Return to a damned soul

per Trist

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  1. H. Ilary Italie
         
     
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    u84Bq
    Ilary Italie
    Professoressa di Volo • 25
    «Mai sognare qualcosa. Potrebbe avverarsi.»


    Ila seguì il sentiero che permetteva di andare da Hogsmeade a Hogwarts.
    Aveva i due pugni serrati, le braccia posate sui fianchi, gli occhi di fuori erano di ghiaccio, ma l'uomo che sarebbe riuscito a vederla a fondo, avrebbe visto la disperazione.
    Aspettava da sempre il suo ritorno, ma ora non lo voleva più. Anzi, non ne era sicura. Aveva incontrato un altro ragazzo che riusciva a capirla e ora non aveva più bisogno di lui. Da quando era uscita dai Tre Manici il suo unico pensiero era stato quello di andare da Tristan, ma quel giorno non lo trovò, quindi sarebbe andato a trovarlo più tardi. Ma poi se ne scordò, forse perché Nick non si era fatto più vedere ma un giorno che stava tornando da un omicidio compiuto a Hogsmeade a mani pulite per conto di Callaway, successe una cosa che le fece pensare che gli serviva questo: appoggiarsi a Tristan.

    Appena superò i cancelli di Hogwarts e proprio quando fu davanti al portone il Custode le corse incontro.
    “Per fortuna che l'ho trovata, professoressa!” disse ansimando.
    Ila lo guardò con un'occhiataccia fredda. Del tipo ‘Sparisci’.
    Il Custode distolse lo sguardo e lo puntò in un punto indefinito.
    “Mi deve seguire in Sala Torture. Ordini del Preside”.
    Ila sbuffò con un impaziente «E muoviti, allora!».
    Il Custode annuì spaventato e la scortò fino alla Sala.
    Durante il tragitto che spiego che doveva fare.
    Quando il Custode le si mise davanti, Ila scosse la testa.
    Doveva ancora torturare. E stavolta pure uccidere. Una cosa che non voleva fare.
    Ma che doveva, ordini della Preside, visto che nessun altro professore era disponibile.
    E prenditi il Custode, pensò stizzita.
    Ad ogni modo, entrò tra il metallico odore di sangue nella Sala. Un ragazzo dai capelli neri sporchi di marciume e sangue stava appeso per i polsi da due metri di distanza da terra.
    Un ribelle.
    Jonathan.
    Ila scosse la testa per lo stupore, senza farsi vedere.
    Lo conosceva. Ci aveva parlato, e gli stava simpatico, un tipo a posto.
    Il Custode le porse la frusta.
    Ila sorrise e la prese con un «Grazie».
    Il ragazzo alzò la testa di scatto e la guardò.
    Il Custode si sedette all'estremità della Sala, mentre il ragazzo continuava a respirare affannosamente. Ila lo guardò spaventata. Doveva ucciderlo a colpi di frusta.
    Oh mio Dio.
    Jonathan annuì come ad incoraggiarla.
    Ila strinse la presa della frusta, tanto che il manico di essa le si conficcò nella pelle.
    Non poteva farlo.
    Devi farlo. Fallo.
    No.
    Il cervello capì che doveva farlo, sennò sarebbe morta lei. E Jonathan sarebbe morto comunque.
    Strinse ancor di più la presa al manico. E iniziò.
    Un sibilo. Una stoccata. Un grido di dolore.
    E sempre così. Un sibilo. Una stoccata. Un grido di dolore.
    E ancora. Un sibilo. Una stoccata. Un grido di dolore.
    E ancora, e ancora, e ancora ancora fino all'infinito.

    Mezz'ora, il petto del ragazzo quasi senza carne, solo sangue.
    Ora anche Ila ansimava per i troppi colpi.
    Il Custode si stiracchiò e, con la raccomandazione di finirlo al più presto, uscì.
    Quando fu fuori Ila guardò il ragazzo spaventata. «Ora che posso impedirmelo... Non lo faccio. Non ci riesco...».
    Il ragazzo annuì “Lo faccia, professoressa”.
    La voce era così roca, così metallica.
    Ila annuì e disse «Già, devo. Ma non così».
    Con qualche incantesimo gli calmò i dolori. Non era il massimo, ma bastava a fare in modo che il ragazzo le dicesse “Grazie. Ora mi finisca. Un solo secondo, senza dolore. Per favore, professoressa”. Professoressa. No, non voleva farlo. No. Il ragazzo, vedendo che esitava, aggiunse “Per favore, prof Ila”.
    Un colpo al cuore.
    Ila annuì «V.. Va ben...».
    Si fermò. Il ragazzo tossiva violentemente. Ila si allontanò, ancora impaurita. Poi quello alzò la testa e aprì gli occhi.
    Ila indietreggiò ancora. Erano verdi. Tutti verdi. Nemmeno la pupilla nera c'era. Al suo posto, l'origine di un vortice che vorticava all'interno dell'iride. Un vortice di verde in sfondo completamente bianco. Il ragazzo parlò con voce alquanto roca, lentamente.
    “Tra sorrisi e felicità
    una bambina nascerà.
    I genitori due nomi le daranno,
    Nomi che il mondo tremar faranno.
    Tra tempi bui però purtroppo nascerà,
    Nella paura, come all'Oscuro piacerà.
    E così la famiglia tanti sacrifici farà,
    L'amore la guidò nei difficili sentieri, spesso derisa;
    Ma poi in una notte che s'imbrunirà
    La famiglia sarà divisa:
    I due genitori se ne andranno,
    Ma i tre resisteranno.
    I tre fratelli saranno uniti da amore.
    Amore che si spezzerà con orrore.
    Un losco alla morte della compagna di uno lasciò,
    E la disperazione alla fine dell'altro portò.
    Ma l'ultima più orrori avrà,
    Pian pian crescerà
    In un mondo di dolor,
    Senza sentimenti, sol duol.
    E il compagno un giorno partirà,
    Ignaro della follia che compirà.
    Ora lei esiste ed è qui,
    Il Fato lo decise contro la volontà sue, e lei è qui.
    Lei desiderato avrebbe
    Che tutto ritornasse come prima e che si spezzò
    Almen fin quando la conoscenza fatto ebbe
    Di un ragazzo che speranza ancor portò.
    Il Fato vorrà che la ragazzina
    Scoprirà ciò nel momento seguente la mattina
    Da un ragazzo che torturar dovrà.
    Dopodichè tutto cambierà”
    .
    Poi, in un colpo, tutto ritornò normale.
    Il cuore di Ila batteva all'impazzata.
    Il ragazzo chiuse gli occhi e scosse la testa. La rialzò, aprì gli occhi. Ora erano ritornati al color cioccolato di prima, con la nera pupilla.
    Dallo sguardo Ila capì che non si ricordava nulla. O peggio, forse non sapeva neanche che era successo...!
    Quello disse “Lo faccia”.
    Ila prese la bacchetta e la puntò contro il petto del ragazzo con mano tremante. «E... La tua famiglia?», chiese.
    “Sterminata. Andrò con loro”. Ila strinse più forte la bacchetta, decisa. Allora credeva a una vita dopo la morte. Una vita felice, tra i suoi cari.
    «Addio, buon viaggio» disse. Poi si allontanò da lui di qualche metro. «Avada Kedavra!».

