bad blood.

daphne

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    «Non si può scegliere il modo di morire. E nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora.»
    William Barrow.
    Un ragazzo come tanti altri, che si è creato più demoni di quanto non ne avesse dentro l’armadio, e che per ognuno di essi ha lottato fino a farsi sanguinare le nocche. Un ragazzo dai capelli scuri, gli occhi azzurri ed il sorriso sbilenco, con la pelle chiara e tatuata. Ciascun tatuaggio era un simbolo. Ma William Barrow non era solo un ragazzo: era un simbolo egli stesso, più dell’inchiostro che ne decorava il corpo. In pochi lo vedevano realmente per quello che era, perché erano in pochi a guardarlo davvero. Chi non lo conosceva, non spingeva lo sguardo più in la di quegli scarabocchi sulla pelle; chi lo conosceva, vedeva in lui la speranza.
    William Barrow, vent’anni, ex corvonero.
    Così giovane, così stupido, così avventato. Consapevolmente sapeva di volere troppo da sé stesso, sapeva che il suo unico particolare talento era stato dire a tutti quello che già la maggior parte della gente pensava: il Regime non aveva senso, era sbagliato. La sua fortuna era stato averne le prove, avere i documenti su un mondo reale precedente quello dei Mangiamorte: non era solo un utopia, esisteva. Non era uno dei maghi migliori sulla faccia della terra, ma aveva abbastanza carisma da aver guadagnato la fiducia dei ribelli, ed aveva le giuste motivazioni per andare fino in fondo. Per William Barrow non c’era più niente: i suoi genitori, anche se in modo differente, l’avevano abbandonato prima ancora che fosse nato. I suoi amici erano pronti a sacrificare tutto per quel futuro che tanto agognavano: sarebbero andati insieme incontro alla morte, se necessario. Non esattamente uno dei migliori stimoli per godersi la vita. E corvonero: Merlino, quanto si era arrabbiato suo padre, quando la casa blu bronzo l’aveva trascinato fra i suoi ranghi, con artigli affilati e decisi. Come poteva essere suo figlio, se non era nemmeno stato smistato nella casata dov’era finito il resto della sua famiglia? L’undicenne Barrow aveva già trovato un modo tutto suo per deludere le persone che avrebbero dovuto tenerlo a cuore. E quel modo era stato essere sé stesso.
    William Barrow, vent’anni, ex corvonero, capo della Resistenza.
    Un titolo effimero, un etichetta come tante alte. Non si sentiva a capo proprio di niente. Le decisioni le prendevano tutti assieme, lui aveva solo avuto la brillante idea di mettere una sveglia davanti agli occhi dei più distratti per ricordare che era giunta la fine del mondo.
    Barrow, sangue cattivo. Non accetto fra i Mangiamorte per quel suo insano e perverso attaccamento ai babbani, non accetto fra i ribelli per via di quel nome che tanto aveva loro preso.
    Ma consciamente sapeva che non era così. Sapeva che in molti lo apprezzavano, e stimavano; che si fidavano di lui, e nelle sue mani avevano lasciato la loro vita. Eppure, non riusciva più a crederci. Da piccolo aveva covato quella speranza a lungo, ad ogni gesto verso la madre, ad ogni sforzo nei confronti del padre, ed ogni volta questa veniva lanciata contro un muro di diamante, e Will doveva raccogliere i pezzi e rimetterli assieme. Di volta in volta, aveva cominciato a smettere di cercare.
    Poi aveva trovato qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa che non poteva rifiutarlo: una causa, un’idea stratta che poteva seguire quanto voleva, stringerla, strapparla e tirarla vicino, che questa mai si sarebbe ribellata. Era l’ancora che lo teneva a terra, così legati da fargli sembrare che fossero fusi in una cosa sola.
    William Barrow, vent’anni, ex corvonero, capo della Resistenza, assassino.
    Avrebbe dovuto sentirsi più sollevato. Liam Callaway era semplicemente un altro gradino da salire nella scala verso la liberazione. Eppure, quando si coricava nel letto e chiudeva gli occhi, rivedeva l’espressione smarrita, la pelle cerea, l’ombra di un sorriso mentre il suo ultimo pensiero andava al migliore amico. Dicevano che i Mangiamorte non potevano amare, ma più si guardava allo specchio più si rendeva conto di essere molto più arido rispetto a loro.
    Ma non aveva importanza.
    Rilesse la lettera che gli era arrivata, il giorno stesso in cui aveva ucciso Callaway, al quartier generale, da parte di un certo W.L. che, ovviamente, nessuno sembrava conoscere. Teneva fra le mani quello per cui aveva combattuto duramente, e non sapeva se potersi o meno fidare. Un po’ come i miraggi nel deserto, che ti fanno credere di avere tutto ciò di cui hai bisogno a portata di mano. Basta allungare un po’ le dita: e poi, anziché acqua fresca, la gola si riempie di sabbia dorata.
    Come se non bastasse, Alec Winston e Donald Amrstrong avevano aggiunto altre buone notizie, alla vita altrimenti monotona di Barrow: laboratori, esperimenti, babbani. Quando Alec glielo aveva accennato, poco prima della battaglia, aveva stentato a crederci. Impossibile che non se ne fosse accorto, specialmente considerando che si supponeva fossero ribelli in piena regola. E poi non avrebbe avuto senso: perché fare degli esperimenti, e su dei babbani? A Will mancava il pezzo principale per risolvere l’enigma, come un puzzle a cui manca l’immagine di partenza: aveva un accozzaglia di cartoncini colorati e segmentati, e non sapeva che farsene. Aveva la cornice, certo: pezzo dopo pezzo, passo dopo passo, avrebbe dovuto ricostruire la storia. Perché diamine nessuno aveva allegato un libretto di istruzioni?
    A Will però i rompicapi piacevano. Quando si sedeva dietro la scrivania, e cominciava a scrivere su pergamene sparse ciò che aveva raccolto sino a quel momento, si annullava completamente. A volte era la cosa migliore da fare: annullarsi, anche solo per qualche ora, e smettere di pensare a tutto ciò che non avrebbe potuto cambiare nemmeno nella migliore delle ipotesi.
    Quello era il motivo che l’aveva spinto a Londra, quel pomeriggio. Il cielo era nuvoloso –cosa estranea alla capitale inglese- , ed il sole tentava timidamente di farsi spazio in quella coltre scura. Era il tempo preferito di William: sospeso, leggero. Che quando chiudevi gli occhi ed alzavi il viso al cielo, potevi fin credere che fosse un giorno migliore, perché prima o poi quelle nuvole se ne sarebbero andate.
    Con la leggera maglietta bianca a lasciare scoperti i tatuaggi sulle braccia, i pantaloni neri da cui pendevano svogliate due bretelle che avevano visto giorni migliori, e gli anfibi che ad ogni passo sembravano far tremare il mondo, era fuori luogo quanto un tramezzino nel deserto. Sarà che con una giornata del genere, Trafalgar Square era piena di soli turisti con cappelli colorati a tesa larga e macchine fotografiche che penzolavano su petti ansanti, pieni di sorrisi gioiosi e risate finte per battute che in realtà non comprendevano. Barrow, inglese fino all’alluce, anziché essere nel suo habitat naturale si sentiva in un fottuto zoo: le persone lo guardavano come se fosse stato un attrazione turistica, oddio, un inglese! Come se fosse stato lui quello sbagliato.
    Di nuovo.
    Ma lui se ne fregava, incurante dei flash (merlino, sperava non stessero fotografando lui: non si era nemmeno messo in posa!) e degli accenti stranieri, ignorando coloro che gli si avvicinavano per chiedergli se per caso potesse fare una foto di gruppo. Come se Will sapesse usare quegli aggeggi sottili quanto letali. Fingeva di non capire e continuava a camminare, sempre lo stesso percorso, attorno a una fontana che aveva segnato troppi momenti perché potesse passare inosservata. Cercava indizi, sperando di incontrare il particolare nella routine, studiando tutto con finta non curanza. Il suo sguardo venne attirato da un pezzo di cartone. Prendendo una sigaretta dal pacchetto ed infilandosela nelle labbra, si sedette sul bordo della fontana tenendo distrattamente quel pezzo di vita rubata fra le mani: viola, contorno dorato. Il lato destro delle labbra si sollevò nella finzione di un sorriso, mentre gli occhiali scuri celavano due curiosi occhi celesti.

