fishers of men.

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    Cersei in

    FISHERS OF MEN
    Monsters are real. They just don’t live under the bed.
    zEHndsj
    No, the true monsters they live inside our head.
    Se mia madre fosse stata in grado di amarmi, forse a ventitrè anni non avrei odiato il mondo e me stessa. Forse in quel momento non avrei respirato l'aria carica di salsedine e forse non mi sarei avventurata tra quelle rocce, rischiando l'osso del collo tra gli speroni di pietra che il mare aveva scolpito nel lato bagnato di quella pungente scogliera. Forse il mio destino sarebbe stato scritto in un altro modo, mentre io avevo dovuto prendere in mano il filo e tessermi un futuro da sola con tutta l'insicurezza di una ragazzina senza una famiglia alle spalle: avevo fatto scelte e preso decisioni erronee e riconducevo tutto alla mancanza di affetto da parte di mia madre, tutto compresa quella latente incertezza di me stessa che mi portavo sempre dietro come una bolla di piombo legata al piede. Strinsi i denti in un sorriso privo di sentimenti, attenta a non mettere il piede in fallo: il minimo errore mi sarebbe potuto costare la vita e io ancora non ero pronta a morire, nonostante quei giorni – sempre più frequenti – in cui desideravo intensamente non esser mai venuta al mondo. Una goccia di sudore rotolò lungo il fianco del mio viso arrossato dallo sforzo e dal vento che violentemente schiaffeggiava la mia pelle bianca: sentii cadere quella singola lacrima salata dal mio mento e pensai che forse sarebbe tornata a bagnare la mia pelle, se fosse stata raccolta dalla camicetta del mio petto; mi aggrappai ad uno sperone di roccia con le dita fini della mia mano, così delicate che a semplice vista sarebbero potute apparire troppo fragili per sostenere il mio peso. Avevano lo stesso aspetto che avevo io agli occhi degli altri: mi nascondevo dietro ad un volto di candida porcellana e adattavo me stessa alle situazioni, ignorando quello che avrei voluto o sarei potuta diventare. A ventitrè anni, mentre inseguivo l'ombra di un sogno su quella dannata riva di sabbia fine come borotalco, ancora non sapevo chi ero e dove volessi andare. Infilai la punta della scarpa nella sabbia umida e mi detti la spinta necessaria per continuare a correre dietro al mio obbiettivo: le mie anche si muovevano ritmicamente alla musica che s'insinuava nella mia mente con lo strepito degli altoparlanti della discoteca, una delle più belle del mondo magico. Scossì la testa al ritmo cadente dei bassi, mentre l'Estate entrava dentro di me come si era insinuata tra le porte del locale: gli spruzzi d'acqua salata bagnavano i miei abiti già fradici, madidi di sudore; enormi ventole proiettavano sui partecipanti al party una strana brezza che ancora non avevo capito se essere calda o fredda. Strinsi con forza la superficie alle mie spalle, penzolando con il resto del corpo verso la montagna di corpi frenetici davanti a me: ragazze e ragazzi che come me si dimenavano seguendo la cadenza dei tamburi, braccia che scivolavano e si allungavano e accarezzavano il poco ossigeno rimasto. Una mano accarezzò il mio fianco, aprii gli occhi: scorsi l'immagine di qualcuno al mio fianco, concentrato su di me; mi girai e sorrisi, lanciando le braccia al collo di quel personaggio sconosciuto: lui mi mise le mani sui fianchi e io mi mossi, avvicinandomi a mia volta al suo corpo. Appoggiai istintivamente le mie labbra sulle sue, calde e bagnate di liquore, perchè non sapevo se lo conoscevo e non ero in grado di capire se lo trovassi realmente attraente: socchiusi le labbra e lo morsi leggermente, mentre sentivo le sue dita scavarsi un passaggio tra i miei vestiti. Lanciai all'indietro la testa e presi a ridere forte, sperando che mi sentisse sopra alla musica assordante: la sua bocca si aggrappò al mio collo ed io sentii un brivido percorrermi la schiena. Cosa stavo facendo? Aprii gli occhi e guardai lo straniero, decisamente alto più di me e anche di molto più vecchio: persi il sorriso all'istante. Con gesto concitato lo allontanai dal mio corpo e dalla mia mente, lasciandomi cadere tra il mare di gente che ci circondava; lo persi di vista tra la folla, mentre mi cercava, e corsi fuori spingendo chi frenava la mia fuga. Sbattei contro la porta della discoteca e caddi fuori, rialzandomi istintivamente sui tacchi alti: ignorai gli sguardi dei buttafuori e presi a camminare, allontanadomi dalla scena di quello che poteva esser considerato un crimine al pubblico pudore. « Stupida, stupida Cersei. » sussurrai. Come potevo essere così poco sicura di me, della mia bellezza? Amavo chiunque mi sorridesse, solo per il fatto che lo facesse: incespicai, trovandomi improvvisamente ostacolata dalle gambe lunghe di un ragazzo, sdraiato per terra. Di fianco a lui una bottiglia di Jack Daniels e un pacchetto di sigarette bagnate.
    winston,©
     
