I've turned into a monster

xSheridan

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    Aloysius Angus Crane

    Scheda ▼26 anni ▼ Babbano ▼ Neutrale ▼ Pensieve

    21.30, normale orario per uscire la sera. 00.45, non tanto normale per tornare, almeno per me, ma capita. Capita, soprattutto se la serata non va minimamente come ti aspetteresti. Ero uscito semplicemente per non restare nella monotonia del mio appartamento, non per cercare rogne, non per bere a sbafo come faceva la maggior parte della gente di Hogsmeade, non per cercare qualcuna da portarmi a letto, come era stato più volte insinuato. No, ero uscito per riprendermi, per vivere; perché, anche se quegli anni non erano stati "vita", anche se adesso vivevo un surrogato di vita, vivevo in una continua sopravvivenza, in un continuo "speriamo che domani non mi uccidano", non valeva la pena restare segregato a casa la sera, da solo e malinconico. Pensai, che male c'era ad uscire un po', a svagarmi? Nessuno. Credevo nessuno, ma a quanto pare non era così per gli altri, per i maghi, quei maghi che si ritenevano una razza superiore. Superiori di tutto, superiori di tutti. Salvo poche eccezioni, quella "razza" era odiosa, insostenibile, a tratti crudele, verso tutti quelli che non erano come loro. E quale miglior modo di dimostrare la propria superiorità, se non quello di prendere di mira i babbani, quelli come me, quelli senza bacchetta. Quella sera, toccò a me. Quella sera, scoprì la crudeltà insita nell'animo umano. Era passata da un po la mezzanotte, ma le strade pullulavano ancora di gente: ragazzi, che il giorno successivo non avrebbero fatto nulla, e quindi potevano permettersi di bighellonare per i pub; ragazzi e adulti, che avevano passato una giornata di lavoro, una giornata pesante, e rilassavano i propri nervi di qua e di là; ubriaconi, che... erano ubriaconi, questo basta. E quando una persona beve troppo, si sa, non ragiona, e tira fuori tutto ciò che è realmente: una creatura spregevole, senza clemenza, senza il minimo rispetto per chi lo circonda. Fu mentre stavo tornando a casa che accadde, in un vicolo. La sigaretta mi cadde di mano, quando mi resi conto che ero seguito da due energumeni enormi, con le loro bacchette sguainate. Voltai lo sguardo per capire a quanta distanza erano da me, ma quando tornai a guardare la strada, uno di lui si era Materializzato lungo la mia zia. -Cazzo-. Ridevano, spregevoli, e quella risata fece arrivare al mio naso il tanfo dell'alcol. Tanto alcol. Accadde tutto molto velocemente, da quel momento in poi. Uno corse dietro a me, da una parte, l'altro dietro un altro me, dall'altra. Io corsi più veloce che potevo, e al contempo cercavo di indirizzare l'altro mio clone più lontano possibile. Ma questa concentrazione non mi fu favorevole: l'altro mi colpì con un incantesimo, e io caddi a terra, disorientato. Ero a terra e potevo vedere i piedi del mago davanti la mia faccia. Ero a terra, e potevo sentire il calcio che mi colpì in pieno sullo zigomo. Ancora una volta, per difesa, mi duplicai, e capii che c'era qualcosa di marcio in me, qualcosa di cattivo. Ero instabile. 5 mie copie lo attaccarono. Lo colpirono, e poi ancora, e ancora. Non smettevano. Io ero praticamente spalle al muro, incapace di muovermi, terrorizzato. L'uomo era ormai a terra, sanguinante, incapace anch'esso di far vibrare un solo muscolo. Trovai la forza di alzarmi, di far sparire le mie copie, di avvicinarmi al mago e di assicurarmi che non fosse morto. Corsi via, più veloce che potei. Altrettanto repentinamente, aprì la porta del mio appartamento e mi sciacquai la faccia, la parte sinistra livida e sanguinante per il calcio subito. Non ero uno che piangeva, ma quella notte non riuscivo a contenere le lacrime, quella notte ero vulnerabile come non lo ero mai stato. Quella notte capì che non ero la persona che immaginavo essere, che il male era insito in me. Non dormì, ma passai la notte seduto a terra, in un angolo buio, a pensare.

    Quando uscì la mattina seguente, avevo pensato tanto, forse troppo. La testa mi scoppiava, le occhiaie erano un po' più evidenti del normale. Il livido si era un po' attenuato, ma la ferita era comunque visibile. Era ancora vuota la cittadina, come lo era la strada che portava alla Scuola di Magia. Potevo entrarvi quando più mi andava, e quello era il momento adatto. Non dovevo seguire il corso del professore Handerson, ma non era quello che volevo. Il mio status di "Babbano speciale" mi permetteva di girare per Hogwarts senza problemi (se non consideriamo alcune occhiatacce di studenti e professori anti-babbani). La torre più lontana. La torre più alta, quella più appartata. La Torre di Astronomia. Era lì che arrivai dopo varie strade sbagliate. Molte strade sbagliate. "Colpa delle fottutissime scale che cambiano!"... Certo, certo. Sta di fatto che lì ero solo, lì non correvo il rischio di fare troppi danni. La notte, ero arrivato alla conclusione che se anche c'era del lercio in me, si poteva combattere, arginare. Si poteva controllare. Dovevo esercitarmi il più possibile a tal fine, e quello era il momento consono. -Mettiamoci al lavoro Al-. Iniziai con una copia, e prese la sfera di cristallo accuratamente, come doveva fare. Due copie. Ancora riuscivo a controllarle. Tre, quattro, più o meno bene. Era alla quinta copia che accadeva il panico. Il mio pensiero non si biforcava a tutti i cloni, e questi facevano le cose a metà, si bloccavano, esageravano il mio input. Mi sedetti, così feci fare anche ad un'altra copia. Un'altra restò in piedi, lo sguardo perso. Ero seduto davanti ad una sfera divinatoria, come una di quelle che avevo visto al circo da bambino, dietro la quale una signora schizzata con un turbante in testa diceva cose senza capo né coda. Agitai le mani intorno al piccolo globo di vetro, in modo esageratamente le mani -Abracadabra-, dissi con una carica d'entusiasmo pari a quella provata da una bottiglia di plastica vuota. Ovviamente, non accadde nulla. Incrocia le braccia sul tavolo e vi poggiai la testa, continuando a guardare la nebbiolina contenuta nel cerchio. -Che cazzata-.

