the things that we could be

bea!

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    Lydia Hadaway
    ❝She needed a hero,
    so that's what she became❞
    Si guardo attorno, premendo l’unghia contro il palmo della mano destra. Stava stringendo con forza, tanto che una mezzaluna si era già formata sulla mano, ad un passo dal lacerare la pelle. E respirava, Lydia, respirava piano concentrandosi nell’atto di immettere ossigeno in circolo, per espellere il gas ormai sporco dalle narici. Aveva imparato a distinguere il falso dal vero, l’immaginazione dalla realtà. Ad esempio la ragazza che, dalla grande finestra, le sorrideva, non era reale. Lo sapeva, eppure non poteva fare a meno di guardarla, per studiarne ogni sfaccettatura. Non l’aveva mai vista, o almeno, così credeva: aveva una pelle bianca come il latte, occhi verdi ed un sorriso ferino. Sapeva, anche se l’espressione non dava adito a una tale supposizione, che la stava schernendo. Non sapeva perché, ma con certezza poteva affermare che quella ragazza non voleva altro che umiliarla. Perché? Si passò una mano sulla gonna color crema a pieghe, come per assicurarsi che almeno quella fosse concreta. E lo era, sotto i polpastrelli, morbida e liscia: a salire, un maglioncino di lana pungeva leggermente, ma senza essere fastidioso. I capelli erano legati in una treccia che le ricadeva a fianco del volto ovale, nonostante qualche ciuffo fosse sfuggito alla sua mano distratta.
    Era pomeriggio, ed il sole illuminava la torre di astronomia facendo brillare i telescopi di luce riflessa. Accarezzò la superficie degli strumenti, avvicinandosi pericolosamente al baratro: sotto di lei, il prato verde –fin troppo verde- del Lago Nero, sembrava quasi ammiccarle. Le piaceva salire fin sulla torre di Astronomia: si sentiva meno patetica, meno sola. Aveva la dimostrazione fisica di far parte di un mondo enorme, in cui lei non era altro che una minuscola abitante. Poteva pensare senza essere disturbata, senza occhiate curiose e sussurri coperti da fogli di pergamena volanti. C’erano solo Lydia Hadaway e il cielo. Sempre che le allucinazioni non contassero come compagnia. Qualche ora prima, fuori dalla Sala Grande, aveva litigato con un ragazzino. Non aveva fatto nulla di male lui, se non pestarle il piede per poi non chiederle scusa; per Lydia però era bastato quel gesto. Era scattata, sibilando insulti e stringendo convulsamente i pugni per resistere all’istinto di impugnare la bacchetta per dargli una lezione. L’aveva minacciato in modi che non pensava nemmeno di saper mettere in pratica, il tutto con una cattiveria che l’aveva lasciata inusualmente svuotata. E poi aveva sorriso, dando un buffetto sulla guancia del tremante malcapitato, intimandogli di stare più attento. L’odio si era spento in fretta, lasciando spazio alla galleggiante sensazione di leggerezza che aveva imparato ad associare ai Tassorosso.
    Hai paura, Lydia?” soffiò forte dalle narici, ignorando volutamente la ragazza che aveva di fronte. Era certa non fosse reale, non poteva dargli la possibilità di parlare. Se l’avesse lasciata parlare, avrebbe finito per credere che lo fosse: e se avesse iniziato a credere nelle sue allucinazioni, sarebbe impazzita. Cominciò a canticchiare fra sé, conscia del fatto che non ci fosse nessuno a sentirla. “Oh, scusa, mi sono confusa io” La mora tossicchiò –Dio, perché doveva sembrare così vera? Lydia era ad un passo dal crederle, ad un soffio dal darle ascolto-, sorridendo sorniona. “Hai paura, Annie?