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    « Reborn from my ashes »

    Scacciò via le lacrime con una mano, e si ripromise che sarebbero state le ultime in tutta la sua vita. Una promessa audace che, anche se fatta con sè stessa, non avrebbe infranto. Varcò la soglia di quella che era stata la sua casa d'infanzia a Redhill, nel Surrey, che l'aveva vista crescere. Stava andando via dalla sua casa, per non tornarci più. Non avrebbe più lanciato incantesimi di protezione su quell'abitazione, insieme al padre, non avrebbe più pranzato con i genitori, ne avrebbe riso con loro. Non ascoltò le urla della madre che la implorava di non andare e di partire con loro in America.
    Quel giorno era morta Daphne, e dalle sue ceneri, come una fenice, ne era rinata una nuova, più consapevole e con più responsabilità sulle spalle di quanto non ne aveva mai avuto in passato.

    Solo qualche giorno prima, aveva scoperto che anche lei avrebbe potuto contribuire a cambiare le cose, e che si sarebbe potuta unire ai ribelli. In gran parte, ci era arrivata grazie agli indizi lasciategli da Alec, e li aveva seguiti tutti, come solo un segugio sa fare. Si era ritrovata a dover fare un'iniziazione ricca di enigmi e alla fine aveva deciso di intraprendere quello che lei chiamava "percorso di abilitazione" ai ribelli.
    Aveva scoperto che non era, ovviamente, l'unica ragazza ad Hogwarts che si era unita a quella schiera, ma che tra di loro vi erano pezzi importanti della sua vita: Lilian, Ethienne e Jason. Nonostante una prima iniziale, blanda delusione, data dal fatto che i suoi amici non le avevano mai accennato niente, aveva capito razionalmente che anche se avessero voluto non avrebbero potuto farlo, perchè i Ribelli non potevano rivelare a nessuno come farne parte, era un'associazione "Top Secret" di cui, solo che era veramente motivato riusciva a scoprire la strada per arrivarci.
    Adesso era una ribelle, certo, adesso doveva tagliare i ponti con il passato, dare un taglio netto per evitare che le sue scelte, per quanto giuste, si ripercuotessero su gli era più caro. Per questo aveva fatto un discorso ai genitori, un discorso davvero molto vago sul perchè non potessero più restare in Inghilterra. Non che le cose nel resto del mondo andassero meglio, ma sapeva che i genitori avrebbero avuto più protezione insieme ai parenti di Rosie, sua madre, in America.
    Le avevano chiesto perchè, più volte e non potergli rispondere sinceramente le aveva straziato il cuore, soprattutto per la madre che davvero non si meritava tutto questo. La madre era sempre stata un'amica per lei e dirle addio, o comunque sapere che per un po' non si sarebbero viste, la turbava non poco.
    Il loro bene era più importante.

    Prese un mezzo pubblico per spostarsi dalla sua città a Londra, in cui avrebbe incontrato William Barrow, capo della resistenza, che l'avrebbe addestrata a farne parte.
    Poggiò la fronte sul vetro del pullman sul quale era salita, e chiuse gli occhi ripetendosi "loro sono più importanti"
    I genitori erano più importanti della sofferenza che avrebbe provato nel non vederli per un po', lo faceva per loro.
    Dire che le immagini di lei e la madre che chiacchieravano sul letto la sera, o che parlavano di tutto ciò che non riguardava quel mondo sporco le avevano invaso la mente per tutto il viaggio, non avrebbe reso l'idea. Il riflesso che le rimandava il vetro del pullman, era di una ragazza che aveva gli occhi tristi, ma non arrossati, o almeno, questo sembrava dal vetro. Scese dal pullman che l'aveva lasciata nel centro di Londra e dopo una passeggiata a piedi - durante la quale aveva tentato di non badare agli occhi curiosi di molti babbani che l'avevano riconosciuta come "quella modella della televisione" - riconobbe in lontananza Barrow, che stava seduto sul bordo di una fontana e sembrava perso in un qualche pensiero. Anche lui aveva i suoi problemi, essere il rappresentante di un'idea così grande non era semplice, Daphne lo immaginava. Eppure immersi in quella Londra caotica, ricca di visitatori, sembravano quasi due ragazzi normalissimi, che non avevano niente a che fare con quel mondo ingiusto. Guardò il ragazzo che fumava, per poi parlare per fargli notare la sua presenza.
    Un luogo poco appartato per un incontro... Esordì.
    In realtà per lei non faceva molta differenza dove si trovavano, anche se non si aspettava che l'avrebbe addestrata in piazza, quindi probabilmente si sarebbro spostati da lì.
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    Edited by daphne¨ - 13/8/2014, 22:56
     
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    «Non si può scegliere il modo di morire. E nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora.»
    Si rigirò il pezzo di cartone fra le mani, unico piccolo indizio che lì non fossero passati solo dei babbani. Non era tutto, ma era già qualcosa, una pista da cui partire. Avevano cercato ovunque tracce su dove potessero essere nascosti gli altri laboratori, dove trovare i Dottori, o altri Prigionieri che con lentezza aspettavano solo di essere salvati. Will sperava solamente di poter arrivare in tempo. “Un luogo poco appartato per un incontro..” Barrow alzò gli occhi e guardò la figura da sopra le lenti scure: una delicata ragazza bionda, dai grandi occhi azzurri e le guance paffutelle. Dimostrava vent’anni tanto quanto lui, eppure i loro documenti parlavano chiaro. Daphne Whiteley non era una Ribelle da molto, eppure aveva già voluto ricoprire il ruolo di addestrare i membri della Resistenza. Barrow non se l’era sentita di rifiutare, sia perché aveva davvero bisogno di una mano, sia perché la ragazza era insegnante di Corpo a Corpo al castello. Difficilmente avrebbe trovato di meglio. “Com’è diretta Whiteley, nemmeno un appuntamento prima di andare al sodo?” Domandò distrattamente con un mezzo sorriso. Le fece cenno di sedersi vicino a lui, e le porse il cartone viola dal bordo dorato che aveva attirato la sua attenzione. “Dimmi cosa vedi” Poggiò al caviglia sinistra sul ginocchio destro, alzando le braccia per stiracchiarsi mugolando. “Immagino che tu abbia letto i giornali, e sappia dei.. babbani, e del nostro ruolo in tutto questo. Da queste parti c’è un laboratorio, ne sono sicuro.. o qualcosa del genere” Aspirò nervosamente dalla sigaretta, rilasciando il fumo in una nuvola secca. “O almeno sono certo che un mago sia passato di qua, e difficilmente si può trattare di uno studente. Perché, secondo te?” Avevano avuto diverse piste da seguire in quelle settimane, alcune più sicure di altre. Molte erano lontane da dove si trovavano in quel momento: alcuni volontari erano andati addirittura in Francia, alla ricerca della dottoressa Anderson. Sapeva che era una Ribelle, e sapeva anche del suo talento, ma mai avrebbe immaginato che si sarebbe spinta a tanto. Dati gli ultimi aggiornamenti, Will aveva decretato che ciascun babbano riconosciuto come ‘speciale’ dovesse essere seguito da un membro della Resistenza: i Mangiamorte sembravano tollerarli, ma da un momento all’altro avrebbero potuto decidere che la loro presenza era più seccante che utile, e Barrow avrebbe fatto tutto il possibile per evitare un genocidio.
    Sapeva che nell’appartamento dietro l’angolo abitava Bastien, un ribelle di mezz’età che passava tutto il suo tempo a borbottare sulla scarsa qualità dell’operato di William, senza però mai proporre miglioramenti al sistema. Non era mai stato una mente particolarmente brillante, ma sapeva che era molto portato per Storia della Magia: era stato uno dei suoi ricercatori per due anni, poi aveva deciso di lasciare e aveva finito per diventare un recluso.. o almeno, così aveva fatto credere. Dai mozziconi delle conversazioni con l’uomo, però, cominciava a sorgere il dubbio nell’ex corvonero che il suo licenziamento non fosse dovuto solamente allo scarso interesse. Che avesse altri progetti in cantiere? Le sue ultime fonti lo avevano avvistato in Spagna, dove pareva abitasse stambilmente. Non sapeva cosa ci facesse lì, e nemmeno gli interessava: se davvero si trovava all’estero, però, avrebbero potuto tranquillamente andare a fare un salto a casa sua, in nome della vecchia ‘amicizia’ che li legava. Dati i trascorsi, Barrow era diventato più paranoico del solito, ed aveva cominciato a dubitare più del solito di chiunque avesse mai fatto parte dei Ribelli. Stava iniziando una specie di retata anti droga. Guardò Daphne che studiava il frammento che egli stesso le aveva dato poco prima: un semplicissimo test, giusto per osservare le capacità deduttive della giovane.

