Casual meeting at the Atrium

with Maya Fields

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  1. -bulstrode-
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    mangiamorte • 50 • ex-ravenclaw • capo censura
    emily bulstrode
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    « La vita? Corruzione che s'adorna d'illusioni »
    Era passato appena un mese da quando Nathan era morto in missione, per la sua profondissima lealtà verso il grandioso regime che io avevo visto tramontare, risorgere dalle proprie ceneri, nuovamente bruciare e nuovamente rinascere all'apice della sua potenza. Nathan De Lamort avrebbe sempre occupato un posto nel mio cuore in quanto mio unico cugino. Sarebbe stato ricordato sempre dal Ministero come un eroe che aveva combattuto per la difesa del proprio governo, per i mangiamorte che tanto avevano combattuto.
    Di tanto in tanto andavo a visitare la sua tomba, alle scogliere di Moher, in Irlanda. Era stato un uomo profondamente patriottico, amante della propria patria, della propria famiglia e del proprio schieramento. Erano le qualità che contraddistinguevano i De Lamort. Famille, obéissance, patriotisme, questo il motto che spuntava nello stemma di famiglia, contrassegnata da una grandiosa aquila che stringeva tra le sue possenti zampe dei fulmini, simbolo di potenza, e che portava al collo un medaglione recante il volto di una donna, simbolo della valorosa nazione di Francia. Inoltre, dei piccoli aquilotti trovavano rifugio nelle sue ali, simbolo della famiglia protetta e numerosa. Un cielo stellato era disegnato sopra, a simboleggiare la vastità del sapere.
    Ero doppiamente vedova e avevo il diritto di portare il nome di Emily Jeanne De Lamort-Greengrass-Bulstrode. Era, difatti, quello il lungo nome che si trovava impresso della targhetta di ottone, sotto la dicitura “Ministero della Magia, Capo Agenzia di Stampa e Censura”, ma mi facevo conoscere col nome di Emily Bulstrode, tale era il cognome del mio ultimo marito. Era un nome che faceva spalancare tutte le porte del Mondo Magico e anche di quello babbano. Rispetto, timore, potenza, erano le parole chiavi della mia nobile famiglia.
    Ero nata in Francia nel 1963, cresciuta in un piccolo villaggio di maghi. Mia madre, morta di parto insieme a quello che sarebbe dovuto essere il mio fratello minore, mi aveva lasciata sola come sua unica figlia. Nathan venne molto più tardi, nel 1994, ad abitare con mio zio, alla morte del padre, quando io ero già a Londra. Frequentai la scuola di Hogwarts e venni, ovviamente, smistata a Ravenclaw, come tutti i componenti dei De Lamort. A scuola me la cavai egregiamente, amavo Aritmanzia, Incantesimi e Cura delle Creature Magiche, ma impazzivo per Storia della Magia.
    Già nei primi anni mi unii a un folto gruppo di aspiranti mangiamorte. Già i miei genitori erano dei fedeli mangiamorte e, si sa: tale padre tale figlia. Già in più d'una occasione avevo incontrato in casa De Lamort l'Oscuro Signore in tre delle sue visite a mio padre. Disgraziatamente, non potei manifestare (non dovevo) la mia fedeltà al Capo della Rivoluzione dei Mangiamorte durante i miei anni scolastici. Erano periodi bui, in cui bisognava nascondersi.
    Potei ricevere il marchio solo nel 1981, appena uscii da scuola, dopo aver eseguito con successo i M.A.G.O. L'ascesa ufficiale al potere dell'Oscuro Signore sarebbe dovuta avvenire subito dopo la morte di Harry James Potter, un neonato. Il Signore già mi aveva accolta tra le sue amorevoli braccia protettive quando, quel disgraziato giorno di Halloween, il Bambino Che È Sopravvissuto sconfisse l'Oscuro Signore. Ero stata fortunata: non c'erano e non potevano esserci accuse contro di me.
    Ma mai smisi di fissare ogni ora il mio Marchio, in attesa di una chiamata. La mia fede era incrollabile. Nel 1992 aprii ancor di più gli occhi: l'Oscuro Signore si era rivelato ad Hogwarts ed era stato di nuovo sconfitto sotto le sembianze di Quirinus Raptor. In quello stesso anno mi unii in matrimonio con Alastor Greengrass, perfetto Purosangue e Mangiamorte dalla fede incrollabile come me. Fu un matrimonio combinato, l'ammetto, ma ben presto imparammo ad amarci davvero. L'amore culminò con la nascita dei nostri due gemelli, Andres e Michael, due anni dopo.