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    Sheridan Lestrange

    Scheda ▼ 15 ▼ ex-serpeverde ▼ mangiamorte ▼ Pensieve

    La stanza era satura del profumo di Argan che proveniva dalla vasca da bagno in cui era immersa. Un tempo riusciva a leggere il significato delle forme assunte dalla schiuma del sapone, adesso questa capacità era solo un miraggio. Con una mano distrusse la schiuma sotto si suoi occhi, ma quella si ricreò, per magia. Stronza...
    Sua madre non rispondeva alle sue lettere e questo significava che non aveva intenzione di perdonarla. Perdonarla. Come se avesse commesso qualcosa di sbagliato per il quale richiedere perdono. Aver perso i poteri, non poteva essere una colpa. Certo, non era stata attenta la sera del rapimento, ma avrebbe potuto morire e poi tutto ciò che le era capitato non era già una punizione? Lanciò in aria una mela, che teneva nell'altra mano, facendola atterrare di nuovo sul palmo e la osservò in ogni dettaglio, mentre il pensiero viaggiava ancora alla villa dei Lestrange, adesso molto più vuota del solito. Suo padre era morto, e Sheridan non aveva pianto per lui. Per sè stessa senza dubbio, ma non per lui. Non perchè non gli volesse bene, ma forse lo shock era stato davvero troppo forte, e ancora doveva metabolizzare tutto ciò che era accaduto in così poco tempo. Fare il bagno la faceva diventare terribilmente riflessiva, così il pensiero andò ai Ribelli, a quella feccia che l'aveva usata come cavia per degli esperimenti. Non si sarebbe mai saziata, mai placata finchè non avrebbe visto le teste di quei bastardi rotolarle sui piedi. Sarebbe mai accaduto? Osservò ancora la mela, con sguardo adesso più sottile, e la morse con rabbia. Mandò indietro la testa, lasciando che i capelli scivolassero, morbidi, oltre il bordo della grande vasca da bagno. Magari erano cambiate tante cose, ma alcune erano sarebbero rimaste sempre uguali, come l'amore spassionato per il locale Amortentia, il centro benessere con annessa Sala tisane ad Hogsmeade. Era una cliente affezionata di quel locale così rilassante. Una cosa era sicura, ad alcuni non importava che non avesse più i poteri, finchè avesse avuto dei galeoni in tasca.
    Ormai non era rimasto che il torsolo della sua mela, così lasciò che cadesse a terra e che una sua duplicata, avvolta nell'accappatoio, lo raccolse per buttarlo nel cestino, per poi ritornare nella sua posizione di stasi, ferma, dinnanzi alla porta. Si era abituata all'idea di quel nuovo, bellissimo, potere, davvero utile per le cose più stupide, ma incredibilmente utile per quelle più serie. Ancora qualche attimo di relax, in cui contemplò la schiuma bianchissima che galleggiava sulla superficie dell'acqua, ricoprendola. Niente, non ci leggeva niente, come qualsiasi altro stupido babbano. La professoressa ne sarebbe rimasta molto delusa, ma tanto non doveva più frequentare Divinazione. Lanciò uno sguardo verso la sua duplicata, che prontamente si avvicinò tendendole un accappatoio. La sala delle tisane l'aspettava.
    [...]
    Doveva provare e riprovare, perchè da una parte credeva - o forse voleva solo convincersene - che non avesse perso del tutto i suoi poteri. Era una quindicenne difficile da disilludere, quindi lasciava sempre una porta alla speranza di ciò che le conveniva credere, finchè non ci sbatteva con la fronte e capiva che tutto era perso. Per adesso, qualcosa l'aveva convinta che i suoi poteri, sebbene affievoliti, non fossero del tutto spariti. Ci aveva pensato gran parte della notte, e aveva preso sonno al mattino.
    Aprì la grande botola dentro la quale si nascondevano le scale che l'avrebbero condotta all'aula di Divinazione, a quell'ora non c'era lezione, e pensava di non trovarci nessuno. Scendendo a passi misurati le scale si rese conto che l'aula non era vuota, ma che era come la ricordava: bellissima. Vi erano tanti cuscini sparsi in vari punti del pavimento, come una sala da tè giapponese, ed un unico - anzi, erano tre! - grande problema: un ragazzo, con la testa china sul tavolino e a fianco una piccola sfera di cristallo. Che fosse morto?
    A seguito altri due ragazzi identici. Non era poi tanto sorpresa, solo un po'... Non avrebbe potuto indovinare se anche quel tipo avesse il suo stesso potere, o se fosse frutto di un esperimento come era per Andrew, Jay e Xavier. Era spaventata? No, non ancora almeno. I tre ragazzi non portavano la divisa, non come lei, beati loro. Il desiderio di fare a pezzi quel vestito era grande, ma poi avrebbe dovuto ricomprarsela da sola. Si schiarì la voce per annunciarsi al ragazzo chino sul tavolo. Siete tre senzienti? Domandò, appena giunta all'ultimo gradino della scalinata, le braccia conserte sotto il seno e l'espressione indispettita non erano un'ottima carta di presentazione, ma non poteva farci molto...

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    Edited by Lestrange's Revenge - 13/7/2016, 15:34
     
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    Aloysius Angus Crane

    Scheda ▼26 anni ▼ Babbano ▼ Neutrale ▼ Pensieve

    All'angolo, in un vicolo. Di nuovo, come poco tempo fa. Due aggressori contro di me, gli occhi color rosso sangue che mi fissavano malefici, mentre si avvicinavano sempre più, con le loro bacchette sguainate mentre io ero lì, terrorizzato. Non potevo fare nulla, non potevo difendermi in alcun modo, e loro lo sapevano. Il mio potere si attivò di nuovo, inconsciamente, e ancora una volta quei cloni si frapposero tra me e la morte, ancora una volta mi salvarono. Ancora una volta, attaccarono gli avversari, atterrandoli, pestandoli a sangue. -No... No...- ero paralizzato dal terrore, mentre i due maghi lanciavano incantesimi a destra e manca ed urlavano. Gettavano grida strazianti, grida di cani bastonati. Ed io lì, a fissarli, impotente di fronte a tanta cattiveria, di fronte ai miei duplicati che a lavoro finito si voltarono verso di me, con lo stesso sguardo assetato di sangue che avevano i due aggressori. Quasi fossero contenti dell'ottimo lavoro, quasi meditassero di continuare così, di attaccare, di uccidere. Di gettarsi contro di me, di picchiarmi. Ma perché? I miei sosia non avevano volontà propria, non ce l'avevano mai avuta. -Lasciatemi. Andatevene!- Tutto questo non aveva senso. Come ci ero arrivato lì? Ricordavo distintamente che ero in un altro posto... -Via! VIA!- Un posto profumato, all'interno di un castello...

    -Lasciatemi...- dissi, ancora in preda a quell'incubo. Quando mai quella scena avrebbe finito di importunarmi? La faccia era nuovamente dolorante, e mi svegliai probabilmente solo grazie ad una voce. -Siete tre senzienti?- Alzai la testa, gli occhi lucidi e provati dal piccolo sonno che mi aveva colto seduto davanti a quella sfera di cristallo si girarono a guardare una ragazza. Una giovanissima ragazza, avrà avuto 10 anni in meno di me. I cloni non fecero lo stesso, ma restarono a fare quello che facevano prima... Nulla, erano dei dannati cloni. Ma quella ragazza, evidentemente, non lo poteva sapere, la sua domanda mi fece capire che pensava fossimo tipo tre gemelli, o qualcosa del genere. Al che, io mi alzai, e in qualche modo feci scomparire i duplicati. L'avevo solo pensato, ma era successo. Eppure, non credevo fosse opera mia: magari era finito il tempo, erano scaduti. -Se intendi se sono vivi: no. Sono solo miei cloni. Ed io sono Al, piacere!- dissi, porgendole una mano. Quanto mi sentivo pedofilo in quel momento nessuno può saperlo. Lì, nella torre di Astronomia, con la metà sinistra della faccia ancora livida, a presentarmi ad una bellissima ragazza che doveva avere circa 15 anni. La ragazza, tuttavia, era in divisa, e la cosa mi iniziava a preoccupare. Doveva essere necessariamente una studentessa, e cosa ci fa uno studente in un aula, se non assistere ad una lezione? Da quanto ero lì? Per quanto tempo mi ero addormentato? Non doveva essere passato molto, anzi, relativamente poco se gli "altri me" non erano scomparsi: significava che un po di concentrazione era rimasta. E, a quel punto, ero sicuro che a quell'ora non ci fosse nessuna lezione prevista per quell'orario. Ma allora perché era lì? -Ma.. Sta per iniziare una lezione? Che ci fai qui? Sei una studentessa, vero?- Mi sentì a disagio per lei: troppe domande tutte insieme, e nemmeno sapevo chi fosse, e lei non sapeva chi fossi io. Ma ero nel panico. Non volevo andarmene, insomma, nessuno doveva tenere la lezione di divinazione, e nessuno avrebbe dovuto assistervi. Ma non era il fatto della lezione a disturbarmi. Non volevo essere visto in giro per Hogwarts, anche se legalmente potevo girarvi senza problemi, non volevo beccarmi tutte le frecciatine degli studenti. Sto definitivamente bene lì, in quella stanza, e nessuno mi avrebbe fatto smuovere, nemmeno quella ragazza dal viso angelico un po indispettito.

