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@ufficio del preside |

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    Mangiamorte • 64
    Edith Lagrange
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    «Sangue nero. Sangue d'argento»
    Il cameriere si perse. E con lui, oltre al suo scellino sprecato, anche la speranza d’un sorso di Odgen. Il sapore acre della sigaretta, dopo tutti quegli anni d’amore fedele, la confortava come mai suo marito aveva saputo fare: dei loro traguardi raggiunti assieme, che fossero nozze d’oro o di carta crespa, nessuno le riportava alla memoria ricordi come quell’oggetto minuscolo e fumante. Una sigaretta, in fin dei conti, aveva dato inizio al suo matrimonio.
    Lei, meno melanconica di quanto l’età l’avesse resa e molto più giovane, una sera, attendeva. Senza una ragione, con il bicchiere di un martini dinnanzi e il legno scuro di un locale elegante sotto i gomiti. Una donna intonata, illuminata da un solo riflettore fioco, cantava ed un pianista, stretto in un angolo, bello in modo quasi disumano, l’accompagnava. Sfiorava i tasti quasi fossero delicati corpi di donna, etereo e proibito, maledetto e pregno di santità. Blasfemo e inarrivabile, ma lontano solo pochi passi. Le ricordava Tom: magnetico e repulsivo, come un galantuomo scortese. Avrebbe potuto alzarsi, tra una canzone e l’altra, per raggiungerlo ed ammiccargli un sorriso, uno sguardo malizioso e gaudente. Avrebbe avuto ciò che molte altre Mangiamorte volevano: una replica di Riddle. Forse meno intelligente, ma più bello e più controllabile. Meno pericoloso, più semplice e, soprattutto, non insolente con la vita.
    Non lo fece. Rimase lì, catturando le occhiate circospette che il barman, un alto uomo di colore, le rivolgeva di nascosto. Era una bella donna, ma non se ne vantava. Non ostentava ciò che aveva avuto in dono, si limitava a scoprirlo con naturalezza.
    Due colpi sul palmo sinistro e si portò la sigaretta alla bocca, alzò una mano per attirare l’attenzione dell’inserviente, ma qualcuno avvolse le sue dita, portandole al cospetto la fiammella di un accendino d’argento. La prima cosa che notò di lui fu il suo soprabito chiaro e, poi, il calore sicuro della sua presa. La sua mano era confortante, come quel sorriso ingenuo e spontaneo che gli raggiungeva gli occhi. Non ne aveva visti molti, di così sinceri e veri. Non particolarmente bello, non spiccatamente brillante, ma affabile e piacevole. Semplice. Fino a quel momento, Edith Lagrange aveva vissuto credendo che il suo inspiegabile bisogno di complicazioni l’avrebbe portata, dopo anni, a divenire polvere.
    Esistere solo per intraprendere sentieri più scoscesi, affacciati su dirupi ogni volta più profondi: per lei questo era quasi un dogma proprio di ogni uomo. Proprio almeno di chi, come lei, portava sul corpo il marchio di un credo. Nel suo futuro vedeva solo lacrime, una veletta nera e litanie funerarie.
    Non lui, non quell’uomo. Non un nodo già sciolto, non un groviglio sbrogliato, non un enigma risolto. Amarlo fu facile, sicuramente anche per quella sua garbata galanteria. Per poco tempo, si convinse d’aver sbagliato: a volte, l’uomo sceglie consapevolmente la via diritta, quella senza intoppi. Comprese ben presto d’aver errato. Lei era l’eccezione alla regola, quella che si limita confermarla. Del resto, persino la buon anima di suo marito glielo confermava: lui aveva scelto lei, con tutto il suo bagaglio di problemi.
    Studiò per un attimo la ragazza che le si era avvicinata, colpita. Stava per porgerle la mano per presentarsi, considerando che non l’aveva mai vista prima e che la cosa, in circostanze come quella riunione, era piuttosto rara, quando il cameriere ritornò. A mani vuote.
    «Non sono un cameriere, ma sono sicuro che qui dentro qualcun altro potrà soddisfare la sua richiesta»
    Non mutò espressione dinnanzi alla falsità del suo sorriso. Ne aveva visti molti, di quel genere.
    «Ah no?». La sua espressione si fece dispiaciuta, mentre, reclinando leggermente la testa a sinistra, si portava le mani al petto. «Devi perdonarmi, sono sicura che troverò qualcuno che possa aiutarmi». Gli posò una mano sull’avambraccio e gli sorrise. Tese leggermente le labbra, fece tremolare il mento e strinse la presa sul suo corpo, quasi come se stesse per inciampare o cadere al suolo. Lo aveva visto fare da qualche astuta vecchietta Babbana bisognosa d’attraversare la strada. Il trucco della nonnina indifesa funzionava sempre. «Lascio questo simpatico leprecauno alle tue cure» disse, rivolgendosi alla ragazza che ambiva il panino del fastfood. Superato di un passo il ragazzo, alzò lo sguardo al cielo e scosse la testa.
