L'inferno sono gli altri

Damian

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  1. leccami la piastrella (nutella)
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    Mihail Mills
    Just let the pain remind you hearts can heal
    Un sorriso. Un delicato sorriso increspò le rosee labbra dell'uomo, mostrando due file di denti grandi e quasi perfetti, mentre tutt'attorno a lui era buio. Oscurità densa come petrolio che avvolgeva la sua figura e la rendeva invisibile a occhi di chiunque: unico testimone della sua esistenza era l'aria che entrava ed usciva dalle ampie narici, allenate affinché il rumore del respiro fosse tanto delicato da risultare impercettibile per l'udito della maggior parte degli esseri viventi. Inclinò leggermente la testa, rompendo il silenzio facendo suonare le vertebre del proprio collo: due sonori crack! vibrarono nell'ambiente della stanza, satura dell'odore di sudore della sua pelle e del sangue delle vene della sua vittima. Quel rosso che tingeva tutto, dalle pareti al viso di Mihail, e che nessuno poteva vedere: gli gocciolava dai capelli e dalla barba e gli bagnava le mani, gli abiti e l'anima. Sentiva il proprio cuore battere forte in quel petto ampio, dimora di polmoni grandi e uno spirito guerriero: chiuse gli occhi, anche se non ce n'era bisogno, e intimò al muscolo cardiaco di decellerare, rallentare quel ritmo frenetico che gli suonava con intensità contro le costole e tornare alla normalità. Ma, dopotutto, cos'era la normalità? Il giovane legato alla sedia in legno massello tirò nuovamente su il capo, cercando con sguardo perso il carnefice che era rimasto appostato dietro di lui tutto quel tempo. « Lasciami andare. » disse in un roco sussurro. « ... ti prego. » ma Mihail non era esattamente un angelo custode: occhi celestiali, certo, ma algidi. Un suo sguardo era quel che di più simile esisteva ad una freccia di fuoco e di ghiaccio allo stesso tempo: trafiggeva e rimaneva li, nella testa delle persone, convertendosi in uno di quei pensieri fissi che è praticamente impossibile mandare via. Mihail era un angelo della morte: quella splendida figura che tanto terrore e tanto amore incuteva alle persone. Con il cappuccio calato sul capo aveva assistito a più di una dipartita, partecipandovi o semplicemente osservando da un angolo buio come la vita si spegneva negli occhi delle persone. E non fraintendete ciò che il rumeno era: non un sadico, ve lo posso assicurare, ma semplicemente un uomo curioso. Gli sarebbe piaciuto capire com'era quel sentimento che faceva bagnare i calzoni a quei poveri martiri immolati in una causa, ai suoi occhi, persa: voleva sentirla sulla propria pelle, provare quel sudicio dispiacere corrergli nelle vene. Non riusciva a comprendere quale ragione spingesse quegli uomini e quelle donne a donare la propria vita alla matrice ribelle e, in alcuni casi, a difendere certe pratiche a loro volta obrobriose su maghi di sangue puro, trasformandoli in feccia priva dei propri poteri. « Non lo racconterò a nessuno.» ansimò il prigioniero. Mihail si alzò, stortando leggermente la bocca in un bieco sorriso: accese la punta della bacchetta, che puntò immediatamente sotto il mento della sua vittima: era ovvio. Ovvio che non avrebbe raccontato nulla a nessuno e il rumeno si accertò che ciò non potesse accadere. « Avada » pronunciò, sentendo l'anatema che uccide appoggiarglisi sulla punta della lingua. « Kedavra » e un lampo di luce verde colpì la pelle dell'uomo che, senza ormai poterci fare più nulla, cadde all'indietro sbattendo la nuca senza vita contro il pavimento di pietra. Mihail lo guardò alla luce di un Lumos e sputò, coprendogli il viso con la propria saliva. La sua ultima morte, per il momento. Girò sui tacchi e uscì dalla piccola porta del capanno: l'aria del mattino lo investì con tutta la sua freschezza e quel pizzico di polline che suggeriva l'inizio della primavera. Dilatò le narici e appoggiando le mani sui fianchi, espanse la gabbia toracica prendendo quanto più ossigeno possibile; cosa odiava di quel lavoro? L'odore che gli lasciava addosso la morte altrui. Uno scricchiolio, girò il capo di scatto rischiando di lussarsi una vertebra cervicale: gli occhi glaciali di Damian Icesprite si incastrarono automaticamente nei suoi, facendogli rilassare i muscoli della mascella. Era già pronto a scattare, la bacchetta puntata contro l'avversario: abbassò il braccio e salutò educatamente il collega; ora collega su tutti i fronti: al Ministero e a Scuola. Era stato il primo a sapere del suo nuovo incarico. « Damian » avrebbe dovuto appellarglisi in forme più rispettuose, come ad esempio capo o mr. Icesprite, ma la differenza d'età glielo impediva categoricamente.


