So you can see the way I feel it too

Evan

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    Shane Howe (ANIMAGUS = LUPO)
    slytherin • 17
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    Gli ultimi giorni ad Hogwarts erano stati devastanti, per un sacco di motivi di cui Shane aveva perso il conto ormai. Il fatto fondamentale era che, finalmente, era riuscito a trasfigurarsi in animale. Era non ufficialmente - non avendo ancora fatto visita al Ministero della Magia - un Animagus, e il suo aspetto era un bellissimo Lupo bianco come la neve, con occhi verdi, del colore che avevano i suoi in forma umana. Si era visto riflesso nell'acqua del Lago Nero quella mattina, si era ammirato a lungo, cosa che mai avrebbe fatto in forma umana, dato che evitava gli specchi come la morte. Aveva saltato tutte le lezioni e aveva deciso di fare un giro per i boschi che circondavano la scuola. Stava benissimo. Aveva quasi intenzione di non riprendere più la sua forma umana, ma sapeva che per il momento era impossibile. Essendo un'abilità appresa da poco, non riusciva ancora a gestirla bene e la sua trasformazione durava circa due ore. Poi volente o nolente si ritrasformava in umano e non importava in quale luogo si trovasse, o cosa stesse facendo, ritornava umano. Non poteva permettere che qualcuno scoprisse questa sua nuova identità, doveva essere prudente. Dopo la trasformazione era spossato, stremato, distrutto e non riusciva quasi a muoversi, quindi doveva stare attento a non fermarsi troppo a lungo all'aperto, perchè se fosse tornato umano troppo lontano dal castello, non sarebbe riuscito a tornarci sulle proprie gambe.
    Altro fatto rilevante era che la spossatezza data dalla trasformazione, si associava spesso alla stanchezza datagli da Thanatos, quel dannato pugnale presente nella sua vita da qualche mese. La parte negativa di tutto ciò non era il fatto che fosse stanco, ma che a causa della stanchezza, non riusciva più a difendersi dalle prepotenze dei ragazzi ad Hogwarts, quindi i giri in Sala torture in alcuni periodi in partcolare, - cioè quando aveva i "cali" dovuti al pugnale - erano diventati la routine, come se fosse tornato indietro di almeno cinque anni. Questo fatto lo aveva reso rabbioso, se possibile più di quanto già non fosse. Sentirsi debole lo faceva soffrire, non riuscire a difendersi per lui era una cosa impensabile da un po' di anni ormai. Dopo aver superato Anjelia Queen, che dai sette agli undici anni lo aveva torturato e privato di qualsiasi cosa un bambino avrebbe meritato, non poteva permettere ad altri di mettergli le mani addosso, nemmeno per sbaglio. Ricordare il dolore delle torture faceva malissimo, non per la tortura in sè, ma perchè si era dimostrato debole. Gli faceva ribollire il sangue, lo spezzava in due e lo ricomponeva al contrario. E poi, allo stesso tempo, aveva un altro problema a cui pensare, e questa volta aveva anche un nome, un nome del cazzo, magari, ma ce l'aveva: Jason Maddox. Il ragazzo aveva deciso che Shane doveva aumentare le dosi giornaliere che gli forniva, se davvero voleva uscire tre notti a settimana dal castello. Jason non gli aveva mai domandato cosa diavolo andasse a fare Shane alle tre di notte fuori Hogwarts, probabilmente non gliene freva molto, ciò che a lui importava era la droga, solo quella. E finchè Shane avesse avuto necessità di uscire dal castello, per evitare di morire nel proprio letto, ucciso da quel pugnale, avrebbe dovuto sottostare alle richieste di Jason, che altrimenti gli avrebbe messo i bastoni fra le ruote con chi si trovava più in alto di lui. Shane aveva pensato tante volte di farlo fuori e basta, senza troppe cerimonie, ma essendo Prefetto avrebbe attirato su quell'omicidio troppe attenzioni. E... difficile a crederci, non gli andava a genio il fatto di uccidere una persona con cui aveva parlato anche solo un paio di volte, si limitava sempre in questi casi, preferendo assassinare sconosciuti. Non che il peccato fosse meno grave, si trattava pur sempre di omicidio, ma forse era solo meno grave per la sua coscienza. Uscito dal grande portone di Hogwarts percorse l'ampio cortile, a malapena illuminato dal sole che stava tramontando.
    3biF51o
    Fuori dal cortile penetrò nella foresta oscura, dove potè trasformarsi in Lupo, così sarebbe arrivato più velocemente alla Stamberga. I suoi acciacchi erano comunque presenti anche sottoforma animale, ma sembrava sentirli di meno. Iniziò a correre in direzione nord ovest, andando ad una velocità che sarebbe stata impossibile raggiungere da umano, un'emozione unica! I suoi occhi erano attenti su tutto ciò che lo circondava, ma soprattutto sulla meta, la Stamberga strillante. Si diceva fosse infestata da fantasmi, ma al suo interno, Shane si aspettava di trovare solo Evan Devereux, suo ex compagno Slyetherin che aveva abbandonato Hogwarts prima dei M.A.G.O e si era dato alla pasticceria - per quale motivo, Shane non poteva certo saperlo, anche se avrebbe voluto chiederglielo - Non che avesse chissà quale rapporto con lui, ma avevano passato insieme due anni di scuola e anche se non glielo avrebbe mai detto, rivederlo non gli dispiaceva. Doveva incontrarlo per un motivo in particolare, non solo per rimembrare i vecchi tempi. Evan aveva tra le sue "riserve erboristiche", un tipo di pianta che Shane avrebbe a sua volta ripiantato e che gli sarebbe stata utile per i suoi intrugli. Arrivò in poco tempo al Villaggio di Hogsmeade, nel quale fortunatamente non era attivo l'incanto gnaulante, essendo ancora giorno, ma sarebbe dovuto rientrare prima del copricuoco per evitare la sentinella. Arrivato alla soglia della struttura semi distrutta e cadente della Stamberga indugiò un attimo sulla porta, poi si mise seduto a terra e riprese forma umana. Almeno adesso aveva i vestiti addosso! La prima volta che si era trasformato, qualcosa era andato storto - o forse lui non era stato abbastanza abile, essendo inesperto - ma si era ritrovato nudo come un verme, imbarazzante, soprattuto per il fatto che la Caposcuola Slytherin l'aveva beccato al momento sbagliato, già.
    Si sistemò la t-shirt nera, che chissà come, durante la trasfigurazione si gli si era arrotolata al petto. Il suo viso aveva visto giorni migliori, un profondo squarcio partiva dalla clavicola destra, al di sotto della t-shirt, per arrivare fino all'angolo della bocca, se passava la lingua sopra il taglio poteva ancora sentire il sapore ferreo del sangue. Il ricordo della Caposcuola che si divertiva con lui bruciava più del taglio stesso, doveva ritrovare le forze! Entrato dentro la Stamberga, barcollò fino al divano sfondato in una delle tante stanze, e vi si buttò sopra poggiando la nuca sul poggiatesta del divano, per guardare il soffitto. Era stanco, troppo stanco e comunque Evan non sembrava ancora arrivato, a meno che non si fosse nascosto, cosa altamente improbabile. Chiuse gli occhi, magari aveva il tempo per una dormita...