    Erano gli anni in cui Voldemort ci chiamò, io fui una delle prime a presentarmi al cimitero e vedere Potter aver nuovamente la meglio sull'Oscuro Signore. Fuggimmo tutti, ma ben presto io e mio marito lo rincontrammo per svolgere i compiti che Lui voleva che facessimo. Il 1997 successe: Lord Voldemort teneva in pugno tutto il Mondo Magico. Mesi prima era morto mio marito.
    Disaccettai qualsiasi impegno al Ministero, dovevo occuparmi dei miei piccoli. Vivevo con loro nella nostra lussuosa villetta a Londra e avevo condiviso con loro tutta la loro vita. Ad un certo punto il Signore Oscuro ci chiamò, tutti, all'appello: era l'aprile del 1998, nei primi di maggio si combatté la Battaglia di Hogwarts dove ci fu la caduta definitiva dell'Oscuro Signore.
    Strinsi forte il pomello della porta. Ricordare ciò mi faceva salire una gran rabbia. Poi mi calmai e il filo dei miei pensieri continuò mentre mi avvicinavo al camino prendendo della Metropolvere: «Ministero della Magia».
    Eravamo tutti in pericolo, dopo la caduta dell'Onnipotente. A nulla erano valsi i nostri possenti eserciti e i nostri incantesimi. Ma avevamo ancora speranza. Nelle ore successive lanciammo l'Oblivion che soggiogò -e che soggioga ancor oggi- l'intera umanità. Fui io stessa una delle artefici, ma appena nacque il Nuovo Mondo io ero ricoverata al San Mungo, in coma farmacologico. Il rituale aveva prosciugato la mia vita.
    Ma sopravvissi. Bastarono Sangue d'Unicorno, Bezoar, incanti guaritrici e molti galeoni versati sul conto di Medimaghi. Fui molto fortunata, sì. Appena mi risvegliai, riabbracciai i miei figli che avevo lasciato nella mani di mia suocera. A loro e a mio padre non dissi niente dell'Oblivion, non ne parlai a nessuno. Mi dispiaceva omettere ciò alla mia adorata famiglia, ma la fede ai Mangiamorte chiedeva ciò.
    Disaccettai nuovamente molti prestigiosi incarichi al Ministero. Nel 2006, visto che i miei figli erano cresciuti abbastanza, accettai invece l'incarico di professoressa di Storia di Magia ad Hogwarts divenendo responsabile dei Ravenclaw. Abbandonai la cattedra nel 2008 per stare accanto al mio secondo marito, Joseph Bulstrode (ci sposammo il 1999), appena scoprimmo che aveva il cancro al polmone destro. Lo assistetti negli ultimi due anni della sua vita, fino alla sua morte.
    L'anno scorso mi sentii in diritto di accettare il posto di Capo Censura, 4o livello del Nuovo Ministero. Ormai i miei due figli gemelli erano grandi e io ero troppo vecchia per seguirli.
    Ed eccomi qua, seduta sulla poltrona di cachemire rosso, a leggere, occhiali sul naso, gli ultimi articoli redatti dal VW oltre ad altri fogli che costituivano libri. Con cipiglio severo, rilessi quello che avevo in mano. Scattai alzandomi e percorrendo, accompagnata dal tic-tic delle mie scarpe, tutto lo spazio che separava il mio accogliente ufficio alla porta che dava sul corridoio. Urlai: «Il primo che è disponibile venga. SUBITO!».
    In quel corridoio si trovavano molti uffici, il mio si trovava proprio all'estremità del corridoio. La porta era affiancata da due piante grasse che facevano capire che quell'ufficio era diverso da tutti gli altri, cosa sottolineata poi dal colore rosso spento della porta stessa. Una donna sulla quarantina, timida e con lo sguardo basso si affrettò a venire. “Sì, signora Bulstrod...”.
