due anni prima nell'intento di sopprimere un focolaio di resistenza troppo grande per lui e i suoi compagni. Rammentò il dolore che irrimediabilmente travolse il giovane animo della pronipote e il suo stesso moto di compassione che provò nei suoi confronti. Negli occhi del giovane diciassettenne d'altronde ci vedeva suo fratello Morholt.
    Quando le fu alle spalle, una mano meccanica si depositò sulla sua spalla morbida. « Tuo padre, Oberyn, come sta? » chiese, annullando le distanze tra il suo orecchio destro e la bocca rugosa del vecchio. Entrambi conoscevano i rancori che da anni avviluppavano le loro esistenze, nello stesso ruolo di capifamiglia. Meleagant anelava a rivendicare il primato dei Galloway sui Sicla, e per questo aveva provato a portare dalla sua parte i figli, compreso Cole, impiegato al Ministero tedesco. Un sorriso si disegnò beffardo tra i solchi antichi della sua pelle. Sapeva, sotto sotto, che non l'aveva fatta chiamare così maestosamente solo per chiacchierare delle loro famiglie.
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  4. nymphomaniac
         
     
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    erin silver sicla | 19 y.o. | HERBOLOGY ASSISTANT | PUREBLOOD | DEATHEATER

    Aveva sempre odiato il cianciare che imperversava tra ciò che, di commiato, veniva detto e ciò che si voleva dire. Erano parole gettate al vento che si mescolavano al tiepido nulla che, altrimenti, non avrebbero avuto nemmeno ragione di esistere. Le frasi che condivano i discorsi più salienti erano ornamentali, futili e sciocche. Lei non le usava. Erin, difatti, nel suo disordinato sapere conosceva ciò che voleva e conosceva i modi più espliciti per dirlo, se andava detto e per averlo, se parlarne non serviva. Ma non tutti erano lei e con questo, dovendo conviverci da sempre, specialmente dalla morte di Darren che da solo costituiva l'unica persona che le somigliava tanto quanto la figura che scorgeva specchiandosi, faceva i conti con educata compostezza in qualsivoglia occasione di dialogo con il prossimo. « Ti ringrazio per essere venuta. Ho disturbato qualcosa di importante? » Erin non rispose, bensì si limitò a sfoggiar il suo solito sorriso colmo di più significati di quanto possano celarne le parole. C'era quella luce, quello strano bagliore negli occhi dell'ex serpeverde, che sembravano riflettere i suoi pensieri anche più reconditi. Il suo sguardo palesava la follia del suo essere tanto quanto la sua risata che, di quando in quando, senza apparenti motivi precisi fuoriusciva dalle sue labbra rosee e carnose. La risata che riempì, flebilmente la stanza, anche in quel momento, proprio mentre l'uomo si muoveva attorno a lei, placido e sicuro di sé. Erin aveva pochi sentimenti paragonabili a quelli di un qualsiasi essere umano giudizioso e degno di tale appellativo, ma tra questi, vi rientrava quasi sicuramente anche il rispetto. Difficile a credersi, ma vi rientrava anch'esso. La giovane Sicla a tutti gli effetti era noto rispettasse il suo vecchio pro zio come solo poche altre persone potevano averne il vanto, talune delle quali, ad oggi, morte e sepolte. Nonostante questo però, ella era anche segretamente certa del fatto d'esser a lui superiore e questo, erroneamente, la portava a porsi nei suoi confronti con forse fin troppa arroganza nei suoi umori. In circostanze in cui Erin si presentava al cospetto di qualcuno il quale riteneva al suo pari o oltre, infatti, sapeva contenere la risata innocente che sprigionavano i suoi pensieri sempre in corsa o addirittura, riusciva a non dipingersi il volto con il suo sorriso angelico e sprezzante. E invece, in quel contesto, proprio non vi riusciva. Per quanto quell'uomo avesse in pugno la possibilità di determinare se un suo desiderio sarebbe potuto mutare da fantasia a realtà, ella proprio non riusciva a far buon viso a cattivo gioco. O meglio: vi riusciva, come sempre, ma non nel senso più comune. Il suo buon viso di Erin Sicla consisteva nell'ingannar le apparenze del suo cattivo essere e questo forse vi sembrerà un concetto simile, ma nel dettaglio non è esattamente lo stesso. « Tuo padre, Oberyn, come sta? » Vedete, vi è una severa, rigida e ordinata gerarchia, nelle famiglie magiche purosangue, come è indubbio vi sia in ogni grande famiglia di nobili origini in tutto il mondo. In quella dei Galloway, dei Sicla, dei Cavendish e correlati, lo schema era semplice, netto e lineare. La linea, però, era prettamente legata alle vite di ogni membro che prendeva posto nell'enorme albero genealogico che univa loro tutti e, per questo, cambiava direzione a seconda di chi viveva e chi, invece, malauguratamente spirava. Al momento la linea seguiva solo i Sicla, lasciando i Galloway indietro ormai già da un bel pezzo. Questo significava che in vetta all'albero genealogico, in quanto vivi, ricchi e in buona salute e tutti, più o meno saturi di balda giovinezza, vi erano loro, i Sicla e che di conseguenza, erano anche a capo dell'ordine gerarchico su cui fondava la loro abbondante famiglia. Questo lo sapeva Oberyn Sicla, lo sapeva lei e lo sapeva l'uomo che si fingeva, con pessime capacità recitative, innocentemente interessato a una salute che in vero, si augura non esserci. « Prospera. » La risposta le uscì con la stessa pungente precisione con cui un serpente si leva a morder la propria preda. Gli occhi cerulei della giovane però, iniziarono a spogliar la stanza distrattamente, conferendo al suo parlato una possibile più placida interpretazione. Non voleva scaldare gli animi né era talmente sciocca da pensar di poter scampare ad un duello, seppur solo dialettale, con quell'uomo.tumblr_inline_nnf07xcdFY1sccn28_500
    « E' straordinario come mio padre riesca a tenersi così magnificamente in forma e in salute nonostante gli anni che avanzano. Mi auguro sia qualcosa nel nostro gene, cossicché possa un giorno poterne giovare io stessa. Anche la cara zia Cliona, se non erro gode di ottima salute, non è forse vero? » Ma la provocazione, oh, la sublime, peccaminosa, pericolosa, affascinante arte della provocazione era una tentazione troppo invitante per non esser colta. Solo un folle, cederebbe, in un caso come quello, a lanciar la bomba che rappresentava il discorso intrapreso, ma qui è di Erin Sicla che si narran gli eventi.. folle, per lei, sarebbe non esser tale.

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3 replies since 3/5/2015, 21:49   316 views
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