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    scusami sia per il ritardo che per la pochezza del post, come immagino si sia notato ultimamente ho l'ispirazione di un cucchiaino da caffè ._.
     
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    « Reborn from my ashes »

    Aveva saputo anche lei dei rapimenti babbani, ovviamente, e degli esperimenti che erano stati fatti su di loro, così come sapeva che alcuni fortunati erano stati liberati ed altri erano morti. Leggeva con costanza il Vanity Witchcraft e la notizia bomba di Deborah Archer l'aveva colpita così a fondo che non erano bastate tre sessioni di allenamento continuo - di un'ora l'una - per smorzare la rabbia. Degli innocenti erano morti, altri erano stati torturati talmente tanto che avevano perso la ragione. Il San Mungo ultimamente pullulava di Maghi di tutte le età, che semplicemente avevano perso il senno. Così, senza un apparente motivo. Persino i Legilimens del Ministero avevano faticato a penetrare le loro menti distrutte, per trovare informazioni utili. Alcuni maghi avevano perso i loro poteri, altri babbani ne avevano guadagnati alcuni. Quei dottori avevano osato troppo, erano riusciti ad avvicinare il mondo magico a quello babbano, ma a quale prezzo? Poi era stata distratta dalla partenza dei genitori, che saggiamente avevano lasciato la terra inglese, così aveva accantonato momentaneamente lo stupore della notizia, lasciando spazio alla più profonda tristezza, una tristezza egoistica, che la riguardava personalmente. Daphne era una ribelle [ndr non ancora haha] rispetto al Governo attuale, credeva in un mondo libero, nella libertà di pensiero e di azione, credeva nella democrazia, non in un Governo Tirannico, non nelle imposizioni. Non credeva negli ideali di coloro che erano stati definiti "estremisti". Avevano forzato le cose, avevano rapito e torturato degli innocenti per degli esperimenti e per questo non erano poi tanto diversi dai Mangiamorte. Non tutti i Mangiamorte erano crudeli, così come non tutti i ribelli erano buoni e gli estremisti avevano agito male.
    Naah, lasciamo i convenevoli a chi li apprezza. Sorrise a William, che scherzando le aveva dato del lei e gli si sedette affianco.
    Vide che tringeva in mano un pezzo di cartone viola con bordo dorato e da subito si domandò cosa fosse e dove avesse già visto un pezzo simile. Lo guardò interrogativa alla sua domanda, prima di prendere in mano il cartone e rigirarselo tra le mani. Cosa vedeva? Una figurina delle cioccorane? Rise. A William Barrow piacevano gli enigmi, piaceva mettere alla prova il prossimo e Daphne amava sentirsi messa alla prova, su questo si incastravano alla perfezione. Osservò meglio il pezzo di cartone. Un adulto non sarebbe così sciocco da lasciare nel bel mezzo della Londra babbana un pezzo magico. Gli oggetti magici erano perfettamente riconoscibili, lasciavano segni non indifferenti. Strinse il pezzo tra le dita, molto forte e questo volò via dalle sue mani, nonostante non ci fosse un filo di vento, e andò a posarsi affianco a William, sul bordo della fontana, perfettamente in bilico. E poi...gli studenti collezionano le figurine, o almeno, io lo facevo. Se un mago era passato di lì, poteva averlo fatto per svariati motivi, eppure qualcosa faceva credere a William che là vicino ci fosse un laboratorio, probabilmente uno dei tanti. Si fidava del suo sesto senso. Quale sarebbe il luogo meno probabile in cui insinuare un laboratorio? Anche lei aveva delle idee in merito, pensava che il laboratorio si potesse trovare nel bel mezzo della piazza in cui si stavano comodamente seduti, perchè nessun mago sano di mente andrebbe a cercare fantomatici laboratori in un luogo pubblico, perchè nessuno andrebbe a fare un assalto nella Londra babbana, non di giorno almeno e non con così tante persone.
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    «Non si può scegliere il modo di morire. E nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora.»
    Battè le mani fra loro e sorrise orgoglioso, dandole una pacca sulle spalle ed alzandosi con brio. “Mi piaci, Whiteley. Ottima deduzione. Cioccorane.. oh, tu non conosci Bastien” Disse con un sorriso malandrino, infilandosi l’ennesima sigaretta fra le labbra. La tenne spenta e ballonzolante, mentre si guardava attorno con fare distratto. Si incamminò verso casa del mago, che se non sbagliava doveva essere all’incrocio poco più avanti. Senza controllare che Daphne lo stesse seguendo, sperava che fosse abbastanza sveglia da non rimanere imbambolata in mezzo ad una piazza con le mani in mano, continuò a parlare. “Quell’uomo mi lasciava carte di cioccorane in giro per tutto il quartier generale, dannazione, nemmeno fossimo a carnevale. Ti ho portato le figurine” Disse scimmiottando il suo tono, ricordando perfettamente la risata sguaiata che seguiva quelle parole, mentre gli lanciava la figurina e, metodicamente –come tutti i bravi psicopatici- strappava a pezzettini il resto della scatola. “Si divertiva molto a sottolineare la mia giovane età. Suppongo fosse solo invidia” Scrollò le spalle, voltandosi a destra e a sinistra cercando di orientarsi. Erano anni che non andava a casa dell’uomo, e nonostante sapesse ambientarsi con facilità nel centro di Londra, gli riusciva difficile ricordare un luogo dove aveva messo piede sì e no due o tre volte, e mai senza invito esplicito del proprietario. “Comunque. Bastien era un ribelle, uno dei pochi a ricordare a sprazzi ciò che il mondo era stato; i mangiamorte gli hanno portato via tutto, compresa sua figlia” Disse in tono distaccato, come se non gliene importasse né gliene fosse mai importato nulla. Il fatto era successo quando Barrow ancora era piccolo, per cui non poteva sentirsi in colpa anche per quello; eppure, vedendo l’uomo con la bottiglia di rum sempre a portata di mano e la risata un po’ troppo facile, non aveva potuto fare a meno di cercare –invano- l’assassino. La vendetta era una delle poche cose a cui Will non riusciva a rinunciare, era come una dipendenza: alcool, sigarette, vendetta e speranza. Droghe di diverso genere, ma tutte lo consumavano. “Come prevedibile, anno dopo anno si è..smarrito. Ha cominciato a farneticare cose prive di senso.. almeno, all’epoca pensavo lo fossero” Si accese la sigaretta con un fiammifero, sfregandone la capoccia sulla parte zincata; la fiamma attecchì subito al tabacco, dal quale cominciò a sollevarsi un sottile filo di fumo. Aspirò, abbassandosi gli occhiali da sole per leggere meglio i numeri vicino alle porte azzurre. Si trovavano in una via alberata, dove tutte le porte erano azzurro cielo e le scalette color bronzo; Barrow cominciò a sentirsi a disagio senza sapere bene il perché; chiamatelo sesto senso, intuito, o solo paranoia, ma cominciò a sudare freddo. Aspirò frettolosamente dalla sigaretta, mentre il suo passo diventava più cauto. “Lo rispettavo, nonostante tutto. Ne aveva passate tante, non biasimarlo per il suo comportamento sarebbe stato egoista. Quando ha deciso di andarsene dal nostro nucleo di ribelli, non ho fatto nulla per trattenerlo, ma non gli ho cancellato la memoria. Mi fidavo di lui, non pensavo..” Scosse la testa pensieroso, mentre il fumo fuoriusciva dagli angoli delle labbra. “L’ho fatto tenere d’occhio, però. Le ultime notizie erano che si trovava all’estero, ma .. non è la prima volta che trovo resti di cioccorane da queste parti” Per sottolineare la cosa, si abbassò e raccolse un altro pezzetto di cartone viola. Con ancora le gambe piegate, alzò il viso verso Daphne e le porse quel frammento di prova. “Potrebbero essere coincidenze, non lo metto in dubbio.. ma se non mi fossi basato sulle coincidenze, a quest’ora sarei un fioraio. Un fioraio morto, probabilmente” Concluse alzandosi lentamente, senza mai distogliere lo sguardo dalla parete celeste che svettava candida di fronte a loro. “32A.” Annuì fra sé, ripescando nei ricordi l’indirizzo del mago. “Questo dovrebbe essere il suo appartamento, e dovrebbe essere vuoto” Sorrise sornione, portandosi una mano allo stomaco ed un’altra all’altezza delle labbra, dove prese il cilindro di tabacco ormai molto più che dimezzato, e lo lasciò cadere a terra. “Iniziamo con le buone, bussiam..” Non appena avvicinò le nocche alla superficie lucida della porta, si rese conto che la porta non era chiusa. Si rese anche conto che, incomprensibilmente, nessuno dei passanti aveva mai guardato nella loro direzione, nemmeno una volta. Non che fosse a corto di occhiatacce, ma era strano passare inosservato per uno come William che solitamente attirava più sguardi di un lamantino sulla London Eye. Lanciò un’occhiata allarmata alla bionda. “Puoi tornare al quartier generale, se vuoi. Non mi aspettavo davvero..” .. di avere ragione, ma lo tenne per sé.