    «PERCHÉ, per tutti i Merlini di sto mondo, PERCHÉ QUEST'UOMO CONTINUA A SCRIVERE FESSERIE SUL GOVERNO!?», sbraitai. La donna, tremando, cercò di rispondere, ma non vi riuscì. Mi imposi di calmarmi e adottai un tono di voce più dolce ma comunque deciso: «Te lo dico io: perché non è stato zittito. Va' dal Capo degli Oblivianti per dargli questo permesso di cancellargli la memoria, a lui e a tutta la sua famiglia». Mentre dicevo ciò, afferrai un foglio volante e scrissi il permesso da inoltrare al Capo degli Oblivianti.
    La donna, con voce tremante, disse: “Ma... se ci sono bambini...?”. Io la guardai severa, consegnandole il permesso da dare al Capo Oblivianti. «Una famiglia è composta da esseri umani. I bambini sono esseri umani. La responsabilità è del padre. Il padre ha responsabilità sulla famiglia. Le sue colpe ricadono all'intera famiglia. Indi tutti devono essere trattati come dico io. E se opporranno forza...», avvicinai il mio viso al suo, abbassandomi di qualche centimetro, «... la legge dice: “In caso di resistenza contro autorità ministeriali, la pena prevista è la morte, eseguibile senza processo”. Immagino sei nuova. Imparerai. Ora va'». Mi raddrizzai, la donna prese il foglio e corse verso il corridoio che si trovava nell'ala destra del quarto livello, l'ala degli Oblivianti. Il mio corridoio era pieno zeppo di archivi messi alle pareti, che arrivavano al soffitto, tutti di un solo colore: bianco. Le file interminabili degli archivi erano interrotti solo dalle poche -finte finestre e dalle tante porte degli altri uffici. Bianche anche le porte, le uniche cose che non erano bianche erano la mia porta e le mie piante. Sembrava di essere in paradiso, con tutto quel bianco. Peccato che eravamo nella sede dell'Inferno.
    Ritornai nel mio ufficio. Il mio era un lavoro complesso: ricucire o cancellare le inesattezze della storia del Nuovo Mondo, censurare e modificare articoli di giornali, libri e qualsiasi altra cosa che fosse contraria alle nuove ideologie, ma soprattutto censurare e modificare quelle cose che affermavano l'esistenza passata di un altro mondo. Molti -quasi tutti-, in quel livello, non sapevano la verità e pensavano che quelle parole erano dette da un mucchio di cialtroni e pazzi ribelli che ricorrevano ad ogni espediente per rivoltare la popolazione magica. Quindi ufficialmente ero una censuratrice della Stampa, quando in realtà ero anche storiografa.
    Il mio ruolo era molto importante, mi ero conquistata comunque una posizione di alto rango nella società: molti capi del Ministero chiedevano da me un consiglio, molti avrebbero voluto che la signora Bulstrode porgesse loro la mano. Ero una donna anglo-francese, facevo convivere la mia cultura inglese con quella francese. Ero una donna di mondo che adorava la cultura cinese, praticava il tai-chi ogni mattina e che curava tutti i suoi affari personali da sola. Sapevo tutto di tutti, se alzavo un dito tutti mi si voltavano. La mia persona era ammirata anche dal Ministro stesso, che comunque non avrebbe mai eguagliato il suo potere a quello di Lord Voldemort, di cui conservavo gelosamente una foto nel mio cassetto.
    Chiusi a chiave il mio ufficio e uscii dal Livello per poter andare a pranzo. Mi ritrovai nell'affollato ascensore, con la mia borsetta di pelle a tracolla appesa all'incavo del gomito. Il ticchettare delle mie scarpe mi accompagnò fino all'Atrium, riconobbi qualche esponente di buone famiglie che conoscevo. Avevo stretto per solo interesse rapporti amichevoli con le più importanti famiglie inglesi e francesi.
    Mi fermai ad un certo punto a guardare una ragazza in particolare. Mi fermai nel camminare, lo sguardo sereno coperto da degli occhiali da vista vintage e con il cappello nero, ampio, a proteggermi dal sole del Nuovo Mondo che mi aspettava fuori dai sotterranei ministeriali.
    Sorrisi alla ragazza, dando mostra di essere contenta di rivederla. La mia figura sembrava quella di una statua importante posta al centro di una folla di persone anonime, i miei capelli biondi facevano risaltare la mia figura.