    Non ce la faceva a vedere la faccia del ragazzo, rosso di sangue, con gli occhi vitrei. Sembrava fosse stato ucciso con la frusta. Ma era stato l'Anatema di Ila. Invece di morire tra atroci sofferenze, aveva fatto come se fosse stato un ictus. Cessione delle funzioni vitali in meno di un secondo, zero dolore. Il premio? Per lui l'Eden, per lei l'eterna dannazione.
    O no?
    Aveva fatto quello che il ragazzo voleva quando poteva. Non poteva mica farlo durante la presenza del Custode che per pura fortuna se n'era andato.
    I suoi passi che rimbombarono per i corridoi la portarono in un luogo. Nel luogo in cui voleva andare prima di trovare quel maledetto ragazzo.
    L'Infermeria.
    E Infermeria voleva dire Tristan Rosier. Un Tristan che non c'era. Guardò il suo orologio da polso meccanico. Erano le nove circa.
    Bene, salto colazione, la cena e ora ho saltato la cena di oggi, di nuovo! Ma bene un corno!
    Era sera, di sicuro il personale di Hogwarts era ancora in Sala Grande a cenare, a smaltire i resti della cena.
    Nessuno si sarebbe accorto della sua assenza, nessuno. O no? No, se ne sarebbero accorti, saltare tre pasti... Ah, ma stavolta era per aver ucciso un ragazzo, ora l'avrebbero saputo tutti.
    Si ricordava fosse un Gryffindor. Uno come Williams.
    È al sicuro, professoressa...
    Ora anche lei aveva scoperto la parte normale di Ila, quella che si celava dietro la maschera di odio e omicidio. Anche Tristan c'era riuscito. Anzi, aveva scavato più a fondo.
    Voleva parlare con Arthea. Non sapeva perché, ma ne sentiva il bisogno... Forse era solo per sentire come si stava in quel mondo in cui non hai potere: mentre Ila aveva un sacco di buoni amici, la Williams non ne aveva nessuno, era svantaggiata. Ila poteva uscire allo scoperto tranquillamente, la Williams no. Ila poteva fare quello che voleva, anche se notava che tutto era sbagliato. La Williams doveva continuamente combattere.
    Si appoggiò sul davanzale della finestra. L'Infermeria era deserta. Guardò la luna piena che si trovava fuori. La luna dei licantropi, degli innamorati, delle leggende, dei miti, delle fantasie, dei sogni... La luna in cui ogni cosa perduta si può ritrovare.
    Ila scosse la testa. Tranne l'amore. Quello non lo si poteva trovare così, a caso. Cioè, l'amore chiede sacrifici, tempo,... Chiede tanto.
    Aveva le braccia poggiate sul davanzale, conserte, ma le ricordò i tempi da bambina innocente a scuola, mentre quella vicina la torturava facendo finta di accudirla. Cioè, agli altri si mostrava dolce, ma poi in realtà era un mostro.
    Scosse la testa, abbandonando quella posizione e appoggiando i gomiti sul davanzale, mentre si teneva la testa tra le mani. Aveva le mani sporche di sangue e non ci faceva caso, aveva poggiato i palmi delle mani sulle guance, lasciando solo un piccolo alone rossastro, visto che il sangue si era in parte coagulato sulla sua pelle.
    Sapeva che Arthea era passata a trovare Tristan dopo la sua lezione. Lo capiva, ultimamente la si vedeva più in forma.
    Arthea gli aveva detto di sicuro che l'aveva mandata la Italie, come da sua raccomandazione. Ila sapeva che non sarebbe servito: di sicuro Tristan curava chiunque, anche senza permesso.
    Chissà cosa aveva pensato Tristan appena aveva sentito che l'aveva mandata Ila... Che era stata sciocca a dirle di andare in Infermeria? Che si sarebbe fatta notare troppo dicendole ciò? Che doveva smetterla con quei gesti di bontà? O semplicemente aveva pensato che aveva fatto la cosa giusta? O, ancora...
    Ila scosse la testa. Di sicuro Tristan la considerava solo una confidente.
    Ma Ila sapeva benissimo che non era così, c'era qualcosa di più.
    Anche lei se lo sentiva.
    Guardò ancora la luna. Le sembrava volesse inviarle un messaggio. Ma cosa?!
    Sentì dei rumori di passi. Era arrivato qualcuno. Ma stranamente Ila non si mosse, forse sapeva di chi erano quei passi, li riconosceva, riconosceva la presenza della sua anima. Si fidava così ciecamente di lui da non muoversi.
    Già, sentiva l'anima legata alla sua, riusciva a riconoscerla, tipo una sensazione strana... Difficile da spiegare...!
    Sì, credeva fosse Tristan. Ne era più che sicura.


    made by mæve.



    Edited by .Ila - 23/2/2014, 10:50
     
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  2. *Tristan*
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    chace12
    Tristan Rosier
    Infermiere • 25
    «You left me. And I've lost my soul when you're gone. »


    La resa dei conti era arrivata.
    Aveva indagato. Si era logorato il cervello pensando ad innumerevoli possibilità. Aveva torturato persone per avere informazioni. Aveva cercato in tutti i modi di credere che ciò che il suo cuore sospettava da tempo non fosse vero. Aveva rischiato di impazzire, inseguendo un fantasma che affermava di essere il fratello che lui non ricordava di avere. Si era distrutto pensando di essere l’assassino di suo fratello. Aveva cercato vendetta ovunque, aveva rischiato la vita per conoscere la verità. Aveva incontrato la vera assassina di Perseus senza saperlo, ma lei era stata solo il braccio. Tutto ciò che aveva raccolto lo aveva condotto ad un nome.
    Regulus Rosier.
    Regulus Rosier.
    Regulus Rosier, suo padre, aveva ordinato l’assassinio del suo primogenito.

    E quando aveva realizzato il tutto, il suo secondogenito era come impazzito. Il Tristan Rosier violento, assetato di sangue e vendetta aveva prevalso ancora una volta. Non riusciva a pensare, né a provare nulla, se non rabbia.
    Si era fiondato a villa Rosier, sfondando la porta, con la bacchetta sguainata, i denti stretti. Aveva percorso la lunga scalinata che conduceva alla sala d’ingresso e l’aveva trovato lì. In vestaglia, con un bicchiere di scotch in mano, davanti al focolare.
    Regulus Rosier beveva rilassato avanti al camino, i rimorsi non lo divoravano…e questo gli faceva ancora più rabbia.

    . . . . .

    Crucio!
    Inveì su di lui, cogliendolo di sorpresa. Il bicchiere si ruppe a terra, mentre Regulus si ripiegava sul pavimento.
    Ma rideva.
    Rideva con tono irritante, mentre suo figlio continuava ad infliggergli sofferenza.
    “Figliolo, così saluti tuo padre? Buon sangue non mente!”
    “Così saluto un’assassino. Così saluto un mostro, che non ha esitato a far uccidere suo figlio! Perché poi eh? Perché? Cosa può aver fatto un ragazzino della sua età per meritare una fine del genere, eh?”
    Vide Olimpiade ferma sulla soglia in lacrime, ad ascoltare le loro grida. Lei aveva lasciato morire il figlio che aveva partorito con tanta gioia e tanta fatica. Lei era rimasta a guardare. Non era migliore di lui. E restava immobile anche stavolta.
    Continuava a infierire su di lui, non gli lasciava respiro. Era accecato dall’odio.
    Regulus invece, nonostante il dolore ancora rideva. Forse era impazzito.
    Tuo fratello era malato. Era pazzo. Sarebbe morto comunque! Continuava a sentenziare blasfemie!...Voleva fare l’auror, voleva combatterci!” Rise di gusto. “Gli ho solo risparmiato ulteriori sofferenze… Come fa un buon padre!”
    A quelle parole Tristan si infuriò ancora di più.
    Un buon padre.
    Era lui il pazzo, non Perseus, non Tristan.
    Lasciò cadere la bacchetta a terra e si lanciò su di lui, stringendolo per il collo. Ora erano occhi negli occhi. Gli stessi occhi. Due mostri a confronto. Voleva ucciderlo. Voleva sentire le ossa del suo collo scrocchiare sotto la sua presa. Voleva vederlo impallidire, sentire il suo respiro spegnersi.
    Era come se qualcun altro stesse muovendo il suo corpo, non provava nulla.
    Una forte fitta di dolore lo svegliò da quella trance.
    Aveva un pugnale infilzato sotto le costole, a destra. Suo padre lo teneva.
    Il suo respiro si fece più affannato, sua madre urlò straziata.
    Cadde all’indietro, lasciando la presa. Senza pensare si tolse il coltello dalla carne, e lo puntò alla gola di suo padre.
    “Fallo”.
    Rideva…Ma che c***o rideva?!?!
    “Fallo Tristan. Dimostra di cosa sei capace… Tu eri il prescelto. Quello perfetto. Quello che sarebbe diventato qualcuno. E lo sei. Sei esattamente ciò che sei nato per essere. E potrai essere ancora più grande. Fallo…so che lo vuoi”.
    Si , lo voleva. Voleva vendicarsi, e vendicare suo fratello. Voleva mettere fine alla vita di colui che aveva ucciso un’innocente ed aveva creato un mostro a sua immagine e somiglianza.
    Perdeva sangue, ed iniziava a vederci sfocato. Doveva farlo ora, o non ne avrebbe più avuto la forza.
    Spinse più forte il coltello sulla sua pelle e poi…
    Sua madre gridò.
    Tristan lasciò la presa, e gli sferrò un pungo in faccia a tutta potenza.
    Lo lasciò inerme a terra, mentre si alzava barcollando.
    Una lacrima rigò il suo viso mentre indietreggiava.
    Non ci era riuscito.
    “No. Tu non meriti una morte così facile. Non meriti nulla. Ti auguro di vivere il più a lungo possibile, dilaniato dai sensi di colpa, solo, coi fantasmi delle persone a cui hai fatto del male che ti tormentano ogni notte. Ti auguro tutto il male di questo mondo, tutta la sofferenza possibile. Ma non morirai per mano mia. Io non sono come te!”
    Raccolse la bacchetta, e gettò uno sguardo a sua madre. Provava pena per lei. Per lei che non aveva mai avuto coraggio…dote che solo Perseus aveva avuto in famiglia.
    “Addio”
    Disse, smaterializzandosi ai limiti del castello.