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    Aveva indovinato, più o meno. C'entravano le cioccorane e avevano un significato preciso per William. Gli raccontò di come avessero perso un membro della resistenza, un uomo che ne aveva fatto parte per anni ma che poi li aveva abbandonati, forse perchè combattendo aveva perso troppo. Nonostante lei non avesse mai mollato, per nessun motivo, quella lotta per la libertà, poteva capire il pensiero degli altri. Aveva praticamente impacchettato e spedito i genitori dall'altra parte del mondo, per non perderli. Perchè quella realtà in cui erano costretti a vivere era così, crudele, non faceva sconti a nessuno. Ma soprattutto, non riuscendo a toccarti in prima persona, si prendeva le persone a te vicine e più ci tieni, più hai da perdere una frase così vera, che avrebbe voluto tatuarsi sulla pelle, ma forse era fin troppo triste e avrebbe preferito tatuarsi la parola "Speranza" Così da sorridere ogni volta e non farsi abbattere. I suoi occhi apparivano tristi a quei pensieri, solo quella mattina aveva detto addio - un mezzo addio, in realtà - ai suoi. Non lo biasimo per aver mollato, per nessuno è facile. Percorsero una stradina alberata mentre William si faceva sempre più cauto e si guardava intorno circospetto, come se qualcosa non gli quadrasse. Daphne fece lo stesso. Cosa aveva notato?! Ma nemmeno io credo alle coincidenze, e poi controllare non fa mai male, no? Tutto aveva un perchè e niente accadeva per caso, ma in quel momento era confusa da tutto e si domandava che cosa c'entrasse il ribelle di nome Bastien con quello che stavano cercando. Che le cose fossero strettamente collegate? Cioè, quell'uomo poteva c'entrare con i vari rapimenti? Nella mente di William probabilmente tutto aveva un senso, ma lei non poteva capire del tutto. Si erano fermati dinnanzi ad una porta con scritto 32A, mentre Daphne si era sistemata i capelli biondi che le solleticavano la schiena. William si premurò di buttare la sigaretta prima di alzare la mano per bussare, ma bloccarsi, perchè la porta era già aperta. Non credo sia in Spagna. Bisbigliò o forse gli hanno svaligiato casa? Sorrise. L'aria si era fatta tesa, per William in particolare, che adesso voleva che Daphne tornasse al quartier generale. Sì certo. Rise appena, come se avesse appena udito una stupidaggine. Non ti lascio qui, e no, non mi interessa se sai difenderti da solo. Quel senso di iperprotezione che aveva per le persone che le stavano vicine era disarmante. E la situazione sembrava poco sicura. William era allarmato. Poggiò la mano sulla giacca, sotto la quale era nascosta la propria bacchetta.
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    «Non si può scegliere il modo di morire. E nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora.»
    Non ti lascio qui, e no, non mi interessa se sai difenderti da solo” Le sorrise, inarcando le sopracciglia. Non voleva dirle che in realtà non aveva alcuna intenzione di andare da solo, e mai l’aveva avuta. Non voleva dirle che non era poi così sicuro di sapersi difendere da solo. Recentemente stava cominciando a pensare che la cosa nemmeno lo interessasse: William non aveva nulla da perdere, e sapeva che i ribelli avrebbero trovato un altro re, se fosse caduto in scacco matto. Difendersi diventava sempre più complicato, mentre il muro alle sue spalle si faceva evanescente. Daphne Whiteley gli piaceva sempre di più. Si chiese perché non l’avesse mai conosciuta durante il suo periodo ad Hogwarts, perché non fossero diventati amici. Erano così simili: anche lei, come lui, sembrava piccola ed indifesa, troppo giovane per il ruolo che si era imposta di occupare. Fragile sotto certi aspetti, nonostante i tratti infantili nascondessero una durezza probabilmente messa alla prova più volte. Ebbe l’insana tentazione di stropicciarle i capelli, ma si trattenne: insegnava corpo a corpo, non dubitava che l’avrebbe messo fuorigioco nel giro di un minuto. La incitò con un cenno a prendere in mano la bacchetta, mentre anche lui faceva lo stesso. Poggiò la spalla alla porta, e spinse.
    L’appartamento sembrava, a tutti gli effetti, vuoto. Non solo perché non vedeva nessuno nei paraggi, ma anche perché era intriso di quel silenzio pesante che caratterizzava i luoghi abbandonati. Così spesso che Will quasi si sentì soffocare, mentre i brividi lungo la schiena non cessavano di avvisarlo sulla brutta situazione che si stava prefigurando. Era buffo: sembrava disabitato, eppure Barrow si sentiva più in pericolo lì che all’interno di Hogwarts, dove pur si sentiva indifeso e nudo.
    Un sussurro, come un sospiro strozzato prima di essere completato. Portò un dito alle labbra, mentre con un cenno del capo indicava a Daphne di seguirlo. Proveniva dalla cantina, o da quella che doveva essere utilizzata come tale: subito dopo la prima stanza, infatti, una corta scala portava ad una porta bianca, incredibilmente in contrasto con il resto dell’ambiente. Una stretta al cuore, melanconia forse, mentre Will riportava i suoi pensieri a Bastien. Aveva sospettato, ma non aveva voluto credere che fosse vero. Non erano mai andati particolarmente d’accordo, e quell’improvvisa empatia era probabilmente suscitata dalla compassione, però era presente. Si morse il labbro, senza più assicurarsi che Daphne lo stesse seguendo. Sapeva che non l’avrebbe lasciato da solo: era una ribelle, ed una ex grifondoro . Le sorrise da sopra la spalla, cercando –inutilmente- di alleggerire la situazione. Portò la mano sulla maniglia, e aprì la porta.
    Se una stanza avesse potuto contenere tutti i sussurri ed i sospiri del mondo, per poi rilasciarli a piacimento, sarebbe stata quella. Tentennò quasi spinto da quella forza, come se mille anime avessero appena lasciato l’edificio, lasciandolo più freddo di quanto non fosse prima.
    Poi si accorse che il freddo non derivava da quello, ma dalla neve: al di là della soglia, in un anonimo parco della rinomata Londra di qualche anno precedente, nevicava. Ed un bambino, coricato sulla panchina, lasciava scivolare i fiocchi su di sé quasi a ricoprirlo. Si accorse di aver emesso un breve singhiozzo, quando i polmoni reclamarono altra aria. “Non è possibile” Sussurrò, mentre quasi senza accorgersene i suoi piedi lo trascinavano all’interno della stanza. Dalle labbra uno sbuffo di vapore, ma non sentiva freddo. Si avvicinò al bambino dai capelli scuri e gli occhi chiusi, le lunghe ciglia ne accarezzavano le guance, allungò una mano per sfiorarlo, ma finì per appoggiarla allo schienale della panchina. “Non è possibile” Ripetè alzando il tono di voce, mentre il giovane William Barrow apriva gli occhi azzurri. L’altalena dondolava lenta, sospinta dal peso della neve e dal vento freddo che non sollevava i vestiti leggeri dell’attuale Barrow o di Daphne; la piscina di sabbi era invisibile ormai, ma lui sapeva perfettamente dov’era. Non riusciva ricordare quanto tempo avesse passato in quel parco, convincendosi che tutto andasse bene. Nessun bambino andava mai a giocare lì, e William si sentiva incomprensibilmente al sicuro. Era il suo luogo speciale, ma sapeva, ormai, che non lo sarebbe stato per molto. Il sangue gli si raggelò nelle vene, mentre si rendeva conto di quello che sarebbe accaduto. Mentre si rendeva conto che non era solo, e che quella era una parte della sua vita di cui non aveva mai parlato con nessuno. Mentre si rendeva conto che Simon Barrow stava arrivando, e loro, nessuno dei due William Barrow, non potevano più nascondersi. Si voltò verso Daphne, mentre l’espressione si faceva se possibile ancor più fredda, quasi sfidandola a reagire. Non voleva vedere, non di nuovo. “Non è possibile” Disse nuovamente, mentre le spalle si incurvavano sotto il peso del passato che non poteva cancellare. Non poteva guardare, ed allo stesso tempo non poteva non guardare.
    Però poteva concentrarsi su una domanda, a cui da solo non aveva coraggio di darsi risposta. “Daphne, dimmi che la porta non è sparita. Ce ne possiamo andare?” Il tono rimase piatto, senza lasciar intendere la speranzosa supplica di una risposta affermativa. Senza lasciar intendere il desiderio di fuggire. “Non capisco” Scosse la testa, stringendo ritmicamente i pugni. “E non mi piace non capire