    «Hai un problema di idiozia dilagante» disse, guardando Liam Callaway negli occhi. Tremendamente bello e rinomato stratega. Una nuova presenza le si avvicinò, impedendole d’andare a chiacchierare con il nuovo tiranno. Attorno a lei, si rese conto in quell’istante, stavano accadendo troppe cose. Odiava non riuscire a stare al passo con i propri progetti. Mentalmente, si appuntò di presentarsi alla sconosciuta e d’andare a porgere, il prima possibile, i propri omaggi a Callaway. L’interruzione, in questo caso, fu piacevole.
    «Violet Jenkins» disse riconoscendola. Spinse il piede destro all’indietro e piegò il busto leggermente in avanti, stando al gioco della ragazza, per poi prenderle il viso tra le mani. «Guarda quanto è cresciuta la piccola Violet» con il dito indice sotto il mento la forzò a guardare verso l’alto. «Splendida, come tua madre alla tua età». La liberò da quel contatto, portandosi la sigaretta alla bocca e traendone una boccata di fumo. «Prometto che appena mi sarà possibile, farò loro visita. Ti prego di riportare loro i miei più cari saluti». Le carezzò una guancia «Ora l’anziana signora della compagnia deve andare a porgere i propri ossequi al capo, ma è stato veramente un piacere rivederti. Spero che, più tardi, avremo del tempo per chiacchierare».
    Con quelle parole, le si allontanò. Lungo il suo percorso, si limitò a salutare la vedova Devereux con un cenno cortese. Su di lei si dicevano molte cose. Di certo, vi era che di recente era morto suo figlio. Tra i due, lei aveva sempre preferito il primogenito, lo scapestrato. L’altro, era un ragazzo semplice, un po’ come suo marito. Aggiunse alla sua lista di porgerle le proprie condoglianze.
    Finalmente, giunse al cospetto di colui che aveva convocato quella riunione. Era quasi accaldata dal troppo parlare. «Disturbo?».
    Si appoggiò alla sua scrivania e lo guardò negli occhi. Cercò di scrutarlo, ma, in realtà, voleva ascoltarlo. Capirlo.
    «Conosco una buona ditta di pulizie, se vuoi» gli disse indicandogli rapidamente tutte le cianfrusaglie della vecchia preside che li circondavano. Voleva un odgen. «E anche un paio di vecchi maggiordomi che potrebbero insegnare l’educazione a qualcuno dei tuoi studenti». Danni lasciati in eredità dalla vecchia Preside. Quel povero ragazzo aveva fin troppe rogne tra le mani.
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    Allora, è sicuramente per Liam e Stiles (da quello che c'ho capito), ma chiunque volesse aggiungersi può farlo ^^ Io spero di riuscire a postare domani con Amethyst
     
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    in ciao treno i trust

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    Ex- Corvonero • 25 • Mangiamorte
    Aiden Larson
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    «a psychopath is better than no path.»
    I ragazzi d’oggi non riuscivano più a distinguere la maleducazione dal suicidio. Quando il giovane Serpeverde le rispose male lanciandole la moneta, Aiden Larson si limitò a sorridere sorniona: con quel viso giovane le ricordava tantissimo Joshua Detroit, un Tassorosso che aveva frequentato Hogwarts nei suoi stessi anni. C’era anche lui al falò nella Foresta Proibita, era uno dei ragazzi che erano morti quella notte: aveva amato così tanto il falò, che aveva deciso di abbracciarlo con tutto sé stesso, nel senso più letterale del termine. I medimaghi aveva trovato i suoi resti carbonizzati nel Lago Nero, un braccio scuro appoggiato quasi con eleganza sulla sponda. Anche a quello Aiden aveva avuto una risposta: il ragazzo soffriva di una rara malattia, per il quale a volte soffriva immensamente di caldo, a volte di freddo. A causa di quest’ultimo, e dell’amore verso le fiamme, aveva allegramente passeggiato nel falò; l’improvviso caldo, a lei piaceva definirle caldane precoci, l’avevano spinto a fare un tuffo nel Lago. Superfluo dire che non avevano creduto nemmeno a quella spiegazione, gli ingrati.