    . . . . .

    Camminava arrancando per i giardini, con la testa che gli girava sempre di più, e il cuore a mille.
    Le mani gli tremavano, mentre cercava di fermare l’emorragia e si asciugava le lacrime che sgorgavano man mano che realizzava ciò che era accaduto.
    Tristan Rosier era esploso. Era esploso in tutta la sua rabbia e in tutto il suo rancore. Ma nonostante il suo cuore fosse in mille pezzi, si era fermato in tempo. Aveva sbagliato, ma forse stavolta aveva fatto la cosa giusta… E aveva perso tutto.
    Non aveva più niente ora. Era solo, come meritava si essere. Un mostro solo coi propri fantasmi.
    Arrancò a fatica per le scale, mentre le lacrime sembravano ormai essersi seccate sul suo viso.
    Avrebbe voluto scomparire, solo scomparire.
    Non sapeva che ne sarebbe stato della sua vita. Sapeva solo che in quel momento si sarebbe rinchiuso in infermeria, a leccarsi le ferite e a versare le lacrime che aveva trattenuto per venticinque anni.
    Aprì la porta barcollando,sempre più debole e col fiatone, ma si rese conto di non essere solo. Lo stomaco gli si strinse, e il sangue gli si gelò nelle vene.
    “Ilary…”
    Disse con un filo di voce, abbastanza sorpreso di incontrarla lì. Non avrebbe voluto rivederla in quelle circostanze. Non avrebbe voluto che lo vedesse così. Fragile, sporco di sangue, coi muscoli ancora scossi da fremiti.
    Ma non poteva fuggire. Non ne aveva le forze, né la voglia.
    Lei era l’unica luce che riusciva ad illuminare quella stanza in quel momento, l’unica persona di cui avrebbe potuto circondarsi.


    made by mæve.

     
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  3. H. Ilary Italie
         
     
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    u84Bq
    Ilary Italie
    Professoressa di Volo • 25
    «Mai sognare qualcosa. Potrebbe avverarsi.»

    Era strano come il mondo riuscisse a far rincontrare due persone di nuovo nello stesso stato. Davvero strano. Non poteva essere il destino, no.
    Cioè... Ila aveva incontrato il Custode che l'aveva spedita in Sala Torture. Tristan doveva per forza ritornare, in fondo quello era il suo ufficio.
    Beh, pensaci bene: tu hai incontrato il Custode e sei andata in quel malefico posto, piccolina, quindi...
    Se non era una mia scelta incontrarlo, chi cavolo era stato?!

    Fra poco rideva di se stessa. Aveva mille domande che le affollavano la mente, e ora quella stupida domanda che esistesse o no il destino... Era una scemenza totale.
    Invece di chiedersi cosa era successo e perché, si stava chiedendo chi manovrasse il tutto! Ma stiamo scherzando?!
    No.
    Non serve che lo affermi, grazie.
    Non era un'affermazione. Era una negazione.
    Oh mio Dio, ma sta' un po' zitto!
    “Ilary...”. La voce... non era quella... Cioè, era quella di Tristan ma era stato quasi un sussurro, come un essere in fin di vita. E Ilary aveva esperienze a tal proposito.
    Si voltò e il suo sguardo si congelò dalla paura. Dal punto della costola destra -più o meno- usciva del sangue, molto sangue. E Tristan barcollava. Le sue braccia erano scosse da un tremito incontrollabile.
    Ila lo guardò a metà tra l’impaurita e la preoccupata, poi si decise. Aveva subìto la stessa cosa, parecchi anni fa, a causa di un maledetto centauro. Fortunatamente un uomo l’aveva salvata…

    Sentiva un dolore lancinante che ogni minimo respiro le costava un gran dolore e moltissima fatica: ad ogni tentativo di respiro sembrava che una coltellata venisse inflitta allo stomaco. E il cuore batteva all’impazzata e Ila, sapendo di non poter controllarlo, svenne. Le sembrò di morire tra la neve del bosco. Il cervello non esisteva, esisteva la morte, il sonno eterno.
    Ma poi dopo un’eternità qualcuno –di cui non sapeva il nome- la salvò facendola risvegliare tra aromi di incenso. Ila sbatté le palpebre e un ragazzino la guardò incuriosito e un po’ spaventato, poi si alzò di scatto chiamando qualcuno. Ma Ila non sentì nulla che svenne di nuovo.
    Dopo altre infinite ore di sonno, si svegliò di scatto.
    Si tastò la pelle. Aveva una veste molto più leggere. Sembrava lino. Arrossì. Qualcuno l’aveva spogliata e rivestita. Sperò in cuor suo non fosse stato un maschio.
    La porta della stanza si aprì lentamente. Entrò un uomo dalla camicia nera con il colletto abbassato, bianco.
    Un… un prete?!
    “Bensvegliata, figliuola. Benvenuta nella casa di Dio, umile dimora dei poveri e dei deboli. Io sono padre Roswelt, Brian Roswelt… Dimmi ragazza, sei Serve di Dio?” disse il prete con voce calda e gentile. Lo guardò in volto. Aveva i capelli cortissimi bianchi e una barba anch’essa bianca. Una bocca sorridente.
    Uno che sorride? Un babbano, pensò. Poi pensò alla sua domanda. Era credente? Aveva ricevuto il battesimo cattolico –e non anglicano- ma non andava mai in chiesa, unica eccezion fatta per i Sacramenti dell’Iniziazione e i funerali del fratello.
    «Io…» iniziò tentennando.
    Il parroco fece un sospiro, pii si sedette sul suo letto. “Ti trovi in una chiesa cattolica, qui tutti csono accetti, anche i credenti della Chiesa d’Inghilterra di Sua Maestà”.
    Ila gli sorrise arrossendo un poco «Ehm… No, è che… Beh, io non vado mai in chiesa…»
    Il padre sgranò gli occhi in segno d’aver capito e disse “Ho capito… ma tu… tu credi in Dio?”.
    Ila lo osservò, deglutendo. Le dava fastidio tutta quella formalità… Lo fissò negli occhi.
    Qualcosa cambiò. Era sicura di aver visto degli occhi color del cioccolato… Ora li vedeva più chiari… Riflessi della luce? No, non era possibile, la stanza aveva solo candele e profumo d’incenso…
    Lo osservò quasi spaventata. Era un mago. Un suo simile.
    Continua…


    Si avvicinò a lui, sperando di non fargli troppo male. Se era venuto da lontano –di sicuro-, allora si era Smaterializzato, e solo Merlino sa quanto possa fare male la Smaterializzazione in casi del genere.
    Gli fece passò un braccio dietro le sue spalle per sorreggerlo. Sapeva quanto forte era quel colpo alla costola, del resto l’aveva provato, anche se non sapeva come curarlo. Era lui l’infermiere.
    E chi cura l’infermiere?
    Boh.

