Carry on, wayward son

x Lucas

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    Aloysius Crane
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    «Invierò un messaggio a Lucas per farvi incontrare, avrai mie notizie» Deimos fu, per quanto bizzarro, strano, particolare, un uomo di parola. Non ne dubitai mai, mi aveva fatto una buona impressione dal principio, dal primo momento che ci incontrammo nell'Aetas, quella piccola oasi nel bosco. Un ragazzo semplice e contorto al tempo stesso, che in poco tempo si era guadagnato la mia stima, il mio rispetto. L'avevo guardato male, con un'iniziale titubanza: era un mago, odiavo i maghi, e la magia, ma ehi! Quello era il mio mondo, ormai. Ormai... Quella conversazione, nonostante fosse passato un po' di tempo, mi risultò comunque così vicina. Vicina, perché bene o male Deimos non mi fece aspettare molto per avere sue notizie, come aveva promesso. Un gufo, forse non suo, abbastanza stupido da non capire come si entrava da una finestra aperta, dopo qualche settimana mi portò una lettera. Strano modo di contattare le persone avevano i maghi, così legati ad un mondo senza tecnologia ed elettricità: ogni volta che uscivo di casa mi sembrava di aver varcato la soglia verso un altra dimensione o di essere tornato indietro nel tempo di qualche secolo. Sulla lettera c'era scritto poco e niente, indicazioni rapide scritte in bella calligrafia. Un luogo, la Stamberga Strillante, una data ed un orario. Ed un post scriptum, quasi a caratteri cubitali: "Ricordati del pugno in faccia, Deimos".
    Camminando per Hogsmeade rilessi quella lettere, ed arrivato a quell'ultima linea mi misi quasi a ridere, ripensando a la quasi promessa che gli avevo fatto tempo addietro. Ripensai a tutto il nostro dialogo, chiedendomi di nuovo quanto avessi fatto bene ad aprirmi con lui così spontaneamente. Ero quasi sicuro fosse un Ribelle, o meglio era quello che mi aveva lasciato intendere. Allo stesso modo poteva essere un abile bugiardo, un Mangiamorte con i fiocchi. Ma al diavolo! Avevo deciso di non impormi in quella stupida guerra, e di certo ero ancora di quell'opinione: non mi si era presentata nessuna vera occasione, nessun vero motivo per scegliere l'una o l'altra fazione. Per questo pensai che, dopotutto, non era stato un problema parlare con il giovane Campbell, che esso fosse dell'una o dell'altra parrocchia. Non mi interessava, avevo passato del tempo piacevole con lui, e mi aveva aperto gli occhi ad un nuovo mondo che solo Edward Lucas Italie avrebbe potuto illustrarmi veramente, se era quello il mio destino. Ora, tutto il mio passato era in dubbio, tutta la mia esistenza era un grande, immenso punto interrogativo, perché se le mie supposizioni erano giuste - ed ero molto convinto della loro concretezza - allora chiamarmi Aloysius Angus Crane per tutta la vita era stato un madornale errore. Ma soprattutto, se tutto quello era vero, se la mia vita era stata solo una bugia, dovevo avere delle spiegazioni. Alexander Italie, in realtà, sarebbe stato l'unico in grado di rispondere a certi interrogativi, ma era morto, andato per sempre. Cenere alla cenere, polvere alla polvere... L'unica mia possibilità era riposta in quel ragazzo che Deimos riteneva un'idiota patentato. Che bello. "Se è veramente un coglioneun pugno in faccia ben assestato non glielo toglie nessuno", pensai, mentre le scarpe da ginnastica calpestavano l'erba bagnata della collinetta fuori Hogsmeade, producendo uno strano rumore.
    Fermai i miei passi su quella salita, voltandomi per un secondo. La strada era lontana, eppure non mi sembrava fosse passato molto tempo da quando, quel pomeriggio afoso, avevo lasciato la via principale per camminare nei luoghi limitrofi del paese magico. Faceva molto caldo, più di quanto il clima primaverile pensavo potesse portare con sé. Dalle tasche dei jeans presi un pacchetto di Marlboro, tornando a guardare la strada davanti a me. Pochi metri mi separavano da quella casupola che era nota al mondo magico come Stamberga Strillante. Il nome, era tutto un programma: si diceva fosse la casa più infestata della Gran Bretagna, ma il rilevatore EMF non captava nessun segnale #spn #crossover a parte l'aspetto diroccato e vagamente spettrale, non aveva niente di che. Mi rimisi in marcia, accendendo la sigaretta che, ne ero certo, se avessi lasciato spenta con il calore del sole si sarebbe surriscaldata al punto di produrre un fumo grigiastro in maniera del tutto autonoma.
    La porta cigolò quando la aprì lentamente, introducendomi ad un luogo spoglio e del tutto inabitato, se non da ratti e altri animali che avevano fatto di quel posto la propria dimora. Un po' di cenere cadde dalla sigaretta che tenevo tra le labbra sulla moquette, rovinata dal tempo. Camminai un po' nel buio dell'atrio di quella casa, se così si può definire. Ero arrivato con un filo di anticipo, ma speravo seriamente che Lucas non fosse uno di quei tipi ritardatari. Speravo, ancora di più, che si sarebbe presentato a quell'appuntamento al buio e che non mi avrebbe lasciato lì a marcire per non so quanto tempo. Con uno strattone aprì un paio di finestre bloccate da delle travi di legno, facendo entrare un po' di luce nella Stamberga. Nell'attesa, presi a camminare lungo il perimetro della stanza, notando diversi oggetti che, a dirla tutta, sembravano abbastanza recenti. Mi chinai, prendendo una bottiglia di birra da sopra il tappeto: non era ricoperta di polvere, come anche molti altri strumenti non lo erano. Forse, non era poi così disabitato il posto; forse, pullulava di giovani più di quanto non facesse un qualsiasi altro locale della zona. Presi una sedia di legno, ricoperta di ragnatele, e mi ci sedetti sopra, poggiando la bottiglia vuota sul tavolo lì vicino e togliendomi il giacchetto di pelle, restando così con una semplice camicia a quadri.