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    Sheridan Lestrange

    Scheda ▼ 15 ▼ ex-serpeverde ▼ mangiamorte ▼ Pensieve

    Scese l'ultimo gradino della scalinata, ritrovandosi a sovrastare un tappeto rosso morvbido, posto sul pavimento in legno poco visibile in alcuni tratti, vista la tappezzeria che quel locale vantava. Si guardava intorno, incuriosita da ogni minimo dettaglio presente nell'area, per capire se fosse cambiato qualcosa da l'ultima volta che era stata li. Niente, era tutto uguale. Questo la portò a pensare che nonostante il mondo intorno a lei avesse continuato a scorrere normalmente, senza particolari stravolgimenti, lei aveva visto la sua vita spezzarsi, andare in frantumi e si era trovata a recuperarne i cocci, da sola. Pensare che sua madre aveva in parte contribuito a frantumarle l'esistenza la alimentava quella fiamma d'odio, ormai accesa qualche periodo e che mai si sarebbe spenta. Fece scorrere la mano delicata su un bancone in legno pregiato sopra il quale si trovava un cofanetto di incenso che tante volte aveva attirato la sua attenzione all'ingresso dell'aula. Sorrise alle parole del ragazzo, e rialzò lo sguardo su di lui, in tempo per vedere sparire i due tizi che gli erano affianco. Dei cloni...doveva dedurre quindi che anche lui avesse il suo stesso potere, o qualcosa di simile. Ma non ricordava di averlo mai visto ai laboratori. Probabilmente all'epoca era fin troppo fatta per accumulare troppe memorie. Ma il suo aspetto non gli era nuovo, ricordava il suo volto, la sua espressione in particolare, al momento non avrebbe potuto associarlo a nessuno di conosciuto, e poi era mattina presto, accidenti, aveva bisogno dei propri tempi per attivarsi! I tuoi cloni. Ripete come per avere conferma da lui di quanto appena enunciato. Interessante! Non gli avrebbe rivelato che aveva il suo stesso potere, era sempre meglio tenere delle riserve, come si suol dire, degli assi nascosti nella manica. Ma a vederlo, il ragazzo non sembrava pericoloso. Se lo fosse stato, Sheridan lo avrebbe intuito anche solo un po', invece non lo percepiva come una presenza ostile. Probabilmente l'unica presenza ostile nella stanza, al momento, era lei. Sheridan. Rispose presentandosi, con tono di voce piatto, chiaramente poco interessato a quella semi presentazione. Le aveva porso la mano per stringerla, ma lei non aveva risposto a gesto, preferendo voltarsi ed andare a esplorare quello che un tempo era stato il suo banco. Non aveva niente contro quell'Al, niente oltre al fatto che stesse occupando la stanza che avrebbe voluto occupare per prima, ma non si fidava di lui. Non poteva sapere quale altro potete avesse! Per esempio, Donald era un elettrocinetico, poteva anche dare la scossa al solo tocco. Per questo limitare il contatto al minimo era la soluzione migliore. Si sedette su un gradino rialzato rispetto al resto dell'aula, non molto distante da Al, e si sistemò la gonna della divisa. Non ho la minima idea se ci sia lezione o meno. Non frequento più questo corso...raccolse un piattino dal tavolo e lo osservò. All'interno delle foglie di tè spezzettate, che non avevano un aspetto poi tanto particolare ai suoi occhi, non le dicevano niente, non le suscitavano un minimo segno. Lo riposò con rabbia sul tavolo e riguardò Al. Era un adulto, sicuramente molto più grande di lei, probabilmente era nuovo a scuola, era di quei babbani che frequentavano le lezioni del professor Henderson. Sorvolò la domanda sul 'Che ci fai qui?' Perché non era sicura che Al avrebbe voluto sapere la sua storia triste, nè soprattutto, era sicura di volergliela raccontate al momento. Cosa poteva dirgli? Sono qui perché voglio capire se riesco ancora a leggere le foglie di tè oppure sono qui per scoprire se ho davvero perso i miei poteri o un più banale sai...ero molto brava a Divinazione, mi manca un po'... era certa che tutti quei racconti sarebbero risultati patetici alle orecchie di chiunque, e non voleva di certo sembrare una stupida malinconica. Sono una studentessa, si. Annuì, accennando con lo sguardo alla propria divisa. La divisa dei babbani era nera e grigia. Non aveva colori particolari come quella delle altre casate. Non spiccavano per un minimo luccichio, né qualcosa di interessante. Erano banali. Un tempo la mia divisa era verde argento. Mentre adesso... Sollevò appena le spalle e distolse lo sguardo da lui, portandolo alla finestra che si affacciava su un cielo nuvoloso. Quella semi informazione avrebbe potuto risparmiarsela, ma ci teneva a far sapere che prima di essere ciò che era diventata, non era stata una babbana, ci teneva a far sapere che era stata una strega...e lo era tutt'ora. Le immagini che si susseguirono nella sua testa a quelle parole furono ricordi di quando padroneggiava i corridoi del castello, con la sua bellissima divisa! Stupida ragazzina.
    Sei un babbano? Domandò portando le mani a tenere le proprie ginocchia nude, scoperte parigine grigie a coste che le superavano gli stinchi.
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    poco antipatica..muoro