    Ilary, razza di babbeo!
    Oh, lo devo cure curare io!, pensò. Non sapeva che fare, non se ne intendeva di quelle cose. Certo, un taglio o cose del genere si, ma un colpo del genere, profondo… non ne sapeva nulla!
    Lo portò fino al letto e lo fece sedere lentamente, cercando di non provocargli altro dolore, mentre lei restò alzata.
    Guardò le sue mani sporche di sangue. Si era nuovamente sporcata di sangue, lo vedeva liquido. Capì che l’aveva preso per sbaglio dal ragazzo che aveva davanti, non era il sangue di Jonathan. Ero venuta per parlargli e ora lo devo curare.
    Meglio curarlo che lasciarlo morire dissanguato, non trovi?

    Ila lo guardò agitata e si passò un po’ di capelli dietro l’orecchio. «Che devo fare, Tristan? Che devo fare?!» disse, a metà tra la disperata e la preoccupata.
    Sperava solo di non fargli altro dolore e di non dover fare qualcosa di troppo complicato…
    Guardò preoccupata la ferita… «Cosa… cosa diavolo ti è successo?». Cercò di farsi venire a mente tutto. Il prete le aveva spiegato cos'era successo (Ila mica se lo ricordava): una sua chierichetta l’aveva spogliata dei suoi vestiti per curarle la ferita… Le aveva spiegato come si faceva, se lo doveva ricordare! Solo che non ricordava quasi nulla, se non il suo sorriso caldo e dolce.
    Aspetta… doveva togliere la camicia al ragazzo?!
    No tranquilla, curi la camicia soltanto.
    Già, prendi ago e filo e gliela cuci.
    Anche se non credo che poi la sua pelle si cura e l’emorragia si fermi.
    Ma che stonata, sta ragazza.
    Oh, ma grazie…! Merlino!


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  4. *Tristan*
         
     
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    chace12
    Tristan Rosier
    Infermiere • 25
    «You left me. And I've lost my soul when you're gone. »


    Luce ed ombra.
    Luce ed ombra si alternavano nell’animo del giovane infermiere.
    Ombra. L’ombra dell’omicidio che stava per commettere. L’ombra del sangue che voleva versare.. L’ombra dell’ira che l’aveva accecato. L’ombra di un padre che anteponeva interessi ai propri figli. L’ombra di ciò che era diventato attanagliava il suo cuore.
    E poi luce.
    La luce delle lampade dell’infermeria. La luce degli occhi di Ilary, che sembravano essere l’unica ancora di salvezza per la sua anima. Occhi di chi si preoccupava per lui…nonostante fosse quel che era, nonostante le circostanze.
    Non avrebbe mai voluto che lo vedesse in quelle condizioni. Ma lei era l’unica persona che avrebbe potuto capirlo con un semplice sguardo. Luce. Ilary.
    La vide avvicinarsi a lui, preoccupata. La sentì sorreggerlo. Era come se lei, nel suo piccolo, gli stesse trasmettendo la sua forza.
    Luce. Ombra.
    Tristan ballava tra coscienza e incoscienza… Un attimo perdeva lucidità, l’istante dopo la voce di Ilary lo richiamava a terra.
    Non riusciva a fermare il tremito delle sue mani. In quelle condizioni essere un infermiere valeva ben poco.
    «Che devo fare, Tristan? Che devo fare?!»
    Chiedeva lei agitata, mentre Tristan cercava di tornare sula terra. Bella domanda.
    Terra chiama Tristan!
    Guardò lei, cercando di riacquistare la lucidità necessaria per fare ciò che doveva.
    Si tastò attorno alla ferita, ma non riusciva a capire se c’erano danni gravi. Sentiva solo dolore, tanto dolore.
    Coraggio Tristan, un po’ d’impegno!
    Una cosa alla volta. Prima avrebbe dovuto fermare l’emorragia, e poi pensare al resto.
    “Prendimi uno specchio…” No, non era impazzito, lo specchio gli serviva per vedere, visto che piegarsi gli risultava piuttosto doloroso.
    “…e quella boccetta rossa.” Disse indicando la pozione sul terzo scaffale, con la voce leggermente affannata.
    Si sfilò la maglietta, emettendo un leggero lamento quando fu costretto ad alzare il braccio destro, tendendo i muscoli e il taglio.
    Ma il dolore fisico non era l’unico che provava. Era come se qualcosa dentro di lui si fosse spezzato, come se sanguinasse anch’esso. Un senso di angoscia che gli attanagliava lo stomaco, che gli ricordava di aver fallito. Non aveva mai voluto credere al fatto che fosse suo padre il mandante di tutto. Lui, che aveva sempre idolatrato. Lui, che era stato un’esempio da seguire. Lui, che non aveva mai voluto deludere. Lui era peggiore di quello che credeva. Ancor peggiore di un semplice assassino, o del più spietato dei mangiamorte. Lui era senz’anima. L’aveva venduta al diavolo per il potere, ed aveva ceduto a lui anche suo figlio.
    E Tristan gli assomigliava. Gli assomigliava più di quanto volesse credere. L’allontanarsi per trovare una vita diversa l’aveva condotto a comettere gli stessi errori. Ironia della sorte.
    E poi si era fermato.
    Si era fermato a pensare. Si era fermato a sperare di poter avere una vita diversa, in un mondo diverso. Si era fermato per salvare quel briciolo di sè stesso che gli era rimasto. E per farlo aveva dovuto scegliere. Vita o morte, come sempre. Era come un giudice indegno. Sceglieva chi viveva e chi moriva.
    Forse era quello che non voleva più fare…decidere per gli altri.
    “Cosa...Cosa diavolo ti è successo?”
    La voce dolce di Ilary lo riportava di nuovo alla realtà, a quell’infermeria che ormai conosceva a menadito.
    Alzò lo sguardo, affondandolo nei suoi occhi. Poi lo abbassò di nuovo.
    “Ho trovato l’assassino di mio fratello.”
    Disse leggermente freddo. Non ricordava di averle parlato di Perseus, ma in quel momento quasi non importava. Nulla sembrava avere importanza. Era come svuotato da tutto, da ogni sentimento, da ogni forza e volontà.
    Non era che un’anima perduta in cerca di appiglio.


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  5. H. Ilary Italie
         
     
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    u84Bq
    Ilary Italie
    Professoressa di Volo • 25
    «Mai sognare qualcosa. Potrebbe avverarsi.»

    Tristan sembrava… perso. Cioè, un attimo prima era cosciente, dopo era come svenuto, poi cosciente, poi incoscienza... il suo stato si alternava in continuazione.
    Fortunatamente, le parole di Ila sembrarono risvegliarlo, una volta che si sedette sul lettino.
    Si tastò il punto attorno alla ferita. Ila lo guardò preoccupata. La sua faccia esprimeva solo dolore.
    Poi si decise a parlare: “Prendimi uno specchio…”.
    Ila si trattenne dal dire che l’avrebbe potuto aiutare lei, senza che facesse tutto da solo. Perché se chiedeva uno specchio, voleva aiutarsi a curarsi da solo.
    E dove cavolo lo trovo?, pensò. A meno che non spacchi lo specchio del bagno… Naaah, non va bene.
    “…e quella boccetta rossa”, aggiunse, indicando la boccetta in questione.
    Ila si avvicinò all’armadio e prese la boccetta che Tristan le aveva indicato, dal terzo scaffale.
    La portò con sé posandola sul letto, accanto al ragazzo.
    «… e uno specchio… Speriamo che ce ne sia uno nel tuo bagno…», disse, dirigendosi verso la porta che conduceva all’ufficio dell’infermiere.
    Tristan Rosier.
    La aprì ed entrò. Si diresse verso il bagno. Arrivata lì, aprì un cassetto della toeletta. Niente, solo spazzolino e dentifricio. Aprì il secondo. Bingo! Uno specchietto.
    Lo prese e e… Un sibilo dietro di lei. Restò pietrificata. Si voltò lentamente, per vedere…
    Un serpente. Restò zitta, i nervi saldi. Che diavolo ci faceva un serpente in fondo al bagno di Tristan!?
    Notò che era addormentato. Oh, un sibilo, un respiro un po’ forte durante la dormita, forse? O era sveglio e aspettava un passo falso?
    Lentamente, andò verso l’uscita e chiuse la porta dirigendosi nuovamente verso l’infermeria, dove Tristan l’aspettava.
    Giunse al letto e posò accanto alla boccetta lo specchio. Lui si sfilò la maglietta, lei si voltò, notando che incominciava ad accaldarsi per l’imbarazzo., e si sedette dall’altra parte del letto, dietro agli oggetti che aveva posato accanto a Tristan, in modo di non vederlo…
    Un nome, un maledetto nome, regiaa!!
    … senza maglietta.