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    Edited by ya'aburnee - 14/7/2015, 16:22
     
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    Mi guardai allo specchio mentre cercavo di sistemarmi I capelli. Eppure no, i capelli ribelli facevano quello che volevano ed erano quelli di sempre. Non riuscivano a prendere una piega neanche lontanamente decente. Passai una mano sotto il mento e sulle guance, accarezzando la barba ben sistemata e non troppo lunga, come piaceva a Niamh.
    Niamh.
    Posai il pettine. Da quando ci eravamo fidanzati era cambiato tutto, anche io. Ero diventato più dolce e sensibile verso chi conoscevo, ma nel contempo ero diventato più freddo e distaccato verso i semplici conoscenti e soprattutto verso gli sconosciuti.
    Ero diventato anche più diffidente nei confronti di chi mi stava antipatico. Tipo Deimos. L’amico di Maeve. La Cornacchia e il Cornacchio, bell’accoppiata. Entrambi insopportabili, entrambi cretini, entrambi… scusate, la smetto con gli insulti. Poi non ho ancora capito perché sono semplicemente migliori amic- ah sì, la Winston si porta a letto il preside per farsi fare favoritismi, ovvio. Certo, questo non può escludere che si portasse a letto pure Campbell, del resto quella lì la svende a tutti. Voci dicono che ci hanno pure fatto il profumo: estratto di avetecapitodicosaparlo di Maeve. Dicono anche abbia venduto poco poiché ormai chiunque ha già sentito il fetore che emanano le sue regali parti intime.
    Posai lo sguardo sulla lettera. Il riassunto di quello che c’era scritto era “Uno sconosciuto ti vuole incontrare, ma forse ti sto dicendo una balla”, firmato da Deimos Campbell. Io credevo fosse tutto uno scherzo e non volevo cascarci, ma se quell’appunto era reale e una persona reale mi stava aspettando? Alla fine decisi che era meglio andare in questa benedetta Stamberga.
    Che poi, perché proprio lì? Perché non in un pub, in un bar? Dannato corvo, lui e le sue stravaganze.

    Guardai l’orologio da polso. Certo, se quel tipo aveva chiesto appuntamento a me, sarei dovuto essere io a scegliere data, ora e luogo. Ma no, quel dannato figlio d’un Campbell fa di testa sua e decide lui, dai. Tanto che ci fa, dai. Il cretino.
    Mi avvicinai alla porta alzando il colletto della camicia azzurra che mi ero messo. Spinsi la porta che cigolò per annunciare la mia venuta non quella, laidi per poi pulire la mano sui jeans scuri che indossavo. Entrai, lasciando che la porta si chiudesse dietro di me. Presi la sigaretta tra due dita lasciandone cadere la cenere, poi la rimisi tra le labbra.
    Estrassi la bacchetta entrando nella “casa” vera e propria. Entrava un minimo di luce dalle finestre aperte, anche se ciò non aiutava a rendere l’aria meno puzzolente di muffa e legno marcio. Un tipo era intenzionato a camminare presso il perimetro della stanza. Mi voltava le spalle. Gli puntai contro la bacchetta. «Sei tu il tipo che dovrei incontrare?», gli chiesi.
    Appena si voltò spalancai la bocca e indietreggiai di qualche passo lasciando cadere la sigaretta per terra. In un flash back improvviso vidi mio zio stramazzare per terra sorridendo, dopo aver ricevuto il colpo di grazia da parte di Alida. La donna che, alla fine, l’aveva tradito e che, soprattutto, ci aveva goduto a ucciderlo. Non pensai a mia zia che lo torturò prima. Fui solo in grado di dire con voce strozzata: «Zio Alex?». Perché quello era lui. Era uguale. Gli occhi diventarono lucidi. Era un altro dei fottuti scherzi di quel Campbell?
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    Edited by al-coholism - 21/8/2016, 17:02
     
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    La Stamberga Strillante non era poi così tanto "strillante", in fin dei conti. Anzi, era piuttosto vuota e pacifica, e gli unici rumori udibili erano dati dal passaggio di alcuni roditori e dal mio incessante ticchettio sul tavolo. Forse, mi dissi, ero solo in anticipo. Ma quell'attesa mi stava logorando l'anima, e dopo poco tempo non riuscii più a stare seduto. Mi alzai, accendendomi un'altra sigaretta e iniziando a percorrere il perimetro del salone a passi lenti, avanti e indietro. Iniziarono a vorticare nella mia mente vari pensieri, diverse preoccupazioni. Iniziai a credere che forse tutto ciò, quell'incontro, la pretesa di scoprire qualcosa che sicuramente nemmeno esisteva, fosse inutile, un buco nell'acqua e una perdita di tempo. E se nemmeno si fosse presentato? D'altronde, non sapeva nemmeno chi fossi, Lucas Italie. Senza contare il fatto che Deimos mi disse che tra loro non intercorreva un rapporto d'amicizia, anzi! Per come ne parlò, sembrava odiare il suo coetaneo, e forse il sentimento era reciproco. Il fumo andò ad unirsi al pulviscolo della stanza, appena visibile grazie ad alcuni fasci di raggi solari che lo irradiavano, mentre la cenere, tranquillamente, si depositava sulla moquette, confondendosi con la polvere del pavimento. Ero di spalle alla porta, ma sentii comunque chiaramente il rumore della porta aprirsi, cigolante. E dopo quello, dei passi si propagarono nell'aria, amplificati dall'empietà della Stamberga. Alla fine, Lucas Italie era venuto, aveva dato ascolto al giovane Campbell. In pochissimo tempo mi fu alle spalle, e si fermò. «Sei tu il tipo che dovrei incontrare?» Schietto, senza troppi giri di parole: già mi stava simpatico. Aspirai un po' di tabacco dalla sigaretta, voltandomi lentamente verso il giovane. Sputai il fumo verso di lui notando che aveva la bacchetta alzata, pronto a colpire. Per quello, forse, mi stette un po' meno simpatico, ma al posto suo avrei fatto lo stesso: già accettare un invito del genere fu un rischio, presentarsi disarmati non era una scelta saggia. Effettivamente, pensai, avrei fatto bene a procurarmi un'arma, anche una banale pistola, ma tra Diagon Alley ed Hogsmeade rischiavo la vita un giorno sì e l'altro anche. «Sono io, se tu sei Lucas Italie» Quando il fumo si fu diradato, potei guardarlo in faccia. Era giovane, aveva il volto di un ragazzo spensierato, appena uscito da scuola e con un futuro ancora non scritto. «E abbassa quella cosa, ti sembra che io ti stia puntando contro una pistola?». Il tono con il quale lo dissi traspariva tutto il mio odio verso quelle bacchette magiche, e soprattutto verso quei maghi e quelle streghe che vedevano in ogni occasione un pretesto per sfoggiarla e lanciare qualche incantesimo a destra e manca. Quello che non mi aspettavo, al quale non ero preparato, fu la sua reazione dopo avermi visto. Indietreggiò, spaventato e quasi inorridito, come se avesse visto... Sì, un fantasma. Dovevo sembrare quello, ai suoi occhi: il fantasma dello zio perduto, etichettato come traditore ed ucciso dai suoi stessi familiari. Ma non da lui, non da quel giovane che aveva appena lasciato cadere la sigaretta a terra. Era terrorizzato? O no.. Sembrava quasi commosso, contento. Le lacrime che iniziavano a sorgere nei suoi occhi lo dimostravano, come anche la voce rotta con cui parlò. «Zio Alex?»... Chi ero io, per dirgli che non ero suo zio? Che non ero l'uomo che aveva visto morire e che ora sperava di riabbracciare - o di uccidere (?) - ma solo un uomo perso, che cercava di capire chi fosse? Non ero nessuno, e per un attimo fui tentato di assecondare il suo giubilo, dicendogli che sì, ero suo zio. Forse lo ero, chi lo sa, ma sicuramente non ero Alexander Italie. Feci cadere a terra la sigaretta ancora a metà, ed abbassando lo sguardo la schiacciai con il piede sinistro, accuratamente. Cosa si fa, in momenti del genere? Non risposi ancora, lasciando Lucas in visibile trepidazione, e mi avvicinai al tavolo, poggiandovi sopra le mani. Chiusi gli occhi, chinando il capo, e respirai. «No». Ma anche lui aveva visto in me lo stesso uomo che Deimos aveva visto, al quale altri mi avevano rassomigliato. «Mi dispiace, non sono Alexander... In realtà» alzai il capo, puntando gli occhi contro il muro «non sono nemmeno più sicuro di poterti dire chi sono io. Speravo tu potessi aiutarmi» conclusi, girandomi verso il giovane e rivolgendogli un caldo sorriso. Di certo, non l'avevo reso felice, ma cosa potevo fare?