    «Un piacere rivederla, signorina Fields».
    winston,©
     
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  2. »Maya
         
     
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    «Siamo metà infrante in mezzo a tante altre»
    Maya Fields, amministratrice torturatori, aveva appena compiuto vent' anni. Vent' anni di intensa fedeltà nei confronti del Regime, vent' anni di ideologie e insegnamenti trasmessi dal padre, Edward Fields, ex Capo Pavor, assassinato da un gruppo di Ribelli. Questa sua morta ingiusta, fece aumentare in lei il piacere di provocare dolore, quello di fottere le persone e di giustiziare chiunque si opponesse al Regime, senza pietà. Alla Fields mancavano tante cose come l'amore, la compassione e, fra queste, anche la pietà. Per molti era difficoltoso non provare alcun sentimento di fronte a chi aveva famiglia, un amore o qualcuno a casa che lo aspettava, eppure per lei era tremendamente facile togliere la vita o fare del male ad individui che riteneva sbagliati, degli errori che dovevano essere eliminati o cancellati. Era fin troppo fiera di essere così. Se Maya Fields fosse nata e cresciuta in una famiglia contraria al Regime sarebbe diventata comunque la ragazza che è ora? Indubbiamente no. Come ben sì sa le persone sono ciò che hanno vissuto, se non fosse stata cresciuta ed allenata dal padre lei non sarebbe mai diventata quella ragazza che è ora. In ogni caso Maya Fields non poteva esistere in un altro modo se non dall'unione di Edward Fiels e Jennifer Green, questo basta per fermare ogni eventuale domanda su una Fields cresciuta in un altro ambiente.
    Maya si trovava nel suo piccolo ufficio, dove regnavano diverse tonalità di verde e argento, colori che le ricordavano l'amata casata dei Serpeverde ad Hogwarts; sedeva sulla poltrona verde smeraldo e picchiettava sul bracciolo della comoda poltrona scorrendo con l'altra mano una pila di fogli su cui erano scritti diversi nomi di persone sospette, certi nomi erano barrati poichè, evidentemente, fuori gioco. Ad interromperla fu il bussare deciso alla porta, da cui poi spuntò il collega Peterson, Superpavor, che le rivolse un gran sorriso. Entrò nella stanza dove stavano alle pareti foto di famiglia, foto in cui la Fields era alta un metro e un tappo e i genitori la stringevano fieri di lei, foto in cui lei era senza denti perchè rotti durante un duro allenamento e foto di lei con suo padre nella Sala delle Torture. «Fields!E' il tuo compleanno e non mi dici nulla? Non hai voglia di fare un po' di baldoria?» Per quanto fosse sempre tremendamente rispettoso nei suoi confronti, si sentì infastidita: odiava il suo compleanno. Secondo lei era un giorno come gli altri, non le interessava essere al centro del mondo solo un giorno, lei voleva esserlo sempre. Come anche divertirsi: che importava se era il suo compleanno o meno? Voleva sempre divertirsi. Scoccò un mezzo sorriso piuttosto freddo. «Non me lo ricordavo neanche. Per me ogni giorno è buono per far baldoria.» Si alzò dalla poltrona e posò i fogli sulla scrivania. «Ciò significa che ci sarai sta sera al Paiolo Magico?» Certamente il Paiolo Magico non era il suo pub preferito ma era meglio di niente e poi, come negare al Superpavor una serata insieme?Aveva bisogno di bere un po' di whisky in buona compagnia. «Solamente se offri tu Peterson.»Si conoscevano da poco ma si potrebbe dire che l'ormai uomo le stava in simpatia e, come suo superiore, lo rispettava. «Fields è un piacere offrirti da bere. Basta che non esageri.»Disse lui ammiccando, evidentemente anche lui l'aveva in simpatia e forse molto di più di quanto lei avesse lui. «Adesso devo lavorare. A più tardi Fields.» continuò avviandosi verso la porta. «Non te lo garantisco. Buon lavoro Peterson.»Concluse lei con tono mieloso. Apprezzava il lavoro dell'uomo, la determinazione ed il sangue freddo, quando lavorava era una persona seria, decisa e capace e, a Maya, piacevano quelli così. Una volta rimasta sola riordinò la scrivania: detestava il disordine. Raggruppò tutte le carte importanti dentro un cassetto, quelle irrilevanti in un altro. Con un rapido incantesimo di appello richiamò la sua borsa in pelle di drago che conteneva, grazie ad