    Ah, ecco: in modo di non vederlo senza maglietta.
    “Ho trovato l’assassino di mio fratello”, fu l’unica sua risposta, fredda, mentre fissava i suoi occhi.
    Ila lo guardò, dimentica del fatto che Tristan non avesse la maglietta addosso. Così notò un tatuaggio sulla sua schiena, all’altezza del cuore, più o meno.
    Abbassò lo sguardo da quello di Tristan. Non aveva voglia di guardare quegli occhi che avevano appena espresso quella frase così grave freddamente, come se non gli importasse nulla.
    Ma lo sguardo fu nuovamente attratto dal tatuaggio. Lo guardò.
    Un fiore con elaborati ghirigori attorno che gli facevano da cornice.
    Rosier, una perfetta assonanza con rosa, fiore.
    Scosse leggermente la testa chiudendo gli occhi, distogliendo l’attenzione da quel corpo non troppo muscoloso, fissando la parte di letto dietro Tristan.
    «Non me ne avevi parlato… Se vuoi…» replicò, con un filo di voce. Lo disse in quel modo in parte per il fatto di quello che aveva appena visto, in parte per come l’aveva detto, e cioè freddamente, e in parte per quello che aveva sentito… Assassinio?
    No, aspetta, le aveva fato un cenno…
    “Tipo un assassinio…”
    Allora uno dei tasselli mancanti della sua vita era suo fratello.
    «A me… mi hanno tolto un’intera famiglia…», disse, quasi un sussurro.
    In realtà non sapeva se sua madre e suo padre erano stati effettivamente assassinati, ma il sogno si ripeteva, insistente, aggiungendo più particolari, ogni qualvolta che si manifestava.
    Guardò i suoi piedi, fissando lo sguardo per terra, poi gli ritornò il mente il fatto avvenuto in bagno.
    «Tristan! Ho… ho visto un serpente nel tuo bagno…» e non ho fatto nulla, aggiunse nella sua testa.
    Si voltò lentamente, guardando il suo viso.
    Si trovavano l’uno accanto all’altra, ma di spalle, riusciva quindi a scorgere solo la parte destra del viso di Tristan.
    Era preoccupata? Sì, a più per la ferita di Tristan che per il fatto del serpente.
    Poi le sorsero alcuni dubbi: come era andata a finire la vicenda che aveva condotto Tristan a procurarsi quella ferita? Si era ferito ed era fuggito? Oppure aveva avuto la meglio, nonostante la ferita?
    Ma evitò di chiederglielo, sapeva che non era il momento adatto.


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  6. *Tristan*
         
     
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    chace12
    Tristan Rosier
    Infermiere • 25
    «I'm already in the hell... »


    Se non fosse stato per quel dolore allucinante, probabilmente avrebbe creduto di sognare. Era come essere in un incubo, il peggiore di sempre. Un'incubo in cui le emozioni restavano nascoste. Lui le sentiva,ma non le manifestava. Un'incubo in cui sai esattamente cosa sta succedendo, ma non riesci a gestire nulla.
    Rabbia, disperazione, paura, odio, tristezza... tutto ciò vorticava dentro di lui, mentre l'esterno era come ovattato. C'era Ilary, c'era sangue, c'erano come rumori lontani.
    La ragazza gli porse la boccetta di Resinae Paracelsiae, il misto di resine che riusciva a curare i tessuti. Poi sparì verso il bagno. L'attesa sembrò durare una vita. Già, perchè una parte di Tristan sembrava essersi staccata da quella terra, per vivere in un mondo tutto suo. Un mondo in cui non sentiva dolore, nè voci, nè odio. Una parte di lui era come annullata, perduta per sempre.
    Le conseguenze delle sue scelte. Aveva fatto in pezzi la sua anima, ed ora tali pezzi stavano iniziando a morire, l'uno dopo l'altro. Il suo cuore batteva ancora, ma dentro, Tristan Rosier sprofondava.
    La ragazza tornò trafelata, con un'espressione leggermente sconvolta in volto. Prese lo specchietto ed analizzò velocemente la ferita, dilatando i lembi della pelle lacerata con le dita della mano libera. Avrebbe risparmiato quel macabro spettacolo ad Ilary...almeno quello gliel'avrebbe evitato.
    A colpo sicuro prese il contagocce della boccetta e lo infilò dentro il taglio tenuto aperto, dal quale sgorgava ancora sangue. Poche gocce, e l'emorragia sembrò rallentare.
    Prima di curare il tutto aveva richiuso i vasi sanguigni causa dell'emorragia. Richiudendo tutto insieme avrebbe causato la fusione di questi con gli altri tessuti e...beh, vi risparmio la descrizione delle conseguenze.
    Fece una leggera sorfia di dolore quando si trovò ad estrarre la pipetta, strisciandola tra le sue costole. Ora avrebbe riparato i muscoli. Ancora alcune gocce, e questi si rifusero insieme. Restava solo un taglio nella pelle, ma il sangue che ne fuoriusciva era ben poco rispetto a prima. Sarebbe bastato del dittamo per fermarlo. Sospirò un momento, lasciando cadere lo specchio sul lettino, e fissandosi per un attimo le mani insanguinate.
    Perchè si era salvato? Che senso aveva avuto? E soprattutto...che senso avrebbe avuto continuare a vivere in quelle condizioni?
    Il suo sguardo tornò ad Ilary. I suoi occhi sembravano essere come fari nella notte, unico appiglio per non perdersi tra le onde oscure della disperazione.
    <<non me ne avevi parlato… Se vuoi…»
    Perseus. Regulus. Olimpiade. Tristan.
    Solo nomi e sensazioni vorticavano nella sua mente. Odio, disperazione, senso di colpa, liberazione.
    Non sapeva nemmeno lui cosa provava, non sapeva cosa dire.
    Sapeva solo al pensiero di parlarne il suo cuore accellerò bruscamente. Morte, dolore, tradimento. Questa era la storia della sua vita.
    "E' tutto sbagliato!"
    Disse non sapendo che altro dire, non volendo parlare di ciò che era accaduto, perchè sarebbe stato come riviverlo. Avrebbe voluto piangere, urlare, spaccare tutto. Ma le sue membra non si muovevano. Come se il corpo si fosse scisso dal cervello...era come svuotato.
    «A me… mi hanno tolto un’intera famiglia…»,
    Abbassò lo sguardo, senza essere in grado di dire nulla. Come se lo sapesse da tempo. Come se l'avesse già letto nel cuore di Ilary. Poteva capire cosa provava. Lo sapeva. Non erano che due fantocci plasmati ad immagine di quell'orrendo mondo, le cui vite erano messe in gioco come pedine. Erano uguali, Tristan e Ilary. Avevano vissuto lo stesso orrore. E forse viveno la stessa sensazione di disagio. La sensazione di essere sbagliati, in un mondo sbagliato.
    Erano uno accanto all'altra. Non le aveva nemmeno chiesto perchè si trovasse lì. Forse voleva parlargli, forse aveva bisogno di lui, mentre lui le stava dando solo silenzi.
    Si alzò a fatica, con la scusa di andare a prendere il dittamo. Non voleva guardarla negli occhi. Non voleva che vedesse il baratro in cui stava precipitando. Tutto era sbagliato, tutto era in pezzi.
    «Tristan! Ho… ho visto un serpente nel tuo bagno…»
    Disse poi lei, cogliendolo di sorpresa.
    Serpente?Che serpente?...Oh, si, certo...il serpente.
    "Sargon. Non ti ha fatto del male, vero?"
    Disse. Non credeva che Sargon le avesse fatto del male. Uno, perchè non ne portava i segni. Due, perchè nonostante la sua indole un po' imprevedibile, non attaccava per caso.Ma era sempre meglio accertarsene.
    Il suo cuore non smetteva di battere. Avrebbe voluto distruggere ogni cosa, vivente e non. Ma non ne aveva la forza. Era vuoto.
    Si appoggiò semplicemente alla mensola. il groppo in gola sembrava avvisare dell'avvicinarsi di alcune lacrime. Ma non voleva che Ila vedesse questo. Voleva che stesse bene almeno lei. Voleva salvarla da tutto.
    Voltava le spalle.
    "Perchè eri qui?"
    Chiese poi, quasi timoroso di conoscere la risposta. Era tutto sbagliato, tutto.