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    Edited by ya'aburnee - 14/7/2015, 16:22
     
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    Ricordavo ancora le sere passate in compagnia di zio Alex. A volte giocavamo a carte e lui vinceva sempre. Non riuscii mai a batterlo, furbo com’era. Aveva una mente molto acuta e calcolatrice, ma era anche impulsivo. Forse era stato quello a condurlo al patibolo in cui le moire di nera morte gli avevano tagliato il filo della sua vita così corto ma colorato, pieno di avventure, di speranza. O era stata l’impulsività o il patriottismo. In entrambi i casi però era stato coraggioso. Non che avesse fatto bene, per carota divina #cit, l’aveva fatto troppo presto. Se voleva infiammare gli animi e suscitare una rivolta doveva aspettare un po’, ma almeno qualcosa era successa: la pagina di libro più importante era stata persa. Il governo non aveva quella pagina importante.
    E non l’avevamo neanche noi. #mainagioia
    Quello davanti a me non era Alexander Italie. Non camminava come lui, non aveva il suo stesso sguardo deciso e strafottente. Zio Alex non era lui. Me ne accorsi prima che quel tipo lì mi dicesse “ Mi dispiace, non sono Alexander...”. Alzai le spalle. Un po’ ci ero rimasto male, ma l’avevo capito prima. Schiacciai con il piede la sigaretta che era caduta spegnendola. “In realtà non sono nemmeno più sicuro di poterti dire chi sono io”. Inarcai un sopracciglio. Te lo dovrei dire io, mister Tizio? “Speravo tu potessi aiutarmi”.

    Ragazzi, sentite la cazzata. Glielo dovrei dire io. Ridete, vi prego.
    Inarcai il sopracciglio. «Pensavo di chiederlo a te io, in realtà…». Sospirai chiudendo gli occhi e agitando la bacchetta a mezz’aria. Comparve un tavolino stile western americano. Perché western? Perché lo dico io. «Intanto sediamoci», lo invitai facendo apparire due sgabelli di legno, di certo più puliti di quelli della Stamberga, «e vediamo di conoscerci un po’. Chi sei, da dove vieni e che fai in questo bel mondo di mer-» è pur sempre uno sconosciuto, razza di maleducato «-aviglie», conclusi ironicamente.
    Mi sedetti sullo sgabello. «Ci vorrebbe un po’ di Whisky», mi lamentai, «al diavolo le eccezioni alle leggi di Gamp». Poggiai gli avambraccia sul tavolo guardando il ragazzo, stupendomi sempre di più della somiglianza con zio Alex. A quanto ne sapevo, zio Alex non aveva mai avuto gemelli. Chissà.
    You know nothing, Lucas Italie.
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    Edited by al-coholism - 21/8/2016, 17:01
     