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    Edited by s h a n e - 18/6/2014, 21:39
     
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    Neutrale • 17 • In love with a Cupcake
    EVAN DEVEREUX


    Aveva contato fino a tre, prima di immergere il viso nel lavandino ricolmo d’acqua. Aveva atteso che il freddo pungente desse sollievo alla sua pelle accaldata e che le bolle d’aria sfuggite alla sua bocca scoppiassero raggiungendo la superficie. Poi, si era costretto ad aprire gli occhi.
    Bianco.
    Alla necessità di riempiersi i polmoni di nuovo ossigeno, aveva risposto facendo leva sulle mani strette con forza contro il bordo del sanitario. Si era ritrovato così, ansimando, a seguire con lo sguardo due rivoli gemelli di gocce d’acqua che, abbandonando il suo viso, andavano ad esplodere contro la ritrovata tranquillità della pozzanghera sotto di sé. Solo dopo alcuni minuti si era deciso a prendere un asciugamano a strofinarselo addosso con decisione. Incombenze estranee alla sua attività, le prime da settimane, lo aveva spinto ad uscire dal Red Velvet molto prima dell’orario di chiusura, lasciando che a gestirlo fosse il suo assistente. Era riuscito, in poco tempo, ad avviare un’attività solida, sfruttando l’unica cosa che la sua famiglia gli avesse mai dato: soldi.
    Con la morte di suo fratello, lui, maggiorenne, aveva ereditato, come da volontà paterna, anche il suo patrimonio, ritrovandosi troppo ricco per poter definire con precisione i limiti dei suoi possedimenti. Sapeva d’avere una casa da qualche parte in Francia ed era a conoscenza di possedere ben due camere di sicurezza alla Gringott. In tutto questo sua madre, che con la sorella si spartiva le ricchezze dei Blackstone, non era più un ostacolo. La morte di Aaron aveva messo fine ad ogni possibilità di discussione.
    Aveva lasciato Hogwarts, comperato un edificio su più piani a Diagon Alley e messo insieme una squadra efficiente di collaboratori. Un Maître Pâtissier di fama, con due apprendisti al seguito, un barman, un paio di commesse qualificate e una squadra di elfi domestici. I suoi compiti erano prettamente amministrativi e direttoriali: si occupava del servizio di spedizione, delle assunzioni, della compera delle materie prime e della strumentazione necessaria. Oltre a ciò, stabiliva quali dolci dovessero essere prodotti, assaggiando ogni nuova proposta, e collaborava, nel tempo libero, nel laboratorio, per quello che le sue abilità gli permettevano. Complessivamente, ne era fiero. Impegnarsi in qualcosa di fisico teneva la sua mente sgombra da ogni genere di pensiero: desiderio di vendetta o rimorso che fosse.
    Nonostante ciò, sapeva che il suo era solo un “rimandare”, non un “risolvere”: aveva lasciato troppe cose in sospeso, limitandosi a fare le valige e ad andarsene. Tra le cose che più lo tormentavano e che, nonostante tutto, non riusciva a scacciare, vi era la situazione lasciata nel dormitorio degli Slytherin. Con la morte di Callaway, loro Direttore, e la sua fuga, la sua Casata era andata incontro ad un ovvio vuoto di potere. I suoi compagni, soprattutto i più piccoli, si sarebbero trovati indifesi dinnanzi alla follia della Sala delle Torture. Dubitava, infatti, che Sales fosse abbastanza lucido da pensare a qualche giovane Serpe ed era piuttosto convinto che la Grimm, rinomata per il suo gusto sadico, non si sarebbe battuta, come invece aveva fatto lui, per evitare punizioni ingiustificate.
    Non tutti gli eredi di Salazar, a differenza di quello che si poteva credere, erano capaci di difendersi da soli. Avrebbero appreso come farlo, con il tempo, ma alcuni erano semplicemente troppo giovani.
    Per questo, allo scattare delle cinque, era uscito dal suo locale, diretto verso casa.
    Chiamava “casa” un appartamento di recente costruzione, pregno ancora dell’odore della vernice bianca, e ancora poco arredato. Minimal. Dall’armadio della propria camera da letto, aveva preso una canottiera nera ed i pantaloni di una tuta, bramoso di sfogare un po’ d’ansia nella fatica e bisognoso di raggiungere il farmacista al parco.
    Recuperare il rapporto con questo, dopo che lo aveva scoperto in una pozza di sangue, non era stato semplice. Un briciolo di sincerità, però, aveva aiutato a fare leva sul suo cuore troppo gentile. Era riuscito a convincerlo del buon fine delle sue azioni e a farsi aiutare nel recupero dell’ingrediente di cui Howe, suo punto di accesso alla scuola, aveva bisogno. Per questo, non aveva affrettato la loro corsa quotidiana, sinceramente interessato alla compagnia dell’uomo e alle loro chiacchierate vuote. Splendidamente vuote, senza arzigogoli filosofici od etici alle spalle.
    Cosa hai fatto ieri sera? Che dolce mi consigli di assaggiare? Posso venirti a trovare domattina?
    Evan, con il tempo, aveva capito d’aver bisogno di tutte quelle piccole cose, della futilità. Si era stancato dei dilemmi più grandi di se stesso, degli arrovellamenti e dei soliloqui interiori. Nel cammino che aveva deciso di intraprendere verso il Nirvana, non c’era più spazio per il tormento. Non c’era più spazio per sua madre, né per la lotta della Resistenza. C’erano solo lui, i dolci, le corse al parco e i respiri profondi nell’oceano della libertà. Ed un briciolo d’amore, diviso tra sua cugina Essence, l’unica parente a cui tenesse, e Haze.
    Sudato e arrossato, ma più in forma di quanto fosse da anni, il giovane Devereux si era separato dal suo compare, in quell’istante anche spacciatore, con un abbraccio sotto casa. Inizialmente, quel contatto, sebbene i due avessero fatto sesso, gli risultava di difficile sopportazione. La nuova routine, però, lo aveva reso, alla fine, usuale. Normale.
    Si guardò nello specchio. Aveva solo un paio di boxer addosso e profumava di shampoo e bagnoschiuma. Con il viso finalmente asciutto. Le sue occhiaie erano meno marcate, ma non erano più causate dai crampi allo stomaco che lo tenevano sveglio la notte, bensì dai troppi impegni lavorativi. La sua pelle, poi, era meno pallida, non solo di un rosa salutare, ma anche leggermente abbronzata. Ciò, in effetti, metteva in risalto le sue cicatrici, ma non se ne vergognava più. Dopo molto tempo, non aveva più l’aspetto d’un malato terminale ricoverato nel reparto di terapia intensiva del San Mungo. Poteva quasi essere scambiato per uno stupido ragazzo qualunque.
    Si infilò una maglietta pulita ed un paio di jeans, si assicurò d’aver intascato ciò che Shane gli aveva chiesto e, impugnata la bacchetta, si era Smaterializzato dinnanzi alla soglia della Stamberga. Era in perfetto orario, come al solito.
    Superò la porta fatiscente del retro, attraversò la cucina e si diresse spedito verso le scale per il piano superiore. Il punto d’incontro stabilito era il salotto del secondo piano e a questo lui puntò deciso. Raggiunta la meta, però, il leggero russare di Howe lo colse impreparato.
    Tutto si sarebbe aspettato, il quel luogo dimenticato da Dio, tranne che Pisolo, il più tordo dei sette nani, lo avesse scambiato per la propria casetta nel bosco. Per un attimo si domandò se a lui spettasse il ruolo della Bella Massaia Non Ancora Addormentata, mentre puntava a svegliarlo con una pedata. Ad un passò da lui, però, la luce del tramonto che filtrava da un foro nella parete gli donò abbastanza visibilità da notare una brutta ferita sul corpo del ragazzo. D’impulso, avvicinò la mano, ma si fermò prima di toccarlo, inclinando, invece, il viso per avere una migliore visuale dello squarcio. Per quella che era la sua esperienza, la recisione risaliva a tempi abbastanza recenti. Sospirando, alzò lo sguardo al cielo.
    Sembrava stanco.
    Decise di lasciarlo riposare ancora per qualche minuto e, perciò, si chiuse nel bagno, lanciando un incanto Silenziatore sulle pareti. Qui, litigò con il proprio nuovo acquisto del mondo Babbano, un’iphone, necessario, secondo sua cugina, per intrattenere rapporti con i rivenditori non magici. Preso da quelle “chiamate”, per lui molto più scomode della Metropolvere, non s’accorse del trascorrere del tempo. La notte era già scivolata su Hogsmeade.
    Uscì dal suo ufficio improvvisato e, accendendosi una sigaretta, andò a sedersi anch’egli sul divano. Fumava in tranquillità. Meditò, per un attimo, d’avvelenarlo con lo Stramonio Amazzonico che gli aveva procurato.
    Le sue mani giocavano con l’accendino. Guardò l’orologio. Decise d’averlo lasciato dormire a sufficienza.
    Con la giusta dose di forza, mirando alle costole, gli infilò una gomitata violenta che gli mozzasse il respiro. Tra una boccata e l’altra, sorrideva per la situazione paradossale in cui era andato a finire.

