Panta rei.

Karen

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  1. *Tristan*
         
     
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    Tristan Rosier
    Infermiere - 25
    «E se fosse tutto sbagliato?? Tutto da riscrivere??»


    L’aula di divinazione.
    Faceva strano vederla deserta, con quelle luci soffuse e le tende calate. La ricordava con pochi studenti, ai tempi della scuola.
    Non aveva mai apprezzato quella materia, la trovava priva di fondamento, ed inutile. Ma l’aveva comunque seguita, al tempo.
    Nonostante non fosse mai riuscito a predire nulla, si era appassionato alla parte teorica, alla storia della divinazione, che traeva origine dai popoli antichi. Aruspicina, Avispicina, reditus fulminis… era affascinante.
    Entrò in quella stanza dall’atmosfera soft, senza un motivo preciso. Forse voleva solo restarsene un po’ da solo, ed essere libero di essere sé stesso, per una volta.
    C’erano sfere di tutte le dimensioni, sparse per l’aula.
    Chissà come se la sarebbe cavata Karen, ad insegnare una materia tanto ostica e disprezzata??
    Da tanto non la vedeva…si erano lasciati da anni ormai, ed avevano tagliato tutti i ponti. Il perché poi, ancora non l’aveva capito. Ma nella vita si cresce, si cambia. Lei non era che un bel ricordo felice, uno dei pochi.
    Si sedette su una poltroncina, avanti a lui c’era una sfera, nella quale vorticava un denso fumo grigio.
    La sfiorò con la mano e questa si illuminò.
    Fu un’istante. La sua mano restò come attaccata alla superficie vitrea, mentre immagini iniziavano a vorticare nella sua testa. Chiuse gli occhi.

    Una bambina volteggiava davanti allo specchio, con un vestito a fiori. Aveva lunghi capelli castani, ed occhi azzurrissimi. Tutto si muoveva a rallentatore, come in un sogno.
    Davanti a quello specchio c’era anche lui, Tristan, così com’era ora. Aveva i capelli un po’ più corti, il viso più sereno.
    -“Papà! Papà! Dai, sbrigati, o perderemo l’espresso per Hogwarts! Non voglio perdere lo smistamento!”
    Papà?!?! Diceva a lui?
    Capì che era così, quando vide nella ragazzina i suoi stessi occhi.
    -“Hogwarts?? Tu non ci andrai.”
    Rispose lui, incerto sul da farsi…dov’era? Era reale? Beh, se davvero quella era figlia sua, di certo non l’avrebbe mandata lì a farsi torturare.
    -“Ma.. che dici?? Certo che ci andrò! Siamo tutti pronti! … Come potrò diventare un auror come la mamma se non vado a scuola, me lo spieghi??”
    La sua faccina era implorante, e Tristan era più confuso che mai. Mamma?!?!?...e che diavolo era un auror? Una specie di mangia morte di alto livello?
    Un altro ragazzino più piccolo sbucò dalla porta correndo.
    -“Perseus Rosier, smettila di correre in casa! Lily, sei pronta? Oh per Morgana… volete sbrigarvi?!?! Tristan!”
    Una voce di donna proveniva da oltre la porta. Non la conosceva, ma probabilmente quella era la “mamma” di cui la ragazzina parlava.
    Lily. Chissà perché l’aveva chiamata così?
    La bambina gli prese la mano. Era felice. Felice di andare ad Hogwarts, felice di avere la sua famiglia accanto in quel momento. E Perseus… sapeva perché l’aveva chiamato così.
    Una stretta al cuore.
    Tutto si fece sfocato.


    Riaprì gli occhi, ritrovandosi nel silenzio dell’aula di divinazione.
    Tremava.
    Il suo cuore batteva a mille. Che universo era mai quello? Poteva esistere un futuro del genere da qualche parte?
    La cosa lo spaventava…anche se non aveva mai visto nulla di più bello. Una vita serena. Una famiglia.


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  2. Karen Davis
         
     
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    Karen Davis
    21professoressa

    «Finiranno i tempi in cui faremo fatica a stare a galla. Cominceranno i giorni in cui sorridere sarà una cosa semplice e la vita ci sorriderà a sua volta»

    Freddo, sera, quasi notte forse. Nonostante quello la Davis non era ancora riuscita ad addormentarsi: sentiva il vento soffiare forte sulle vetrate delle finestre di camera sua. Menomale non era di ronda.. menomale davvero.
    Indossava una comoda felpa rossa e un paio di pantaloni di jeans, mentre se ne stava seduta comodamente sul diavanetto rosso del suo ufficio a leggere un libro di medicina babbana. Quei tizi erano davvero ingegnosi: tappavano i buchi che i maghi riempivano con un semplice gesto di bacchetta.
    Poi, qualcosa la distrasse dalla lettura. Un rumore, un rumore sordo proveniente dall'aula di divinazione, praticamente accanto alla sua stanza.
    Per un instante sentì montare i nervi: ma chi diavolo è lo studente stupido che invece di stare a fare i festini in sala comune se ne va a giro per il castello a quell'ora di notte?
    Con questo pensiero si infilò le scarpe con il tacco che aveva usato durante la giornata e, camminando sulla punta dei piedi si diresse verso l'aula.
    Spiò da dietro le porte.. C'era qualcuno.
    Non appena la Davis focalizzò la persona seduta ad uno dei tanti tavoli, perse un battito. Ma cosa diavolo ci faceva lì seduto Tristan? Quando aveva accettato l'incarico era perfettamente consapevole del fatto che avrebbe dovuto vederlo e scambiarci quattro parole di tanto in tanto, ma non si aspettava di certo un incontro privato.
    Vad o non vado? Vado o non vado? Non sapeva proprio che fare, cosa alquanto strana per la Davis, che sa sempre cosa fare.Entrò nell'aula, ma lui non se ne accorse: era incantato. I suoi occhi erano completamente bianchi.. Forse aveva avuto una premonizione.
    Si sistemò nel tavolo circolare dietro di lui, in silenzio.
    Quando si "svegliò", la Davis gli appoggiò da dietro una mano sulla spalla, dicendo -a cosa devo questa visita a quest'ora di notte?- made by mæve.

