When the lights fade out all the sinners crawl

Ogden

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    mangiamorte • 16 • slytherin
    Megan Lynn
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    « Don’t get too close it’s dark inside it’s where my demons hide»
    Osservai il mio riflesso allo specchio, chiedendomi chi fosse quella ragazza dai capelli rossi che mi fissava dal vetro. Non potevo essere io quella con la camicetta strappata, le calze rotte e il volto incorniciato da una massa di capelli troppo annodata da far desistere chiunque dall’infilarvi una mano. Non potevo essere io quella ragazza con un labbro spaccato e i graffi che correvano lungo le braccia come piccoli serpenti velenosi, con i grandi occhi azzurri vacui e una cicatrice che correva lungo la guancia destra, rovinando un volto altrimenti di porcellana. Eppure, quando sollevai una mano e la posai sullo specchio, la ragazza al di là del vetro fece esattamente la stessa mossa e in quel momento sarei stata pronta a giurare di poter sentire il calore delle sue dita sulle mie, pur sapendo che era impossibile. Perchè quella ragazza ero io, nonostante i vestiti laceri e la pelle rossa per le ferite, ero io, ed ero più vera di quanto lo fossi mai stata fino a quel momento, perchè anche il mio aspetto esteriore era ferito quanto la mia anima, lacerato e contuso come il mio cuore da quando mio fratello aveva deciso di suicidarsi. Osservai gli occhi della ragazza colmarsi di lacrime e sentii sulla pelle del viso, sulla cicatrice ancora bruciante, rivoli di acqua salata che scorrevano come un fiume in piena, e non riuscii a fare nient’altro che rimanere ferma davanti allo specchio e fissare il mio riflesso sempre più pietoso.
    Quello che accadde dopo sono solo dei ricordi sfocati, forse perchè avevo ancora gli occhi appannati dal pianto, forse perchè il mio cervello aveva deciso di prendersi una pausa o forse perchè oltre alle torture fisiche mi avevano fatto anche un confundus questo non ve lo saprei dire, so solo che mi ritrovai in un salotto che non avevo mai visto, con i capelli bagnati che gocciolavano sul parquet mal ridotto e gli stessi vestiti strappati che indossavo in camera. Sbattei le palpebre un paio di volte, mettendo a fuoco un divano verde scuro, con qualche cuscino sfondato, ed una finestra dai vetri appannati poco distaste da me, poi mi guardai intorno cercando di capire dove fossi, ma non riconobbi niente di ciò che mi circondava. Come ero arrivata fino a lì? Strisciai fino al divano appoggiandomi al bracciolo per tirarmi in piedi, poi mossi qualche esitante passo nella stanza. In quel momento mi accorsi di avere i capelli completamente bagnati, e non solo: anche gli abiti erano zuppi ed aderivano alla pelle già fin troppo tormentata strisciando sopra le ferite aperte. Era la terza volta che finivo in sala delle torture, ed ogni volta era sempre peggio. Quel giorno Maddox si era divertito, raggiungendo l’apice della sua sadicità, ed io ero diventata la sua cavia preferita. Potevo sentire ancora il suo alito caldo solleticarmi la pelle sensibile appena sotto l'orecchio, e la sua voce tagliente sussurrarmi queste poche parole mentre faceva passare la bacchetta sul mio ventre lacerando la pelle, e i brividi mi squassarono il corpo costringendomi ad avvolgermi le mani intorno al petto come se volessi proteggermi.
    Mi costrinsi a fare qualche altro passo, arrivando alla finestra, poi passai una mano sul vetro spannandolo e guardai fuori. Nuvole nere come pece ricoprivano il cielo notturno e la pioggia cedeva fitta impedendomi di cogliere quei dettagli che magari mi avrebbero fatto capire dove fossi finita, ed improvvisamente mi venne voglia di piangere e di implorare aiuto. Ma io non ero una di quelle persone che accettava aiuto dalle altri, ne ero una di quelle persone che piangeva con facilità e per quel giorno avevo versato già fin troppe lacrime, quindi mi morsi con forza l’interno della guancia fino a quando non sentii il sapore ferroso del sangue sulla lingua, e mi costrinsi a trattenere le lacrime, appoggiando la fronte sul vetro freddo. Dovevo trovare Maddox e riuscire a fargliela pagare, quindi in un modo o nell’altro sarei riuscita a tornare ad Hogwarts.
    winston,©
     