    Hai paura, Annie? Il cuore cominciò a pompare forte nel petto, assordandola con il suo stesso battito. Era un dolore quasi fisico sentire quella pressione nel petto, e la Hadaway temette seriamente che sarebbe scoppiato. Ma non era paura, quella. Strinse le palpebre, digrignando i denti. “Fottiti anche tu!” Sbuffò spazientita, pestando il piede a terra. Si rendeva conto sia dell’assurdità della situazione, sia del gesto infantile che aveva appena fatto, ma stava… bene. C’era qualcosa di familiare in quella combo, quasi non fosse nuova a comportamenti del genere. Possibile che Lydia Hadaway fosse quel genere di ragazza? E soprattutto, le importava?
    Le persone cambiavano ogni giorno, reinventandosi la propria immagine. Perché a lei non era permesso farlo? Non voleva sapere chi fosse Annie, Annie Moreau –nonostante provasse una curiosità morbosa che le impediva di dormire la notte-, voleva solamente vivere la sua vita. O meglio, la vita che avevano creato per lei.
    Lydia Hadaway non esisteva.
    E si rese conto, quando il respiro tornò regolare, di non essere da sola. Non si era ancora girata, eppure percepiva la presenza di qualcuno alle sue spalle, e non si trattava di un allucinazione. Oh, al diavolo. “…Stupida mosca” Concluse per continuare l’insulto che, ad orecchie al di fuori delle sue, pareva essere rivolto al nulla. Fece una giravolta su sé stessa, sorridendo con naturalezza alla ragazza. Non sembrava un allucinazione.
    Sperava non lo fosse. “Buongiorno” Sorrise battendo languidamente le ciglia, come a scusarsi di quel suo bizzarro comportamento.



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    Beatriz Chandler
    ❝Uno, nessuno e centomila❞
    >Si era sempre chiesta quante maschere vivessero in lei . Un intellettuale babbano avrebbe risposto tante quante sono le situazione che si devono affrontare. Si era sempre sentita un pò così. Uno nessuno e centomila. Si sentiva malleabile come la plastilina con la quale giocano i bambini negli anni che precedono la pubertà e si vedeva trasportata da tante mani invisibili che le imponevano di indossare quella data forma perchè era la cosa giusta da fare. La cosa giusta per gli altri o per lei? Non riusciva a capire neppure quali fossero i suoi reali desideri tanto abituata a seguire un dato codice neppure mai scritto su carta e quindi pressochè inesistente . Sono stata cresciuta in una campana di vetro troppo ingenua da rendermi conto che ero solo una marionetta nelle mani della società magica ma soprattutto nelle mani della mia famiglia. Non che volesse attribuire ai suoi cari le colpe di quei malsani pensieri che le ronzavano in testa da qualche giorno. Si rese conto di non conoscersi affatto e i mille modi con i quali le persone potevano vederla. Magari aveva una gamba più corta dell’altra e non se n’era mai resa conto oppure un occhio strabico era proprio ciò che vedevano gli altri quando il loro sguardo incrociava il suo. Non solo non conosceva a pieno se stessa ma neppure il suo corpo le sembrava poi tanto familiare . Se ogni mattina lo specchio della sua camera non riflettesse la sua figura poteva quasi pensare di non esistere affatto. Insomma, quei suoi pensieri esistenziali la perseguitavano già da un po’ e proprio non riusciva a capirne la causa; forse era dovuto al fatto che in quel periodo restava più tempo da sola che circondata da persone. Il suo fratellastro era scomparso, o meglio, si nascondeva da lei visto che sembrava aver intuito i suoi sentimenti altalenanti verso di lui e neppure i suoi soliti amici le ronzavano intorno più di tanto. Tirando le somme si sentiva un po’ sola e forse era anche colpa sua visto il suo volersi ritagliare dei momenti per se stessa. Probabilmente accadeva inconsciamente ma era come se si estraniasse dal mondo esterno. Quel pomeriggio i caldi raggi del sole le avevano dolcemente accarezzato il volto quando aveva aperto gli occhi e si era ricordata di dover iniziare con una nuova sessione di studio. Il cielo era sereno e la natura si era risvegliata in tutta la sua bellezza ma ciò non sembrava scalfire il mal umore della Chandler che con i suoi libri stretti al petto si dirigeva alla tranquilla torre di Astronomia. Eccola lì la taciturna e schiva ragazza corvonero che quel giorno proprio