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    Shane Howe
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    "Non qui, Sarah. Shane potrebbe..." La voce di suo padre echeggiò al piano terra della villa degli Howe, così Shane, 8 anni, sentendo quelle parole dalla sua camera, si sentì in dovere di andare a vedere cosa stava accadendo al piano inferiore. Non era mai stato rispettoso delle regole, anzi, quando possibile tentava di infrangerle. Scese la rampa di scale che conducevano al piano terra, tanto quanto bastava per riuscire ad intravedere la situazione al di la della ringhiera bianca in legno. "Non voglio che veda, Sarah!" Ancora la voce calda di suo padre, mentre sua madre Sarah si trovava poco distante da lui, e puntava la bacchetta contro uomo inginocchiato, con un cappuccio nero a coprirgli il volto. "E' meglio che partecipi, Tiger." La voce fredda che contraddistingueva sua madre lo colpì al petto come una lama, lei sapeva che era lì? La conferma arrivò poco dopo. "Vieni Shane." Il bambino, colto sul fatto, si paralizzò sulle scale, senza osare muoversi. "Shane..." di nuovo la voce di sua madre. Così si alzò in piedi, e come se fosse in pilota automatico seguì le proprie gambe al piano terra. Sarah Aveline Icesprite, era sempre stata una donna fin troppo sveglia e furba per poter essere ingannata da un bambino. Prese suo figlio tra le braccia e si chinò al suo orecchio sussurrandogli qualche parola. Shane la guardò, poi riguardò l'uomo incappucciato, che così inginocchiato arrivava alla sua altezza. Tirò fuori la propria bacchetta di biancospino, che aveva con sè sin da quando aveva iniziato a parlare e a detta del padre non era stato semplice per il venditore da Olivander, scegliere la bacchetta che fosse giusta per lui. Forse perchè era ancora molto piccolo per poter avere un'arma, si diceva che un tempo non fosse permesso, ai bambini, avere una bacchetta, e che queste venivano comprate solo a 11 anni, prima dell'entrata a Hogwarts. Adesso le cose erano molto diverse, i figli di maghi mangiamorte tenevano in mano la bacchetta già dai primi anni di vita, ed erano pronti ad uccidere. Alla fine, Legno di biancospino e Corde di cuore di drago, era stata la decisione giusta. "Una bacchetta perfetta per le maledizioni!" aveva detto sua madre emozionata.
    "Dai, te l'ho già spiegato tante volte, sei abbastanza grande ormai." Shane guardò un attimo suo padre, tentando di leggerne lo sguardo, che sembrava profondamente combattuto e non contento, in realtà. Riguardò l'uomo di fronte a sè e puntò contro di lui la bacchetta.
    La madre lo teneva dalle spalle, da dietro. "Devi volerlo davvero, Shane. E' un ribelle."
    Avada Kedavra. Quelle parole, messe in bocca ad un bambino, risuonavano innocentemente crudeli. L'uomo ricadde a terra, come se avesse perso le forze improvvisamente, o almeno così parve agli occhi di Shane.
    "Al Ministero ne saranno entusiasti!" La voce commossa di sua madre chiuse quel ricordo.

    Si svegliò poco a poco, sul divano della Stamberga, era notte fonda, ma di Evan nessuna traccia. Che sogno...mugolò ancora assonnato, mentre l'odore del fumo di sigaretta colpiva le sue narici, dipingendogli sul viso smorfia disgustata. Si alzò dal divano e scacciando con la mano il fumo, che adesso era diventato fitto come nebbia, intravide una sagoma all'unica finestra - per di più chiusa - della stanza. Scacciò ancora il fumo che si faceva sempre più fitto e guardando ancora la sagoma riuscì ad intravederne i riccioli rossi illuminati dalla luce bianca della luna. Mamma? Domandò istintivamente. Sua madre, lì? Si avvicinò alla donna con passi incerti e bacchetta nella mano. Non poteva essere sua madre, lei non fumava. Chi sei? Si avvicinò ancora, senza però toccare la donna a pochi passi da lui. Sono stata io...rispose quella, con voce triste. Si girò lentamente e rivelò essere Anjelika Queen, ricoperta di sangue. Lui era ricoperto di sangue, tutto era ricoperto di sangue. Li ho uccisi io. E buttò via la sigaretta ancora accesa. Shane guardò con orrore quella donna che era pronta a sferrarrare un attacco con la sua mano munita di artigli.

    Un sogno, nel sogno. Spesso capitava di non riuscire più a capire se stesse sognando, o se fosse desto.