    Chissà se anche al serpeverde piacevano i marshmallow cucinati su un falò in compagnia degli amici. Potevano sempre scoprirlo, la ex corvonero non aveva fretta di tornare all’istituto. Dopotutto aveva un permesso firmato dal preside di Hogwarts, quindi finchè lui avesse avuto necessità, Aiden sarebbe stata disponibile. Era un così bel ragazzo che erano poche le cose che gli avrebbe rifiutato.
    Quello fu un giorno importante, per la Larson: il giorno in cui, finalmente, conobbe il suo superpotere.
    Era diventata invisibile.
    Figo, aveva sempre voluto un super potere. Adesso avrebbe potuto tranquillamente andare al McDonald’s più vicino a strafogarsi di BigMac senza che nessuno le richiedesse alcun pagamento. Rise fra sé e sé, e tanto per provare improvvisò un balletto al signore seduto affianco a lei: si alzò in piedi, alzò le mani al cielo e mosse i fianchi a ritmo della musica canticchiata da ella stessa, mentre le braccia mulinavano nell’aria. Il signore la guardò malissimo, si alzò e se ne andò senza proferire parola.
    Ah, che stupida. Non poteva vederla, ma poteva benissimo sentire le sue parole. Si tirò una pacca sulla fronte, e tornò a sedersi sbuffando, poggiando il gomito sul ginocchio ed ascoltando le moine di una ragazza bionda tutta zucchero e miele. Si stava rivolgendo alla signora che prima era seduta al suo fianco con un tono così mellifluo e riverente che, se ne avesse avuto uno a portata di mano, Aiden era sicura che avrebbe steso un tappeto rosso ed avrebbe lasciato cadere petali di rosa ovunque l’austera strega avesse messo piede. La stava guardando male, corrugando le sopracciglia e scimmiottandone i movimenti: tanto era invisibile, la studentessa non poteva accorgersene.
    Più la guardava, più Aiden pensava che avrebbe potuto invitare anche lei al falò, assieme al Serpeverde di poco prima: aggiungi un posto a tavola, che c’è un amico in più!. Più si era, più sarebbe stato divertente.
    L’aveva detto anche l’ultima volta.
    Si alzò elegantemente dalla sedie e lisciò le pieghe della gonna. Aspettò che la maggior parte dei presenti fosse uscita per poter finalmente gironzolare nell’ufficio del preside. Fece lo slalom fra le sedie fingendo che ognuna di quelle fosse un laser, evitandole in maniera molto atletica ed artistica. Ricordava di aver visto, una volta, una video di una cantante babbana nella scatola magica. All’istituto c’era una Mezzosangue che teneva una di quelle scatole magiche nel suo ufficio privato, e qualche volta Aiden vi si era intrufolata per cercare di capire quale fosse l’attrattiva del rettangolo buio. Sapeva che i babbani erano un po’ strani, ma non immaginava che si dilettassero davanti a delle scatole nere. Un giorno però, entrando nell’ufficio, aveva trovato la scatola illuminata: a volume basso sentiva delle parole, una canzone, e sulla scatola una ragazza bionda stava cantando don’t you know that you’re toxic? mentre abilmente evitava dei fasci di luce rosse che parevano tanto degli schiantesimi innaturalmente statici. Finita la canzone, che Aiden si era goduta ballando ed improvvisando le parole con un microfono (un porta penne), una strana donna era comparsa sulla scatola. Accennava ai suoi capelli fluenti, e mentre questi luccicavano nell’aria come gli alberi di Natale ad Hogwarts, diceva di valere. EH CERTO, lei valeva solo perché i suoi capelli brillavano più di quelli di Aiden? Stronza! Aveva gettato la scatola per terra, e l’aveva colpita più volte con un oggetto contundente (una sedia) che al momento aveva ritenuto molto adatta. Quando la dottoressa l’aveva trovata nel suo ufficio, con la scatola nera a pezzi ai suoi piedi, la Larson si era giustificata dicendo che la scatola l’aveva attaccata, e lei si era limitata a difendersi.
    Nemmeno lei le aveva creduto. Chissà perché nessuno si fidava mai delle sue parole, era così sincera! Il velato riferimento alla poca lucentezza della sua chioma era un chiaro insulto ad Aiden stessa: secondo l’ottica di una donna, quello è attaccare, e merita di essere difeso con le unghie e con i denti.
    Passò il dito su tutte le mensole dell’ufficio di Callaway, e rimase soddisfatta nel constatare che non vi era nemmeno un granello di polvere. Purtroppo non aveva trovato niente di entusiasmante (aveva sperato fino all’ultimo che da qualche parte nascondesse delle sue polaroid in posizioni osè), fatta eccezione per la tartarughina di legno. Callaway non ne avrebbe sentito la mancanza, mentre Aiden ci si era già affezionata. “Ti chiamerò..Spirit Tartaruga Selvaggia” Le sussurrò con voce dolce, mentre delicatamente la infilava nella tasca.