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    Non mi scuso per il ritardo perchè ME NE VERGOGNO TROPPO ç_____ç Però tu scusami lo stesso, e perdona il post schifo kiufd cioè sono una compagna di role terribile. ç__________ç
     
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    Daphne aveva sempre pensato di avere una certa abilità nel percepire ciò che le persone trasmettevano, inconsapevolmente o con coscienza. Si riteneva stupidamente "un'appassionata del genere umano". Conosceva pochissimo William Barrow, eppure stando al suo fianco percepiva sicurezza, e nonostante il suo aspetto forse potesse confondere, William ispirava fiducia. Era diffidente, ma con i tempi che correvano questo non poteva che essere un pregio. Probabilmente si fidava più di lui che di altre persone che le erano più vicine, probabilmente avrebbe sbagliato a fidarsi, perché alcune persone sapevano nascondere molto bene i propri lati oscuri. Ma non era il caso di William, non quel giorno, lo sentiva. Una volta penetrati nell'edificio Daphne aveva preso la propria bacchetta, come aveva fatto Will, ma si era resa conto subito che non ci sarebbe stato niente da cui difendersi e che se anche ci fosse stato, si stava nascondendo benissimo nel nulla. La prima parte dell'appartamento che apparve ai loro occhi, era spoglia, non c'era niente se non le mura solide e un po' scrostate che facevano da struttura. Per il resto, il vuoto e in silenzio soffocante - quasi quanto l'odore asfissiante di muffa - che avrebbe fatto venir voglia di urlare solo per romperlo, ma nel silenzio dovevano muoversi, per confondersi e mescolarsi tra quelle mura, come camaleonti incapaci di mimetizzarsi in altro modo. Non emise un fiato, rimanendo perfettamente in allerta. Nel piano terra non sembrava esserci nulla, ️l'ambiente era piccolo e perfettamente perlustrabile con lo sguardo. Non vi erano scale che collegassero ad un piano superiore, l'unica cosa che si distingueva dal resto, sembravano essere delle scale che conducevano a quello che doveva essere uno scantinato. Venne scossa da tremori, mentre alle spalle di William lo seguiva fino alla grande porta bianca, completamente fuori luogo rispetto al resto dell'appartamento in legno scuro. Non tremava per la paura, ma per il freddo che in quella zona della casa sembrava farsi sentire più di Londra all'aperto. Si guardò le spalle un paio di volte, prima di rendersi conto che forse stata diventando paranoica, ma in quel silenzio anche solo il rumore del proprio battito cardiaco sembrava sospetto. Una volta aperta la porta si erano ritrovati in uno scenario che di reale aveva poco, almeno secondo la logica. Erano stati trasportati al centro di Londra, in un parco che Daphne conosceva, ma che da bambina aveva frequentato poco perché suo padre, consapevole di aver attirato l'odio di gran parte della società magica, sposando una babbana, non si fidava a portarla così allo scoperto, preferendo vivere fuori dalla grande città, almeno per i primi anni di vita. La neve aveva ricoperto tutto, nonostante poco prima fuori non nevicasse, e Daphne poteva scorgere cambiamenti non poco evidenti in quel parco. I giochi non sembravano aver visto giorni migliori, erano nuovi, non più macchiati, e nemmeno mezzi distrutti come erano attualmente. Will ma cos...? Bloccò le parole sul nascere perchè William si era avvicinato ad un bambino sdraiato su una panchina, aveva gli occhi chiusi e sembrava dormisse mentre la neve ricopriva i suoi vestiti. Daphne stupidamente si domandò se non avesse freddo, e forse in una situazione più normale o meglio, reale, gli avrebbe offerto il suo giubbotto, ma niente sembrava reale al momento. Sembravano finiti in una realtà parallela, e se non fosse vissuta in quel mondo in cui tutto era possibile, ovvero se fosse stata una semplice babbana, probabilmente si sarebbe ritrovata sotto shock dopo aver scoperto che nello scantinato di una casa spoglia si nascondeva un parco giochi di Londra, che lei sapeva non potesse trovarsi in quella zona della città. Non che vederlo adesso, consapevole che troppe cose strambe succedevano ogni giorno, non le portasse una certa inquietudine, ma era minore. E si vedeva dal fatto che osservasse la scena sbalordita, o che avesse mollato la presa sulla bacchetta, che prima era salda in mano e adesso non scivolava via solo per miracolo. Qualcosa decisamente non va. #genio E anche lei odiava non sapere, un po perché essendo donna, ODIAVA non sapere le cose e basta e un po' perché, e forse soprattutto, avrebbero potuto trovarsi in una situazione potenzialmente mortale di cui non sapevano niente. E non voleva andarsene avendo fatto come ultima azione quella di impacchettare i genitori per spedirli in America, senza dargli spiegazioni. Non voleva morire e basta. Così si ricompose ma sentiva che stava perdendo William, che sembrava più sconvolto di quanto lei potesse essere, in particolare quando un uomo di mezza età aveva attirato la sua attenzione, lo aveva guardato come se lo conoscesse, sembrava davvero sconvolto di vederlo e Daphne osservo a lungo prima lui, puoi l'uomo, avvolto nel suo cappotto che si avvicinava al bambino, ma non badava a loro, quasi come non esistessero, come fossero dei fantasmi. Erano fantasmi. Guardandolo riconobbe una certa somiglianza con William, ipotizzò che fosse un parente, ma non sapeva molto della vita del ragazzo, perché lui non amava parlarne, sicuramente non con lei. La porta, c'era ancora? Voltandosi la vide lì, ondeggiare in mezzo al niente, come un accesso tra due mondi paralleli, e ancora più inquieta, si preoccupò di prendere il polso di William, sconvolto e seduto affianco a bambino e tirarlo verso di lei. La porta c'è. Lo informò, mentre mille domande affollavano la sua mente. Ma..chi era quell'uomo? Non lo domandò, perchè aveva paura che la porta sparisse, lasciandoli lì. Andiamo via, dai. Lo convinse a seguirla, certa che una volta oltrepassata quella porta sarebbero tornati nella casa spoglia di poco prima. Ed invece, varcata la soglia, sparirono nel buio. Erano stretti in un luogo angusto, e buio, ed era anche piuttosto imbarazzante. Sembravano immersi in una stoffa morbida, e faceva caldo, molto caldo! Daphne allungò le mani verso l'unico spiraglio di luce disponibile e aprì quelle che dovevano essere delle ante. Il luogo che li accolse fu completamente diverso dal luogo da cui erano arrivati. Era una camera di una bambina e loro erano appena usciti dal suo armadio. La stanza era particolarmente ricolma di peluche, ma a parte questo non era poi tanto femminile, non si distingueva per esempio per un "colore da bambina" - sempre che esistessero i colori per genere - era invece di un piacevole verde acqua, e in quell'ambiente Daphne riconobbe la sua camera, com'era stata almeno dieci anni prima, prima che lei stessa la distruggesse, letteralmente, in un momento di crisi adolescenziale. Il clima era totalmente diverso da quello che si era presentato loro nel parco giochi. Il caldo afoso faceva sospettare che fossero in piena estate. Ma... Questa è la mia camera. Mormorò a William con voce tremante, voltandosi verso di lui con espressione che non nascondeva nostalgia, mista a paura. Non poteva crederci davvero, come era possibile? I suoi peluche erano tutti li, presenti come erano stati al tempo, ed erano bellissimi. Rivedere tutti i suoi oggetti di quando era bambina la scombussolò più di quanto avesse mai creduto. E si commosse, ma trattenne le lacrime quanto poté, perché odiava che la vedessero piangere, la riteneva un'emozione intima e quasi se ne vergognava, come se piangendo avrebbe messo a nudo ciò che era. Accarezzò un peluche sul letto e si diresse alla finestra, dopo aver udito delle voci al di fuori. Il paesaggio era campestre, perché lei aveva vissuto in campagna, appena fuori da Londra, per tutta l'infanzia, e tutte le estati. William forse stiamo morendo. Disse, poggiando una mano sul pianerottolo della finestra, senza riuscire a trovare un'altra giustificazione a quello strano viaggio. Si diceva che ad un passo dalla morte la vita gli ripassava davanti agli occhi, quindi forse stavano davvero morendo. Prima di rivoltarsi verso la finestra lanciò a William uno sguardo curioso, per capire se si fosse ripreso da quello che poco prima le era sembrato uno shock. Chi era quel tizio? Domandò curiosa, prima di perdersi a guardare sè stessa, fuori dalla finestra, giocare in mezzo al fango. Sorrise, perché adesso non lo avrebbe mai fatto, e si rese conto che in quel momento il fantasma non era lei, ma quella bambina. Che probabilmente non esisteva più da un pezzo.
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    «Non si può scegliere il modo di morire. E nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora.»