    Il dolore acuto che provò subito, probabilmente fu una spia accesa che gli fece capire che era uscito da tutti gli incubi e che era tornato alla realtà. Tossì portandosi entrambe le mani sul fianco, con una smorfia di dolore a storpiargli il viso, aveva sentito un colpo spezzargli il fiato. Aprì gli occhi vedendo solo il buio e si accasciò se possibile ancora di più su quel divano scomodo, andando a sprofondarci. Ahh... mugolò con voce troppo debole. Rialzò lo sguardo sulla la stanza semi illuminata dalla luce fioca della luna, che penetrava dalla finestra senza tende. E con espressione, adesso molto confusa, tentò di sistemare i tasselli messi a caso nella sua mente. Riuscì ad intravedere Evan, seduto sul divano, che se la fumava tranquillamente. Non riusciva a vederlo con chiarezza, ma il suo sorriso divertito lo colpì in un occhio. Assottigliò lo sguardo per guardarlo più male che poteva, arrivando alla conclusione esatta. Sei stato stato tu, stronzo psicopatico. Si tastò ancora il fianco dolente, avrebbe anche potuto rompergli una costa, quel sociopatico. Lo sguardo di Shane era sottile come una lama, mentre lo guardava come se fosse il suo peggior nemico in quel momento. Riuscì comunque ad alzarsi in piedi, allontanandosi da lui di qualche passo. Poco a poco le idee e i ricordi riaffioravano alla sua mente, e prendevano posto come dei pezzi di un puzzle. Si era addormentato poco prima sul divano della Stamberga, e aveva fatto una marea di incubi, dovuti probabilmente anche alla scomodità del divano. Poi era arrivato Evan e...fuori era buio. ERA BUIO PESTO. Sgranò gli occhi. Quanto cazzo ho dormito?! Ho il coprifuoco! Niente da fare, anche se si sforzava di essere uno studente come tutti gli altri, rispettoso delle regole, riusciva comunque a cacciarsi nei casini, non volendolo. Anche quella notte avrebbe infranto una marea di regole, e se fosse stato beccato, sarebbe finito in Sala torture, di nuovo. Una musichetta improvvisa ruppe il silenzio che si era creato, e a meno che non stesse impazzendo, qualcosa in quella stanza stava squillando. Questo lo mise ancora più in allerta di quanto già non fosse, con occhi attenti su ciò che lo circondava, espressione visibilmente inquieta, la bacchetta salda nella sinistra. Cos'è? Domandò, sperando di non essere l'unico a sentire quel suono fastidioso e cantilenante, ma soprattutto sperando che non fosse niente di malvagio. Ormai era abituato ad aspettarsi il peggio in qualsiasi momento. Una goccia di sangue scivolò lungo il suo collo facendogli il solletico, segno che quel taglio che partiva dal labbro alla clavicola, si era nuovamente aperto, probabilmente perchè aveva parlato troppo e aveva ristrappato - per la terza volta da quel pomeriggio - i lembi di pelle che tentavano inutilmente di riunirsi. Aveva decisamente bisogno di un rifornitore di dittamo ambulante, e che fosse presente quando voleva lui, dove voleva lui. Aveva pensato che rivedere Devereux gli avrebbe fatto piacere? Tutte balle.


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    Lo so che non ami i pipponi u.u ma avrà pur dovuto sognare qualcosa mentre tu giocavi con l'iphone!


    Edited by s h a n e - 18/6/2014, 21:39
     
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  4. »Evan.
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    Neutrale • 17 • In love with a Cupcake
    EVAN DEVEREUX


    Un gridolino da donna, un paio di borbottii e il ragazzo era finalmente in piedi. Sveglio e pimpante. Forse troppo, per i suoi gusti.
    «Buongiorno anche a te» gli disse, con un ghigno sulle labbra. Liberatosi della carcassa che occupava una parte troppo cospicua di quel divano, Evan poté sistemarsi più comodamente. Allungò le gambe, incrociandole ad altezza della caviglia e, poi, abbandonò sulla sommità dello schienale il braccio destro, quello con la cui mano reggeva la sigaretta accesa, individuabile grazie al bagliore rossastro del tabacco ardente. Ne traeva un respiro, riportava l’arto alla sua posizione abbandonata, non riponendo attenzione nel rischio di forare la stoffa del mobile su cui era seduto, e, infine, liberava un alone di fumo. Le volute di questo venivano a tratti illuminate dagli spiragli di luna che riuscivano a filtrare dalle pareti traforate. Termiti, suppose. Era seduto sulla possibile dimora di una colonia di insetti. Fantastico.
    Attese che lo spastico, quello con cui era riuscito a scendere a patti pur di far pervenire delle cure ai più giovani del loro dormitorio, chetasse la sua isteria. Cosa che portò allo spreco di quasi dieci minuti. A complicare la situazione, intervenne anche il suo iPhone. Il trillare di questo mise in ulteriore agitazione il rosso, il quale d’improvviso si mise sulla difensiva. Psicosi da studente di Hogwarts, dedusse da quella sua febbricitante ansia d’essere in pericolo.
    «Oh no!» biascicò Evan «Quelli del Ministero ci hanno trovato, cazzo». Il viso di Devereux era serio, il corpo ansioso. Sembrava quasi guardarsi in giro in cerca di un posto dove nascondersi «Presto, entra in quell’armadio!» sussurrò, trattenendosi dal gridare per non essere scoperti, mentre, intanto, traeva dalla tasca la propria bacchetta e con la punta di questa tagliava l’aria per puntarla verso le scale.
    Immediatamente dopo, recuperò il proprio cellulare, lesse chi lo stava cercando e rispose, mentre si lasciava cadere nuovamente sul divano.
    «Hey J.» esordì, cercando una posizione ancora più comoda e trovandola nello sdraiarsi completamente «No, non ho ancora finito. Sì, lo so. Lo so, te lo avevo promesso». Pausa, qualcuno, dall’altra parte, parlava ancora con tono pacato, ma lo tradiva un certo disappunto. Evan si prese un’altra boccata di sigaretta, cui aveva prestato attenzione fino a quel momento perché non si spegnesse. «Te lo giuro, preferirei essere lì in questo momento. Sì. Sì. Mi dispiace. Non è colpa mia, si è addormentato. Giuro che cercherò di concludere questa storia il prima possibile. Ok, va bene. Ci vediamo là». Detto ciò, chiuse la chiamata, bloccò la tastiera del telefono e lo intascò nuovamente.
    Finì con calma di fumare. Cercò di individuare il rosso, con poco impegno, e tentò di aprire una conversazione che non gli causasse un ricovero al San Mungo.
    «Brutta ferita quella che hai sulla spalla» constatò, guardando il soffitto «Dovresti prendertene cura meglio, se non vuoi che si infetti». Lo redarguì, con lo stesso interesse che avrebbe nutrito verso un documentario sulla riproduzione delle vongole veraci. «Posso darti un paio di punti, se vuoi». Sbadigliò.
    «Certo che è proprio comodo questo divano».