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    Aloysius Crane
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    Era fissa, nella mia memoria, tutta la mia giovinezza, dalla nascita fino a quel momento, con tutti gli alti e i bassi. Tutto seguiva un filo logico che mi era sempre parso, seppur frastagliato, tortuoso, insidioso e malevolo, abbastanza lineare. Aveva una sua continuità che non avevo mai messo in discussione per il semplice fatto che ricordavo tutto della mia esistenza, ogni singolo avvenimento, seppur traumatico e che avrei, con tutte le mie forze, voluto dimenticare. Volevo dimenticare di quando fu diagnosticata, a mia madre, la sclerosi multipla; volevo dimenticare di come in giovane età avevo rinunciato a tutto per starle vicino; volevo dimenticare di come a soli 20 anni vidi morire mio padre e poco dopo mia madre negli stessi laboratori in cui vennero fatti esperimenti su di me, e non solo. Volevo dimenticare sei lunghi anni di torture, di iniezioni e di test, di reclusione in una cella. Volevo dimenticare di aver desiderato ogni singolo giorno di quell'orribile esistenza la morte per mano di quelle stesse pozioni che pian piano mi stavano modificando, ma non ci riuscivo. Erano parte di me, quelle esperienze avevano contribuito a cambiarmi, ed iniziavo a convincermi che forse ero maturato, in quei Laboratori. Ogni mia ambizione, ogni mia aspirazione per il futuro era stata brutalmente distrutta e buttata via, sì. Ma ricordavo ancora la prima volta che vidi manifestarsi il mio potere, ricordai il compiacimento nel vedere che, comunque, era iniziata una nuova vita per me. Una nuova vita che di certo non escludeva in alcun modo ogni momento del mio passato. Ma allora perché un ragazzo conosciuto per caso era riuscito in così poco a distruggere ogni certezza che avevo? Come aveva potuto invece una come me, una babbana, toccandomi, avere un flashback di due ragazzini, due biondi bambini, che né io né lei apparentemente conoscevamo? Avevo iniziato a dubitare di qualsiasi cosa, e sentire il giovane chiamarmi "Zio Alex" non aveva fatto altro che alimentare certi quesiti. Alex... Era così che si chiamava anche uno dei ragazzini del flashback di Ashley. Cercando di non arrivare a conclusioni troppo avventate, scacciai dalla mente quel pensiero, guardando Lucas Italie muoversi nella Stamberga. Un po', giusto in minima parte, mi riconoscevo in alcuni suoi modi di fare di quando avevo la sua età. Quel fare un po' strafottente, sarcastico, carattere che col tempo avevo perso, ma che sotto sotto un po' ancora mi apparteneva.
    Lo vidi agitare la bacchetta, ma il suo fare tranquillo non mi fece supporre che avesse cattive intenzioni. Infatti quello che fece fu far comparire un tavolino e due sgabelli - anche se ce n'erano già molti nella stanza, ma perlomeno quelli erano puliti. «Vediamo di conoscerci un po’. Chi sei, da dove vieni e che fai in questo bel mondo di mer-aviglie» disse, esitando sull'ultima parola. Lo seguii con lo sguardo mentre si sedeva su uno dei due sgabelli, dopo che mi ebbe invitato a fare lo stesso. «Meraviglie? Io avrei detto "di merda", ma i gusti son gusti» affermai ironicamente supponendo che intendesse lo stesso che avevo pensato io e prendendo posto di fronte al ragazzo, appoggiando, come lui, le braccia sul legno del tavolino. Alzai un sopracciglio rivolto al giovane, annuendo. «Non confidavo in una conversazione a tavolino. A saperlo ne avrei portato un po'» asserii, scrollando le spalle. Di certo quell'appartamento datomi dal Ministero non mancava di alcolici. Tanto pagava il governo, probabilmente nella speranza che ci morissimo nei litri d'alcool comperati. Non che, effettivamente, il loro piano non funzionasse. Mi era capitato di sentire di una ragazza, a New Hovel, suicida. Sicuramente ubriaca, non aveva dato molto peso allo scarso controllo che esercitava sul suo potere e che, in stato di ebbrezza, la telecinesi potesse ritorcerglisi contro. Molti narrano che lo spettacolo del ritrovamento del corpo non fu dei migliori. Eravamo di troppo, in quel loro mondo di meraviglie, l'avevo sempre pensato, dal primo momento che avevo iniziato ad odiare i maghi, eccezion fatta per pochi individui. Pochissimi. «Aloysius Angus Crane» iniziai, rispondendo ai suoi quesiti. «Ma chiamami semplicemente Al, è meglio» aggiunsi, guardando negli occhi il ragazzo. Non sapevo come, non sapevo perché, ma più i nostri occhi chiari si incrociavano, più sentivo che in qualche modo eravamo legati. Sesto senso, forse. «Sono un esperimento dei Ribelli» ripresi, abbassando lo sguardo verso la tasca dei pantaloni. Portai una mano ad estrarre da essi il pacchetto di sigarette e ne offrii una al ragazzo. «Vuoi? Quella di prima l'hai gettata praticamente intera» scherzai, accennando un sorriso. Dopo che ebbe fatto la sua mossa, portai il pacchetto alla bocca, estraendone una con i denti e lasciando il pacchetto ad adornare il tavolo altrimenti vuoto. Feci adagiare il filtro della Marlboro rossa sulle labbra, mentre da un'altra tasca mi accingevo a recuperare l'accendino. Lasciai che la fiamma bruciasse la cartina ed il tabacco dell'estremità, finché tirando non potei sentire il pungente sapore del tabacco e della nicotina attraversare la bocca e la gola, fino ad intossicare i polmoni. Allontanai la sigaretta dalle labbra, facendo poi uscire dalle narici due scie di grigio fumo, ed appoggiai anche l'accendino sul legno che separava me da Lucas. «Se ti ho chiesto di aiutarmi, c'è un perché... Lucas». Anche se non ero sicuro di poterlo chiamare in tale modo, anche se non sapevo se a lui potesse andare bene tanta confidenza, decisi di essere schietto con lui, a partire da quell'insignificante dettaglio. «Tu non sei il primo a scambiarmi per Alexander Italie» continuai, rievocando quei momenti nei Laboratori in cui le persone erano solite ricollegare la mia faccia al povero martire e le parole di Deimos. Di sicuro, altri avevano avuto quell'impressione senza avermelo mai detto prima. «E tu sei l'unico Italie con il quale sono riuscito ad avere contatti» affermai, traendo un altro tiro dalla sigaretta tenuta tra l'indice ed il medio della mano destra. «Per questo mi sono rivolto a te. Tuttavia, se non vuoi avere nulla a che fare con me, ti lascerò in pace» conclusi, scansando con il dorso della mano un mucchietto di cenere che si era depositato sul tavolo.