non riusciva a scacciare dalla sua mente i cattivi pensieri. Persino il suo abbigliamento costituito da colori accesi era scomparso sostituito dagli unici indumenti scuri del suo guardaroba ; un pantalone grigio le fasciava le gambe che non erano proprio il genere di gambe che facevano impazzire i ragazzi e il maglioncino anch’esso grigio più scuro contribuiva ad aumentare la sua aurea di tristezza. Il tutto era condito dai suoi capelli scuri legati in uno chignon fatto in fretta e dalle occhiaie marcate che non si era preoccupata di nascondere. Sperava di trovarsi da sola nella torre ma la sua speranza andò in frantumi quando si bloccò all’entrata osservando la schiena di una ragazza dai capelli rossi che farneticava come se si stesse rivolgendo ad un altro individuo che chiaramente non era presente lì con lei. Restò ad osservare la ragazza sconosciuta per alcuni minuti; non le sembrava di averla mai conosciuta personalmente ma forse l’aveva intravista tra i corridoi o al Winter Party , anche se era troppo impegnata a fare figuracce . Fece un passo indietro sobbalzando quando la rossa si girò verso di lei prendendola alla sprovvista. –Oh! Ciao.- Si ritrovò a guardare due occhi verdi ed un viso rotondo e grazioso che assomigliava a quello di una bambolina . –E’ tutto apposto?- La domande le era sorta spontaneamente e si morse la guancia subito averla pronunciata. Non era ancora in grado di mettere un freno alla sua improvviso impulsività. –Scusa se te lo chiedo. Ma ci conosciamo? Non mi sembra di averti mai vista alle lezioni.- La sua povera guancia fu di nuovo martoriata per mettere a freno la sua curiosità. Non credeva di aver mai visto il suo volto ma forse quello di Beatriz era conosciuto dall’altra persona anche se la corvonero non era tra le ragazzi più popolari e conosciute di Hogwarts.


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    Lydia Hadaway
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    Oh! Ciao. E’ tutto apposto?” Lydia inclinò leggermente il capo, poco avvezza alle domande di cortesia solite fra le altre persone. Da che aveva memoria – e sì, abbiamo appurato tutti che non era poi molto- nessuno si era mai informato su come stesse. Ed era un pensiero sciocco, considerando che la mora doveva averlo domandato solamente perché se l’era ritrovata di punto in bianco sul proprio cammino, proprio nel momento in cui la Hadaway stava rispondendo ad una delle solite allucinazioni che le appannavano la vista, eppure non potè fare a meno che rimanere interdetta. “Certo. Solo…” Si inumidì le labbra, aggrottando le sopracciglia ramate. “Gli insetti” Rispose con un sospiro, lasciando che le spalle si afflosciassero sotto quella misera scusa. Battè rapidamente le palpebre, roteando gli occhi verso un punto in lontananza. Si aspettava le solite domande di rito, la consueta domanda imbarazzata che era impossibile trattenere: Annie? Quasi riusciva già a sentirlo, prima ancora che la Corvonero muovesse la bocca per parlare. Era talmente abituata a sospirare e a rivolgere un sorriso di circostanza in cui negava una familiarità con Annie, che dovette soffocare il sospiro a metà dell’atto. “Scusa se te lo chiedo. Ma ci conosciamo? Non mi sembra di averti mai vista alle lezioni” Spalancò leggermente la bocca, spostando l’attenzione sul sorriso sincero, per quanto goffo, della ragazza. La osservò con attenzione, indecisa se essere delusa o ammaliata da quell’improvviso cambio di scenografia: qualcuno che non la conosceva, che non voleva infilarla a forza nei panni di qualcun altro. Qualcuno che non la guardava stranita, che non le rivolgeva lo sguardo confuso del resto dello studentato. Lo stesso sguardo che, a dire il vero, Lydia rivolgeva a sé stessa ogni volta che si guardava allo specchio: socchiudeva le palpebre senza nemmeno rendersene conto, cercando nei propri tratti l’inizio della pelle e la fine della cucitura. Voleva strapparsi quella maschera, Lydia, vedere chi si nascondeva sotto. Ed era lo stesso desiderio che leggeva negli occhi degli altri, incuriositi dal fatto che fosse uguale alla Moreau. Lydia non voleva essere Annie Moreau, una ragazza qualunque che tutti ricordavano ma nessuno si era mai sprecato a cercare. Annie non mancava a nessuno, Lydia voleva qualcosa di più.