    Edited by Lestrange's Revenge - 13/7/2016, 15:37
     
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    Aloysius Angus Crane

    Scheda ▼ 25 anni ▼ Babbano ▼ Neutrale ▼ Pensieve

    La guardai muoversi sinuosamente lungo l'aula di Divinazione. Una ragazza, giovanissima, che percorreva il perimetro di quella stanza, poggiando le proprie mani sui i banchi scolastici. Si poteva capire da come ci passava le mani, da come scrutava l'ambiente, da ogni suo singolo movimento, che stare lì la faceva sentire malinconica e nostalgica, e altro, che sicuramente erano affari suoi. Ma si dava il caso, il puro caso, che io ero lì giusto in quel momento (anche da prima di lei, se è per questo), e la sua presenza non passava affatto inosservata. Quando la vidi e le parlai, lei sorrise, e appena in tempo vide sparire i miei duplicati. Strano. Di solito, venivo tartassato di domande su quei cloni, su chi ero, da dove venivo, dove andavo. Lei nulla, menefreghismo assoluto. Meglio, io non conoscevo lei, e lei non conosceva me, tanto valeva non invischiarsi troppo vicendevolmente nelle questioni personali. Si limitò a pronunciare un semplice "interessante", privo di alcuna enfasi, o di qualsiasi interesse, che se c'erano era riuscita a mascherarli in maniera egregia. Ero dubbioso su come considerare quella giovane studentessa, perché questo si capiva dalla divisa, che era una studentessa, che però era particolare... Grigia e nera. Le casate di Hogwarts riportavano colori caratteristici, ma nessuno di questi era presente sulla divisa della ragazza, che si presentò come Sheridan. Bel nome, pensai, mi fece venire in mente il caratteristico liquore dolciastro che ogni tanto avevo bevuto nei pub. Pub, luoghi che probabilmente dopo la bellissima avventura della sera prima non avrei frequentato per un periodo di tempo relativamente lungo. Lei non mi strinse la mano, quasi le facesse impressione, così me la portai sulla nuca, scompigliandomi un po' i capelli. Rimasi in piedi, leggermente confuso, quando lei disinvoltamente andò a poggiarsi su uno scalino della stanza.
    -Non ho la minima idea se ci sia lezione o meno. Non frequento più questo corso..- Lì per lì, il mio primo istinto fu quello di dirle allora di lasciarmi la stanza per esercitarmi, dato che ero arrivato un po' prima di lei, ma lei era una ragazzina, sarei risultato semplicemente un immaturo maleducato, e non era nel mio stile. In più, forse era anche contro qualche regola del castello usufruire di un aula senza nessun consenso, quindi era meglio starsene buoni e zitti. Facilmente, lei sviò la domanda sul motivo del suo arrivo in quella remota torre della scuola. Sviò, perché sicuramente mi aveva sentito, come aveva sentito anche tutto il resto delle mie parole. E se lo fece, un motivo c'era, e pensai che non era affar mio saperlo. Sheridan era una perfetta sconosciuta, e tale doveva rimanere per me: meno mi fidavo delle persone, allora, e meglio mi sentivo. Non avevo intenzione di investigare oltre, e aspettai semplicemente altre risposte da parte sua. -Sono una studentessa, si. Un tempo la mia divisa era verde argento. Mentre adesso...- Come immaginavo, era una studentessa. Era troppo giovane per essere un insegnate o quant'altro. Ma avevo anche ragione su quella sua divisa così anonima, che oltre al simbolo di Hogwarts non aveva nulla che potesse distinguerla da una tunica normalissima, quasi da babbani. Era strano come ormai definissi così la gente senza magia: ero anch'io uno di essi, ma allo stesso tempo non mi ci riconoscevo più. Non ero un babbano, ma non ero un mago. Ero un ibrido, una cavia, un esperimento. Scossi la testa, togliendomi dalla mente certe idee e constatazioni. Ero Al, punto. -Quindi, non ti piacevano più il verde e l'argento?- Le chiesi, accennando un sorriso. Probabilmente quella ragazzina dopo questa simpaticissima mia battuta mi avrebbe ucciso senza pietà: non sembrava avere affatto il senso dell'umorismo. Forse avrei dovuto scrivere una lettera di commiato, un addio, un qualcosa... Ma mi ero già salvato la sera precedente, poteva una studentessa uccidermi senza pietà? Sì, forse.
    -Sei un babbano?- Domanda semplice e schietta. La guardai sgomento, e nell'osservarne i lineamenti mi sembrò di riconoscerla, forse era stata nei laboratori anche lei, perché dovevo averla vista da qualche parte, e questo avrebbe spiegato la particolarità dell'uniforme particolare. -Sì, sono un babbano. O meglio, lo ero. Sono stato nei laboratori per molto tempo, non posso più definirmi tale...- Dissi, tornando a sedermi da dove mi ero alzato poco prima, toccando l'opaca sfera che gli studenti avrebbero usato nei giorni a seguire. -Tu invece- Cominciai di scatto, voltandomi verso Sheridan -Tu sei una studentessa, ma porti una divisa diversa. E non segui più questo corso- "Come penso nessun altro dei corsi di questa scuola, a parte uno" volevo dirle, ma sarebbe stato inopportuno, nonché una seconda condanna a morte. Decisi di essere più garbato, meno diretto. -Sei una strega?- Continuai a guardarla, mentre già potevo immaginarmi la sua possibile risposta.
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    Sheridan Lestrange