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    “Meraviglie? Io avrei detto "di merda", ma i gusti son gusti”. Inclinai il capo, studiando le sue espressioni e il suo viso. Era terribilmente simile a zio Alex. «Non ci voleva nemmeno tanto a capire che ero ironico», dissi con un sorriso mentre si sedeva e, come me, appoggiava le braccia sul tavolino. Come faceva zio Alex. O forse ero solo io quello paranoico e paragonavo in modo esagerato ogni sua azione a quella di zio Alex, definendola uguale. “Non confidavo in una conversazione a tavolino. A saperlo ne avrei portato un po'”. Sorrisi drizzando la schiena. Sembrava simpatico, e rispondeva come zio Alex. Oh no, di nuovo l’ho paragonato a mio zio. Scrollai le spalle, dicendo «Riuscirei a vivere. Mioi zio diceva: puoi vivere per qualche attimo senza, ma nella vita hai bisogno di fumo, alcol e di una bella ragazza». Ed era una frase di zio Alex, anche perché io avevo un solo zio, oltre a quelli da parte di mamma che definivo dei gran figli di buona donna deflorata. Lo so, il mio linguaggio è molto fine.
    Incrociai le braccia staccandole dal tavolo, ascoltandolo parlare mentre si presentava. “Aloysius Angus Crane”. Che? Ti prego, dimmi che hai un diminutivo, non ho capito cosa hai detto, non penso riuscirei neanche a leggerlo. Aloisiuaiueis, hai detto? Aloiusiousae Cranio? Inarcai il sopracciglio come a dire “Che cazz..?”, forse poteva sembrare un po’ maleducato, ma almeno ero sincero e schietto. “Ma chiamami semplicemente Al, è meglio”. Sospirai sorridendo come a dire “AAAAH, ora sì che si capisce”. «Bene. Quindi… Al». Annuii ricambiando il suo sguardo, guardandolo negli occhi. «Invece a me la gente chiama spesso Lux». All’inizio Lux mi era sembrato un soprannome stupido, ma poi pian pianino mi ci ero abituato e adesso mi piaceva. Convivendo con qualcosa alla fine finisci per amarla o odiarla di più, inevitabilmente.
    “Sono un esperimento dei Ribelli”. Chissà come, l’avevo intuito. Sesto senso, forse. In ogni caso non mi dimostrai né sorpreso né disgustato, del resto ci convivevo facilmente con chiunque, mica ero razzista come la maggior parte dei Purosangue. Al abbassò la mano verso i pantaloni per fare le cosacce: Didi mi aveva portato da uno stupratore estraendo dalla tasca un pacco di sigarette e gentilmente me ne offrì: “Vuoi? Quella di prima l'hai gettata praticamente intera”, sorrisi grato e divertito e bofonchiai un «Grazie» estraendo una sigaretta. «Da quanto sei uscito? E quanto tempo sei rimasto?», parlai con la sigaretta fra le labbra, volli informarmi per pura curiosità. «Se non ti va di dirlo fai finta di non avermi sentito», aggiunsi poi alzando le spalle. A certa gente dava fastidio parlare dei propri problemi e del proprio passato agli altri, come a me certe volte.
    Mentre al si accendeva la propria con l’accendino, io, troppo abituato alla magia, estrassi la bacchetta per accendere la mia sigaretta. Diedi semplicemente un tocco con la punta di essa su quella della sigaretta e quest’ultima si accese. Posando la bacchetta sul tavolo, in bella vista, vicino al pacco e l’accendino che Al aveva appena posato, aspirai il sapore del tabacco della sigaretta mischiato a tutte quelle altre porcherie che forse mi avrebbero ucciso ma yolo. Mentre sentivo una scia di sapore di nicotina e tabacco attraversare tutta la gola fino ad arrivare ai polmoni, ascoltai Al. “Se ti ho chiesto di aiutarmi, c'è un perché... Lucas”. Ma dai?, pensai ironicamente, espellendo il fumo della sigaretta dalla bocca e delle narici. “Tu non sei il primo a scambiarmi per Alexander Italie”. Stavo per espellere nuovamente il fumo ma stavolta fui così sorpreso che tutto mi andò di traverso e tossii. «Coff coff… coff…». Annuii con un sorriso imbarazzato cercando di evitare il suo sguardo, togliendomi la sigaretta dalla bocca. «Scus… coff… scusa, mi succede a volte», che bella bugia, «Coff, continua…». E che figura di merda.
    Perché mi fosse successo non lo sapevo. In fondo era una cosa che avevo intuito.
    “E tu sei l'unico Italie con il quale sono riuscito ad avere contatti. Per questo mi sono rivolto a te. Tuttavia, se non vuoi avere nulla a che fare con me, ti lascerò in pace”. Sorrisi, aspirando il tabacco dalla sigaretta. Facendo uscire ancora il fumo e allontanado la sigaretta dalle mie labbra tenendola con la dita, lo informai: «Sono l’unico Italie ancora in vita, è diverso. In primis, mio padre Sebastian è morto, forse suicida, forse assassinato». La mano sinistra iniziò a tremarmi per l’emozione e la nostalgia. Continuai: «Mio zio Alex, quello che è uguale a te, è morto giustiziato dai ribelli». Senza rendermene conto, avevo alzato due dita dalla mano, conteggiando le morti degli Italie. Che cosa allegra. «E mia zia Ilary, infine…», alzai il terzo dito, «..è morta in un attentato dei ribelli». Anche se la faccenda non mi era chiara. Ridacchai nervosamente e con tristezza: «Mio padre e mia zia sono morti in circostanze misteriose, e in giro circola un detto», assunsi un tono ironico «E cioè: gli Italie fanno di tutto, tranne morire», sorrisi sardonico. Feci un sospiro. Avevo riso per non piangere, ma ritornai serio. «I miei nonni sono morti da un bel po’. Sono l’unico Italie, qui». In realtà c’erano altri rami della famiglia Italie che avevano cambiato cognome intersecandosi in altre famiglie, ma non avevano alcuna importanza. «La mia famiglia è sgretolata, Al. Farò di tutto per sapere se tu sei effettivamente mio zio, gemello di zio Alex». Gli puntai la sigaretta contro, tenuta tra indice e medio. «Perché io credo nelle coincidenze come il Ministero crede nella bontà e nella grazia, e tu sei troppo simile a mio zio». Magari era solo una speranza vana e stupida, da ragazzino deficiente qual ero, ma a volte aggrapparsi a un barlume di speranza ti dava un po’ di vita e la forza di andare avanti. E c’erano stati mille esempi di ciò, nella mia vita.
    Annuii, convinto delle mie parole, posando di nuovo la sigaretta tra le labbra. Aspirai e, poco dopo, espulsi il fumo. «Ma non so come confermare questa ipotesi…», aggiunsi pensieroso, poi guardai Al. Il mio sguardo chiedeva “Qualche idea?”.
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    Edited by al-coholism - 21/8/2016, 17:01
     