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    Sherman C. Ogden
    Ex Serpeverde • 24 anni
    « Chi vive nella libertà ha un buon motivo per vivere, combattere e morire. »


    Sapete qual'è la cosa migliore dell'essere un Sicario? La libertà di scelta. Esiste una linea sottile che delinea le nostre vite, o almeno questo è quello che sostengono in molti. Io la penso diversamente; sono certo di avere il pieno controllo delle scelte che faccio in base alle strade che mi si aprono d'avanti; sono certo di essere io a scegliere quale strada percorrere e soprattutto perché. E in quel momento ero difronte alla Stramberga Strillante per mia scelta.
    Il cielo era ricoperto da nere nuvole troppo scure per capire se al di là di esse vi fosse ancora il sole o meno. La pioggia batteva costantemente sulle strade, rese inevitabilmente fangose dall'acqua, e sulla mia oscura figura. Già quella sembrava un sentenza di morte.
    Vi dicevo... avevo scelto io di essere lì poiché da quando ero tornato a Londra avevo rifiutato il novanta percento degli incarichi ad eccezione di quello. Il perchè? Semplice...avevo finalmente trovato un pretesto per fare ritorno ad Hogwarts, seppur da li la si vedeva appena. Nessun ricordo fu in grado di invadere la mia mente, oramai avevo abbattuto queste debolezze tempo fa e di certo non bastava la lontana figura di un Castello, che per molti anni era stata la mia casa -come lo era per tutti gli studenti-, ad abbattere le fredde mura erette attorno al lato debole del cervello, quello che si occupava dei ricordi appunto. Avevo voglia di rivederla ma non di lasciarmi andare ad inutili sentimentalismi.
    In un battito di ciglia mi smaterializzai all'interno dell'abitazione che era stata testimone di molte infrazioni scolastiche già ai miei tempi e dubitavo che ora le cose fossero cambiate. La Stramberga ha sempre esercitato un fascino sinistro sugli studenti per via delle leggende tramandate da generazione in generazione, molte delle quali erano solo un mucchio di stronzate, sia chiaro. Tuttavia...Quale luogo migliore per iniziare le ricerche se non lì?
    L'incarico era piuttosto semplice, anche se era arrivato direttamente dai piani alti della Gilda; e quando gli incarichi arrivavano da così in alto non ti resta che metterti subito al lavoro -sempre se hai intenzione di accettare l'incarico o meno. (Libertà di scelta, ricordi?)-. Non vi erano limiti di tempo e potevo sbrigare le cose con estrema calma.
    A differenza di molti altri miei colleghi, che preferivano compiere soltanto l'assassinio, a me piaceva occuparmi di tutto: dalla ricerca dell'obbiettivo allo studio delle sue abitudini, fino all'atto conclusivo. Ero ancora nella prima fase, ma quel particolare incarico le racchiudeva tutt'e tre in una; dovevo limitarmi a trovare la vittima ed ucciderla. Semplice, no?
    Esplorai lentamente le stanze della Stramberga. C'erano voluti lunghi anni di allenamento per rendere i miei passi, e tutti i movimenti, estremamente silenziosi ed è molto più difficile di quanto si possa immaginare raggiungere quel livello. Arrivai alla prima stanza occupata da qualcuno dopo vari tentativi a vuoto -per quel che ne sapevo tutta l'abitazione poteva essere deserta, sebbene il mio sesto senso, anch'esso affinato dalle molte esperienze, m'aveva comunque indotto a provarci-, e questa non si accorse di me finché non decisi di rivelare la mia presenza battendo appena il piede per terra. Quando poi guardai la sua immagine riflessa nel vetro della finestra per un secondo, uno solo, un viso riaffiorò nelle mie mente, tutte le certezze tremarono ed i lunghi anni di allenamento rischiarono di finire nel dimenticatoio.
    A quel punto...ero davvero certo di essere assoluto padrone delle mie scelte? Misi le mani sul volto, premendo i polpastrelli sulle meningi ed i palmi contro gli occhi chiusi, con la speranza di scacciare i demoni dalla mia testa. Quando riuscii a ricompormi, alcuni secondi dopo, senza rendermi conto avevo estratto la bacchetta e la puntavo sulla giovane rossa già pronto alla maledizione senza perdono.


    made by mæve.