un incantesimo espansivo irriconoscibile, oggetti di ogni genere: dal rossetto rosse e la matita nera fino ad armi di diverso genere per difendersi da eventuali attacchi, di quei tempi tutto era possibile e sentiva nell'aria che qualcosa prima o poi sarebbe accaduto. Uscì dall'ufficio sbattendo la porta su cui brillava la scritta "Maya Fields, Amministratore Pavor" e non c'era volta in cui non sorrideva soddisfatta a leggerla, infine raggiunse l'ascensore, stranamente vuoto, per giungere fino all' Atrium. Una volta arrivata, ignorando le figure che si muovevano in fibrillazione, scorse una donna famigliare che difficilmente avrebbe dimenticato: Emily Bulstrode, ex insegnante di Storia della Magia. Sua ex insegnante di Storia della Magia. Questo si che è un piacere. Maya sorrise mentre una ciocca dei capelli cioccolato le ricadeva davanti agli occhi felini. Quella donna non era stata solo una docente ma era stata, ed è tutt'ora, una mangiamorte per eccellenza che ha vissuto sulla sua pelle esperienze ammirevoli ed affascinanti che Maya non conosceva ma sapeva della loro esistenza, vedeva il vissuto della donna nei suoi profondi occhi. «Un piacere rivederla, signorina Fields» Anticipò il saluto la Bulstrode, evidentemente contenta di rivederla. «Dire che per me è lo stesso è dire poco. Lei è stata la migliore insegnate che io abbia mai avuto.»Rispose sinceramente la Fields che non poteva non dimostrare quanto ammirasse e rispettasse la donna. «Vista l'ora non posso fare altro che offrirle il pranzo. Sempre se non ha impegni, so bene che il suo lavoro al Ministero è molto impegnativo.»Concluse gentilmente, cercando di non essere troppo invadente magari la Bulstrode voleva semplicemente salutarla e non trattenersi troppo. Le sarebbe davvero piaciuto pranzare il giorno del suo compleanno con quella donna che sapeva tenere testa a chiunque senza mai scomporsi.
    Phoebe Tonkin as Maya Fields © CODE BY -ANÆSTHESIA VIETATA LA COPIA
     
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  3. -bulstrode-
         
     
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    « La vita? Corruzione che s'adorna d'illusioni »
    C'era una cosa che non avevo neanche scritto nel mio diario. Da nessuna parte. Feci addirittura bruciare i documenti dell'ospedale, mi vergognavo tantissimo di quel fatto e mi sentivo responsabile. Oltre a Michael e Arthur, ebbi un'altra bambina. Al momento del parto, un errore medico fece sì che la bimba si strozzasse e non vedesse mai la luce. Da quel momento non smisi di darmi la colpa finché mio marito non mi calmò: la colpa era tutta dei medici. Per questo li maledissi per il resto della loro miserabile vita.
    Ma quell'esperienza mi segnò profondamente. Questo tipo di esperienze segnano sempre, e possiamo capirle solo noi mamme. Perdere la propria bimba al momento del parto, dopo averla accudita con tanto amore, esserci fatti filmini con la pancia grossa, dopo averla amata e aspettato in modo amorevole, è una cosa straziante: urli al mondo “Perché? Io l'amavo!”. Nonostante ho superato il trauma, ancora oggi vedo negli occhi delle ragazze e delle bambine mia figlia, e molto spesso mi dimostro protettiva con loro. L'esperienza avuta con le mie allieve è stata unica: le amavo ed educavo come avrei fatto con mia figlia, se fosse sopravvissuta.
    In particolare, quella ragazza che mi trovavo di fronte, Maya, era una figlia di un illustre Mangiamorte. Non poche volte la strinsi in un abbraccio nei festini che organizzavo a scuola nel mio ufficio, dimostrandomi orgogliosa di lei. Perché Maya Fields era stata educata secondo i dettami della Doppia Emme ed era leale al Regime che io tanto amavo. Inoltre, mi guardava estasiata quando facevo loro discorsi sui Mangiamorte, si dimostrava d'accordo su ogni mia affermazione. Era per questo che ero ben vista come professoressa: non insegnavo solo Storia della Magia, ma insegnavi anche cosa significava essere Mangiamorte. Maya Fields era una delle migliori in quest'ultimo caso e la sua carriera mi dava ragione: appena uscita da scuola trovò subito lavoro presso i Pavor, diventando in poco tempo una delle Pavor più ben viste del Ministero fino a diventare Amministratrice Torture.