    Si guardò attorno. L’ufficio era ormai quasi deserto, se non si teneva conto della signora bionda e di Liam stesso, ancora seduto dietro la scrivania. Si avvicinò lentamente, quasi si stesse muovendo a ritmo di musica, e quando arrivò dai due prese una sedia e la mise affianco a quella del moro, dietro la scrivania. Poggiò il gomito sul tavolo e sorrise ad entrambi. “E anche un paio di vecchi maggiordomi che potrebbero insegnare l’educazione a qualcuno dei tuoi studenti” Battè le mani l’una contro l’altra felice. “Sì, educazione! Ecco cosa ci vorrebbe. Potrei iniziare io volendo. Forse non sapete chi sono, ma quelli che mi conoscono sanno che sono una persona molto diligente” Beh, diciamo che quando si poneva un obiettivo, tipo far tacere qualcuno, raramente falliva. Il fine giustificava i mezzi, giusto? “Il metodo è un po’ diverso da quello che conoscete, mi piace sempre iniziare in modo informale e leggero” Disse gesticolando, ed incrociando le gambe. “Tipo i falò. Oh, io adoro i falò. Possiamo organizzarne uno, Liam?” Chiese sorridendo al preside di Hogwarts. Si picchiò una mano sulla gamba, abbastanza forte da sentir la pelle bruciare. Non potè evitare una smorfia sofferente, che deformò leggermente il ghigno sulle sue labbra. “Scusatemi, ho scordato la buona educazione anche io. E’ da un po’ che non vedo.. le persone. Tendo a scordarmi come ci si comporta in loro presenza” La voce andò via via affievolendosi, fin quasi a divenire un sussurro a mezzo voce rivolto solo a sé stessa. “Il mio nome è Aiden Larson, e sono onorata di fare la vostra conoscenza” Si presentò sorridendo, porgendo loro la mano affusolata.
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    Liam Callaway
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    «La morte avrà il peso delle scelte.»
    Misericordia[mi-se-ri-còr-dia] : Sentimento di compassione e pietà per l'infelicità e la sventura altrui che induce a soccorrere, a perdonare, a non infierire. Liam Callaway ne era privo, ma era inutile sottolinearlo. Quando Aiden Larson, non poteva non riconoscerla immediatamente, domandò se fosse possibile portare il costume sulle scogliere di Moher, non trattenne una risata divertita. Probabilmente avrebbero pensato che fosse pazzo; quasi lo pensava egli stesso. Il motivo che l’aveva spinto a chiamare a raccolta anche quella ragazza, la cui mente instabile l’aveva condannata a passare il resto della sua vita in un centro di recupero, era che ne aveva ammirato la perversa intelligenza. Aveva letto diversi dossier sulla mora, sapeva ciò che aveva fatto ai suoi compagni, sapeva che era un’assassina. Ma chi in quella stanza non lo era? E lei, al contrario di molti altri, aveva una dote particolare: il sangue freddo. Non avrebbe avuto scrupoli in una battaglia, se mai ci fosse stata, ed al contempo era abbastanza intelligente da poter cogliere indizi che agli altri sarebbero stati superflui. “Ma certo che può. Per quanto mi riguarda, signorina Larson, può anche portare un hukulele e allietare tutti noi con danze e canzoni” Schiuse le mani e le sollevò dalla scrivania, per poi riporle in grembo. Quasi nessuno fece domande, una fiducia commovente o ingenuità?, ma Alida Rimbauer prese parola.