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    N52CWiaShane Howe
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    Non si sorprese del poco riguardo che l'ex serpeverde aveva nei suoi confronti, dopotutto erano semplici conoscenti, certamente non amici e se consideriamo il fatto che Evan era sociopatico e aveva l'odio facile e gratuito, si spiegava tutto. Lo vide spostarsi sul divano - sul quale prima lui sonnecchiava - e occuparlo del tutto mentre fumava tranquillamente, con atteggiamento spavaldo che Shane si spiegava ben poco. Sapeva che comportarsi da stronzo era una delle sue aspirazioni maggiori, ma l'atteggiamento che aveva nei suoi confronti era più di astio che di indifferenza, tant'è che gli venne spontaneo pensare che quell'incontro fosse una trappola. "No, non può essere" Si irrigidì un poco, mentre il dolore al fianco adesso era quasi del tutto scomparso e il respiro era tornato regolare. Mantenne il sangue freddo, nonostante l'inquietudine, come sempre nelle peggiori situazioni, e guardò serio il suo ex compagno, senza smuoversi di un millimetro anche quando lui gli rifilò la storiella dei Mangiamorte del Ministero. Capì subito che tentava di prenderlo in giro - con un recita ben riuscita eh - Soprattutto perchè, se fosse stato realmente così, Evan non si sarebbe certo preoccupato di salvaguardare lui. Inarcò un sopracciglio quasi impercettibilmente A questo punto dovrei gridare e scappare via, no? Era quasi divertito e gli venne voglia di stare al suo gioco e mettere alla prova le proprie abilità d'attore, ma effettivamente era ancora troppo assonnato per poter anche solo muovere un muscolo. Mise via la bacchetta solo quando Evan tirò fuori dalla tasca quello che sembrava un oggetto illuminato con il quale iniziò a conversare. Corrugò le sopracciglia cercando di capire cosa fosse, era davvero...un cellulare?! Non era completamente ignorante in materia, una volta aveva avuto tra le mani un giornale babbano e aveva visto elencati una serie di oggetti di quel tipo, tutti differenti e con varie caratteristiche. Ne aveva visti alcuni anche dal vivo, le poche volte in cui era stato nella Londra babbana e sapeva che squillavano, ma avevano un suono differente da quello che aveva emesso il telefono di Evan. Lasciò che conversasse con l'oggetto, dietro il quale vi era un'altra persona che gli stava rispondendo.
    N52CWia
    In realtà lo sguardo di Shane tradiva un'immensa curiosità, perchè non aveva mai visto un cellulare da così vicino. Non voleva dare a Evan la soddisfazione di mostrarsi interessato a qualcosa che gli apparteneva, per questo dopo essersi reso conto di stare a fissare quella luce nel buio più del dovuto, cambiò presto atteggiamento riprendendo la sua totale freddezza e impassibilità. Non interruppe la sua conversazione, tranne per un I D E M molto ben scandito e neanche con un tono troppo basso, affinchè magari l'oggetto babbano catturasse anche la sua voce, alle parole di lui sul "volersi trovare in un altro posto" e attese in silenzio che finisse di parlare. Nessuno dei due voleva trovarsi lì, eppure lo erano, per cui se avesse evitato di fare lo stronzo il tempo sarebbe passato anche più in fretta. Non pensavo di dormire per così tanto. Lo fulminò con lo sguardo. Potevi anche svegliarmi prima. Le nottate ad Hogwarts non erano più rilassanti come un tempo, adesso era tutto diverso, per questo era molto stanco, oltre per il fatto che la trasformazione in lupo risucchiava gran parte delle sue energie. Comunque non voleva tornare sull'argomento "dormita" anche perchè come voleva andarsene Evan, lo voleva anche Shane. La differenza stava nel fatto che il sociopatico poteva farlo quando voleva e sarebbe tornato al calduccio nel suo letto comodo. Shane, invece
    1. Avrebbe dovuto attendere lì fino al giorno dopo.
    2. Non avrebbe praticamente chiuso occhio, perchè non voleva fare altri incubi e quella catapecchia non gli facilitava le cose.
    3. Avrebbe dormito durante la lezione della mattina dopo, rischiando la tortura.
    Bella vita!

    Evan aveva intravisto la sua ferita e come non notarla? Era orribile, e poi come dimenticare la scritta "Animagus" sul suo braccio? Era stata incisa con un coltello ed era ancora visibile, sebbene coperta da una benda, sotto la sua maglietta. La puttana della Caposcuola si era divertita come mai quel pomeriggio, ma a Shane bruciava soprattutto il ricordo della bacchetta di Nathan, Corvonero, che percorreva la sua pelle creando proprio quello squarcio che non era sfuggito agli occhi dell'altro.
    "Dovresti prendertene cura meglio, se non vuoi che si infetti" Incredibile! sul serio si stava preoccupando per lui? Ne dubitava fortemente, ma al momento non gli veniva in mente quale doppio fine potesse avere per dargli quell'informazione gratuita.
    CH81sjs
    Non ho avuto il tempo di andare in Infermeria, come sai la vita ad Hogwarts è una corsa contro il tempo, questi giorni più che mai. Già e nonostante questo si era anche permesso di sonnecchiare chissà per quanto su quel dannato divano. "Posso darti un paio di punti, se vuoi" Gli aveva proposto con apparente indifferenza.
    Punti? Ripetè poco dopo, non capendo e avvicinandosi a quello che Evan aveva chiamato "divano comodo". Comodo?! Se diceva sempre stronzate, era probabile che anche la sua preoccupazione per lui lo fosse, anzi lo era senza dubbio. Se è una cosa positiva per me, va bene. Avvicinatosi abbastanza al ragazzo, si chinò appena per tirare via le sue gambe e lasciarle ricadere, con poco garbo, in direzione del pavimento, per poi sedersi all'angolo di quel divano sfondato. Anche Shane aveva il diritto di posare il proprio culo su qualcosa di anche solo lontanamente comodo, come ce l'aveva lui. Ritirò fuori la bacchetta e pronunciò l'incantesimo Lumos. Una flebile luce illuminò almeno la zona del divano, giusto per sapere dove diavolo avrebbe dovuto guardare se doveva conversare con lui. Posò la bacchetta illuminata affianco alle proprie gambe e comunque in una posizione facilmente raggiungibile in caso di emergenza. Adesso che c'era più luce si indicò il taglio su bocca/clavicola, che si vedeva benissimo, in tutto il suo macabro aspetto. Nathan Bell. Il ragazzo era conosciuto in tutta la scuola per essere uno dei battitori della squadra di Quidditch dei Corvonero ed era conosciuto come un ragazzo simpatico, piacevole e gentile, sicuramente non uno che torturava il prossimo. L'ho fermato prima che tagliasse anche l'altro lato. E poggiò indice e pollice ai due lati della propria bocca, tracciando due linee verticali verso il basso. Aveva fatto in tempo a sfuggire, chissà come, dalle grinfie di quel bastardo prima che potesse tagliare anche l'altro lato della bocca, per "farlo sembrare una marionetta" su cui poi avrebbe lanciato un Imperio. Non me l'aspettavo proprio. Lo informò di questo fatto, di cui probabilmente a Evan non sarebbe importato niente, ma Shane ne era stato toccato più di quanto avrebbe voluto, perchè aveva sempre pensato che Nathan non lo odiasse e invece, appena aveva abbassato le difese per cause maggiori, si era ritrovato attaccato anche da quel ragazzo. Anche solo dar voce a quel pensiero, gli dava sollievo in quel periodo abbastanza difficile, nonostante confermasse la sua totale sfiducia nei confronti di chiunque gli girasse intorno. Non avrebbe mostrato a Evan la scritta Animagus, procuratagli dalla Grimm, per ovvi motivi.
    Perchè ci hai lasciati? Le cose...vanno molto male da quando te ne sei andato. Crudele verità, era proprio così! Perchè per quanto Evan fosse una presenza pressocchè indifferente ad Hogwarts, spesso si era preoccupato di risparmiare ai più piccoli la Sala torture, adesso invece, con la Grimm, tutto era degenerato. Non era a conoscenza della morte del fratello di lui, ne sapeva quale rapporto avesse con la madre, per questo gli aveva fatto quella domanda senza troppi pensieri.