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    Lo sguardo aveva vagato per la stanza, mentre poco a poco i ricordi erano riaffiorati alla mente, facendola sospirare. Ogni cosa era al proprio posto, esattamente come lo ricordava, per questo forse, dopo aver esaminato a fondo il luogo in cui si trovava, Sheridan dedicò completa attenzione all'unica cosa che era, ovviamente, fuori posto là dentro: il babbano. Era un babbano, lo aveva confermato e i suoi sospetti erano fondati. Bè non era certamente un fatto personale, nè altro...o forse sì, lo era, ma Sheridan, come gran parte dei Mangiamorte con cui aveva vissuto per quindici anni, non era particolarmente affezionata a quel genere di persone, nonostate adesso fosse più vicino alla loro specie di quanto non fosse mai stata. Sbatterla dentro un laboratorio, per farne una persona diversa, l'aveva cambiata solo in parte, era rimasta la stessa ragazzina di prima, con gli stessi principi riguardo al mondo e riguardo cosa fosse importante e cosa no. Anzi, forse dopo l'esperienza nei laboratori, i suoi ideali di purezza del sangue e di un mondo privo di babbani, si erano addirittura accentuati, divorando tutto ciò che di buono e di comprensivo poteva essere rimasto dentro di lei. Era a causa dei babbani, o meglio della loro esistenza, che lei e altri maghi erano stati rapiti, perchè dei pazzi avevano avuto la brillante idea di voler unire due specie, tentando di dare ai babbani la possibilità di una rivalsa. Quindi forse, Al, come qualsiasi altro Pinco Pallino Babbano avrebbe dovuto sapere che non era un fatto personale, non del tutto almeno. Ma alla fine era importante che lo sapesse? Riguardava qualcosa più grande di lui, di lei, di quella stanza in cui adesso si trovavano, così apparentemente in pace, quando invece la guerra incombeva sulle loro teste, una guerra millenaria fatta di scontri e sangue, fatta di lotta per estirpare l'influenza Babbana dal mondo magico. Probabilmente, Sheridan avrebbe faticato persino a riconoscere ciò che la rendeva simile ad Al più di ogni altra cosa, ossia il loro potere. Ma come poteva essere diversamente? Le era sembrato così spaesato, inizialmente, o forse solo così poco abituato a quell'esistenza che si era ritrovata a domandarsi se sarebbe riuscito a sopravvivere in quello che era un mare di squali. Doveva ambientarsi in fretta, o fingere di esserci riuscito, in qualche modo, sapere di quali famiglie di maghi potersi fidare e di quali invece avrebbe fatto bene a diffidare. La famiglia di Sheridan faceva parte di quest'ultima categoria, ma lei ormai una famiglia nemmeno l'aveva più in realtà. Una cosa era sicura: se Al avesse incontrato per caso Lorean Logan, sua madre, e non l'avesse riconosciuta, quella gli avrebbe levato la luce dagli occhi all'istante. Raccolse nuovamente la tazzina dal tavolino dinnanzi a lei, e la osservò di nuovo, sperando in un cambiamento. "Quindi, non ti piacevano più il verde e l'argento?" Quella domanda arrivò alle sue orecchie come un insulto e nonostante in un primo momento non riuscì a cogliere l'ironia di fondo delle parole del babbano, che le sembrarono dettate da un ignoranza sull'argomento, capì dal suo sorriso che voleva scherzarci su. Così, lei sorrise di rimando e quasi parve sincera. In un attimo, una copia di sè stessa si era già realizzata alle spalle del malcapitato, e aveva afferrato un oggetto appuntito qualsiasi: un coltellino? o forse era una penna? E l'aveva conficcato nella sua giugulare, schizzando sangue ovunque, sangue sul tavolo, sui vestiti di Al e sulla sua stupida divisa babbana. Se avesse potuto uccidere con la fantasia, probabilmente l'avrebbe fatto, ma non era dotata di questo potere. Non amo particolarmente i cambiamenti. Gli rispose. Non se non li ho voluti io...Ma chi amava le imposizioni? Le era stato imposto un ruolo che non le apparteneva e quella divisa incolore ne era un simbolo. In fondo, non si era ancora abituata a quel cambiamento, forse non ci avrebbe mai fatto l'abitudine ed era palese, ma sapeva fingere bene, perchè aveva fatto della sicurezza di sè, l'arma più efficace o la difesa più forte. Ma c'est la vie. Scrollò le spalle, rigirandosi tra le mani la tazzina con all'interno le foglie di tè. Certo, c'est la vie, della serie "come minimizzare all'inverosimile". Annuì alle sue parole. Sono una strega. Confermò. Mi piace definirmi ancora tale nonostante tutto. Si guardò intorno. Volevo provare a leggere le foglie di tè, come un tempo, ma niente. Riposò la tazzina, per la seconda volta. Forse, avrebbe potuto mostrargli il suo potere, adesso l'idea di lui come una possibile minaccia era del tutto svanita, lasciando spazio all'immagine di un ragazzo, che seppur babbano, si era ritrovato catapultato in un mondo che probabilmente gli era sempre stato totalmente estraneo, buttato lì, in mezzo a tanti pescecani pronti a sbranarlo.
    E tu, babbano perchè sei qui?
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    Mi ero sempre visto come un tipo distaccato, che sta un po' sulle sue. In effetti, lo ero sempre stato, sempre pronto a diffidare del prossimo, almeno fino a poco tempo prima. Ma notare questo atteggiamento in un'adolescente era atroce. Era evidente che il tempo nei Laboratori l'aveva scombussolata più di quanto non volesse ammettere, perché, almeno a parer mio, ostentare un'aria tanto distaccata non era salutare per una giovane ragazza. Non credevo assolutamente che fosse così da prima di quella terribile esperienza, o almeno lo speravo per lei. Continuava a tenere quella tazzina da tè tra le mani, cercando qualcosa, un qualcosa di così tanto nascosto che risultava inesistente allo sguardo. Mentre era impegnata a scrutare quell'insieme di ceramica, mi ritrovai a puntarle addosso uno sguardo rammaricato, triste, perché da una parte potevo anche solo immaginare come si sentisse, quanto era terribile sentir mancare le proprie fondamenta. Fu un po' lo stesso per me, ormai anni e anni fa, quando tutto mi venne tolto così bruscamente. Potevo capirla, in fin dei conti, anche se le nostre situazioni divergevano su molti punti. Innumerevoli, a dire il vero. Pensavo mi avrebbe voluto morto dopo quella specie di battuta sulla sua divisa, uno stupido tentativo di farla sembrare meno impassibile di come era risultata nel periodo in cui si erano ritrovati a dividere quella stanza, ma non lo fece, fortunatamente. In realtà, guardandola di sfuggita mi parve di incontrare sul suo volto il fugace spettro di un sorriso, ma probabilmente era solo una mia immaginazione. «Non amo particolarmente i cambiamenti. Non se non li ho voluti io...» Il mio sguardo si posò grave sul suo volto ancora piegato verso la tazza. Così giovane, e allo stesso tempo così traviata da esperienze che non avrebbe dovuto vivere. Si sentiva forte e chiara nella sua voce una maturità del pensiero sbocciata troppo precocemente, che aveva tappato le ali di quella innocenza da ragazza che non aveva avuto l'occasione di godersi. «Non credo che nessuno ami certi cambiamenti, ma è così che va la vita...» Ci incontrammo sulla stessa lunghezza d'onda quando anche lei si espresse con un "c'est la vie". Alzai l'angolo sinistro della bocca cercando di produrre un sorriso tirato, ma proprio non ce la facevo. Era difficile cercare di relazionarsi con Sheridan, perché qualsiasi cosa potessi dire avevo il timore che potesse essere rivolta contro di me, ed anche ogni minimo gesto sembrava sbagliato. «Ma dopotutto, dovremmo farci l'abitudine a questo, non credi?» Era difficile da ammettere, ma più ci pensavo più mi dicevo che questa domanda era solo uno stupido tentativo per tirare avanti nonostante tutto. Troppe volte in realtà avevo desiderato tornare indietro, riavvolgere il nastro della mia vita e tornare alla mia vita precedente. Ma non era possibile, come non lo era nemmeno abituarsi ad una situazione simile. Ma avrei forse dovuto dire ad una quindicenne che la vita faceva schifo e che era impossibile abituarsi a quella merda? No, non ero io l'addetto a questo tipo di faccende, e non lo sarei mai stato. «Volevo provare a leggere le foglie di tè, come un tempo, ma niente». Come sospettavo, tentava miseramente di aggrapparsi a qualcosa del suo passato che non le apparteneva più, ma era incoerente biasimarla. Stetti in silenzio per un po', limitandomi a guardare la stanza tutt'intorno. Non sapevo cosa dire, e anche se mi sembrò stupido «Mi dispiace» fu l'unica cosa che riuscì a dirle per farla sentire meno malinconica, semmai lo era stata. Stavo per prendere io la parola, chiederle qualcosa, quando fu lei per prima a far partire una specie di interrogatorio. «Sono qui perché credo davvero che dovrei iniziare ad adattarmi a questo nuovo mondo ma...» Provai a far comparire una copia, e questa comparve, anche se era praticamente un manichino senza la minima idea del perché era lì. «Non credo che in realtà ci riuscirò mai. Non sono nemmeno in grado di controllare bene il mio potere» Affermai sconsolato, facendo svanire con un gesto della mano il clone: quella era l'unica cosa che in realtà mi riusciva alla perfezione, eliminare i miei sosia. Rimasi in piedi, davanti alla ragazza. «Immagino che anche tu abbia un potere...» Ovvio, testina. Era anche lei nei laboratori, di sicuro ne ha uno. «Cosa sei in grado di fare?»