    “Non credo che qui siedano stupidi che vadano in giro a raccontare tutto ai quattro venti, o almeno lo spero per loro... A quanto pare quell'Italie è riuscito nel suo intento, far parlare di se persino dopo morto e portare avanti la sua stupida crociata...La situazione è fin troppo semplice, do ragione a Callaway, ma secondo me dovremmo iniziare subito a parlare dei dettagli della nostra partenza, non possiamo certo rimanere indietro ai nostri cari "amici” lasciando una riunione pieni di risposte si, ma senza certezze su quando partiremo! Cosa ci aspetta su quelle scogliere? Delle semplici rocce che nascono dal mare? Siamo realisti io lo dubito fortemente, se abbiamo anche solo il sospetto che la pagina si trovi da quelle parti e di certo qualcosa troveremo, quel tipo avrà messo la qualche trappola stupida e inutile, ma abbastanza per distrarci o farci perdere tempo e prima che questo incontro finisca, vorrei saperlo, così da prepararmi al meglio a ciò che dovrò affrontare”
    Liam arricciò le labbra ed aggrottò le sopracciglia, lanciando un’occhiata di sottecchi alla bella mora che pareva molto decisa nel suo intento. “Alida Rimbauer, non sottovaluti mai la stupidità dell’essere umano. Esistono molte persone che per ingenti somme di denaro sarebbero disposti perfino a vendere il loro primogenito, cosa potrebbe mai essere a confronto un informazione riservata?” Sorrise, abbassando lo sguardo sulle eleganti mani giunte. “Per questo sottolineo nuovamente che se queste informazioni dovessero uscire da questa stanza, troverò chiunque abbia suscitato la fuga di notizie e gli farò dimenticare perfino il nome di sua madre” Nemmeno per un attimo il sorriso vacillò, rendendo la minaccia molto più concreta. Se pensavano che non l’avrebbe mai fatto, non erano solo ingenui: erano dei completi idioti.
    “I dettagli della partenza li farò pervenire io stesso il giorno che deciderò di alzare le vele, mandando a ciascuno di voi il luogo dell’incontro e la data precisa. Mi pare ovvio che sia una cosa che va fatta assieme: partiremo tutti quanto nello stesso momento, ed una volta là decideremo come dividerci per cercare questo benedetto manufatto. Probabilmente si tratterà di primo pomeriggio, così avremo più ore di luce a nostra disposizione per la ricerca. Personalmente sono già andato a dare un’occhiata al luogo, e non ho visto nulla di entusiasmante, ma è stata una cosa molto superficiale. Se vuole andare a guardare lei stessa, le consiglio vivamente di fermarsi a Mangiare a da Rhys, prelibatezze dell’Irlanda a modiche cifre”
    Concluse cambiando argomento, mentre i suoi pensieri tornavano al biglietto trovato sotto la porta: la morte avrà il peso delle scelte.
    Liam sapeva che quell’infedele di Italie doveva aver messo qualche stupido tranello, come già aveva fatto in passato, per proteggere la pagina. Ma dannazione, erano una dozzina di maghi particolarmente dotati, non riuscire a superare gli ostacoli posti da un sol uomo (e nemmeno molto bravo) sarebbe stato davvero degradante.
    Attese seduto dietro la scrivania che tutti uscissero, incapace di sostenere ancora la vista di tutte quelle persone assiepate nella stessa stanza. Callaway aveva un serio problema con le persone, non riusciva a sopportarne tante a lungo senza aver la tentazione di prendere la bacchetta e liberarsi di più della metà di loro; quando li vide uscire uno ad uno, tornò a respirare normalmente, senza più l’inclinazione omicida che aveva caratterizzato i suoi ventun’anni di vita.
    “Disturbo?” L’irlandese alzò distrattamente lo sguardo, e vide di fronte a sé Edith Lagrange. Liam era davvero soddisfatto di vedere che aveva accettato il suo invito: evidentemente non lo reputava il solito moccioso con problemi di ego, come in tanti lo definivano. O almeno, non lo reputava solo quello.
    Conosco una buona ditta di pulizie, se vuoi. E anche un paio di vecchi maggiordomi che potrebbero insegnare l’educazione a qualcuno dei tuoi studenti”
    Scrollò la testa e la invitò ad accomodarsi nella sedia libera più vicina con un cenno della mano. “Edith Lagrange, sempre meravigliosa. La ringrazio per aver accettato il mio invito, lo apprezzo moltissimo. Purtroppo delle mele marce ci sono sempre, ma le assicuro che non sono tutti così i nostri studenti” Lanciò un’occhiataccia alla porta dalla quale erano usciti tutti quanti. “La maggior parte di loro ci tiene a vedere l’alba del giorno seguente” Inarcò allusivamente il sopracciglio, mentre Aiden prendeva una sedia e si accomodava affianco a lui senza alcun permesso esplicito di Callaway.
    “Sì, educazione! Ecco cosa ci vorrebbe. Potrei iniziare io volendo. Forse non sapete chi sono, ma quelli che mi conoscono sanno che sono una persona molto diligente. Il metodo è un po’ diverso da quello che conoscete, mi piace sempre iniziare in modo informale e leggero. Tipo i falò. Oh, io adoro i falò. Possiamo organizzarne uno, Liam?”