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  6. »Evan.
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    Neutrale • 17 • In love with a Cupcake
    EVAN DEVEREUX


    «Sì, avresti dovuto. Ma dall’eroe che ha combattuto contro i Ribelli durante la missione suicida di Callaway immagino che non ci si potesse aspettare altrimenti» gli rispose, quando ancora le loro persone erano coperte da una coltre spessa di tenebra.
    La notizia si era diffusa rapidamente. Chi vi aveva partecipato, chi era morto, chi era sopravvissuto. La morte del Preside aveva creato scompiglio e caos, fino a quando Sales non aveva preso immediatamente il posto dell’amico. Tempo un paio di giorni e la stretta del regime era divenuta di nuova serrata.
    Aveva avuto poco più di ventiquattro ore per preparare le proprie valige ed andarsene, in fretta e furia, da Hogwarts, prima che un nuovo folle giungesse lì e glielo impedisse. Il vuoto di potere aveva fatto sì che lui, ragazzo maggiorenne e tutore di sé stesso, potesse semplicemente andarsene. La scuola, del resto, non era sicura come in molti cercavano di far trasparire.
    Lo vide, quasi stregato dal suo iPhone, cercare di rubare alla luce azzurra qualche informazione. Se fosse stato una persona più “solubile” glielo avrebbe fatto vedere. Lui, invece, si era limitato ad intascarlo rapidamente, quasi timoroso che il ragazzo potesse toccarlo. Era diventato più possessivo, da quando Aaron era morto. E quell’oggetto, quello che suo fratello gli aveva comprato per il suo compleanno, pochi mesi prima, era l’unico ricordo che conservava di lui. Sua madre si era impossessata di tutto ciò che gli apparteneva, tranne che di quel cellulare, comprato di nascosto e lasciato alla custodia di Essence, loro cugina. Non si erano visti per quasi due anni. Forse tre.
    Prima glielo aveva nascosto, poi glielo aveva consegnato, freddo ed esangue. Morto.
    «Anche tu preferiresti essere tra le gambe del ragazzo con cui vado a letto?» gli domandò, inarcando il sopracciglio sinistro e incrociando le braccia al petto «In effetti, ha una certa predilezione per i cuccioli feriti, potresti piacergli. Spero ti piaccia sia dare che ricevere, è una persona estremamente intransigente, a riguardo». Evan accennò un sorriso, annotandosi di procedere con una ispezione tutt’altro che pudica del corpo di Howe, solo per divertirsi ad imbarazzarlo un po’. «Se vuoi posso chiamartelo, magari stasera scopriamo che i rossi sono il suo tipo preferito».
    Glielo avrebbe ceduto volentieri, il farmacista. Sapeva di non poterlo allontanare, dopo tutto ciò che quello aveva fatto per lui, ma sopportarlo diventava ogni giorno più complesso. Sentiva il bisogno di spazio per ammortizzare il colpo, per attraversare tutte le fasi del dolore che, fino a quel momento, aveva vissuto solo in parte, preferendo rimandarle al futuro. Sognava che questo, un giorno, sarebbe giunto più chiaro, in maniera evidente. Più giusto,più vivibile. Sognava di poter spalancare le braccia sul bordo di un precipizio per sentire l’aria fredda sollevargli la maglia e il calore del sole scaldargli la pelle. Sognava la tregua. Sognava troppo, per essere un abitante di quella terra arida.
    Si fece tranquillamente fulminare dallo sguardo del suo interlocutore. A fatica, tese le labbra per formulare qualche parola che fosse rancorosa almeno la metà di quelle che le erano state rivolte.
    «Mi sembrava avessi bisogno di riposare. Non so se ti sei guardato allo specchio, di recente, ma sei piuttosto malridotto» lo informò, cercandosi un’altra sigaretta. Se l’accese con il proprio accendino d’argento, traendone una boccata importante e liberandone il fumo, poi, molto lentamente. «Quando dormi sembri molto più intelligente. E meno fastidioso».
    Lo ascoltò campare scuse sul perché non si fosse fatto medicare, non reagendo quando gli prese le gambe e gliele fece cadere al suolo per sedersi anch’egli sul divano. Illuminato dalla bacchetta di lui, lo squadrò dall’alto in basso, con aria di sufficienza.
    Prima che cominciasse quella che sapeva sarebbe stata una lunga digressione sul perché la vita era stata tanto ingiusta con lui, alzò le spalle. «Punti di sutura», precisò.
    Detto ciò, si mise in piedi, con la sua fedele sigaretta tra le dita. «Parla pure, ti ascolto» mormorò, mentre si guardava attorno. Cercava qualcosa che aveva già visto, in passato, in quella stanza. Sussurrò qualche verso per far comprendere a Shane che lo stava seguendo, anche se, in realtà, sembrava più attratto dalla mobilia. Alla fine, all’interno di vetrina dalle ante sfondate, la trovò. Una bolla di vetro.
    Un tempo, doveva aver ospitato un indifeso pesciolino rosso, probabilmente morto e lasciato a decomporsi in quello stesso oggetto, considerando l’odore nauseabondo di stantio che emanava. Divenuta, in tempi più recenti, l’alcova di un aracnide dalle dimensione tutt’altro che modeste, era ricolma di ragnatele biancastre. Evan la inclinò al suolo, nei pressi dello sgabuzzino, fino a far uscire l’animale. Attese che questo muovesse alcuni passi verso la libertà e, poi, alzato il piede sinistro, si girò di schiena e se ne andò pacatamente, ritornando verso lo Slytherin. Implorando misericordia, nella speranza di non contrarre chissà quale malattia pustolosa che lo avrebbe rilegato ad una lunga degenza a letto, lanciò un paio di Gratta e Netta non verbali molto ben assestati, speranzoso d’eliminare ogni traccia di sostanza straniera da quell’oggetto. Poi, posò l’oggetto sul tavolino davanti al divano e, infilandone la punta della bacchetta all’interno, mormorò l’incanto per le fiamme blu. Si generò, così, un bel focolare, controllato dal vetro e retto dalla magia, che riempiva la stanza d’una soffusa luce azzurra piuttosto traballante. I lembi del fuoco, a tratti, sfumavano in una tonalità violacea, tanto scura da parere nero.
    Soddisfatto del risultato, infilò nuovamente in tasca la stecca di legno e si sedette sul divano. Lasciò il pacchetto sgualcito nei pressi della bolla, a rapida portata di mano. Una boccata di fumo. Si voltò per guardare il ragazzo negli occhi. «Non era così, prima d’essere torturato» cominciò, riallacciandosi al discorso che aveva tenuto su Bell, dimostrando d’avergli realmente prestato ascolto, anche se così sarebbe potuto non sembrare « Forse ha capito che tutti gli uomini si dividono in due categorie: prede o predatori. Forse ha deciso di essere lui a cacciare. Probabilmente non ti ha ferito con reale cattiveria, ma solo con desiderio di preservarsi. Del resto, sei o non sei il terribile Howe, l’uccisore di Ribelli? Avrà pensato che se agiva per primo poteva evitarsi l’infermeria», con nonchalance si voltò verso di lui, mise le proprie gambe incrociate sulle ginocchia di lui e si sdraiò nuovamente «Oppure gli sei venuto a noia … te l’ho già detto, vero, che sai essere piuttosto fastidioso?».
    Gettò il mozzicone, il secondo nell’arco di pochi minuti che aveva in mano, entro la sfera di vetro. La domanda che sapeva sarebbe giunta prima o poi, non tardò ad arrivare.
    Perchè ci hai lasciati? Le cose...vanno molto male da quando te ne sei andato.
    Lo guardò di traverso, con il viso in parte schiacciato contro il tessuto del divano. Quel contatto fisico che aveva imposto, probabilmente dava fastidio in egual modo ad entrambi. Hogwarts era famosa per il suo non saper mantenere i segreti e, da quelle che erano le voci che giravano sul conto di Howe, i due probabilmente avevano diverse cose in comune.
    «Per me stesso» gli rispose, sincero. E sintetico. «Se siamo arrivati al momento delle confessioni a cuore aperto, ora è il tuo turno».
    Un attimo di pausa.
    «Che cosa nascondi?», cercò il suo sguardo, pronto a fossilizzarsi sui suoi occhi. I propri, scuri e neri, erano abituati a quel gioco ed Evan era sicuro che non sarebbe stato lui il primo a cedere. Un gesto troppo intimo, ma che con il tempo aveva quasi svalorizzato. Il suo era uno studio silenzioso, un indagare tutt’altro che misericordioso. Era l’autunno delle bugie altrui.