     
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    mangiamorte • 16 • slytherin
    Megan Lynn
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    « Don’t get too close it’s dark inside it’s where my demons hide»
    Piccole raffiche di vento che in un qualsiasi altro momento si sarebbero rivelate innocue entravano nella stanza da una finestra rotta poco distante da dove mi trovavo io, insinuandosi sotto vestiti strappati e bagnati, facendomi rabbrividire dal freddo. Come piccoli serpenti sentivo il vento freddo strisciare sulla mia pelle nuda andando a scovare le zone più sensibili, i tagli sul ventre e sulle cosce che dovevano ancora rimarginarsi, e io non riuscivo a muovermi, non riuscivo a trovare un modo per fermare questa lenta tortura. Non sapevo dove avessi lasciato la bacchetta, se sul pavimento dietro di me o nella sala delle torture, oppure in bagno nei sotterranei e anche il più lieve movimento i causava fitte di dolore al torace che mi spezzavano il respiro impedendomi di fare ogni cosa. Persino battere le ciglia per riuscire a vedere senza che mi si appannasse lo sguardo si rivelò alla lunga un gesto difficile da compiere, e in quel momento mi domandai se era così che ci si sentiva prima di morire. Ma poi mi diedi dell’idiota, perchè non stavo morendo e, anzi, presto sarei stata bene. Sarei andata in infermeria e Rosier mi avrebbe curato. Prima, però, dovevo riuscire a tornare a scuola.
    Tornai con lo sguardo verso la finestra, cercando di scorgere qualcosa attraverso il vetro bagnato dalle gocce d’acqua, che mi ricordarono tante lacrime, ma non riuscii a vedere altro che oscurità. In quel momento mi ritornarono in mente le storie che mia madre mi raccontava quando ero bambina e mi rifugiavo fra le sue braccia spaventata dal temporale, storie che narravano le vicende di angeli in fuga e dei che discutevano fra di loro. «il cielo piange, Maggie» mi diceva, cullandomi lentamente, «perchè gli Dei litigano. Sono questi i brutti suoni che senti. Ma poi faranno la pace ed allora vedremo l’arcobaleno» E io le sorridevo, passandole le braccia intorno al collo e la stringevo forte. Alla fine non ebbi più paura dei temporali, ma continuai ad andare da lei per farmi raccontare ogni volta una storia diversa, troppo orgogliosa per chiederle di raccontarmela anche quando fuori non c’era la tempesta.
    Ma da quando Paul era morto, anche quest’abitudine era andata perduta, ed io avevo erroneamente iniziato a pesare che la pioggia non fosse altro che le lacrime dei morti che scendevano dal cielo. Adesso, a distanza di anni, so che nessuna delle mie teorie era corretta, ma continuo ad illudermi che le gocce di pioggia che mi sfiorano il volto durante i temporali siano le lacrime di Paul che mi chiede scusa per avermi lasciato sola in un mondo nel qualche anche respirare è diventato difficile.
    Abbassai lo sguardo sul pavimento lercio, ed una lacrima sfuggì al mio controllo rigandomi la guancia, ma non riuscii a trovare la forza per sollevare la mano ed asciugarla, così la lasciai lì a ghiacciare sotto le continue sferzate del vento freddo.
    Un rumore secco, come di qualcosa sbattuto sul pavimento, mi riscosse dai miei pensieri spaventandomi, ed alzai nuovamente il volto verso la finestra, cercando di osservare cosa fosse successo nella stanza, ma non ero minimamente preparata allo spettacolo che mi sarei trovata davanti.
    Non era caduto nulla sul pavimento, il rumore era stato provocato da uno stivale pesantemente sbattuto per terra, stivale che apparteneva ad un uomo, un ragazzo, che mi osservava con la bacchetta spianata.
    Ricambiai il suo sguardo attraverso il riflesso sul vetro, assicurandomi di non apparire spaventata o debole, nonostante le mie condizioni. Non potevo difendermi, quindi se avesse voluto uccidermi non sarei riuscita a fermarlo, ma non sarei morta con uno sguardo terrorizzato ed una smorfia di paura, sarei morta con la mia solita espressione impertinente e sulle labbra il sapore di parole ironiche e sicure che mascheravano come mi sentivo veramente.
    «Non riesco proprio a capire» articolai lentamente, con voce bassa e apparentemente dubbiosa, «la mania di voi inglesi di puntare la bacchetta contro gli sconosciuti. Solitamente gli si porge la mano, ci si inchina.. Cose del genere»
    winston,©
     