    Scheda ▴ 44 ▴ mangiamorte ▴ Pensieve code role by #epicwin for obliviongdr

     
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  2. don't joke with icesprite
         
     
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    Damian Icesprite
    « he's dancing in the dark »
    Tic, Tac, Tic, Tac
    Damian aveva sempre amato gli orologi. Così perfetti ed incredibilmente precisi.
    Poggiò la schiena contro il legno duro del capanno e ne osservò le lancette che scandivano il tempo in modo accurato e meticoloso, sempre uguale in un circolo potenzialmente infinito. Perchè le persone non potevano essere così precise? Tutto sarebbe stato più semplice, se gli uomini fossero stati orologi. Ma anche un orologio si fermava, come una persona terminava la propria esistenza, all'improvviso e spesso senza una ragione.
    "Avada Kedavra." Richiuse il proprio orologio da taschino compiacendosi del fatto che Mihail Mills avesse impiegato un po' più tempo di tanti altri a compiere ciò per cui lavorava e che per questo probabilmente aveva assaporato quella missione fino in fondo. Non c'era niente di emozionante nel vedere un uomo morire, non quanto godere della sua stessa paura, di quel sentimento tanto forte e capace di annebbiare la vista. Non esisteva niente più appagante nel sentire le preghiere di un uomo, e le sue richieste di riscatto che non avrebbero visto risoluzione, era qualcosa di unico, una gioia insana e silenziosa di cui pochi sapevano godere, Damian senza dubbio. Lo sentì uscire dal capanno, godere dell'aria mattutina che aveva seguito una notte gelida, che per Damian era stata elettrizzante.
    « Mihail. » Rispose di seguito all'uomo, osservando la sua bacchetta, prima sguainata verso di lui e poi abbassata, alzando a sua volta le mani in un gesto teatrale di resa. Era convinto che Mihail ci avrebbe pensato due volte prima di attaccarlo, dopotutto erano colleghi. « Perdonami, dovevo annunciarmi prima, ma non volevo disturbare la questione. » Disse allusivo, lanciando uno sguardo al capanno. « Posso? » Non era diffidente verso un collega nonchè un uomo che conosceva sin da bambino, abbastanza a lungo da sapere che fosse letale, ma era suo dovere, in quanto Amministratore segugi, controllare che il tizio, sospetto ribelle fosse morto davvero. « Un attimo. »
    Passò oltre Mihail ed varcò la soglia del capanno, ritrovandosi catapultato in un mattatoio arrangiato nel migliore dei modi, o su un set cinematografico. Gli schizzi di sangue sulle pareti erano da capogiro e l'odore di putrido gli graffiava le narici, costringendolo a portare un fazzoletto, estratto dalla tasca della giacca, a coprire il naso. « Per l'amor del cielo Mills! » Aveva ipotizzato che si fosse divertito, ma non pensava in questi termini. Riuscì dal capanno, con espressione disgustata palese in volto e solo adesso si rese conto che il sangue, probabilmente lo stesso che ricopriva le pareti del capanno, era presente anche sul volto dell'uomo. Forse, in determinati casi, era semplicemente meglio credere il prossimo sulla fiducia, quell'uomo era morto. « Il fine giustifica i mezzi, lo comprendo...ma era necessario? » Per carità, non che gli volesse fargli una qualche osservazione o critica, era dell'idea che ognuno avesse il proprio modo di lavorare. Damian era solito lavorare in modo più "pulito", senza sporcarsi le mani ed indugiando semplicemente su una violenza di tipo psicologico, più che fisico...Solo gli sembrava inverosibile attribuire una tale furia ad un semplice incarico Ministeriale. Impossibile, una sfuriata del genere doveva avere basi diverse. Conosceva Mihail, e sapeva che aveva un'indole portata all'ira, che non temeva niente, ma perchè arrivare a tanto? Non aveva udito la loro conversazione, era arrivato sul luogo dopo aver seguito il percorso dell'uomo che Mihail aveva ucciso. Lo stava seguendo anche lui, da circa quattro ore, quando quella mezza calzetta di Glykeria Baines, la Superpavor, lo aveva contattato in stato di totale allarme, per aver localizzato quello che doveva essere il responsabile di un gruppo di ribelli. Aveva atteso con pazienza il momento propizio, per poi vedersi soffiare la vittima sotto il naso da parte di Mihail. Allora aveva seguito entrambi, senza farsi notare, come la sua posizione da segugio richiedeva: era silenzioso, discreto, mai di troppo, mai azzardato. Forse era per questo che il suo lavoro al Ministero confaceva esattamente con la sua persona. Se Mihail non fosse arrivato per primo, quell'uomo, adesso cadavere, sarebbe finito tra le proprie mani. Se non fosse stato Mihail a soffiarglielo, ma qualcun altro, non ci avrebbe pensato due volte a metterlo fuori gioco per arrivare per primo alla vittima. Sperava solo che il Signor Mills, come era solito chiamarlo da bambino, fosse riuscito ad estorcere all'uomo informazioni utili, prima di banchettare sul suo cadavere. « La Baines ne sarà fiera, sempre che l'uomo abbia spifferato qualcosa prima di morire. »
    Sheet ⋆ 26 ⋆ pureblood ⋆ deatheater ⋆ incazzed (?)

    schema role © psìche

     
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1 replies since 29/3/2015, 22:50   233 views
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