    Era innaturale. Era sbagliato. Percepiva sulla pelle il freddo che sentiva quel ragazzino, percepiva negli occhi le lacrime che a breve avrebbero punto quegli stessi occhi, troppo chiari e leggeri perché ci fosse qualcosa di giusto. La carnagione, al gelo invernale, tendeva al bluastro, rendendo l’epidermide del bambino se possibile ancora più sottile, trasparente. Invisibile, qualcosa che non gli era affatto nuovo. Quand’era piccolo, William era il figlio trofeo: apaticamente e passivamente mostrava la serietà che un bambino non avrebbe mai dovuto avere, di fronte a tronfi amici del padre, i quali non trovavano nulla di meglio da fare che congratularsi con Simon per l’ottimo risultato raggiunto. “Non piange mai” Diceva. “Non fa mai i capricci” Diceva. “Non disubbidisce mai” Diceva. Ma era ben attento a tacere il perché: la disciplina come la intendeva Barrow Sr, Mangiamorte o non Mangiamorte, non era ben vista da nessun genitore. Avere degli ideali corrotti, non significava necessariamente essere dei mostri. Simon lo era, un mostro. Ed i mostri peggiori sono quelli che di giorno sorridono, e ti stringono la mano, e si complimentano con i vicini per il preciso taglio delle siepi.
    Will voleva andarsene. Will voleva rimanere, voleva fare qualcosa. Strinse i pugni ritmicamente, percependo solo con una lontana parte di sé stesso ciò che Daphne gli stava rispondendo. Cercava di concentrarsi solo su di lei, ma quella era una distrazione contro cui non poteva combattere. Non era la farfalla sul muro quando, libro sotto mano, ad Hogwarts preparava una verifica per il giorno dopo. Era quel genere di distrazione che ti strappa, e ti attira, e ti ingloba e ti risputa in quell’anfratto dimenticato dal Signore chiamato ricordo. Quel retrogusto di rimpianto, quello sfiorare una cicatrice sapendo di non poter evitare la ferita. “Andiamo via, dai.” William non voleva seguirla. Spettatore di un incidente, voleva assistere al momento dell’impatto. Vittima dell’incidente, voleva chiudere gli occhi finchè non fosse finito. Si lasciò trascinare via dalla Whiteley, mentre il bambino si alzava a sedere sulla panchina, senza nemmeno spazzolarsi la neve dagli abiti. Non aveva bisogno di guardare per sapere cosa sarebbe accaduto.
    Foto. Sangue. Il volto di un bambino dagli occhi troppo scuri e dal sorriso grande. Una sciarpa azzurra sporca di cremisi, come inchiostro indelebile su una pergamena immacolata. Un babbano, di cui i genitori non avevano più memoria. Un nome: Christopher. Il suo migliore amico, quando pensava di essere solo al mondo. Sicuramente non un pargolo degno di condividere pomeriggi con un Purosangue, con un Barrow avente il pedigree; non degno di condividerne un parco giochi abbandonato. Una lezione, più per Will che per Chris, pedone di una scacchiera dove il Re non avrebbe mai subito scacco matto. O almeno, così il Re pensava, prima di essere messo all’angolo da un’altra pedina: suo figlio.
    Caldo. Vestiti. Inarcò le sopracciglia, cercando di buttare in un angolino quel suo lato che era rimasto incastrato su quella panchina. “Se volevi giocare a sette minuti in paradiso, bastava dirlo” biascicò, una volta che uscirono da quello che, a tutti gli effetti, era un armadio. Ricordava una vecchia storia, dove un armadio portava dei ragazzini in un regno completamente diverso, innevato, come quello da cui erano appena usciti loro. Ma quella, si poteva star certi, non era Narnia. “Ma... Questa è la mia camera” Si guardò attorno, senza in realtà prestare attenzione ai dettagli. Gli parve un invasione della sua privacy, non voleva ficcanasare. Ok, non voleva ficcanasare perché non voleva che lei facesse lo stesso con lo scheletro nel suo armadio. Cercò di essere razionale: ci provò, davvero.
    Erano entrati a casa di Bastièn. Una porta di fattura moderna, bianca e dalla maniglia argentata. Oltre la soglia, un inverno di troppi anni prima, un William ancora innocente, una neve sempre bianca. Le spiegazioni potevano essere diversi, e la maggior parte riguardava l’uso di sostanze stupefacenti. Una doga avrebbe potuto portarli ad un’allucinazione collettiva, Will lo sapeva. Ma quello era stato un ricordo, non una deformazione di una realtà esistente. “Immagino che tu non abbia una giratempo nascosta sotto la maglia, e immagino anche che nessuno di noi due abbia immerso la propria faccia in un pensatoio. Ma, se sbaglio, correggimi pure” Fece spallucce, avvicinandosi alla finestra. Lanciò un’occhiata in basso, dove il prato non più così verde sorrideva ad un cielo troppo terso. “William forse stiamo morendo” Trattenne il respiro, lanciandole un’occhiata scettica. La sua mente elaborò in fretta una risposta che confutasse quanto Daphne avesse appena detto: come soleva ripetersi, Corvonero una volta, Corvonero per sempre. Si portò due dita sulla carotide, facendo lo stesso alla ragazza. Aspettò un minuto, prima di risponderle, e nel frattempo osservò anche il diametro delle sue pupille. “Le nostre funzioni vitali sembrano stabili” Si diede un pizzicotto sul braccio, e fece lo stesso a lei senza chiederle il permesso. Ehi, era a scopo scientifico. “Io sento il dolore, quindi non è un sogno. Non capisco. In un’altra vita ti direi che certe cose sarebbe meglio non capirle, e viverle. Ma questo” Indicò la stanza, inarcando le sopracciglia. “Questo mi sta mettendo una fifa assurda.” Ammise la propria paura, perché sarebbe stato sciocco e superfluo non farlo. Non aveva senso. Non riusciva a trovare uno scopo a quella passeggiata nel viale dei ricordi, e se non trovava un fine, non riusciva a stare bene con sé stesso. Le cose non succedevano perché fosse arrivato il loro momento, o perché fosse giusto: aveva imparato in fretta che le cose accadevano solamente per permettere a qualcos’altro di avvenire, una partita a domino lungo quanto una vita. “Chi era quel tizio?” Non ebbe un fremito, non sussultò alla sua domanda. Il respiro rimase irregolare, mentre anche i suoi occhi erano stati catturati dalla bambina nel fango. Curioso, le sembrava di averla già vista. Sciocco, aveva quella stessa bambina davanti agli occhi, anche se più grande. Era ovvio che l’avesse già vista. Scrollò il capo, sia per la domanda che per l’assurda sensazione di deja vu. “Un poco di buono, probabilmente. Magari un senza tetto” Mentì, facendo spallucce. Con naturalezza, dato che ormai la menzogna era diventata la sua verità. Una bugia inutile, perché quell’uomo non aveva niente del barbone: Barrow Senior poteva essere definito in tanti modi poco carini, ma clochard non era fra quelli. “Vieni via. Pensavo che magari potremmo tornare a casa di Bastièn, e da lì vedere se lo scantinato ci riporta a .. casa” Si grattò la nuca, pensieroso. Sapeva che sarebbero usciti da quel perverso incubo, solo che ancora non sapeva come. E quella era l’unica soluzione che gli fosse venuta in mente. Le fece cenno di allontanarsi dalla finestra, mentre lui posava la mano sul pomello dell’unica porta presente nella stanza. Ebbe un breve tentennamento: una porta li aveva trascinati prima nei suoi ricordi, poi in quelli di Daphne. Perché quella avrebbe dovuto essere diversa? E al contempo, perché no?
    Buttò fuori l’aria. Spinse.
    Un odore fuori posto. L’aveva sempre pensato: tutti gli ripetevano che in ospedale i mali venivano curati, ma lui aveva sempre sentito puzza di morte, di malattia. Quell’azzurro, anziché essere confortante, faceva sembrare i corridoi molto più larghi, infiniti. I dottori in camice bianco, dopo gli Esperimenti di cui era venuto a conoscenza, gli mettevano ancor più i brividi. Ma quelli erano babbani, perché riconosceva la dottoressa Rodriguez, china su un lettino troppo grande per il suo ospite. Sette anni, capelli spettinati, una brutta benda su metà del viso. Il labbro tumefatto e gli occhi spezzati, dentro, dove nessun chirurgo avrebbe potuto arrivare. Un braccio ingessato, e spesse fasce proseguivano fin dietro la schiena. Il suo capezzale era vuoto. Solo quegli occhi tristi, quel sapore di rame in bocca, quel fiele nelle vene. Ebbe un brivido. “Andiamocene. L’ospedale è ancora più vicino rispetto a casa tua, a casa di Bastièn. O perlomeno non è smarrito nel bel mezzo della campagna” Accennò un mezzo sorriso a Daphne, anche se sentiva le mani gelide e sudate. C’erano troppi segreti, troppe cose non dette di William Barrow. Estrasse una sigaretta e l’accese sfregando un cerino sulla scatola dei fiammiferi: era un ospedale, non era igienico ed era vietato. Ma era un fottuto fantasma nel suo fottuto passato, quindi fanculo le regole.
    E poi arrivò una barella, ed il lettino vicino a quello di Will venne occupato da una bambina. Oh, dei del cielo. "Cazzo" Sbottò senza fiato, incapace di trattenere quell'imprecazione che, in sole due sillabe, riusciva a riassumere l'intera, impossibile, situazione.
    Quella bambina era Daphne.