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  4. ogden
         
     
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    Caotico Neutrale• 24 Anni• Ex Serpeverde
    Sherman C. Ogden
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    «Chi vive nella libertà ha un buon motivo per vivere, combattere e morire.»
    Dire che ero divenuto una macchina assassina senza volerlo era una stronzata bella e buona; l'avevo voluto, dedicando interi anni della mia vita recente affinché ogni singola parte di me si muovesse secondi determinati istinti e, sebbene le mie convinzioni, ora, non fossero ferree come lo erano fino a pochi minuti fa, di certo non sarebbe bastato così poco per far crollare tutto. Infondo, anche questo fa parte dell'essere 'umani' .

    Stavo per abbassare la bacchetta, nonostante immagini fuori luogo ancora presenziavano la mia mente, quando udii la sua giovane voce pronunciare quelle ironiche parole.
    Così diversa eppure così simile a lei!
    Quanto può essere infame la vita? Proprio quando credi che non possa più sorprenderti o farti del male ecco che, di punto in bianco, ti sbatte in faccia tutta la sua durezza; e in quei tempi bui non faceva sconti a nessuno.
    E a Lei, purtroppo, non andava meglio.
    Mi accorsi allora delle sue condizioni, delle ferite presenti sul suo corpo stravolto e macchiato di sangue, delle sue vesti strappate e della singola lacrima che rigava i tratti delicati del suo piacevole viso.
    Non mi lasciai indolcire, mio malgrado ero stato abituato a ben altre atrocità nel corso degli ultimi anni, tuttavia assecondai quello che era stato il primo istinto ed abbassai la bacchetta -rilassando quindi i muscoli del corpo-, tenendola però ancora stretta nella mano.

    Mi facevano male ancora gli occhi, e le meningi, per quanto forte avevo stretto le mani su di essi. Non riuscivo a capacitarmi di come tanto facilmente avevo permesso ai ricordi di riaffiorare, e alla debolezza di aggredirmi, Ma ero troppo allenato per permettere alla emozioni di trasparire e di intaccare quella che, per davvero, era una maschera imperturbabile. Raramente, come accaduto in precedenza, lasciavo intuire ciò che provavo e ancor più difficilmente accadeva due -o più- volte nello stesso contesto.
    « Io, invece, non riesco a capire la stupidità di voi ragazzini quando vi ponete simili quesiti. »
    Risposi con un'espressione fredda e distaccata.
    « Viviamo in tempi di guerra e vi aspettate davvero di trovare gentilezza nel prossimo? Questa è la vita, straniera, e tu più che mai, con quelle ferite sul corpo e quelle vesti strappate, dovresti aver capito che non c'è tempo per il buonismo, non siamo protagonisti di un libro o eroi di racconti e leggende, siamo semplici pedine in un gioco che è più grande di noi. »
    Senza sapere il perché -o semplicemente non volevo ammetterlo-, avevo mostrato la parte loquace di me; per assurdo questo era addirittura più sorprendente delle insicurezze evidenziate prima. Ma, appunto, non c'era da scavare più di tanto per capire il senso del mio comportamento; avevo collegato la ragazza ad una persona importante del passato ed inconsciamente stavo trattando con lei in maniera inspiegabile; e la cosa più preoccupante di tutte era la confusione che, nuovamente, mi stava assalendo. Inevitabilmente mi stavo cacciando in un grosso guaio, avrei dovuto semplicemente fare dietrofront e continuare la mia ricerca, invece stando lì non facevo che scavarmi la fossa da solo.
    winston,©
     
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3 replies since 2/3/2014, 01:58   209 views
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