    Il sorriso che le incurvò le labbra era qualcosa a cui, di nuovo, non era abituata. Era sincero, era spontaneo, era tutto ciò che la Hadaway non aveva ancora avuto l’opportunità di essere. “Oh, figurati, nessun problema” Rise, e probabilmente sembrò anche una psicopatica, considerando che era l’unica a poter vedere l’ironia di quella situazione. “Non credo proprio, penso che mi ricorderei di te” E non stava mentendo. La ragazza aveva due grandi occhi azzurri, labbra carnose ed un sorriso contagioso. Aveva un allegria assopita dietro lo sguardo cristallino, una luce che fece invidia alla rossa. Si avvicinò porgendole la mano con orgoglio, vedendo in quell’incontro la reale e concreta possibilità di ricominciare. Di poter essere la persone che lei sceglieva di essere, e non quella che gli altri volevano fosse. “Mi chiamo Lydia, Lydia Hadaway. Sono l’assistente del professor Henderson, il docente dei babbani. Non è molto che sono qui” Fece spallucce, mentre l’angolo destro del labbro si sollevava in un ghigno sghembo. “E te? Tutto okay?” Domandò, premurandosi, per quella che poteva benissimo essere l’ennesima prima volta della giornata, di come stesse qualcuno al di fuori di ella stessa. Era egoista la rossa, ma non con cattiveria. Comunque il ritrovarsi su una Torre, in pieno giorno e in assenza di lezioni, poteva significare solo una cosa: preoccupazioni. E quelle l’assistente sapeva riconoscerle lontane un miglio, abituata com’era a convivere con le proprie.




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    Beatriz Chandler
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    -Bel nome! Io sono Beatriz Chandler. Ragazza anonima di Corvonero- Le strinse la mano con vigore sperando di risultare simpatica anche se quella sua affermazione non sembrava poi tanto ironica. Non era molto capace nel fare umorismo o forse non era il momento migliore . -Davvero sei l'assistente del docente dei babbani?! Adoro quel mondo anche perchè avendo vissuto per tutta la vita nel mondo babbano sono sempre entusiasta di scoprire cose nuove sul mio primo mondo- Nonostante fosse una strega a cui piaceva il mondo magico non poteva certamente mettere in secondo piano il mondo nel quale era nata e che l'aveva vista crescere anno dopo anno. Le piaceva il fatto che nel mondo babbano non ci fosse troppa magia perchè in quello magico a volte si sentiva un pò fuori posto circondata da così tanti oggetti magici che a volte desiderava di poter staccare un pò la spina. Ed era per questo che ogni anno aspettava con ansia le vacanze natalizie per poter tornare a casa sua e passeggiare per le strade della sua città senza dover scorgere nelle vetrine dei negozi pupazzi di neve canterini o renne magiche. Aveva bisogno della sua dose di normalità almeno due volte l'anno. -E quindi provieni dal mondo babbano?- Prima o poi qualcuno le avrebbe detto di farsi gli affari suoi ma era come se le domande le uscissero di bocca senza poterle controllare. Aveva subito pensato che Lydia potesse essere Nata Babbana visto che era assistente del professore di quella materia ma forse si sbagliava e il suo intuito falliva come tutte le altre volte. Era piacevole poter conversare con una perfetta sconosciuta senza che le chiedesse come stesse come gli altri suoi amici avevano fatto in quel periodo e poi si sa che quando una persona ti chiede "come stai" non vuole sapere davvero la risposta ma essere solamente cortese esattamente come fece Lydia in quel momento -Oh sisi, tutto bene, grazie!- Le sorrise anche se le risultò che le sue labbra si sforzassero di allungarsi all'insù in un sorriso di circostanza. Non stava affatto bene ma neppure la rossa sembrava stare meglio di lei mentre osservava il suo sguardo quasi perso tra i suoi pensieri. -Allora , come ti trovi tra queste grossa mura? Come ti sembra la gente? Io ho ancora la sensazione di potermi perdere in questo castello se non sono accompagnata da qualcuno che mi dica se sto sbagliando direzione- rise ricordando vari episodi che la vedevano come una donzella in pericolo tra le mura del castello. Quei ricordi risalivano al suo terzo anno di scuola quando ancora non aveva fatto amicizia praticamente con nessuno e si divertiva esplorando Hogwarts .