    Spostò lentamente l’attenzione da Edith a lei, scrutandola per qualche secondo. Con quei grandi occhi azzurri e quel sorriso così aperto, era impensabile che avesse commesso le atrocità di cui sapeva fosse responsabile. Ecco perché poteva diventare una grande alleata. “Aiden, per favore. Per quanto apprezzi l’idea, questo non è davvero il momento adatto. Se qualcuno ci fa arrabbiare organizziamo un falò alla fine della ricerca, va bene?” Le strinse amichevolmente un braccio. Con quel suo aspetto così innocente, suscitava in Liam la (sbagliata) sensazione che fosse una bambina, e che per quel motivo dovesse essere trattata come tale. Comunque, quando non uccideva qualcuno, sembrava una ragazza simpatica.
    Le strinse la mano e le rivolse un mezzo sorriso. “Liam Callaway, lieto che ti abbiano dato il permesso di uscire. Perché l’hanno fatto, vero?” Domandò, improvvisamente scettico.
    “Comunque, volete qualcosa? La Howe aveva un pessimo gusto per gli alcolici, fortunatamente ho rimpolpato la schiera” Disse distrattamente, prendendo due bicchieri da aggiungere al suo ancora umido di Whisky.
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    Edith Lagrange
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    «Sangue nero. Sangue d'argento»
    Meravigliosa. Era trascorsi almeno vent’anni, da quando quell’aggettivo, riferito alla sua persona, aveva smesso d’essere un complimento ed era divenuto mera adulazione. All’epoca, i Mangiamorte erano ancora un corpo clandestino e i seguaci del Signore Oscuro erano costretti ad agire coperti da maschere di ferro e mantelli scuri, onde evitare che il loro viso li smascherasse. Ricordava con piacere, quell’ebbrezza, la medesima che, nella contemporaneità, probabilmente animava i Ribelli, rendendoli, pur non sapendolo, estremamente simili a coloro che volevano spodestare. O almeno ai loro predecessori.
    L’ordine, nel mentre, era stato sovvertito e ribaltato, assegnando all’oscurità una vittoria schiacciante, ma cancellando, in un solo colpo, quegli eventi: non vi era più traccia di tutto ciò, delle retate e degli attacchi, del dolore per la caduta di Tom e del desiderio di rivalsa. Erano altri, in quel momento, i sovversivi e il potere che questi volevano era il medesimo per cui lei e i suoi compagni avevano versato il proprio sangue.
    «Spero d’essere utile a qualcosa» constatò, quasi ad alta voce, rivolgendosi a Callaway. L’età le aveva portato molte cose, tra le altre, la consapevolezza della propria inutilità: lo vedeva in sé e in chi, un tempo, impugnava la bacchetta al suo fianco. Un esempio, tra tutti, era Jerome, uno dei primi reggenti, dopo la Caduta e la Rinascita, e uno dei pochi così astuti da ritirarsi prima di venire ammazzato. Ricordava ancora il suo viso glorioso, dai lineamenti marcati, spigolosi e affilati. La linea della sua mandibola, ricoperta da una ispida barba biondo scuro, il nero dei suoi occhi, cuori pulsanti di tenebra, e il suo torace ampio e muscoloso. Il suo bel viso, quello d’un rude principe barbaro, era stato sfregiato da niente meno che Minerva McGranitt: una ferita, lungo la parte sinistra del suo viso, che aveva reso cieco il suo occhio, ma che lui ostentava con fierezza. Rintracciarla nelle sue gote flaccide, ora, era impossibile. Jer aveva preso a mangiare, accatastando l’allenamento quando questo era divenuto inutile. Il potere, progressivamente, lo aveva infiacchito e impigrito. Il condottiero che era stato venne fagocitato da un grasso signorotto unto. Depose la propria arma fidata, quella con cui, alla fine, aveva messo a tacere i miagolii della Gatta, sconfiggendola, e impugnò una penna, desideroso solo di lasciare ai posteri le sue memorie depurate dall’Oblivion. Una vera fortuna che, sulla propria strada verso l’obesità, l’uomo avesse incontrato la splendida Shae, penna squisita e intelletto acuto. La ragazza, brillante arrampicatrice sociale, era riuscita, pur facendosi un’idea sincera su ciò che era stato prima dell’Incanto di Memoria, a stroncare il tentativo. Una leva, non essendo ancora trentenne, che avrebbe fatto comodo al giovane uomo che ora le stava innanzi.
    A raggiungerli, fu, poi, la ragazza che aveva lasciato in compagnia del piccolo leprecauno sbarbatello. Quando si presentò, porgendo la mano ad entrambi, sebbene evidentemente Callaway la conoscesse già, il suo nome la portò finalmente a comprendere chi era. Ricordava perfettamente la notizia comparsa su tutti i quotidiani inglesi che descrivevano il truce evento e quel nome, anche non volendolo, era rimasto impresso nei suoi ricordi. Nonostante ciò, aveva sempre ritenuto che il fantomatico Aiden Larson fosse un ragazzo. Che vi fosse un motivo per il quale era stata internata, risultava evidente: troppo “particolare” per essere catalogata. Per questo motivo, da eliminare. Gli occhi di Edith si illuminarono.