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    Aloysius Crane
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    E pensare che Al aveva sempre fatto qualsiasi cosa in funzione della propria famiglia. Aveva scelto di studiare per loro, perché volevano avesse una buona istruzione; aveva scelto di rimanere a Londra per stare sempre con loro; aveva scelto di studiare medicina all'università solo per trovare un rimedio alla malattia della madre. Non gli importava di nessun altro -amici, conoscenti, compagni di scuola-, Al viveva solo per la propria famiglia. Si poteva dire che non aveva mai avuto un vero amico, o una vera ragazza, in tutta la sua vita. Erano cose futili e superficiali, cose che se ne vanno via, senza curarsi di quello che si lasciano dietro. Una volta sola Al c'era cascato, in quel tranello, prima ancora di conoscere Elizabeth -ma con Liz era diverso, o almeno così sperava. Una volta sola, che gli aveva fatto capire l'effimerità di quegli inutili rapporti umani quando era ancora giovane. Quella "volta" si chiamava Joanne e, Dio!, quanto amava quella ragazza. Non credeva nemmeno potesse essere in grado di provare tutto quell'affetto per una persona, dopotutto era solo un adolescente. Ma si erano amati, e con lei il giovane Crane aveva scoperto quella nuova parte di sé stesso che avrebbe approfondito una volta rinchiuso nei laboratori. Solo che, insieme alla gioia di quel nuovo contatto, Aloysius aveva anche sperimentato il terribile sentimento dell'abbandono quando, senza dargli alcuna spiegazione, senza nemmeno un addio, ella scomparve, lasciando il ragazzo di nuovo nel baratro, pronto a sprofondare sempre più giù. Fu la famiglia l'unica cosa che gli rimase sempre vicino, mentre dava per scontato che le amicizie non sarebbero mai durate: non ne era in grado, e si convinse di ciò. Ma ora, anche quella famiglia che era stata tutto quello che veramente contava non solo l'aveva abbandonato, ovviamente contro la loro volontà, ma sembrava avere omesso diverse verità. Aloysius continuava a chiedersi chi fosse veramente da quell'incontro con Deimos Campbell, in quella radura. Continuava a chiedersi a quali bambini si riferisse Ashley durante il loro allenamento. Continuava a chiedersi, guardando Lucas Italie negli occhi, quale fosse il legame con quella famiglia, perché erano collegati in qualche modo, era lampante. Il giovane, pensò Al, era così simile a lui quando era giovane, ma non solo di aspetto, ma anche come si muoveva, come si esprimeva anche se, forse, non era così egoista come lo era lui solo qualche anno prima. «Riuscirei a vivere. Mio zio diceva: puoi vivere per qualche attimo senza, ma nella vita hai bisogno di fumo, alcol e di una bella ragazza». Al sorrise alle parole del ragazzo, ma non per il fatto che fossero divertenti o qualcosa del genere. Sorrise perché era quello che avrebbe detto anche lui, e il fatto che lo dicesse suo zio lo divertiva. Chissà quante cose avevano in comune, oltre all'aspetto. «Mi piace come ragioni, ragazzo» disse, prima di presentarsi e di sentire il suo interlocutore fare lo stesso. Lux. Non sapeva se gli piaceva quel diminutivo, ad Al, e poi chiamarlo così l'avrebbe messo indubbiamente a disagio. Sembrava quasi volesse prendere subito più confidenza del dovuto, e non voleva sembrare inopportuno. Anche lui però, d'altronde, gli aveva detto di non chiamarlo con il suo nome intero ma, suvvia, Aloysius era un nome osceno e ne era assolutamente consapevole, e di sicuro Lucas non se lo sarebbe nemmeno ricordato. Lo stesso Crane, a furia di sentirsi chiamare con quelle sole due lettere con le quali si presentava, faticava a ricordarsi il suo intero nome. «Da quanto sei uscito? E quanto tempo sei rimasto? Se non ti va di dirlo fai finta di non avermi sentito» Aspettò un po' prima di rispondere, fece passare lunghi secondi. Si accese la sigaretta, nel mentre, cose che fece anche il giovane Italie. Ogni volta, rievocare quei momenti, anche se solo in parte, era dannatamente pesante per Al, ma non avrebbe ignorato quelle domande. Non era uno che si tirava indietro, e ogni volta prendeva i quesiti di questo genere come una sfida personale per esorcizzare i propri demoni. Fece un altro lungo tiro di sigaretta, alzando poi il mento per gettare il fumo sopra le loro teste e facendo cadere la cenere a terra su quel misero strato di pulviscolo sul pavimento. Avrebbe voluto rispondere con un "non molto" e "abbastanza" per liquidare la parentesi dei Laboratori il più in fretta possibile, ma il ragazzo doveva fidarsi di lui per parlare della propria famiglia -o almeno Al non avrebbe parlato al primo sconosciuto qualcosa riguardo ai suoi vecchi. «Sono uscito lo scorso Settembre, mi sembra... Quel periodo è un po' confuso per me» iniziò, strofinandosi la fronte con la mano libera dalla sigaretta. Era quasi sicuro fosse Settembre, perché era in quel periodo che il Generale dei Ribelli aveva fatto irruzione in casa sua, ma poteva benissimo essere prima o dopo. Aveva passato quel periodo rinchiuso in casa, senza curarsi delle condizioni del mondo, senza accorgersi di quando il giorno diventava notte o viceversa. Tolse la mano dalla mano, osservando la bacchetta di Lucas poggiata sul tavolo, in bella vista. O si fidava ciecamente del babbano, o voleva tenerla a portata di mano. O era talmente stupido da non pensare che magari quella di Al fosse tutta una farsa, e magari non era nemmeno un Esperimento, bensì un mago. «Posso?» Indicò la bacchetta e, prima che il giovane potesse rispondere, la prese tra le sue mani, rigirandola delicatamente. Mentre la guardava, a metà tra il meravigliato e lo scettico, chiedendosi come un pezzetto di legno -che avrebbe potuto spezzare da un momento all'altro se solo avesse voluto- potesse permettere a dei comuni mortali di sentirsi una razza superiore, migliore di quelli che venivano chiamati "babbani", riprese a parlare. «Comunque, sono uscito quando sono usciti tutti gli altri, quando la vostra gente» marcò quella parola, non con disprezzo, toccando la punta della bacchetta prima di riposarla al suo posto, sul tavolo, ed aspirando di nuovo dalla sigaretta «ha capito lo schifo che facevano lì dentro ed ha deciso di liberarci tutti. Io sono stato liberato dopo sei anni... Credo avessi la tua età quando sono entrato lì dentro» Concluse, con un sorriso leggermente ironico. Chissà che avrebbe fatto in quei sei anni. Chissà se sarebbe diventato veramente un medico, prima o poi. Di sicuro non c'era bisogno che lo diventasse per notare che il fumo stava facendo male al ragazzo che aveva di fronte. Non si aspettava una reazione così esagerata quando tirò fuori l'argomento "Alexander Italie", era così scontato che l'avrebbe fatto. Ma effettivamente tossì anche Al al sentire l'elenco della famiglia Italie: tutti morti. Mai 'na gioia. «La mia famiglia è sgretolata, Al. Farò di tutto per sapere se tu sei effettivamente mio zio, gemello di zio Alex».
    Al aspirò un'ultima volta dalla sua sigaretta, constatando che ormai era giunta al filtro quella cosa arancione, Ila, poi la gettò a terra, schiacciandola con la scarpa. Gemello di Alexander Italie. L'aveva pensato, ovviamente, ma non aveva mai trovato nulla che potesse confermare quella sua idea, come anche Lucas, in quel momento, non era in grado di fare. Ma il Crane ricordava ancora le parole di Ashley Stewart di quella mattina passata ad Hogwarts. Perché, tra un vaffanculo ed uno stronzo, aveva detto di aver visto qualcosa, qualcosa che non seppe spiegarsi. «Una mia amica... Una mia amica dice di aver visto qualcosa, toccandomi. Credeva fosse un flashback... Comunque, ha visto due bambini, due gemelli, e uno si chiamava Alex» Riportò lo sguardo sul ragazzo, dopo che questo aveva indagato ogni angolo della stanza, come se le pareti potessero celare indizi nascosti. «E se fosse quell'Alex?»