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    Bisognava staccare la spina, ogni tanto. Lasciarsi tutto alle spalle, senza pensare a nulla se non al prezzo spropositato dei cocktail annacquati che gli rifilava il sostituto di Bob. Will sedeva su uno di quegli scomodissimi sgabelli, con le gambe poggiate al bancone e la testa inclinata all’indietro, sbuffando per quella che doveva essere la millesima volta. “Whisky, santiddio. Ho chiesto del whisky, non dell’acqua aromatizzata” Il barman fece spallucce, per niente impressionato dalla lamentela di William. Non che il ragazzo incutesse molto timore: era alto e magro, puntava poco sulla forza e molto sull’agilità, con corti capelli neri e grandi occhi azzurri. Il volto aveva lineamenti forse troppo gentili e morbidi per un uomo, cosa che non smettevano mai di fargli notare, e la pelle era la porcellana perfetta di sua madre. I tatuaggi venivano guardati con orrore, chiaro elemento babbano, ma a lui non importava; erano stati il primo simbolo di ribellione, la prima volta in cui Barrow aveva cessato di essere William per diventare Will. Lo sguardo della gente non poteva più fargli niente, dopotutto aveva sopportato Simon per diciassette lunghi anni di vita. Qualunque cosa il piccolo Will avesse mai cercato di fare per avere la sua approvazione, finiva per essere denigrato; aveva provato più volte ad essere il figlio che avrebbero voluto, ma aveva dovuto pagare quel suo finto perbenismo con schiaffi e maledizione cruciatus, sia su di lui che sua madre. Suo padre aveva imparato presto che il punto debole di Will era la madre, e per piegarlo quand’era ancora in tenera età, non si faceva scrupoli ad orientare la sua rabbia verso la fragile donna. Quando aveva capito che nulla sarebbe valso per ricevere uno sguardo orgoglioso del padre, aveva deciso di essere tutto ciò che lui mai avrebbe voluto. Non sapeva nemmeno più cosa faceva per sé stesso, e cosa per una simil vendetta contro qualcuno che aveva smesso di camminare su quella terra quattro anni prima; patetico, non è vero? Rise a bassa voce, sembrando molto più sbronzo di quanto in realtà non fosse. Non sapeva se sentirsi lusingato o offeso per la reazione che le persone avevano sempre davanti a lui: Will tendeva a piacere alla gente, ma ormai aveva perso la speranza di apparire anche minaccioso. “Senti, amico. Conosco Bob. Per favore, dammi qualcosa con della percentuale alcolica” Provò esasperato, poggiando i gomiti al tavolo di moderno linoleum bianco ed avvicinando il viso a quello del giovane ragazzo al di là del bancone. “Per favore” Sottolineò con un tono interrogativo, alzando un sopracciglio e lasciando le labbra socchiuse. Il giovane, probabilmente qualcuno che era appena uscito dal castello, capelli stopposi biondi e occhi verdi, poggiò i gomiti dall’altra parte del tavolo imitando Will, avvicinando ulteriormente il viso a quello di lui. “No” Disse con un sorriso sardonico, per poi ritrarsi.