    -jaime©



     
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    N52CWiaShane Howe
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    « I find shelter, in this way »

    "dall’eroe che ha combattuto contro i Ribelli durante la missione suicida di Callaway immagino che non ci si potesse aspettare altrimenti."
    Non poteva dire che la sua vita fosse particolarmente cambiata dopo quella missione, era una delle tante a cui spesso avevano preso parte altri studenti, a volte per non tornare più. Lui era tornato, più o meno integro e anche se era stata un'esperienza terribile, non era stata del tutto negativa. Gli aveva aperto gli occhi su un po' di cose. Il suo sguardo si perse un attimo sul corpo di Evan, sulla maglietta di lui in particolare, come se fosse attirato dall'indumento, quando in realtà ciò che vedevano i suoi occhi in quel momento era il sangue, solo quello. Il sangue sulle proprie mani, il sangue ovunque e la paura di essere colpito da un incantesimo e morire, la paura di morire. Distolse subito lo sguardo, poi scosse la testa. Quella missione non fa di me un eroe. Chiarì subito, su questo non c'erano proprio dubbi, ma in fondo lo sapeva anche Evan.
    "Anche tu preferiresti essere tra le gambe del ragazzo con cui vado a letto?"
    Okay, questa cosa proprio non se l'aspettava. Rimase un attimo interdetto e sgranò appena gli occhi. Ovviamente no. Gli rispose subito e PURTROPPO, purtroppo le immagini di Evan, tra le gambe di qualcuno senza volto, assalirono la sua mente e lo fecero impallidire più di quanto già non lo fosse. Era un'informazione che seriamente avrebbe preferito non avere. Non sapevo che stessi parlando con il tuo ragazzo. Se davvero stava parlando con il ragazzo, aveva fatto una gaff colossale. E comunque non do e non ricevo. Disse sollevando appena le spalle, era la pura e semplice verità, perchè negarla? Certo che, pensandoci, se davvero aveva un appuntamento con il ragazzo perchè non lo aveva svegliato prima, per concludere in fretta la faccenda e tornare da lui? La risposta era una: sicuramente non avevano tutto questo grande rapporto! Già, Evan non ne sembrava nemmeno geloso, anche se magari lo nascondeva bene.
    N52CWia
    Impallidì ancora di più alla sua offerta - sicuramente un'ennesima stronzata ben riuscita - e i brividi percorsero ogni centimetro della sua pelle, drizzandogli letteralmente ogni pelo. Portò entrambe le mani dinnanzi a sè, come a voler fermare Evan sul nascere, chiudendo gli occhi per il disgusto. Declino gentilmente l'offerta, sono sicuro che tu gli vai più che a genio. Non era abituato a sentir parlare così apertamente di certi argomenti. Ogni tanto Lucas buttava qualche battuta sconcia, ma Shane non abboccava mai, non gli piaceva proprio parlare, anche scherzare, sul sesso. Pur lavorando al Lilum, ed avendo concesso ai clienti di toccarlo spesso e mal volentieri, non si era mai concesso del tutto. La curiosità c'era, ovviamente, come non esserci? Era umano e come chiunque aveva delle voglie, spesso anche prepotenti. Ma proprio non si immaginava a fare sesso con qualcuno, era seriamente un qualcosa di alieno che non gli apparteneva. E comunque non sarei il suo tipo. Evan, invece, chissà quali esperienze aveva, da come ne parlava spigliatamente, sembrava esperto, vissuto. Non poteva dire di invidiarlo, alla fine lui andava benissimo a sè stesso anche così, certo era che prima di morire avrebbe voluto provare ogni cosa, tutto. Ma era anche speranzoso di poter morire il più tardi possibile, quindi avrebbe potuto attendere. Aveva stilato una lista delle cose che avrebbe voluto fare, perchè dopo la missione accennata da Evan poco prima e dopo essersi trovato faccia a faccia con la morte, si era reso conto che la vita era troppo breve per non essere vissuta a pieno e lui non voleva farsi mancare niente. Questo non significava che avrebbe dovuto perdere la verginità dentro quella baracca con il fidanzato di qualcun altro, chiaro no? - nemmeno per scherzo - A questo punto meglio farlo al Lilum.

    "Mi sembrava avessi bisogno di riposare. "
    Si mise più comodo su quel divano realmente improponibile e guardò molto scettico il ragazzo, che adesso vedeva abbastanza bene. Oh ti prego, non ci crede nessuno che lo hai fatto per me. Ma ti do ragione, non ho un bell'aspetto al momento. Considerando anche la ferita poi. Ma è una cosa passeggera, credimi.
    Aveva intenzione di riprendere in mano le redini della sua vita, quello era solamente un periodo di debolezza che sarebbe passato in fretta. Lui era forte, lo sapeva, aveva passato momenti peggiori in vita sua e ne era sempre uscito, malritotto, ok, ma vivo. Ce l'aveva fatta, e credeva in sè stesso.
    "Quando dormi sembri molto più intelligente. E meno fastidioso"
    Accennò un sorriso, quanto quella ferita gli permetteva al momento. In realtà, trovò la sua frase molto divertente, peccato che non avrebbe potuto mostrargli una risata sguaiata al momento.
    Ti sto proprio così sul cazzo, Devereux? Disse quasi subito, ma non si aspettava da lui una risposta sincera o seria, in fin dei conti.
    Punti di sutura. Aveva precisato per poi alzarsi e gironzolare per la stanza per un motivo che in un primo momento Shane non capì. Quelli babbani? No, lasciano le cicatrici e ai clienti non piacciono, quindi direi...hai del dittamo?
    Dopo che gli ebbe spiegato di Bell, Evan tornò con in mano una boccia di vetro che Shane osservò attentamente, provando a capire cosa stava facendo. Poi lo vide accendere una fiammella fredda, decisamente meglio della luce della sua bacchetta! Ascoltò le sue parole sulle prede e i predatori, ritrovandosi con questo pensiero. Aveva ragione, alla fine, tutte le persone erano fatte così, Shane era così. Lui aveva ucciso altre persone per salvaguardare sè stesso.
    Credi che quella missione mi abbia reso una minaccia? C'è ancora chi mi ride dietro a scuola. Forse, sono una minaccia solo per Bell, ho notato che ha messo gli occhi su Hope, sarà per quello... Scherzò e scosse la testa, tentando di allontanare ancora il discorso dalla questione "Missione Callaway" della quale non gli andava di parlare. Non si reputava una minaccia gratuita. Lo era sicuramente per chi intralciava la sua strada e per la sua personalissima sopravvivenza, sapeva diventarlo molto bene. Se prima per Bell non lo era stato, dopo gli ultimi avvenimenti, lo sarebbe diventato presto e gli avrebbe mostrato chi era davvero la preda. Non lasciava niente in sospeso e si vendicava di ogni torto subito, magari non subito, ma prima o poi saldava tutti i conti, perchè a nessuno era permesso fargli del male se lui non voleva. Nel frattempo Evan aveva pensato bene di poggiare le gambe incrociate sopra le sue ginocchia. Prego, fai con comodo. Non gli dava fastidio, anche se per i suoi gusti vi era anche troppo contatto. Portò le braccia dietro la nuca e si poggiò con la testa allo schienale del divano, per poi guardare il soffitto e notare con disgusto un'orribile macchia di sangue proprio sopra la sua testa. Accidenti che schifo, sperò non gli sgocciolasse sopra, ma sembrava secca, per fortuna.
    Hai fatto bene ad andartene, so che hai una tua attività adesso. Hai trovato la tua strada no?
    CH81sjs
    Lui non avrebbe potuto andarsene da Hogwarts senza i M.A.G.O. Un mangiamorte senza M.A.G.O è un disonore per la società e poi se voleva diventare un Pavor, non poteva certo lasciare Hogwarts, per quanto spesso ci aveva pensato dopo la scomparsa di Evan. Il punto era...davvero voleva diventare Pavor? Non si aspettava di lavorare al Lilum per il resto dei suoi giorni, ma in realtà non aveva ancora ben chiaro cosa avrebbe voluto fare dopo la scuola. Quello che ci si aspettava da lui era che diventasse un Pavor come Damian, stimato al Ministero. Ma davvero voleva soddisfare le aspettative altrui? Ciò che in realtà lo aveva sempre affascinato era la medicina...e in ogni caso anche per questa doveva avere l'attestato di Hogwarts. Ma era un pensiero sul quale, almeno per il momento, non provava nemmeno a cullarsi anche perchè attualmente era una professione fortemente in contrasto con il suo modo di vivere.
    "Che cosa nascondi?" La domanda arrivò fredda alle sue orecchie, scavandogli dentro. Cosa nascondeva? Troppe cose per poter iniziare un discorso da finire in nottata, troppe cose per un diciassettenne, troppe per chiunque in realtà. E se erano segreti, sicuramente non avrebbe voluto condividerli con Devereux. Comunque, se gli faceva quella domanda significava che ancora non aveva scritto in fronte "Killer" come invece pensava.
    Si voltò verso di lui con la testa, agganciando il suo sguardo. Nascondo un sacco di cose, Evan, ma chi non ha segreti?
    I suoi occhi verdi incontrarono quelli scuri dell'ex serpeverde per un attimo, forse più di un attimo, decisamente più di un attimo e si ritrovò a pensare a cosa stesse navigando nella testa di lui. Non aveva timore a tenere lo sguardo altrui, eppure quello di Evan su di lui gli lasciava addosso un senso profondo di inquietudine, lo agitava e probabilmente il ragazzo si sarebbe accorto di questo suo senso di ansia. Così distolse lo sguardo, infastidito, andando a guardare la luce blu delle fiammelle sul tavolino.
    Cosa pensava di fare? Metterlo a disagio? Pensava fosse un ragazzino? Allora ci baciamo subito o vuoi aspettare altri cinque minuti? Domandò riportando lo sguardo, adesso molto freddo, su di lui. Gli aveva permesso di scalfirlo, non era proprio il caso di farlo andare più a fondo.