    Era inusuale che vi fosse qualcuno a lei completamente estraneo, tra i Mangiamorte più celebrati. Per la sua curiosità, per il suo desiderio d’esserci, quella era manna. Provava l’impronunciabile desiderio perverso di vederla in azione, d’esserle testimone.
    Attese che Liam si presentasse, prima di stringerle le mano a propria volta. Decisa.
    «Edith Lagrange» disse sicura, spostando per un istante la sigaretta nella mano sinistra «ed è un vero piacere, per me, incontrarla». Diede la possibilità alla ragazza di rispondere alla domanda del loro capitano, prima d’accettare l’offerta dello stesso.
    «Per me dell’odgen, Liam, se non ti è di troppo disturbo». Aveva meditato a lungo su come rapportarsi con il nuovo Reggente. Alla fine, aveva deciso d’essere informale ma rispettosa, almeno fino alla prima impresa gloriosa da lui compiuta o al primo fallimento.
    «Quindi è vero? È stato trafugato l’incantesimo?» domandò infine, principalmente per riempire il silenzio. La notizia della scomparsa, vuoi anche per la scenata della pubblica esecuzione, era sulla bocca di tutti. O almeno su quella di coloro che contavano qualcosa.
    winston,©


    scusate il ritardo e il post osceno, è un periodaccio per avere bisogno dell'ispirazione a comando =.=
     
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    Liam Callaway
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    «La morte avrà il peso delle scelte.»
    Fu solo un breve momento. Un piccolo, ed esitante attimo in cui Callaway, guardandosi attorno, ebbe la netta sensazione di aver già vissuto una scena simile. Le persone li chiamavano deja vu. Alcuni pensavano che fossero momenti destinati ad esistere, altri che nella mente umana vi fosse una parte onnisciente che nei sogni anticipasse un breve momento del futuro. L’ipotesi scientifica era che il cervello rielaborava scene simili fra loro, rendendo quel breve secondo un insieme di dettagli che fingeva di farsi riconoscere. Stranamente, Liam, che di solito non credeva a nulla tranne che a sé stesso, aveva un’idea in merito: pensava che quella manciata di secondi fosse l’intersecazione di una stessa manciata di secondi in un universo parallelo creato da scelte differenti. Una manciata di secondi, che poteva significare solo una cosa: non importa quale decisione tu abbia preso in passato, era destino che ti trovassi in questa stanza, in questo momento.
    La morte avrà il peso delle scelte.
    Strinse impercettibilmente i pugno e battè due volte le palpebre, prima di riuscire a mettere nuovamente a fuoco Edith Lagrange.
    “Spero d’essere utile a qualcosa”
    Liam Callaway, a dire di molti, era tante cose: arrogante, presuntuoso, narcisista. Mai gli avevano sollevato qualche polemica sulla stupidità, o sull’avventatezza. Liam non prendeva decisioni stupide (solitamente), e quando progettava qualcosa cercava di non lasciare nulla al caso. Ovviamente non poteva sempre andare tutto per il meglio, per quanto una cosa fosse misurata nei minimi dettagli; esisteva sempre un inconveniente, causa dell’effimera forza di volontà dell’uomo, che all’ultimo decideva di agire in maniera diversa da quanto ci si aspettava avrebbe fatto. Ma se aveva invitato quelle persone, quel giorno, in quell’ufficio, non era per la loro piacenza, o per la loro simpatia. Merlino voleva che se avesse voluto cercare compagnia simile, avrebbe frequentato altri posti. Nulla da togliere ai presenti, ma non conosceva bene nessuno di loro. Qualcuno avrebbe anche potuto avanzare l’ipotesi che si trattasse di persone sacrificabili.
    Qualcuno avrebbe anche potuto non sbagliarsi.
    Principalmente si trattava solo di una spedizione di ricerca: per quel motivo aveva voluto al suo fianco persone brillanti, dalla mente aperta, intelligenti. Allo stesso tempo, c’era la possibilità di combattere, dato che anche i ribelli volevano quella pagina, e sicuramente avevano le loro spie all’interno del castello: per questo aveva designato persone capaci, forti, giovani. Dei combattenti.
    Ma non esiste guerra senza vittime.
    Edith Lagrange rientrava nella prima categoria. Aiden, francamente, in tutte e tre.