    Bisognava staccare la spina, ogni tanto. Scordarsi di chi ci si sforzava di essere e diventare una persona nuova. O, come in quel caso, rispolverare un lato di sé stessi che Will aveva cercato di limare nel corso degli anni. Si lanciò contro il ragazzo poggiando una mano sul bancone e saltando dall’altra parte, lo prese dal colletto della camicia e gli premette il viso contro la superficie a specchio dietro di lui. “Non ho sentito bene” Domandò, schiacciandogli la faccia sulla superficie riflettente, mentre le persone intorno a loro cominciavano a ridacchiare ed a fare scommesse, scambiandosi galeoni e falci. Il ragazzo, che poi tanto sciocco non era, aveva estratto la bacchetta puntandola allo stomaco di Barrow. Doveva essersi morso la lingua, perché da un lato delle labbra colava un sottile rivolo di sangue. La musica intorno a loro continuava a pompare, forse più forte di prima, e le luci stroboscopiche accecavano prima l’uno e prima l’altro, illuminandone i corpi a tratti. “No” Ripetè quello, con lo stesso sorriso di prima. Barrow rise, quasi poggiando la fronte sulla spalla del barman. “Oh, non avresti dovuto dirlo” Fulmineo, lo strattonò dal colletto e gli sbattè con forza la testa sullo specchio, mandandolo in frantumi. Una scheggia lo ferì al volto, ma il ragazzo a terra era messo molto peggio. Una parte di lui se ne dispiacque, all’altra non importava un maledetto accidenti. Lui si faceva il culo per salvarli tutti da quella vita di merda, e loro si rifiutavano perfino di dargli del fottuto whisky? Fanculo. Prese con fare possessivo la bottiglia poggiata sulle mensole, fece cenno ai buttafuori di non toccarlo –“Me ne vado, tranquilli”- e saltò dall’altra parte del bancone. La musica continuava a riempire la discoteca, eppure le persone avevano smesso di ballare. Un piccolo corridoio si aprì fra i corpi ammassati, e fra odore di sudore e profumi costosi Will lasciò il Fiendfyre con la promessa di non tornarci finchè non fosse tornato al lavoro Bob. Nessuno osò intimargli di lasciare la bottiglia: tutti lo conoscevano da quelle parti, e la maggior parte dei body guard erano suoi amici. Probabilmente erano anche contenti che qualcuno avesse dato una lezione a quel moccioso pieno di sé. Si sentiva sempre peggio, mentre si lasciava alle spalle la musica.
    Si lasciò cadere qualche metro più in là, la bottiglia appoggiata a terra e la schiena contro il muro. Prese una sigaretta dal pacchetto sgualcito e se la infilò fra le labbra, mischiando il sapore del tabacco a quello ramato del sangue. Si passò la manica della camicia azzurra sul viso sporcandola di liquido cremisi, e con un languido sfregamento del fiammifero sulla scatola liberò una fiammella calda ed arancione. La fissò per qualche secondo, mentre fluida si muoveva seguendo gli spostamento d’aria, dopodichè la avvicinò alla punta della sigaretta ed aspirò. Il procedimento che adottò fu il seguente: un sorso di whisky, un tiro dalla sigaretta, una risata nata dalla disperazione di chi non sapeva più cosa fare, un sorso di whisky, un tiro dalla sigaretta, un colpo della mano contro il pavimento acciottolato di Hogsmeade. Qualcuno si inciampò sulle gambe che aveva precedentemente allungato davanti a sé. “Ehi, ehi” Esclamò stizzito senza però ritrarle, alzando lentamente lo sguardo annebbiato contro il suo aggressore. “Ehi” concluse cambiando tono, mischiando lo stupore con la curiosità. “Ciao. Posso offrirti da bere?” Un mezzo sorriso a sopracciglia inarcate, e galantemente le porse la bottiglia di whisky ormai a metà.

    winston,©
     
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