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    Edited by shane· - 24/7/2014, 23:21
     
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  8. »Evan.
         
     
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    18 - In love with a Cupcake - Neutralchic - scheda ()

    Allora ci baciamo subito o vuoi aspettare altri cinque minuti?
    Quelle parole lo svegliarono da quell’attimo di distrazione. Erano passati pochi minuti, ma gli sembrarono, guardandoli con l’ottica del poi, un’esistenza intera. Aveva seguito il filo dei suoi pensieri e questi, per le vie tortuose che solo la mente possiede, lo avevano condotto a ricordare Aaron. Quando ciò gli capitava, in tempistiche sempre drammaticamente troppo frequenti, il suo cervello pareva scollegarsi dal corpo. E lui rimaneva lì, presente solamente nella sua fisicità. Nello spazio, un briciolo di universo, occupato dal suo corpo. A volte gli bastava un colore, per perdersi. Come quello scuro del mogano di quel tavolino su cui aveva poggiato la boccia di vetro. Altre volte era sufficiente un suono. Come lo scricchiolare di quel divano, per i pesi delle loro persone. Troppe volte bastava l’immensità di un nonnulla.
    Tutto sapeva portargli alla memoria quel ragazzo. Tutto era una quantità troppo vasta per farvi fronte, per cercare di vivere. Vivere nonostante. Eppure ci stava riuscendo. Giorno dopo giorno, Evan combatteva per restare in piedi. Era un po’ come essere l’ombra di una clessidra, come esistere in funzione di un qualcosa che ti porta continuamente a muoverti, ad evitare di soggiornare per troppo tempo in un luogo per evitare di farvi l’abitudine. Di lasciare nelle cose, intrecciati nei tessuti, frammenti di sé. Schegge d’esistenza.
    Il suo divano era ancora ricoperto di cellophan, dietro le ante delle vetrine si respirava ancora l’odore del nuovo.
    Poteva fare altro? Per il momento, no.
    «Ora» disse Evan, scivolando, facendo leva sulle gambe, verso il corpo del ragazzo. Gli afferrò una mano e se la mise sul petto, all’altezza del cuore «Lo senti?». Quella domanda gli uscì spontanea e sincera, sperava che qualcuno, qualcuno di diverso da sé stesso, lo rinfrancasse, rassicurandolo sul fatto d’essere ancora in vita. No, non sei ancora all’Inferno, Ev. Gli uscì come un sussurrò. Istintivamente, si mosse a far combaciare i loro visi e con il naso sfiorò quello di lui. Percepì sulle labbra umide il suo respiro. Le dischiuse appena per prepararsi a stringere quelle di lui.
    «No» ridacchiò, prendendogli il mento «Non posso farlo. Perdonami, la l’odore di topo morto che ti esce dalla bocca mi ammazza la libido» e così dicendo, ritorno a distendersi sul divano, fermamente deciso a tenere le proprie gambe, incrociate, sulle ginocchia di lui. Del resto, l’altro lo aveva invitato a mettersi comodo. Era maleducazione non rispettare la volontà altrui.
    Dalla tasca estrasse un piccolo sacchetto con un laccetto di pelle nera. Il materiale con cui era stato fatto, era pelo di animale. Un pelo scuro e fitto. Sciolse un piccolo nodo e, infilandovi mezzo braccio all’interno, frugò per qualche istante, tastando in cerca della giusta boccetta. Un tintinnio lo informò che la sua mano aveva cozzato contro il settore giusto. Purtroppo, nel corso del tragitto, tutto era andato mescolandosi. Ne tirò fuori una boccetta di duecentocinquanta millilitri d’Essenza di Dittamo, uno vera e propria scorta. Alzandosi leggermente, glielo porse.
    «Prendi, uomo dai grandi segreti» gli disse, colmando la distanza tra le loro mani lanciandoglielo. «Anche se una bella cicatrice avrebbe reso il tuo viso da chierichetto un po’ più interessante». Questa constatazione ad alta voce fu seguita da una rassicurazione «Ho ago e filo, se cambi idea. Il mio punto croce è spettacolare».
    Detto ciò, lo squadrò dall’alto in basso. «Penso tu sia in torto, comunque, al mio scopamico piacciono i casi umani».
    Gli diede tempo per medicarsi, prima di passare al motivo del loro incontro.
    «Ho la Datura Stramonium tibetana che mi hai chiesto» esordì, estraendo dal sacchetto una teca di vetro contenente una piccola piantina del particolare tipo di Stramonio, utilizzato per sintetizzare diverse tipologia di droghe «Possiamo parlare di affari, ora?».



    EVAN DEVEREUX
    ❝ In the blood I fulfilled myself ❞


    CODICE ROLE SCHEME © dominionpf
     
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7 replies since 3/6/2014, 23:51   366 views
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