    Non sia modesta. Conosce le sue capacità, ed è ancora perfettamente in grado di gestire un campo di battaglia. Specialmente” Poggiò i palmi sulla scrivania e spinse leggermente indietro la sedia. “Nel qual caso il gruppo si dovesse dividere. Ho tante capacità, ma sono abbastanza realista da rendermi conto che l’onnipresenza non è fra questi.. e conto su di lei. Posso fidarmi?” Alzò entrambe le sopracciglia. Sapevano entrambi che non si parlava della fiducia di due amici di vecchia data, ma di quella fiducia nata dalla necessità. E sapevano entrambi, o almeno Callaway di certo, che se ci fossero stati anche i Ribelli, la loro priorità sarebbe stata lui. Doveva sapere che, in un modo nell’altro, con la pagina o meno, sarebbero tornati a Hogwarts. Un leader sa quand’è il momento di ritirarsi, e quale quello in cui mettere l’orgoglio da parte.
    A prescindere che lui ci fosse o meno.
    Prese l’ogden e ne versò mezzo bicchiere per sé, e per la Lagrange. Alla richiesta di Aiden Larson, si limitò ad una piccola smorfia delle labbra, prima di versarne anche a lei. Aprì l’armadietto dietro di sé con fare distratto, cercando fra le cianfrusaglie della Howe qualcosa che potesse anche solo vagamente assomigliare ad un ombrellino da mettere nel drink. Trovò una sottospecie di fenicottero rosa, la cui zampa sarebbe dovuta andare nel cocktail. Prese la bacchetta e con un breve movimento di polso pulì l’oggetto (non si sapeva quale fosse l’uso che la Howe ne aveva fatto), e lo infilò nel bicchiere della ragazza con un mezzo sorriso sarcastico. Merlino, avrebbe potuto passare le giornate con quella psicopatica a spaccarsi dal ridere, e invece il permesso le durava solo per quella ricerca. Sarebbe stato interessante partecipare ad un suo falò, specialmente se Callaway avesse potuto avere l’onore di invitare qualche amico.
    A saperlo prima, avrebbero saltato l’esecuzione pubblica di Italie per un più ristretto fuocherello fra amici.
    “Quindi è vero? È stato trafugato l’incantesimo?”
    Si inumidì le labbra, bevve il contenuto del suo bicchiere e lo riempì nuovamente. Lo fece roteare lentamente sulla superficie di vetro, quasi incantato dal ritmico movimento della bevanda, prima di poggiarlo intoccato davanti a sé. “Non esattamente” Rispose lentamente, attento a ciò che diceva. Non che non si fidasse, ma.. no, non si fidava. Nulla di personale, ma la salvaguardia del regime andava ben oltre egli stesso.
    La pagina smarrita è un’altra. Non so quanto lei.. quanto voi” Fece un cenno anche a Aiden. “Sappiate del libro. La parte mancante è forse quella più importante. Per questo dobbiamo trovarla noi, per primi: non è solo un capriccio, è un’esigenza” Lanciò nuovamente un’occhiata d’intesa a Edith, che probabilmente era più informata sui fatti di Aiden Larson. Da quel che ne sapeva l’irlandese, c’era stata anche lei il giorno in cui era stato lanciato l’incanto sulla popolazione. Non essendone sicuro, preferì tacere la parte non detta, che pareva aleggiare fra loro e farsene beffe.
    Prese il bicchiere e vuotò nuovamente il contenuto nel suo stomaco, prima di schioccare la lingua. “Ragazze” sorrise ad entrambe, crepando la solita maschera impassibile per mostrare il lato umano che raramente ricordava di avere. “E’ stato un piacere fare la vostra conoscenza. Mi tratterrei ancora, ma il lavoro mi chiama” Mano a mano che parlava, il sorriso si faceva più tirato e stanco, mentre il mal di testa continuava a battere incessante alla radice del naso. “Aiden, conto sulla tua mente brillante. Signora Lagrange” Inclinò leggermente il capo. “Conto sulla sua autorità. Se volete rimanere in quest’ufficio, anche se lo sconsiglio per il vostro amor proprio, fate pure. Io non ho niente da nascondere, e alla Howe non penso importi ancora” Concluse quasi rivolgendosi a sé stesso. Prima di fare il giro attorno alla scrivania poggiò un braccio sulle spalle della Larson, e si abbassò per avere le labbra all’altezza del suo orecchio. “E la tartaruga la puoi tenere”
    Un buon leader si lasciava sfuggire qualche dettaglio. Liam Callaway, invece, notava tutto: non doveva essere un buon capo, gli bastava essere il capo.
    winston,©
     
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