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    Edited by al-coholism - 24/10/2015, 15:16
     
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  8. ~lucas
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    chad m. murray as
    edward lucas italie williams
    Gli Italie fanno di tutto. Tranne morire.
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    pensieve ▽ ex-gryffindor ▽ 18 ▽ scheda
    “Mi piace come ragioni, ragazzo”. Sorrisi. Già tra me e quel tizio che somigliava così tanto a zio Alex, proprio la copia perfetta, s’era creata una specie di… intesa, diciamo. Ci capivamo al volo, e poi a me già piaceva lui. Era simpatico e parlava proprio come zio Alex. Parlava come zio Alex non solo nel senso che il timbro della voce era lo stesso, non solo nel senso che avevano lo stesso accento. Era proprio la scelta delle parole. Anche zio Alex probabilmente avrebbe detto le stesse cose. Lo sapevo perché spesso mi capitava di pensare cosa avrebbe detto zio Alex in determinate situazioni.
    Certo, avevo voluto un sacco di bene a papà Sebastien, solo che zio Alex aveva piantato in me quelli che sono adesso i miei valori morali. Mi fece scegliere la Resistenza, mi fece capire che la legge non sempre era giusta, mi fece capire che a volte anche i genitori sbagliano. Mi fece capire che le idee di mio padre erano sbagliate. Ma mi fece giurare di continuare comunque a volergli bene. Anche se era morto non avrei mai dovuto insultarlo per le sue convinzioni e le sue ideologie politiche.
    Forse, se papà non fosse mai morto io avrei continuato ad essere un Mangiamorte. Mio zio non sarebbe mai riuscito ad avvicinarsi tanto da infilarmi nel cervello quelle idee. E io forse in quel momento starei ad aspettare una nuova missione da svolgere per conto del Governo dentro il mio ufficio di Pavor. Invece ero lì, disoccupato, che rinnegavo gli ideali in cui mio padre aveva creduto. Forse avevo cambiato bandiera solo perché mio padre era morto, perché mi mancava una figura di riferimento e ne avevo trovata un’altra ancora in vita: quella di zio Alex, un soldato che combatteva per una giustizia di tipo diverso da quella del regime, che combatteva per ideali completamente rivoluzionari. Mi fidavo di più delle parole di un Disertore che di quelle di un uomo morto. Qualunque sia stato il motivo del mio cambiamento di fazione, non me ne pentii mai e ancor oggi credo negli stessi ideali in cui credeva zio Alex.
    E per i quali morì.
    Era stato coraggioso. Non era stata una mossa stupida, il suo sacrificio: aveva acceso qualcosa. La Resistenza si era fatta più grande e tutto aveva cominciato a cambiare. Il Ministero sembrava essere diventato più vulnerabile, come se quella pagina smarrita, quell’insulsa pagina rubata da mio zio, potesse minare le fondamenta e le leggi rigide del Ministero. Zio Alex aveva dimostrato a tutti che il Ministero non era inflessibile ma che anch’esso poteva cadere, crollare e spezzarsi. Se poteva vacillare a causa di una semplice pagina, poteva crollare a causa di molte voci unite a urlare una cosa sola: “libertà”.
    Distolsi i pensieri da mio zio, concentrandomi su quello che era il suo sosia. “Sono uscito lo scorso Settembre, mi sembra... Quel periodo è un po' confuso per me”, iniziò a raccontare Al. Non dissi né feci nulla, limitandomi a continuare a fumare. Sapevo che non voleva essere interrotto, voleva parlare come se fosse da solo Chissà quanto doveva essere difficile per lui parlarne alla presenza di un tizio appena conosciuto. Lasciai che prendesse la mia bacchetta. Tanto non poteva fare nulla con essa. Ed ero sicuro non fosse un mago, altrimenti avrei capito che quelle prime parole erano false. “Comunque, sono uscito quando sono usciti tutti gli altri, quando la vostra gente…”, gente, detto in un modo strano. Chissà cosa pensava di noi maghi. Di sicuro i Mangiamorte che li avevano fatti uscire dalle celle non avevano dato una buona impressione. “…ha capito lo schifo che facevano lì dentro ed ha deciso di liberarci tutti. Io sono stato liberato dopo sei anni... Credo avessi la tua età quando sono entrato lì dentro”. Addirttura? Era stato rinchiuso in quel luogo da pazzi per così tanto tempo! Chissà quante occasioni buttate all’aria! Magari poteva laurearsi, trovare un lavoro, magari trovare una futura moglie… e invece i Dottori gli avevano rovinato la vita. Provai sgomento. Come si poteva arrivare a tanto, a distruggere il futuro di una persona?
    «Mi dispiace, sinceramente», fu l’unica cosa che riuscii a dire, gli occhi iniettati di pura angoscia. Pover’uomo. Ora sarebbe stato difficile per lui rifarsi una vita, nel mondo dei maghi. Non riuscii a dire null’altro, ma sapevo che lui non cercava conforto, aveva solo saziato la mia curiosità.
    Ma ritorniamo alla questione “sto tizio sembra proprio il gemello fantasma di Alexander Italie”. “Una mia amica... Una mia amica dice di aver visto qualcosa, toccandomi. Credeva fosse un flashback... Comunque, ha visto due bambini, due gemelli, e uno si chiamava Alex”, raccontò.
    Inarcai un sopracciglio. “E se fosse quell'Alex?”. Sorrisi, scuotendo la testa. La mia risposta fu spontanea, non riflettei su quello che mi aveva appena detto. Risposi semplicemente, e subito. «Quante probabilità ci sono? Cioè, tu somigli ad Alexander Italie, sei per forza legato a lui. Quante probabilità ci possono essere che quell’Alex di quel flashback sia un altro Alex?». Improvvisamente non avevo più voglia di fumare. Quelle rivelazioni e quei pensieri rendevano il gusto della nicotina più acida. Probabilmente non avrei mangiato, quella sera. E tutto perché sarei stato troppo impegnato a rimuginare su quelle scoperte. «Beh, ci resta una sola cosa da fare», dissi, spegnendo la sigaretta, schiacciandone l’estremità sul tavolo. «Cercare tra gli album di famiglia. Chiedere ai vicini». Poggiai i gomiti sul tavolino, stringendo le mani a pugno e poggiandovi sopra il mio mento. «Qualcosa si potrà pur fare».
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    Edited by al-coholism - 21/8/2016, 17:01
     