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    Sorry se il post è striminzito e fa pena e scusa per il ritardoo
     
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    Lydia Hadaway
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    Lydia strinse la mano della ragazza, una stretta decisa ma non troppo forte, e rise divertita della sua affermazione. “Bel nome! Io sono Beatriz Chandler. Ragazza anonima di Corvonero” C’era così tanto per cui ridere in quella breve frase, che la rossa si rammaricò di non poter condividere quel momento esilarante con nessuno. Innanzitutto, bel nome. Lydia non sapeva nemmeno se quello fosse il suo nome reale, o se fosse stato inventato appositamente per lei in una fredda notte di dicembre. Non sapeva se le apparteneva, nonostante la forza con cui le ci si aggrappava ogni giorno: lo sentiva suo perché voleva sentirlo suo, o perché la rossa senza passato aveva smesso di essere un’ombra ed era diventata una persona? Impossibile da stabilire. E poi, ragazza anonima di Corvonero. Era adorabile come la ragazzina pensasse di essere invisibile, senza alcuna caratteristica particolare che potesse saltare all’occhio. Era difficile trovare persone, specialmente donne, che si reputavano anonime senza farsi alcun problema di sorta. Anzi, solitamente tutte pensavano di essere speciali, più belle, più simpatiche: Lydia non se ne vergognava, ed anche se era terribilmente narcisista ammetterlo, apparteneva al secondo gruppo. E Beatriz, oh, lei non poteva sapere cosa significasse essere anonime. Fidatevi, lo diceva una che il nome l’aveva vinto con i punti della Coop. Le fece l’occhiolino, accentuando le fossette agli angoli delle labbra. “Nessuno è anonimo, tutti lasciano il segno. Devi solo convincerti di poterlo fare, e spiccherai come una torcia al buio” Forse non esattamente uno dei consigli più assennati che Lydia avesse mai dato in vita sua… non che ne avesse dati molti, in effetti. Ma credeva davvero in quello che aveva detto. L’importante era crederci, anche a costo di risultare altezzosa e snob. Lei fingeva una sicurezza che non aveva, non tanto sul suo aspetto quanto il suo essere. Ricordava il colloquio al castello, la naturalezza con cui aveva mentito sulla sua identità. “Certo, Lydia Hadaway. Questi sono i miei documenti. Mi sono appena trasferita, ho studiato da privatista” Il trucco era sorridere, convincersi che quella era una sfumatura di verità. Si era resa conto presto che, quando sorrideva, la gente cadeva più facilmente nella fallace trappola dell’inganno.