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    Daphne odiava il passato, i ricordi e tutto ciò che circondava 'ciò che era stato'. Non passava ore a piangersi addosso e morire perché il passato era andato, ma se poteva, evitava di pensarci. Da una parte il passato era ciò che formava una persona, un bagaglio di ricordi accessibili più o meno facilmente, dall'altra risultavano bellissimi spettri senza più consistenza, non più avvicinabili, e sostanzialmente inesistenti. Il passato non esisteva più ma scivolava sulle vita presente, vestendola di luci differenti. Le luci che rivestivano Daphne erano belle e splendenti, perché aveva avuto un'infanzia felice, senza tragedie e pressochè perfetta. Ma quell'infanzia non esisteva più ed era una cosa deprimente. Non aveva la sindrome di Peter Pan e non avrebbe scambiato i suoi vent'anni per niente al mondo, solo forse rimpiangeva un po' l'ingenuità che aveva perso e la capacità di vedere il lato positivo di ogni cosa, la possibilità di perdonare un torto subito senza lasciarsi divorare dal senso di vendetta. Rimpiangeva la spensieratezza che era possibile trovare solo nei bambini, non in tutti magari, ma in lei di sicuro. E William? Non le era sembrato poi tanto spensierato, su quella panchina. Preferiva rimanere sdraiato sulla neve, invece che giocarci, preferiva rimanere solo invece che stare con altri bambini. Ciò non significava che era triste, ma forse aveva un po' più pensieri rispetto ad altri bambini, sicuramente nè aveva avuti più di lei. Non so se sia peggio essere vivi ma impazziti, o essere sani ma sul punto di morte. Commentò dopo che William, con un pizzico sul braccio, aveva constatato che non si trovavano in un sogno e tutto era reale. Non esistevano vie di mezzo, sfumature che potessero spiegare sulla situazione. Ad entrambi sfuggiva un tassello fondamentale per capire i meccanismi di ciò che stava accadendo. Annui quando William propose di tornare a casa di Bastien da casa sua, riattraversando Londra. Magari poteva essere una soluzione. Un'ennesima porta, quella della sua camera, e un nuovo ambiente che sicuramente non era il corridoio di casa sua. C'era un corridoio si, ma il colore azzurro delle pareti e i vari disegni sopra di essere faceva pensare ad un reparto di pediatria o qualcosa di simile. La prima cosa che la colpì, oltre le pareti colorate, fu l'odore di pulito e sterile, molto simile a quello della malattia, che le colpì l'olfatto. Siamo finiti nel Cubo commentò tra sè considerando l'assurdità di quella situazione. Nel film il Cubo i protagonisti morivano in modo tragico, ma per adesso, a loro non sembrava spettare quella sorte. Sbirciò nella camera più vicina al punto in cui si erano ritrovati e trattenne un sussulto riconoscendo sua madre, con almeno dieci anni di meno sulle spalle, meno rughe e espressione serena, che nel corridoio appena fuori dalla stanza in cui era stata portata una barella, parlava con un'infermiera. Ma certo, riconobbe quella bambina e quel pijama a pois che le era stato regalato da sua nonna tanti anni prima, riconobbe il suo viso da bambina, ancora semi incosciente per l'operazione appena subita. Nel letto affianco al suo, un bambino, con l'aspetto camuffato dalle numerose bende che all'epoca non le aveva suscitato particolari pensieri se non ️la curiosità di scoprire cosa gli fosse accaduto. Ma adesso, guardandolo bene in quel bambino non vedeva solo uno sconosciuto un po' sfortunato, ma qualcosa di più. Rivedeva lo stesso bambino della panchina del parco, un po' più ammaccato. Possibile che avesse conosciuto William Barrow anni prima e non lo ricordasse? Ma certo che era possibile, erano passati dieci anni da allora, erano successe tante cose, alcune delle quali di importanza vitale, come la resistenza e la lotta costante contro quello che lei definiva il male. Eppure non riusciva a trovare in quei bambini anche solo la parvenza di ciò che erano ora, cresciuti, più forti e con esperienze alle spalle da capogiro. Vedendo quel bimbo ricoperto di bende, chi avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato ad essere a capo di un gruppo di Ribelli al governo? E vedendo sè stessa, con quel pijama a pois e l'espressione ingenua, avrebbe mai pensato che avrebbe insegnato Corpo a corpo ad ️Hogwarts? Mi avevano tolto le tonsille, ricordo perfettamente Rise nervosamente, perché nonostante tutto tornare indietro di tanti anni e rivivere determinate scene la rendeva terribilmente nostalgica, davvero tanto. C'era un motivo per cui non riguardava mai i vecchi album di ricordi di sua madre, vedere il suo passato l'angosciava come poche cose. Ricordo anche te Will... Il compagno di stanza e giochi per tre giorni, e il suo nome Will, solamente Will. Non lo avrebbe mai potuto ricollegare a William Barrow, ma adesso tutto sembrava più chiaro. Avevano appurato di essere vivi e svegli, e che non stavano morendo, ma qualcosa non tornava comunque, perché qualcuno o qualcosa stava giocando con le loro vite, e questo era pericoloso. Esisteva un filo logico che spiegasse perché stavano rivivendo insieme quei ricordi? O forse tutto era affidato al caso? Daphne era dell'idea che niente fosse casuale e che qualsiasi cosa avesse una spiegazione, la parte difficile era trovare un perché alle cose, anche quando queste risultavano assurde.
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    «Non si può scegliere il modo di morire. E nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere. Ora.»
    Will rimase qualche altro secondo a guardare quel bambino. Era così fragile, bianco quanto le bende che lo avvolgevano. Così sottile, così spezzato. E, sotto le palpebre abbassate, sapeva che avrebbe trovato due opachi occhi azzurri dall’aria assente e dimessa, schiacciati sotto al peso dell’ombra di Simon Barrow. Non poteva fare niente per quel ragazzino, ma l’avrebbe fatto: la Resistenza era per quelli come lui, una battaglia che contava di porre fine a quei soprusi. Ricordava quasi fosse accaduto il giorno prima: la cinghia di suo padre sulla pelle, cicatrici sopra altre cicatrici, le lacrime che pungevano sotto le ciglia nere. Non era mai stato abbastanza per suo padre: avrebbe avuto l’intera eredità dei Barrow, eppure non era degno di portare nemmeno il cognome. Una vergogna, e non gliel’aveva mai nascosto. Non provava rammarico, quando ricordava lo sguardo vitreo di suo padre, quando udiva il rumore secco del suo corpo che colpiva il pavimento. Nessun senso di colpa lo teneva sveglio la notte. Era stato il suo primo omicidio, qualcosa che avrebbe dovuto