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    Sheridan Lestrange

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    Doveva ammettere che quel tipo di nome Al, e con il potere identico al suo, poteva anche apparirle piacevole, nel particolare contesto in cui non si divertiva ad ironizzare sulla catastrofe che le era capitata - e che era capitata anche a lui - e anche quando Sheridan si dimenticava del fatto che fosse solo un babbano, una razza che da sempre le era stato insegnato ad odiare. Insomma, non glielo avrebbe confessato di sicuro, ma non pensava che fosse tanto male, anzi, aveva persino un certo fascino dal suo punto di vista. Ma questo non la faceva certo pentire del proprio comportamento, perchè per lei era diventato normale presentarsi agli altri tirando fuori le unghie come prima presentazione, era più semplice che dare una gentile stretta di mano. Per lei era normale diffidare a priori di chiunque incontrasse, non era fatta così, ma lo era diventata per forza. Non esisteva più niente che valesse tanto da dover sembrare gentile e carina a tutti i costi. Aveva perso tutto, e non avrebbe potuto recuperarlo. E con tutto sì, era riferita ai suoi poteri, ma in particolar modo quel tutto contemplava sua madre, la sua famiglia. « Hai ragione » Ammise. Avrebbe dovuto farci l'abitudine, era vero...quel tipo aveva ragione, e se Sheridan avesse avuto qualche anno in più, si sarebbe resa conto che era vero, prima o poi ci si abitua a tutto o si muore, se fosse stata più grande avrebbe pensato in modo lucido che era solo una questione di sopravvivenza, ed era sempre stato così dalla nascita dell'uomo. Ma aveva solo quindici anni, cosa poteva sapere della vita? A quindici anni il suo dramma peggiore sarebbe dovuto essere la perdita di un'amica, di un fidanzato, di un gatto, un brutto voto a scuola, cose banali, ed invece si ritrovava tra le mani qualcosa più grande di lei mlml ila. Sicuramente Al la viveva in modo diverso, o ci provava, forse perchè era più grande, ma Sheridan non poteva certo sapere cosa ci fosse nel suo cuore, nè se lui soffrisse quanto o più di lei, non poteva avere idea di cosa pensasse. In una cosa però differivano: lui non era in grado di controllare il proprio potere, mentre Sheridan almeno in questo era tranquilla, forse perchè agevolata dall'allenamento sugli incantesimi fatto negli anni ad Hogwarts, forse semplicemente per predisposizione naturale, concentrazione o altro, ma sapeva controllare molto bene il proprio potere. Lo osservò come se lo stesse studiando, si soffermò sul suo sguardo chiaro e meditò ancora su come rispondere alla sua domanda. Decise che in ogni caso, prima o poi Al avrebbe conosciuto il suo potere, in una lezione di Controllo poteri, o in altre circostanze, quindi poteva dirglielo, o meglio farglielo vedere. Si concentrò, trovando subito il giusto equilibrio interiore che le avrebbe concesso di duplicarsi, nonostante il suo equilibrio consisteva semplicemente nell'immaginare il caos. Subito due ragazze vestite esattamente come lei, con i suoi stessi occhi e gli stessi boccoli castani, si sarebbero trovate sedute nei posti liberi affianco ad Al, quelli che prima erano stati occupati dai cloni del ragazzo. Una di loro gli prese la mano per stringerla nella propria e scuoterla appena. « Quello che sai fare tu. » Esclamarono insieme, in un inquietante(?) terzetto di voci identiche. Non si poteva certo dire che Sheridan non amasse le uscite ad effetto. #scema
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    scusa lo schifo e l'attesa x.x


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    «Hai ragione». Annuii lentamente, distogliendo lo sguardo dalla ragazza per un po'. Ero passato dall'essere un perfetto estraneo ad un dispensatore di consigli di vita. Consigli, pensieri, parole che in realtà non ero neanche in grado di mettere in pratica. Guarda avanti, mi dicevo, quasi convinto, ma senza crederlo veramente. Erano più le volte che rifugiarsi nel passato, dimenticandosi di vivere, mi risultava facile e spontaneo, rispetto a quelle in cui credevo fermamente nelle mie stesse parole. Ma quella ragazza, Sheridan, era giovane, molto, e di sicuro era più facile darle un minimo di speranza, un barlume soltanto, piuttosto che farle pesare quella condizione, quella pesantezza con la quale i laboratori avevano deciso di farci convivere tutti i giorni. Perché era grazie a quel minimo di speranza che ancora mi tenevo stretta che riuscivo a dirmi di andare avanti comunque, che anche se poca mi permetteva di essere lì, in una delle torri più alte di Hogwarts, a parlare con un adolescente. Sperai che lei la coltivasse, se ancora ne aveva un po' con sé. Mi voltai di nuovo, stavolta incrociando lo sguardo di lei dopo averle chiesto cosa fosse in grado di fare. Sembrava mi stesse studiando, o almeno all'apparenza era così. Non avevo ancora una lista di tutti i poteri con i quali la gente era uscita da quei posti, e in pratica non ne conoscevo quasi nessuno oltre al mio e a quello di Donnie, per esempio. Per quel che ne sapevo, già lo stava usando su di me: forse poteva leggermi il pensiero, intuendo il fatto che quella mattina mi ero dimenticato di andare al bagno e che non avrei retto poi molto a lungo. O forse aveva una vista a raggi X, e stava guardando cosa c'era dietro di me, o dentro di me, ma a che scopo poi? O forse, nella peggiore delle ipotesi, era come Medusa, la Gorgone, e si stava concentrando al fine di pietrificarmi con lo sguardo... No ok forse era troppo, quello, necessitavo di ridimensionare la fantasia. No, in realtà quello che accadde fu molto diverso...
    Sì, Sheridan si stava concentrando, nel silenzio che si era venuto a creare, ma non per leggere nella mia mente o per tramutarmi in una statua di pietra (?), no. Il suo sguardo fisso sul mio le doveva esserle servito a misurare bene lo spazio, a focalizzare bene i punti di vuoto intorno a me e ad usarli a proprio vantaggio, perché dal nulla apparvero altre due Sheridan. Sussultai quando sentii così vicino il materializzarsi delle due ragazze, dei due cloni. Non ci avevo mai fatto caso, ma quando spuntavano fuori dal nulla il rumore che producevano era diverso da quello che mi sarei aspettato. Invece di udire un "pop" mi sembrò quasi di essere sulla riva del mare, davanti ad un falò, a sentire le fiamme che, nel silenzio, facevano quel rumore sottile e piacevole. Non saprei definirlo bene, ma era quello il suono che producevano i cloni quando si creavano, o almeno così mi parve. «Quello che sai fare tu» sentii dire da Sheridan #1, #2 e #3, contemporaneamente. Stupefatto, strinsi la mano della #2, ammirando la facilità con la quale l'adolescente era riuscita a manipolare il proprio potere. «Come ci sei riuscita?» chiesi ad alta voce, facendo arrivare le parole alla postazione di quella reale. Naturalmente, come ci riuscivo io: concentrazione, soprattutto. Ma lei fu così naturale, come se le avessi chiesto di bere semplicemente un bicchiere d'acqua. Lasciai la presa e staccai lo sguardo dal clone, puntandolo dall'altra parte della stanza. «Come hai fatto a renderlo così... semplice?». Ero disposto anche a prendere lezioni da una ragazza di dieci anni in meno di me: dopotutto, ero arrivato fin lì per allenarmi.