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  7. H. Ilary Italie
         
     
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    Mangiamorte (per ora...) • 25 • ex-Slytherin • Prof.ssa di Volo
    Hanna Ilary Italie
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    Ci vuole poco perché uno dei nostri più grandi desideri diventi un incubo»
    Tristan stava curandosi da solo e Ilary non vedeva che stava facendo. Se l'alternativa era metterlo (e non solo lui...) in possibile imbarazzo (si ricorda che era senza maglietta), allora preferiva non vedere. Voleva parlare con lui, ma era come se quel silenzio la opprimesse.
    Fece un leggero sospiro, ma appena percettibile. Ecco, era come se il silenzio volesse vincere, su quella sala.
    Sentì Tristan muoversi, e si voltò quasi di scatto. Fissava le sue mani, sporche di sangue. La cosa che rendeva la scena orribile era il fatto che il sangue non era solo il suo, ma anche di qualcun altro.
    Ad un certo punto sbottò, proprio dopo che gli propose di raccontare di suo fratello: “È tutto sbagliato!”.
    Ilary si voltò dall'altra parte, per non vedere lo sguardo di Tristan. Non sarebbe riuscita a reggerlo, con lui voleva solo non pensarci più, ma sapeva che non poteva. Erano solo dei dannati, e non ne avevano colpa.
    Come un flashback, le vennero in mente dei ricordi: quando uccise l'amante della vicina, la sua prima vittima, aveva provato un senso di euforia. Non era in sé, era acida di sangue, ma non era lei. Era la parte che il Governo, Hogwarts, l'aveva obbligata ad avere. Avrebbero potuto resistere se solo avessero avuto qualcuno su cui appoggiarsi. Nel caso di Ila, quel qualcuno era Nick. E se l'era lasciato sfuggire. Poteva nuovamente diventare un'ancora di salvezza su cui aggrapparsi, no? Forse la semplice verità è che non riusciva più ad amarlo, ma non poteva neanche odiarlo. Oppure era stata una completa idiota: voleva vedere in Trist una nuova ancora di salvezza. Ma pensiamoci, un'ancora dannata può essere sorretta da un'altra ancora dannata?
    Difficilmente, già.
    Poi si alzò. Aveva atteso quel momento, non sopportava tutto quel silenzio che gli stava dando. Però nel momento stesso di quando si alzò, voleva gettarglisi tra le braccia e piangere sulla sua spalla, non voleva che se ne andasse.
    L'unica cosa che disse fu “Sargon. Non ti ha fatto del male, vero?”.
    La sua unica risposta fu un incredulo: «Hai un serpente domestico, qui in Infermeria?». Si voltò per fissarlo negli occhi, ma vide che le voltava le spalle. Che la stesse evitando? Se sì, perché? Perché gli dava fastidio averla tra i piedi o perché non voleva mostrargli la ferita? «No, aspetta, come fai a... Ehm... ‘comandarlo’, insomma?».
    Era semplice curiosità mista ad ammirazione, quella. Come quella di un bambino che vede un mago far spuntare un coniglio dal cilindro, che un attimo fa era vuoto.
    “Perché eri qui?”. Aveva bisogno di parlargli in faccia, non doveva parlare a delle spalle. Si alzò dirigendosi verso Tristan. Da una parte, dalla sua anima, il cuore gli diceva di non dirgli nulla. Ma quando giunse davanti a Tristan, faccia a faccia, decise di risparmiargli, almeno per ora, la parte dell'uccisione del ragazzo. Avrebbe raccontato solo del suo ex. Aveva bisogno di... di essere consolata? Da quando Ilary Italie aveva bisogno di essere consolata?
    Da sempre, era questa la verità, solo che non voleva, orgogliosa com'era.
    Guardò la ferita. Non sapeva dire com'era ora, peggio o meglio di prima: primo, non era un'esperta; secondo, non l'aveva vista prima, aveva solo visto la macchia di sangue sulla maglietta. «Come va ora?».
    Poi tornò a fissare i suoi occhi, prendendosi in quelle iridi azzurri, fermandosi lì per qualche secondo, vedendo alternarsi i volti di Nick e Tristan. Quello di Nick esprimeva rancore per la sua scelta, quello di Tristan... la capiva.
    Si decide a parlare: «Ho... incontrato il mio ex...», non sapeva se gliene aveva già parlato, era come in uno stato di quiescenza che si sarebbe potuto facilmente reversibilizzare se solo Tristan avesse fatto mancare il suo appoggio. E Ila sperava tanto che non succedesse, mai e poi mai.
    «Si chiama Stroke, Nick Stroke, e ci siamo...», incontrò qualche difficoltà a pronunciare quella parola, «fidanzati...», forse perché odiava il fatto che l'avesse trattata così, come se fosse perduta, «proprio qui al castello...», ma non era completamente perduta, in realtà... «ma a 17 anni, verso la fine degli studi...». Si interruppe, come se fosse difficile ricordare quei giorni passati a urlare il nome di Nick nel sogno, fino a crederlo morto... <b>... Mi ha lasciato un biglietto dicendo che mi abbandonava... senza spiegazioni...». Sospirò. «Era come un appoggio per non cadere nel tormento, capisci? E ora è ritornato... E mi ha affrontata nel modo sbagliato...». Soccorse du aver abbassato la testa. La rialzò e gli puntò gli occhi. «Non sa cos'ho passato... Cioè, tu riesci a capirmi, sai come trattarmi, mi tratti come vorresti essere trattato... no?».
    Si morse il labbro inferiore, sentendosi un po' più libera. Si chiese se anche lei faceva lo stesso o se, al contrario, lo opprimesse.
    Poi si chiese una cosa: chi era l'ancora di Tristan?
    Si ricordò della conversazione con Alida.
    «Karen...», disse in un sussurro.
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    Precisazioni riguardo alla role.
    Siccome è passato molto tempo (ahimè, colpa mia), si è deciso di ambientare la role dopo l'esecuzione di High Street.
    In realtà, c'erano già prima delle discordanze cronologiche, quindi abbiamo deciso di impostare il tutto. Da ora in poi, la role seguirà data cronologia.

    Per Tristan questa role si svolge dopo "essence of dittany" e "panta rei", dopo l'esecuzione.
    Non si è accennato all'esecuzione fin'ora, come se questa fosse un tabù tra i due. Pian piano si accennerà a tutto. Sarà una cosa un po' confusa forse, ma non mi andava di modificare tutti i post! O.o
    Firmato: la vocina narrante...
     
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  9. *Tristan*
         
     
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    chace12
    Tristan Rosier
    Infermiere • 25
    «I'm already in the hell... »