    Quegli anni di insegnamento difficilmente sarebbero stati cancellati dalle menti degli studenti, constatai quando la ragazza mi disse: “Dire che per me è lo stesso è dire poco. Lei è stata la migliore insegante che io abbia mai avuto”. Io le sorrisi, lieta che pensasse questo di me e orgogliosa che me l'avesse detto. Il suo sorriso era sincero. «Cara, in questo caso sei stata tu ad avermi aiutata, eri un'allieva così...» alzai le spalle guardandomi intorno, cercando la parola giusta. «... così eccezionale. Sottolineai l'ultima parola. Era facile mettere a proprio agio le persone. “Vista l'ora non posso fare altro che offrirle il pranzo. Sempre se non ha impegni, so bene che il suo lavoro al Ministero è molto impegnativo”. Mi portai una mano al petto facendo finta di essermi offesa: «Ma come, scherziamo? Lei offrirmi il pranzo! No cara mia, sarà il contrario, e guarda che mi offendo se non me lo fai offrire!».
    Tecnicamente, quel giorno era il 16° anniversario dell'assegnazione della Medaglia d'Oro di Prim'Ordine al Valor di Merlino, la più alta onorificenza che poteva esser data a un mago o strega. Io l'avevo ricevuta appena potei uscire dall'ospedale. Ufficialmente il motivo era l'aver partecipato a una Guerra tra ribelli e mangiamorte ed essere gli unici ad esserne usciti vivi e, soprattutto vincitori. Ufficialmente al Guerra si compì il 2 maggio di quell'anno a Hogwarts. Solo noi 4 che ricevemmo l'onorificenza sapevamo la verità: quella Medaglia era un ringraziamento da parte del Regime di aver instaurato il Nuovo Mondo, un ringraziamento per aver fatto trionfare i Mangiamorte.
    Da quel giorno quella medaglia d'oro puro con inciso il volto di Merlino da una faccia e il logo ministeriale nell'altra era stata sempre custodita gelosamente nella teca della sala delle onorificenze, una delle tante sale della casa. La mia casa non era una casa e basta. Non era dove dormivo e basta. Era la culla della sapienza e della mia vita: ci avevo conservato tutte le onorificenze nella sala omonima , tutti i libri nella biblioteca privata, le mie scope vecchie nello sgabuzzino (e non pensate ad una cascina malridotta, ma a una cascina somigliante ad una stalla), quadri dei potenti della terra elencati per anno e per nazione nel corridoio dei potenti. La mia casa, o meglio villa, era praticamente un museo. Quando lo dissi scherzando con Izra (la prima preside di Hogwarts dalla nascita del Regime) lei mi diede ragione con fare serio, aggiungendo che il pezzo più importante di quel museo ero io. Rimasi talmente felice di quelle parole, orgogliosa del fatto che ero diventata quello che volevo: potente, temuta e rispettata.
    Anche se all'assegnazione delle onorificenze mi presentai in stampelle e con il volto sfigurato, nessuno si schifò, anzi. Mi lodarono. Ero gonfia di orgoglio, felice di aver dato qualcosa per il Regime. O, meglio, avevamo fatto nascere il Regime. Peccato che nessuno lo sapesse. Ma sorridevo tronfia d'orgoglio. E il ricordare quel giorno mi metteva tanta felicità, tanto che lo festeggiavo, sempre, in un ristorante molto belo di Parigi.
    L'avrei portata lì con me, decisi. «Ti piace la cucina francese?», le chiesi, sorridendole enigmatica, porgendole il mio braccio per stringerlo, per poter effettuare la Smaterializzazione congiunta. «Conosco un bellissimo ristorante parigino e vorrei portarti lì!».
    Mi stava sinceramente simpatica quella ragazza. Sorridendole, le sistemai con delicatezza un ciuffo di capelli. Quella era la dolcezza e l'amore che provavo per i miei figli. Ma c'era qualcosa di diverso da quello che provavo per quella ragazza a quello che provavo per i miei figli. Era un senso protettivo simile, ma diverso in un punto: ponevo la mia famiglia sopra di ogni altra cosa.
    winston,©
     
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