lasciare il segno. Avrebbe dovuto perderci l’anima, Will, e invece gli era parso di averla finalmente conquistata, come se fino a quel momento Simon l’avesse tenuta chiusa in quell’anfratto buio che osava definire cuore. Strinse i pugni, desiderando con tutto sé stesso di avvicinarsi a quel giovane Will, di accarezzarlo, promettergli che le cose sarebbero cambiate. Che lui le avrebbe cambiate, perché anche se ancora non se ne rendeva conto, aveva il potere di farlo. Ma non poteva: era consapevole che quel viaggio nel viale dei ricordi era a senso unico, e anche se avesse potuto interagire, avrebbe rischiato di cambiare il corso della storia. Non poteva permetterselo. “Mi avevano tolto le tonsille, ricordo perfettamente” Ma non riusciva a ridere, William, mentre seguiva lo sguardo di Daphne verso la sé più giovane. Non riusciva ad allentare la tensione che lui stesso aveva creato, con il solo trattenere il respiro. Non poteva: quello era il centro di tutto, il motivo per il quale aveva cominciato a lottare, il motivo che l’aveva reso William Barrow. Nemmeno lui, che ironizzava su tutto, riusciva a strapparsi un sorriso. Aveva il cuore a brandelli, e solo tacendo ed aspirando il fumo dalla sigaretta riusciva a percepirlo intatto. Ricordandosi che era cresciuto, che su quella pelle disfatta aveva disegnato la sua storia. “Ricordo anche te Will..” Fece spallucce, sfiorando con lo sguardo le pareti asettiche dell’ospedale. Morbosamente avrebbe voluto continuare a fissare il ragazzino, ma si impedì di farlo. “Ero caduto dallo scivolo” Mentì con naturalezza, lasciando cadere la cenere sul pavimento lucido. Non erano realmente lì, quindi non avrebbe fatto alcun danno. Nemmeno li vedevano. Aveva imparato che il trucco, quando si diceva una bugia, era pensare ad altro. Parlare sembrando sovrappensiero, come se la cosa non avesse alcuna rilevanza. Ed il dolore si faceva più attutito, quando la menzogna solleticava la lingua. Più leggero, più distorto, meno reale. “Andiamocene” La incitò nuovamente, percorrendo a passo spedito il corridoio. Non ti girare, Will. Si ripetè ad ogni passo. Non ti girare. Ma quando poggiò la mano sulla maniglia antipanico, che li avrebbe lasciati liberi di percorrere le scale anti incendio fino a terra, dovette girarsi. Lanciare un ultima occhiata a quel bambino, abbandonato al suo destino dalle persone che l’avevano messo al mondo. Masticato e sputato dalle persone che avrebbero dovuto prendersi cura di lui. Perché faceva ancora così male?
    Spinse sulla maniglia verde, socchiudendo le palpebre all’improvviso cambio di luce. Il sole brillava alto nel cielo, troppo. Innaturalmente. E sotto ai suoi piedi non c’erano delle scale anti incendio, ma un viale sgualcito da troppi passi. “Daphne, non credo…”
    Ma Daphne non c’era più, così come la porta alle sue spalle. Il cuore batteva con forza contro le costole, costringendolo a respirare con più lentezza, accumulando con parsimonia sull’ossigeno in circolo. Dov’era la Whiteley? Perché non era dietro di lui? Non era solo preoccupato per lei, era anche fottutamente terrorizzato per sé stesso. Il luogo in cui si trovava era… strano. Era Hogsmeade, ma non la Hogsmeade del suo passato né quella del suo presente. Era desolata, e distrutta, e… “Hai due falci?” Un uomo dalla barba lunga e gli occhi lucidi di alcool gli si era piazzato davanti, la mano sporta in attesa di un denaro che non sarebbe arrivato.
    Aspetta.
    “Mi vedi?” Chiese stupidamente, molto poco da Corvonero. Ovvio che lo vedeva, altrimenti non gli avrebbe chiesto dei soldi. Allungò la mano, sfiorando gli stracci del vecchio. Rabbrividì. Cos’era successo? All’ospedale, nel parco, a casa di Daphne, non erano riusciti ad interagire con nessuno. Diavolo, nessuno era mai riusciti a vederli. Cos’era cambiato? E dov’era finito, per l’amor del cielo? L’uomo annuì, inclinando il capo. Non doveva essere particolarmente paziente, perché si avvicinò di un altro passo. Preoccupato, Will estrasse la bacchetta puntandola nella sua direzione. Non era cattivo, Will, non avrebbe voluto fargli del male. Sempre che non fosse stato necessario: era buono, non stupido, e voleva sopravvivere per tornare a casa. Il suono strozzato che uscì dalla gola dell’uomo, e il modo in cui indietreggiò, gli fece temere di avere davanti un babbano difettoso. Ma era impossibile, il governo non avrebbe mai lasciato un babbano in quelle condizioni, era sotto la loro responsabilità. “T-tu... sei uno di loro” Uno di loro? Nella fretta con cui indietreggiò, il vecchio inciampò nei suoi stessi piedi. Barrow non stava davvero comprendendo, di cosa stava parlando per il Diavolo? “Aspetta, cosa?” Domandò, cercando di rincorrerlo. Ma, per Merlino, l’uomo correva veloce. L’aveva perso di vista, ed era strano: strutturalmente non era cambiato molto da quando lui conosceva la cittadina, eppure… era diversa. E si prese qualche secondo per guardarsi intorno: non era solo il luogo ad essere cambiato, ma le persone. Erano diverse. Perché erano diverse? Ed i negozi. E le urla strozzate. Nemmeno sotto il regime Diagon Alley era in quelle condizioni. Gesù carissimo, dov’era finito? Per caso, la prima pagina del Vanity Witchcraft si incastrò sotto il suo piede. Non riconobbe la foto dell’uomo in copertina, che sorrideva con orgoglio alla fotocamera. Il che, davvero, stava cominciando a diventare inquietante. Senza nemmeno sapere il perché, l’aveva preso fra le mani.
    2078. Doveva essere uno scherzo, e di cattivissimo gusto. Non era per niente divertente. Si aspettava che da un momento all’altro spuntasse qualcuno, lo prendesse per le spalle e ridesse alle sue orecchie dell’espressione sconvolta che, sicuramente, vantava in quel momento. Ma non immaginava nessuno con un senso dell’umorismo così inquietante. E non c’era Daphne. Era da solo nel fottuto 2078? Come tornava a casa? E perché proprio quella data? Impossibile che fosse ancora vivo, davvero: nelle migliori delle aspettative, sarebbe morto a quarant’anni. Si rintanò contro il muro, in modo da avere almeno un lato coperto, e cominciò a guardarsi attorno.
    Doveva uscire da quella criptica bolla spazio temporale, e tornare a casa. Una volta che avesse scoperto l’artefice di quel gioco, oh, gliel’avrebbe fatta pagare. Anche se, una parte di William, continuava ad essere convinta che fosse uno scherzo. Non era possibile viaggiare nel tempo senza una giratempo. A meno che… ma no, non era possibile, e non aveva alcun senso. Perché io, Merlino, perché?


    winston,©
     
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