    Ilary sembrava essere a disagio in mezzo a quel silenzio, eppure non riusciva a farci nulla. Non riusciva a parlare con lei dopo quello che era successo ad High Street. Eppure, poteva forse biasimarla? Lui, che quella sera era partito con l’intento di uccidere suo padre? Ilary aveva solamente avuto il coraggio che a lui era venuto meno. Aveva semplicemente scelto tra la propria vita e quella del fratello…fratello che sarebbe comunque stato condannato. Gli aveva solo risparmiato qualche agonia in più, come aveva fatto Alida.
    Eppure, non riusciva nemmeno a guardarla. Quella che aveva davanti sembrava essere l’Ilary di sempre: iperattiva, malinconica, viva. Eppure, aveva visto quegli occhi carichi d’odio e freddezza inveire contro Alexander Italie come se fosse stato il suo peggior nemico. Non l’aveva riconosciuta quel giorno, e non la riconosceva ancora.
    Ma fino ad allora non si era parlato di Alexander, né di altro. Si cercava la leggerezza, nonostante si sapesse che prima o poi quell’argomento sarebbe arrivato. C’erano troppi argomenti di cui parlare, tra due persone che avrebbero voluto restare in silenzio.
    «Hai un serpente domestico, qui in Infermeria? No, aspetta, come fai a... Ehm... ‘comandarlo’, insomma?».
    Sorrise, per poi voltarsi verso di lei. Quel faccino da bambina curiosa le stava bene. Sembrava quasi un'altra Ilary…la vecchia Ilary. La finta Ilary? Abbozzò un sorriso.
    “Già…Non potevo lasciarlo, e così l’ho portato con me.” Rispose semplicemente. “Vedi…creature del genere non si possono comandare. Sono spiriti liberi, molto più di noi uomini. Indipendenti, selvaggi…sono loro a scegliere la vita che vogliono fare. Si vede quando un serpente rifiuta l’habitat in cui viene posto. E Sargon ha scelto di restare con me… è per questo che so che non mi farà mai del male. Credo si trovi bene qui”.
    Già, ultimamente Sargon e Firuz sembravano essere le uniche creature di cui riusciva a fidarsi.
    A proposito…dov’era Firuz? Sperò che non fosse scappato, o che Sargon non lo avesse ingoiato intero. Amava quell’adorabile micino!
    «Come va ora?».
    Chiese lei, alludendo alla ferita. Sanguinava ancora un po’ ma quasi non sentiva dolore. Era troppo preso dai suoi pensieri. Chissà come sarebbe stata la sua vita se Perseus non fosse mai morto? E se avesse ucciso suo padre, ora si sarebbe sentito meglio o peggio ancora? (Sempre che si potesse stare peggio di così…)
    “Meglio credo… grazie. Per fortuna eri qui.”
    Di nuovo quel mezzo sorriso, incrociando il suo sguardo. Cosa che era anche impossibile evitare…lei era dannatamente vicina!
    Prese il dittamo e si decise a passarcelo sopra. Ormai la ferita era quasi rimarginata. SI alzò, a prendere un asciugamano, dove si pulì le mani e con cui si tamponò la ferita. Avrebbe voluto togliersi quel sangue di dosso. Nonostante fosse suo, si sentiva sporco, macchiato dalla vergogna e dall’omicidio. Quella scia di sangue non si sarebbe mai fermata, perché era quella la natura di un mangiamorte.
    Tornò a sedersi dov’era lei, chiedendole il motivo per cui fosse lì. Certo, era stato un bene, ma era comunque una domanda lecita.
    «Ho... incontrato il mio ex...» Iniziò lei. Tristan rimase ad ascoltarla. Le aveva accennato a questa “persona”, ma non ne aveva mai parlato apertamente. Ed ora capiva perché era lì…aveva bisogno di parlare con qualcuno. Qualcuno che però stavolta era troppo sconvolto per riuscire a parlare.
    «Si chiama Stroke, Nick Stroke, e ci siamo..-fidanzati-proprio qui al castello... ma a 17 anni, verso la fine degli studi... Mi ha lasciato un biglietto dicendo che mi abbandonava... senza spiegazioni. Era come un appoggio per non cadere nel tormento, capisci? E ora è ritornato... E mi ha affrontata nel modo sbagliato…Non sa cos'ho passato... Cioè, tu riesci a capirmi, sai come trattarmi, mi tratti come vorresti essere trattato... no?>>.
    Annuì a quella sua ultima domanda.
    “Certo, ma non è facile per tutti. Agli occhi di molti, le azioni che noi compiamo sono inconcepibili. La nostra normalità è semplicemente diversa dalla loro….” Eh si Trist, certo! Belle parole!
    Ma anche a lui ultimamente, la “normalità” iniziava a sembrare anormale. Sapeva di compiere azioni orribili. La sua anima iniziava a ribellarsi al sangue che aveva versato. Panico, allucinazioni, sensi di colpa. Erano quello il prezzo da pagare.
    Non capiva perché Ilary stesse dicendo proprio a lui quelle cose. Insomma, l’ultima volta, nelle serre di erbologia si era creta una situazione…strana! C’era stata un’attrazione, una condivisione. Prima di Karen.
    Non che non fosse contento che Ilary l’avesse scelto come confidente, per carità… faceva solo…strano.
    “Purtroppo quando due strade si dividono è difficile ricongiungerle, lo so per esperienza, ma non sempre è impossibile. Anche se forse tu stai inseguendo solo il barlume di speranza che si porta dietro, non Nick stesso. Mi dai questa impressione… Ma guardati intorno… Tu sei meravigliosa! La speranza devi trovarla dentro di te…Non soffermarti su uno che si è comportato male con te...cerca il meglio...”
    Abbozzò un sorriso, poggiandole la mano sulla spalla. Se solo Tristan fosse riuscito a seguire un quarto dei consigli che dava agli altri sarebbe stato a cavallo.
    «Karen...».
    Il giovane infermiere sgranò gli occhioni azzurri. Come faceva a saperlo? Immaginò comunque che qualche voce avesse iniziato a diffondersi per il castello, coperta dalle dicerie sulla profezia, ma comunque presente.
    Abbassò lo sguardo, sorridendo al pensiero della rossa. Se avesse saputo che aveva combinato quella sera probabilmente si sarebbe arrabbiata. Se avesse saputo che aveva chiesto aiuto a Ilary invece che a lei forse l’avrebbe fatto ancora di più. Ma Tristan si sentiva con la coscienza pulita. Gliene avrebbe parlato. Ma in quel momento non l’avrebbe voluta lì. Lei era qualcosa di troppo puro e prezioso per essere sporcato di sangue e peccati.
    “Lei è… lei è tutto. E’ la cosa più pura e bella che io abbia mai avuto accanto. E’ intelligente, arguta, praticamente perfetta. Il mio esatto opposto…”
    Il tono della sua voce perse l’iniziale euforia, divenendo più cupo.
    “Ogni giorno ho paura di farle del male. Io sono ciò che lei combatte. Io sono l’oscurità e lei la luce. La luce a cui cerco di ancorarmi ogni volta per restare vivo. Vorrei fermare ciò che provo per lei, per il suo bene ma… non ci riesco! Non ci sono più riuscito da quando l’ho rivista”.
    La sua lingua sembrava essersi sciolta. Forse era perché il dolore andava scemando.
    O forse perché sembrava di essere di nuovo con la sua vecchia Ilary, quella prima dell’esecuzione. Un miraggio.
    Ci fu di nuovo silenzio.
    Ma nemmeno il silenzio bastò. Doveva chiederglielo, non poteva farne a meno.
    Prese la sua mano, guardandola negli occhi. Di scatto, come scosso da un terremoto interiore.
    “Devo chiedertelo, non posso rimanere col dubbio. Perché Ilary? Perché tanta cattiveria?”
    Sapeva benissimo che alludeva all’esecuzione di suo fratello. Ora sapeva cosa significava perdere un fratello. Ed ancora meno riusciva a concepire come si potesse ucciderlo con tanta cattiveria e con tanto odio. Non capiva quale fosse la vera Ilary.



    made by mæve.

     
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  10. H. Ilary Italie
         
     
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    Modificata solo una frase nel primo post, ora la vicenda cronologica secondo Ila è la seguente:
    -Si svolge dopo l'esecuzione, quindi dopo tutte le role.
    -Si svolge prima di una sola role, quella del ballo.
    Appena potrò risponderò col mio post (:
     