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    Sheridan Lestrange

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    Sorrise soddisfatta nel vedere i due duplicati apparire ai fianchi di Al all'improvviso, quando il ragazzo proprio non se lo aspettava, perchè queste stupidaggini ad effetto l'avevano sempre affascinata. Tra tante possibilità il destino aveva deciso di far incontrare due persone con lo stesso potere, e Sheridan adesso non poteva essere più curiosa di confrontarsi con un tipo che come lei poteva moltiplicare sè stesso. Voleva chiedergli se anche lui riusciva a dar vita ai personaggi rappresentati nei libri e nei quadri, se poteva duplicare gli oggetti, o orientarsi in un luogo utilizzando un sonar, come poteva fare lei. Aveva talmente tante cose da chiedere a quel ragazzo, ma doveva andarci piano, perchè ancora non si fidava di lui, e non poteva farsi prende dall'entusiasmo che le procurava il sentirsi un po' meno sola. Si alzò in piedi, alle sue domande, e con uno schiocco di dita fece sparire le ragazze affianco ad Al, altro gesto più di scena che altro, perchè non aveva davvero bisogno di schioccare le dita per far sparire i duplicati. Balzò giù dal grandino sul quale era stata altezzosamente seduta per quei pochi minuti e con passò felpato, e portamento degno di una ballerina volteggiò fino alla sedia prossima ad Al. « Scambio di informazioni? Io ti dico ciò che so, e tu mi dici ciò che sai...» iniziò, prendendo posto sulla piccola sedia, arrivando con lo sguardo all'altezza di quello del ragazzo. Non credeva che Al potesse sapere molto più di lei, dopotutto non riusciva ancora a gestire quel suo potere, ma...forse poteva aiutarlo in modo più o meno gratuito, insomma...se lui avesse saputo qualcosa di più tanto meglio. « Non penso valga per tutti, ma quando devo farlo io, penso a qualcosa di molto forte e di impatto. » Sollevò le spalle, perchè in fondo probabilmente spiegarlo a parole non avrebbe reso l'idea. « Non devi immaginare di duplicarti, ma di esplodere. » Il senso metaforico era quello. « Sotto pressione è anche meglio, per me. » Aveva dovuto imparare a duplicarsi per una questione di sopravvivenza, ci era riuscita. Non sapeva i trascorsi di quel ragazzo, ma lei appena uscita dal San Mungo, dopo i laboratori, era stata rifiutata da sua madre, che non aveva sopportato di vederla perdere i poteri. Lorean non poteva certo permettere che una come Sheridan mandasse all'aria i valori di una famiglia già distrutta dalle radici, non poteva fare "uno strappo alla regola" per sua figlia, non poteva accettarla, come non l'aveva mai fatto in fondo, e l'aveva buttata ad Hogwarts, debole, ancora convalescente e con una ferita ancora aperta - no, non quella dell'isterectomia - una ferita nel cuore che mai si sarebbe richiusa. Era diventata una preda facile per gli aguzzini al castello, aveva iniziato a passare ore in sala torture, finchè finalmente aveva deciso che lei non era nata per quella vita, non era nata per essere sottomessa e schiaffeggiata dalla vita. Non era nata per essere una vittima. E aveva reagito aggrappandosi all'unica certezza che potesse avere, sè stessa, quel nuovo potere, che adesso era diventato come una pelle per lei, indispensabile. Ma suo cugino Damian una volta gli aveva raccontato delle cose riguardo quei loro poteri, cose che lavorando al Ministero, a stretto contatto con il Quinto livello, responsabile del controllo dei babbani modificati, era impossibile non ne venisse a conoscenza. « Ma so che a volte, se il potere non si manifesta del tutto o con difficoltà, potrebbe non essere definitivo. » La sua espressione si fece confusa, perchè non aveva afferrato a pieno quelle parole nemmeno lei. Guardò Al, come a volerlo invitare a parlare, inarcando le sopracciglia. « Avanti, tocca a te...cosa sai fare oltre moltiplicarti in modo difficoltoso? »
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    Lentamente Sheridan, agli occhi di Aloysius, iniziava a sembrare quello che effettivamente era: una ragazza come tutte le altre, curiosa, un po' lunatica anche. Certo, ne aveva viste molte di ragazze di quell'età, quando anch'egli era un adolescente, che potevano sembrare come lei, inizialmente schive, magari un po' snob e all'apparenza superficiali, ma alla fine erano tutte fatte della medesima pasta. Erano semplici in fin dei conti, Al aveva sempre saputo che quel tipo di ragazze aveva semplicemente la necessità di farsi notare, ed era quello che aveva appena fatto Sheridan. Si era mostrata, inizialmente, distaccata, un po' fredda nei suoi confronti, ma d'altronde Al avrebbe fatto lo stesso alla sua età. Anzi, conoscendo quello che era stato da ragazzo, forse sarebbe stato anche più acido di lei: alla fine si era dimostrata quanto meno simpatica, aveva risposto alle sue domande e gli aveva anche strappato un sorriso con quella sua dimostrazione. Di certo lui non sarebbe stato altrettanto gentile con lei. Eppure, c'era qualcosa che ancora lo frenava in sua presenza: era una strega, apparteneva a quel mondo che lui continuava ad odiare con tutto sé stesso, nonostante ormai ne fosse parte. Non riusciva del tutto a fidarsi di lei. Nonostante fosse una ragazza di circa dieci anni più piccola di lui, sentiva che poteva essere una minaccia ben più grande di quella che aveva affrontato la notte scorsa, ma senza sapersi dare una vera e propria motivazione. Si convinse però che erano solo sue inutili preoccupazioni quelle, preoccupazioni di un uomo ancora scosso da tutto quel clima di novità al quale non era per niente abituato. Avrebbe solo dovuto farci il callo, avrebbe dovuto dare più fiducia ai maghi e alle streghe, ma non era così facile, non lo era affatto. Quella giovane donna poteva essere un inizio, magari. La lasciò sedere vicino a sé, limitandosi a guardarla con aria interrogativa per il semplice fatto che veramente non si aspettava tutta quella confidenza di punto in bianco. Quando gli propose uno scambio di informazioni, Al sollevò un sopracciglio e la sua espressione si fece ancora più dubbiosa, se possibile. A lui andava bene, e di fatto annuì a quella richiesta, ma cosa aveva lui da dirgli? Non aveva alcuna informazione veramente interessante da dargli, il massimo che poteva farle era raccontarle della sua vita, dirle come sopravvivere nel mondo babbano... Aloysius non aveva informazioni interessanti da dare, ma la ragazza probabilmente questo non lo sapeva. Notò la naturalezza con la quale ella spiegò il suo punto di vista, come riusciva a controllare il proprio potere, e da una parte sentiva di essere affine a tale spiegazione. «Io nemmeno ci penso su troppo, in realtà, semplicemente accade» disse, rivolgendole uno sguardo a metà tra il rassegnato ed il divertito. Era vero, non riusciva a controllarlo, e quando era in pericolo, o stressato per qualcosa, si ritrovava una sua copia affianco, senza che lui l'avesse desiderata. Solo se si impegnava veramente riusciva a concludere qualcosa: c'era riuscito all'Aetas, c'era riuscito lì poco prima, sapeva ci sarebbe riuscito ancora, nonostante Sheridan gli disse anche che era possibile non fosse un potere definitivo. «Quindi è instabile». No, non era una domanda, quanto più una constatazione che fece incurvando le labbra verso il basso ed annuendo. Sperava fosse un'affermazione, la sua, senza alcuna base logica: non era preparato ad altri cambiamenti, non ancora. Ma sapeva altrettanto bene che non poteva dare più nulla per scontato da quando aveva messo piede fuori dai Laboratori. Ed ora, era il suo turno di dirle qualcosa. Ma cosa? Cosa sapeva fare Al? «In realtà, ben poco» iniziò, tirando fuori il proprio pacchetto di sigarette ed accendendosene una, non curandosi del fatto che quella era un'aula chiusa del castello, e che probabilmente era vietato. Aspirando il fumo pensò però che dopotutto quella stanza sembrava in disuso da diverso tempo e che difficilmente qualcuno avrebbe pensato di salire fin là sopra. Per comprarsi comunque il silenzio della ragazza, gliene offrì una porgendole il pacchetto. «Non ho avuto il tempo di capire cosa fossi in grado di fare, e quello che in realtà mi riesce meglio è sopravvivere, nonostante l'abuso di queste» aggiunse, sollevando la sigaretta. Decise di arrivare direttamente al nocciolo della questione, perché non voleva farle perdere tempo inutile. «Non so che tipo di informazioni ti aspetti da me, ragazza, ma non posso darti la certezza di potertene fornire, mi dispiace» A meno che non avesse richiesto qualcosa più esplicitamente, era difficile per Al darle informazioni di alcun tipo: era solo un babbano, dopotutto.