    “Davvero sei l'assistente del docente dei babbani?! Adoro quel mondo anche perchè avendo vissuto per tutta la vita nel mondo babbano sono sempre entusiasta di scoprire cose nuove sul mio primo mondo” Inclinò il capo da un lato, mordendosi l’interno della guancia e lanciando alla Corvonero uno sguardo divertito. Era difficile rimanere impassibili a quell’entusiasmo, perfino per chi, come la Hadaway, ignorava tutto ciò che riguardava l’argomento. Dei babbani non sapeva nulla, così come non sapeva nulla del mondo magico. Ma perché rovinare i sogni di gloria della Chandler, che faceva sembrare il lavoro di Lydia una delle cose più interessanti di sempre? Il che, a dirla tutta, era buffo: nessuno solitamente si mostrava entusiasta a sapere degli esperimenti che vivevano al castello, figurarsi le loro lezioni. Si limitò a fare spallucce, indecisa su come rispondere. “Sì, il nostro compito è insegnare loro come poter gestire il nuovo potere. Sono tutti diversi, alcuni poteri sono incomprensibili!, e non tutti lo gestiscono allo stesso modo… è complicato” Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, inumidendosi le labbra. “Però è interessante. Lavorano duramente quei ragazzi, sai” Ripensò alle idee malsane del suo capo, a quel progetto di Nydiavile che prospettava per la loro prossima lezione. “È ingiusto come vengano trattati” Concluse con serietà, tacendo poi improvvisamente. Cosa stava accadendo? Lydia Hadaway stava facendo la morale a qualcuno, anche quando questa non era strettamente richiesta? Si stava addentrando seriamente nella discussione del i babbani sono buoni, non sono cibo? Lei, poi, che di morale sapeva ben poco. Quella mattina le avevano drogato il caffè, era l’unica spiegazione. “Non parlo di te, sia chiaro. È un discorso generale. Vengono evitati come…” Alzò gli occhi al cielo, cercando la parola adatta. Sapeva di saperla, ma le sfuggiva. Alla fine si limitò ad un triste compromesso con sé stessa, rendendosi conto per l’ennesima volta di quella memoria che più di un fardello era un handicap. “Come se fossero malati” Sovrappensiero, realmente seccata da quel comportamento dei maghi. Non che quella fosse la sede più adatta in cui fare quel genere di conversazione, ma dirlo ad alta voce fu consolatorio. Aveva sempre timore di rivelarlo, timore di essere giudicata più di quanto non fosse. Ma la ragazza era sembrata così sincera, nella sua curiosità, da spingerla a rivelare i suoi dubbi. “E quindi provieni dal mondo babbano?” Ma che bella domanda interessante. Sarebbe stato bello saperlo, davvero.
    Lydia non ne aveva idea. Scosse il capo lentamente, abbassando gli occhi sul pavimento ed optando per la menzogna più semplice. “No, sono cresciuta fra i maghi. Sto imparando un sacco di cose nuove” Sorrise ammiccando, mostrando i denti bianchi e perfetti. Beh, almeno quello era vero. “Ti manca il mondo babbano?” Domandò di getto, stupendosi ella per prima di quella sua invadenza. Imparava a conoscere sé stessa ogni giorno, ma quel lato di sé stessa le mancava. Mh, aveva come la sensazione che le avrebbe portato guai.
    Allora , come ti trovi tra queste grossa mura? Come ti sembra la gente? Io ho ancora la sensazione di potermi perdere in questo castello se non sono accompagnata da qualcuno che mi dica se sto sbagliando direzione” Lydia reagì con un risolino a quell’affermazione, allungando le braccia sopra di sé per stiracchiarsi. Individuata un insenatura nel muro della torre, invitò Beatriz a sedersi assieme a lei. Tanto voleva che stessero comode, se avevano intenzione di rimanere lì a parlare. “Hogwarts riesce ancora a terrorizzarmi” Ammise, alzando le sopracciglia con scetticismo. “Io non ho solo la sensazione, mi perdo almeno una volta al giorno. Mi dicono che imparerò ad orientarmi, eppure ci credo poco: le scale cambiano, ma perché?” Domandò, facendo schioccare la lingua contro il palato. Scrollò i capelli, facendoli ricadere dietro le spalle. “Per quanto riguarda la gente, non conosco quasi nessuno, fatta eccezione per il mio capo e qualche studente del nostro corso” Un sorrise imbarazzato, mentre stringeva le mani fra loro in grembo. Studenti con cui aveva fatto anche delle gran brutte figure, a dirla tutta: ma perché rimembrare luci colorate e ragazzi tutti uguali, quando poteva fingere di essere ancora una persona seria e con una dignità? “Te, in qualità di studentessa, come ti trovi? So che le materie non sono particolarmente... semplici. E, devo dirlo, almeno la metà dei vostri insegnati mi atterrisce. Se fossi in voi non credo andrei a lezione” Arricciò il naso, rivolgendo a Beatriz un ghigno malizioso.
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    Ma tranquilla dolcezza! *^*
     
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