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  11. H. Ilary Italie
         
     
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    mangiamorte? • 25 • ex-slytherin
    hanna ilary italie
    u84Bq
    «Ci vuole poco perché uno dei nostri più grandi desideri diventi un incubo»
    Dovette pur sdebitarsi con quell'uomo, con quel padre che l'aveva tanto curata e sorretta, sostenuta. Il favore che gli chiese lui fu il semplicissimo favore di proteggergli la sua chierichetta, nata da una famiglia purosangue ribelle e su cui pesava la taglia di 100mila Galeoni. Una ragazza che aveva cercato di attentare ad alcuni mangiamorte che si trovavano ai vertici del governo.
    La trasformò il gatta, una gatta che mantenne il nome originario di quand'era ragazza: Susan. L'avrebbe per sempre portata con sé, fino al giorno della sua morte. Ovviamente non avrebbe voluto mantenere quell'impegno, in quanto fedele mangiamorte, ma il fatto che era in debito col parroco la costrinse a farlo. Poi l'avrebbe portata al governo, ovviamente, insieme al parroco, pensava all'inizio. Ancora non aveva sviluppato una mentalità giusta e onesta abbastanza da farle capire i suoi errori.
    Ciò che non aveva previsto fu il fatto che dopo due giorni egli si uccise trafiggendosi con una spada. Un mago che si uccide e in un modo medioevale, che schifo. Ila fuggì con Susan dalla chiesa. La portò con sé per poterla portare al cospetto del governo, ma non poteva farlo subito, visto che tutti cercavano un possibile colpevole dell'omicidio che in realtà era suicidio. Il parroco l'aveva fato apposta: per costringerla a restare con la gatta, e ora vi spiego perché.
    Stando con la gatta, Ila si ci affezionò molto: legò a lei come se fosse una gatta, quasi scordandosi che era una ragazza in realtà. Dopo che le acque si furono calmate, Ila ritornò attiva e disse al governo dei mangia morte di aver ucciso il parroco perché facente parte della resistenza -cosa del tutto vera-. Ovviamente nessuno sapeva della chierichetta, il defunto prete era stato abile a coprirne le tracce.
    Pian piano Ila e Susan si vollero bene a vicenda, fino ad arrivare allo stato di amore puro, e Ila si promise di farla ridiventare ragazza solo quando il mondo magico avesse scoperto quei bachi e li tappasse, fin quando la ragazza non poteva considerarsi al sicuro.


    “Già… Non potevo lasciarlo, e così l’ho portato con me. Vedi… creature del genere non si possono comandare. Sono spiriti liberi, molto più di noi uomini. Indipendenti, selvaggi… sono loro a scegliere la vita che vogliono fare. Si vede quando un serpente rifiuta l’habitat in cui viene posto. E Sargon ha scelto di restare con me… è per questo che so che non mi farà mai del male. Credo si trovi bene qui”. Le sembrò una risposta non risposta, nel senso che era schivo, anche se si intravedeva una sorta di lode alla vita serpentesca: erano liberi di scegliere, non come tutti loro in quel mondo.
    Ila comunque, stette zitta, oppressa da quel silenzio. Era anche per quello che aveva bisogno di contatto visivo, era anche per quello il fatto che si alzò e si girò dalla parte opposta dal letto, mettendosi proprio di fronte a Tristan, parlandogli di Nick.
    “Certo, ma non è facile per tutti. Agli occhi di molti, le azioni che noi compiamo sono inconcepibili. La nostra normalità è semplicemente diversa dalla loro….”. Quella frase non fece altro che abbatterla di più. Non urlò quello che avrebbe voluto urlare, quelle domande che le opprimevano il cervello, quei perché che la facevano girare e rigirare nel letto e che continuavano ad alimentare la sua dannazione soprattutto dopo l'uccisione del fratello. Non urlò nulla perché Tristan aggiunse: “Purtroppo quando due strade si dividono è difficile ricongiungerle, lo so per esperienza, ma non sempre è impossibile. Anche se forse tu stai inseguendo solo il barlume di speranza che si porta dietro, non Nick stesso. Mi dai questa impressione… Ma guardati intorno… Tu sei meravigliosa! La speranza devi trovarla dentro di te…Non soffermarti su uno che si è comportato male con te... cerca il meglio!”.
    A quel punto quelle urla si trasformarono in un pianto sconsolato, che le faceva scuotere la testa. Se era piena di speranza, perché continuava a tormentarsi? Perché aveva ucciso il fratello e non scelto un'altra strada? Perché!? Non sentì neanche il tocco della sua mano sulla sua spalla, troppo concentrata a cercare quel barlume di speranza. Forse Tristan aveva ragione. «Forse il fatto che Nick pensa che questo mondo sia giusto mi confonde più le idee. Una confusione che vuole portare a far illuminare di più la speranza? Forse... sì, io non voglio a Nick, non devo sentirmi confusa, voglio credere che... che quello che dice è giusto ma per il fatto che...» ho ucciso mio fratello non riesco a crederci. Ma si zittì, cosa inutile: Tristan l'avrebbe comunque capita. Non si era neanche accorta di aver espresso a voce alta i suoi pensieri, e che le sue lacrime avevano smesso di scendere copiose, e che il suo viso sembrava più tranquillo ma come in attesa di un “sì, è così” di Tristan, e che la mano di quest'ultimo era sulla sua spalla. Non si era neanche accorta che quel mare che le dava tranquillità che stava guardando non erano altro che gli occhi del ragazzo.
    “Lei è… lei è tutto. E’ la cosa più pura e bella che io abbia mai avuto accanto. E’ intelligente, arguta, praticamente perfetta. Il mio esatto opposto…”. Ila sorrise nel sentire quelle cose e nel vedere gli occhi stupiti di Tristan che si scioglievano in occhi pieni d'amore per quella donna. “Ogni giorno ho paura di farle del male. Io sono ciò che lei combatte. Io sono l’oscurità e lei la luce. La luce a cui cerco di ancorarmi ogni volta per restare vivo. Vorrei fermare ciò che provo per lei, per il suo bene ma… non ci riesco! Non ci sono più riuscito da quando l’ho rivista!”.
    Ila lo guardò prendendo la sua mano e stringendogliela forte. «Tristan, lei se lo merita: merita di stare con te. Merita di essere una donna felice. Perché anche lei è combattuta interiormente, lo so. E... credo che se vi supportate a vicenda, potete riuscire a ritrovare un equilibrio, entrambi. Un equilibrio dato proprio dal vostro amore». Gli sorrise. Era sinceramente felice per Karen e Tristan. Anche se a Karen non l'avrebbe mai potuto mostrare, lo considerava come tradirsi: non voleva mostrare di essere una sentimentale. Mangiamorte troppo sentimentali non esistono. «Tu non puoi farle del male finche le vorrai bene Tristan, è contro ogni logica. Se lo farai, è come se non l'amassi, lo sai. Cosa ferirebbe di più: sapere che tu non puoi stare con lei per un amore che quindi non potrà più reggere a causa dell'estraneità -e fidati, anch'io l'ho provata questa cosa: io e Nick siamo come estranei e io infatti non l'amo più- o stare insieme, che è peraltro una cosa che rafforzerà il vostro amore?».
    Poi gli sorrise: «Karen mi considera totalmente nemica, ammetto di non averla trattata bene ma l'ho fatto per non mostrare la mia posizione. Te lo dico perché credo le confesserai che sei stato con me: sapendo qual è il nostro rapporto, potrai affrontarla in un modo più giusto e con più cautela... E se non vuoi dirle niente io invece ti consiglio di farlo!».
    Poi fu il momento di tirare in ballo l'esecuzione. Cosa che le portò via il sorriso e la fece riaffondare nella disperazione, nuovamente, facendole scordare -a causa della 'brutalità' con cui fu chiesto- quel barlume a cui aveva pensato prima. Infatti Tristan le chiese: “Devo chiedertelo, non posso rimanere col dubbio. Perché Ilary? Perché tanta cattiveria?”.
    Cosa doveva rispondergli?
    La verità, sempre la verità, la pura e vera verità.
    Il suo volto si fece serio: «Ho dovuto scaricargli un odio che avevo nei suoi confronti perché non mi aveva detto nulla. Ma poi quell'odio è dovuto crescere perché Callaway e Sales non capissero cosa pensavo veramente di mio fratello». Sospirò. «In un certo senso mi aveva tradito, vero, però se solo non ci fissiamo trovati davanti a tutti l'avrai smaterializzato e l'avrei nascosto agli occhi di tutti!». Per la rabbia sferrò pugni e calci al muro, mentre le lacrime le appannavano gli occhi. «Se...» un punto «... solo...» un pugno «... vivesse ancora...» un pugno «... saprei che c'è qualcosa...» un pugno «... che va nella mia vita di merda!».
    Poi si sedette sul letto che si trovava dietro di lei, massaggiandosi le mani. Se le sentiva rotte, ma anche più tranquilla. Si era sfogata. Aveva dichiarato con la vice e con le azioni che avrebbe voluto avere suo fratello vivo. Si sentiva in pace con se stessa.
    winston,©
     
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