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    sheridan lestrange
    « SAY YOU'LL SEE ME AGAIN EVEN IF IT'S JUST IN YOUR WILDEST DREAMS »
    deatheater - 15 ½ y.o. - pureblood - ex slytherin - moltiplication
    Sheridan Lestrange non era certo una ragazza devota agli altri, anzi, se aveva un difetto tra tantissimi era proprio quello di essere una persona fondamentalmente egoista. Ma era anche dell'idea che l'egoismo fosse quanto di più sincero quel mondo di mostri fosse riuscito a donare a tutti. Dodpotutto, chi fingeva di essere egoista? Nessuno, non aveva senso fingersi egoisti. Gli egoisti erano sinceri, lei era sincera. Sheridan viveva in un mondo tutto proprio, fatto di regole proprie e del tutto particolari, che fondamentalmente di stabile non avevano niente, perchè quelle leggi che la guidavano cambiavano ogni giorno a seconda del proprio umore. Era vero, era lunatica. Era per questo che non aveva tanti amici, probabilmente, ma non le importava, aveva i suoi libri, ed erano migliori di qualsiasi altra persona, perchè anche se parlavano - e parlavano davvero - non la deludevano mai. Il babbano dinnanzi a lei, sembrò quasi non credere alle sue parole o forse sperava solo che lei fosse una pazza qualsiasi e che si fosse svegliata così, con il desiderio di dire stronzate. Probabilmente pazza lo era, ma era più affidabile di quanto non si credesse. Esatto. Concluse, in tono solenne. Forse, se si fosse mostrata più sicura, quel tipo le avrebbe creduto. C'è anche la possibilità che tu possa morire. "In questo momento." Okay forse questo non era del tutto vero, non lo aveva sentito da Damian ma...facendo due calcoli, le possibilità che Al sopravvivesse da completo babbano, là dentro, erano quasi nulle. Dopotutto siamo degli esperimenti, no? E se qualcosa fosse andato storto...non avresti nemmeno il tempo di accorgertene. Ed in un battito di ciglia, un battito del suo cuore, un istante appena trascorso, ed il caos assoluto, la rabbia che le ribolliva in gola e la vendetta sopra ogni cosa, oh si...il desiderio di vendetta...un'altra Sheridan comparve ancora in quel tavolino, che era fin troppo intimo con solo due componenti, e a Sheridan le cose troppo intime a lungo andare le mettevano l'ansia. La duplicata arrivò in tempo per mimare, con un dito, un coltello che le tagliava la gola. ACCIDENTI quanto amava queste stronzate! Era una metafora, infondo, che avrebbe dovuto far capire ad Al che forse, se voleva davvero sopravvivere in quel mondo di bestie, avrebbe dovuto darsi una mossa di più, per capire cosa non andasse nei suoi poteri. Ma...avanti, chi era lei per dispensare certi consigli? Cosa poteva saperne in fondo? Il suo aspetto da ragazzina - ed il suo comportamento bizzarro - non la rendevano una tipa affidabile. Allora puoi solo aspettare di vedere come andrà. Sollevò le spalle. Constatare che lui non aveva niente da raccontarle era un'amara delusione. Era curiosa, davvero, ma Al non sapeva proprio gestire il potere che aveva, quindi non poteva esserle utile. Lanciò uno sguardo alla sua duplicata e le accarezzò una guancia, pensando a quanto utile fosse in realtà il suo potere, il loro potere. Aveva la possibilità di addestrarsi e diventare una perfetta assassina allenandosi solo con sè stessa, e soprattutto, uccidendo davvero. Il fatto che uccidesse sè stessa era un po' creepy, ma lei amava le situazioni inquietanti. Raccolse una sigaretta di consolazione quando Al le porse il pacchetto e sorrise divertita e sorpresa di riconoscere le sigarette che fumava la sua amica. Oh! Anche Megan fuma questo schifo, grazie! Sigarette babbane, fighe. Odorò la punta di quella stecca, sapeva di tabacco. Tranquillo, lei non fuma, eheh Disse, indicando la duplicata. Sarebbe stato divertente dare una sigaretta ad ogni sua duplicata ma probabilmente Al, attaccato com'era a quelle stecche, non l'avrebbe presa bene. In fondo Sheridan non era nemmeno lontanamente simpatica. Nel suo mondo fantastico, che lei amava chiamare la sua "favola" non esistevano convenzioni sociali, non esistevano strette di mano o doveri particolari, non esisteva dover essere simpatica per forza con gli sconosciuti, proprio perchè tali. Era sempre stata trattata con realismo, da tutti, in primis forse da sua madre che non aveva mai nascosto di non sopportarla. Lorean non aveva mai fatto finta di volerle bene solo perchè lei era sangue del suo sangue: no, le aveva sbattuto la verità in faccia ogni giorno e Sheridan in parte le era grata di questo, perchè le aveva aperto gli occhi davvero. D'altra parte, con ogni sua fibra, sperava che ogni giorno Ren cambiasse idea su di lei, e che la vedesse come un essere da amare. Nel frattempo aveva acceso la sigaretta con l'accendino babbano del ragazzo ed aveva aspirato il fumo. Non era così male, dopotutto. Buon proseguimento, disse infine, con tono di congedo, alzandosi dalla sedia, con calma snervante e tenendo ancora la sigaretta appena iniziata tra due dita. Credo di aver da fare. In realtà non aveva molto da fare, ma restare a parlare per troppo tempo con una persona sola le faceva venire l'orticaria. Allora ci si vede alla lezione di controllo poteri. Se non ne sei al corrente trovi tutto in bacheca. Fece volteggiare in aria la mano mentre si avviava verso la scala dalla quale era arrivata, in tutta la sua estrema simpatia e con a seguito la sua duplicata. In fondo aveva davvero provato ad essergli utile.
    inizio anno scolastico 2015
    torre di astronomia


    ROLE SCHEME © EFFE


    Edited by Lestrange's Revenge - 13/7/2016, 15:44
     
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