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    Aloysius Crane
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    Forse non gli aveva mai dato il peso necessario, a quelle due parole, a quei due termini che, da sempre, avevano definito la sua intera esistenza per venticinque anni, che avevano identificato Al in un nucleo familiare composto da tre sole persone. Da qualche giorno a quella parte aveva iniziato a dubitare anche di queste, a dubitare dell’importanza che aveva affibbiato loro, e il castello che aveva faticosamente costruito usando queste come base stava cedendo dalle fondamenta con troppa facilità e in così poco tempo che non gli era possibile nemmeno accorgersene pienamente. Sul proprio personale concetto di “madre” e “padre” il Crane ci aveva costruito un mondo intero, sulla propria famiglia aveva sempre fatto affidamento senza alcun remore. Non si era fatto scrupoli a proteggerli sempre, qualsiasi fosse il motivo per il quale fosse necessaria una vera e propria difesa da parte sua, e semplicemente perché erano loro, sua madre e suo padre, le persone che gli avevano dato la vita, e che nel vano tentativo di proteggersi vicendevolmente la loro vita l’avevano sacrificata. Aloysius, rampollo di una famiglia già dimenticata persino dal vicinato, sicuramente anche dai parenti che, come egli stesso aveva potuto notare, avevano lasciato la loro villetta alla mercé dello scorrere degli anni, iniziava a temere che non avesse mai avuto i giusti dubbi sul proprio passato proprio ora che non aveva nessuno a cui chiedere conferma. Persino Chris, quel cugino che gli era sempre stato più vicino di quanto chiunque altro avesse mai osato fare, era scomparso dalla circolazione e non era difficile per Al pensare che la sua non fosse stata una fine migliore di quella che aveva segnato l’esistenza di Michael ed Yvonne Crane. Del suo passato, non c’era più nessuno che potesse districare l’arrovellato gomitolo di lana che poteva essere la sua storia. Poteva, sì, perché erano tutte supposizioni, dopotutto. Coincidenze vagamente inquietanti e fin troppo evidenti per essere veramente considerate solo meri scherzi del destino, ma ci credeva, nel profondo, che poteva essere solo quello, e niente più. Ci credeva, guardando Lucas Italie seduto davanti a quel basso tavolino, che tra loro non scorresse nessun legame di sangue: avrebbe reso tutto più semplice. O meglio, avrebbe lasciato tutto a quella nuova tranquillità e normalità che il babbano si era riuscito a creare una volta uscito dai Laboratori. Una vita sostanzialmente semplice, di legami semplici, di esigenze semplici, di domande e risposte semplici. Non voleva niente di più di questo e, Morgan ce ne scampi e liberi, non voleva un passato del quale non aveva alcuna memoria e del quale, onestamente, più passava il tempo e più si accorgeva che non gliene fregava un accidenti. Era così entusiasta, fino a pochi minuti prima. Così entusiasta che Deimos avesse fatto veramente in modo che i due riuscissero ad incontrarsi, che il giovane mago fosse effettivamente giunto sul luogo dell’incontro prestabilito e che non avesse fatto nulla contro quello che era il fantasma di un suo passato. Suo, non di Al. Non c’entrava niente, lui, con quella famiglia, non erano gli scheletri appesi nel suo armadio perché quell’armadio, ogni volta che lo apriva, gli presentava sempre e solo i suoi di trascorsi: Jo, Chris, i suoi genitori. Non gli Italie, non Alex, nessuno di questi. «Non dispiacerti, non hai fatto nulla di male» disse, alzando la testa sul biondo davanti a lui, rivolgendogli un sorriso neutro, lo stesso che ormai rivolgeva a tutte quelle persone che li vedevano, a lui e gli altri esperimenti, fuori da New Hovel. Quelle persone che non le disprezzavano, ma peggio provavano pena, compassione per loro. Non sapeva, l’Esperimento numero 743, quale delle due tipologie di maghi odiasse di più in quel momento: non voleva che li odiassero, non avevano fatto nulla di male dopotutto, ma allo stesso tempo non voleva che si dispiacessero per la loro condizione. Erano esseri umani, non cuccioli di cane abbandonati sul margine della strada. «A meno che tu non sia uno di quei dottori ribelli. Allora, sì, faresti bene a dispiacerti: in tal caso ti darei anche un pugno come mi ha chiesto di fare Deimos» continuò, alzando le spalle con fare innocente mentre il sorriso si allargava sul suo volto.
    «Quante probabilità ci sono? Cioè, tu somigli ad Alexander Italie, sei per forza legato a lui. Quante probabilità ci possono essere che quell’Alex di quel flashback sia un altro Alex?» Si sporse in avanti, Al, poggiando le braccia incrociate sul tavolo e guardando fisso negli occhi il ragazzo. «Le probabilità sono tante, Lucas» Ed era vero, la statistica non era più così importante per Al da quando la magia era entrata nella sua vita senza suonare il campanello, senza annunciarsi affatto. Ma in quella frase c’era la flebile speranza che quell’Alex potesse essere qualcun altro, che il Crane non fosse legato a quella famiglia. «S-sì, qualcosa si potrà pur fare» La sedia grattò il pavimento, mentre l’indecisione diede un tono diverso alla voce di Al mentre questo si alzava, incerto se guardare il pavimento, se posare lo sguardo su Lucas o se continuare ad indagare ogni centimetro della Stamberga Strillante. «Tu... tu cerca qualcosa, io farò le mie ricerche» Forse. Prese dal tavolo le proprie sigarette e l’accendino, constatando che era rimasta un solo cilindro di tabacco oltre a quello che aveva sopra al proprio orecchio. Lanciò il pacchetto davanti al ragazzo, mentre gli passava accanto e oltre, dandogli due pacche sulle spalle. «Grazie dell’interessamento, Lux» asserì, sinceramente contento del fatto che un mago potesse avere a cuore una causa come la sua. Certo, in fin dei conti riguardava lui così come riguardava Al, e magari lo faceva solo per un tornaconto personale, ma significava tanto. Pochi maghi erano stati così disponibili, e già le dita di una mano erano troppe per contarli.
    Si diresse a passi veloci verso la porta, sentendola cigolare quando questa strusciò contro il parquet rovinato dal tempo e dall’usura. «Grazie ancora, sul serio. Ora devo andare, sai, noi speciali abbiamo il coprifuoco» Voltò il viso verso Lucas, alzando gli angoli della bocca in un sorriso amareggiato come a voler dire “non è colpa mia, non ci posso fare nulla”. «Spero di vederci presto» Concluse, alzando la mano in un tacito segno di saluto prima di chiudersi la porta alle spalle.
    Il sole era già in procinto di nascondersi dietro la linea dell’orizzonte quando i passi di Aloysius Crane tornarono a calpestare il fogliame che ricopriva la strada che separava quella catapecchia da Hogsmeade. Mise la sigaretta tra le labbra, accendendola e lasciando il fumo uscire dalle proprie narici, mentre pensava che forse l’Italie sarebbe di lì a poco tornato nella grande villa di famiglia, intento a cercare informazioni sul passato di quello strano tizio che tanto somigliava a suo tizio, col pensiero che anch’egli avrebbe fatto la stessa cosa. Ma mentre risuonava lo scricchiolio delle foglie secche sotto la suola delle scarpe di Al, questo prendeva coscienza del fatto che non l’avrebbe fatto. Non per ora, almeno. La sua vita andava bene, per quanto potesse andare bene la vita di un babbano nel mondo magico, non aveva alcun bisogno di essere sconvolta, non con la scoperta di avere un’altra famiglia di origine. Forse, più in là, quando sarebbe stato pronto, avrebbe fatto le dovute ricerche, avrebbe trovato articoli, fonti, certificati di nascita, tutto quello che poteva servire. O forse non l’avrebbe mai fatto, perché Al le promesse non sapeva mantenerla, nemmeno quella fatta a sé stesso di dare un ordine alla propria esistenza. Poteva vivere ancora nell’illusione che così andasse bene.
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    Quanta ipocrisia in un solo post, quanta.
     
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