     
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  3. *Tristan*
         
     
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    chace15
    Tristan Rosier
    Infermiere - 25
    «E se fosse tutto sbagliato?? Tutto da riscrivere??»


    Quel nome, Perseus Rosier, continuava a vorticargli in testa, come se ci fosse qualcuno lì, a gridarlo ad alta voce. Quel nome ricorrente bella sua vita per una volta non assumeva il significato nefasto che aveva sempre avuto. Non nascondeva segreti, sangue e storie mai dette stavolta… Ora connotava speranza. Era fatto di energia, sorrisi ed innocenza. L’immagine di quel bambino continuava a farsi strada nella sua mente, nonostante ora fosse tornato alla realtà… E gli occhi felici di quella bambina lo seguivano ad ogni movimento.
    Sarebbe stato bello, vivere così. Sarebbe stato vivere.
    Chissà se quel mondo esisteva da qualche parte?!?! Chissà quanto lontano era?!..
    Una voce, un tocco alle sue spalle gli fecero realizzare che ciò che aveva visto era molto più lontano e impossibile di quanto potesse concepire, e che non sarebbe servito a nulla rifugiarsi in universi paralleli, perdendo di vista ciò che si era in realtà.
    Si voltò di scatto. Non aveva pensato alla possibilità che Karen fosse già in ufficio, e che magari stesse già dormendo.
    Aveva il cuore che batteva all’impazzata, e che di certo non smise di farlo quando la vide. Nemmeno il buio riusciva a celare i suoi capelli rosso fuoco a contrasto con la pelle candida. E il suo profumo poi, l’aveva preceduta.
    Vestiva sportiva, esattamente come lui.
    Cosa ci facesse lì?! …quella si che era una bella domanda!
    “A cosa devo questa visita a quest'ora di notte?”
    Chiese lei. La sua voce aveva un tono calmo e rassicurante. Ricordava ogni sfumatura di quella voce, dal tono arrabbiato, a quello fuori di senno, a quello dolce, a quello triste. E quello che aveva ora si avvicinava al dolce-tranquillo.
    “Ecco io… Ehm, dormivi?? Perdonami, non volevo disturbarti…”
    Farfugliò, ancora scosso dalle sensazioni contrastanti che vorticavano sotto la sua pelle e nella sua mente. Si stava ancora riprendendo, e faticava a mettere due parole insieme. Era come quando qualcuno ti sorprende a rubare. In questo caso però, sei tu che temi che l’atro ti rubi qualcosa, che possa vedere ciò che tu tieni nascosto.
    Non era quello il Tristan che Karen aveva conosciuto, e forse amato. Quello che aveva davanti ora era un’uomo diverso. Stava cambiando, giorno dopo giorno. Iniziava a dubitare di tutto ciò che aveva scelto e compiuto fino ad ora.
    Si rendeva conto di essere ben diverso da ciò che il mondo voleva che lui fosse, e lo nascondeva. Si tutelava.
    Nessuno avrebbe dovuto vedere la fragilità dentro ai suoi occhi color cielo. Nessuno avrebbe dovuto conoscere la parte migliore di lui.
    Sospirò, ricomponendosi un po’.
    “In realtà non so nemmeno perché sono qui… Forse per allontanarmi da tutti, o forse perché cercavo risposte in mezzo a tante domande…”
    Rispose semplicemente.
    Fece una fatica enorme ad articolare un discorso sensato. Ma pian piano sentiva i suoi sensi riprendere il controllo, e ristabilizzarsi.
    Cavoli, che strani effetti poteva avere una semplice sfera di cristallo!!


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  4. Karen Davis
         
     
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    Karen Davis
    21professoressa

    «Solo chi ama senza speranza conosce il vero amore»

    una delle tante cose odiate dalla Davis era l'essere privata della propria razionalità, cosa che accadeva di rado.. quasi mai. Quando accadeva però, si sentiva fragile, come se qualcuno o qualcosa avesse distrutto la sua barriera invisibile. Sangue freddo e cervello erano e sono gli ingredienti della Davis, ma quando uno di questi viene a mancare, può causare qualche problema.
    Lui, Tristan Rosier, era uno di quei motivi che rendeva la Rossa totalmente vulnerabile e questo lei lo sapeva bene: Le era bastato vederlo una sola volta dopo anni che non si vedevano, per capire quale effetto avesse ancora su di lei.
    Mani fredde, cuore a mille e scosse alle gambe paragonabili a forti crampi.. Il solo tocco della sua mano con la spalla dell'infermiere le aveva ricordato quanto le era mancato quel corpo, quanto le era mancato quel contatto.. Eppure lei non lo voleva ammettere, perchè solo così poteva autoconvincersi del fatto di essere lucida e stabile.
    D'altro canto anche lui doveva essere abbastanza scosso, dato tutto quel farfugliare per dire -“Ecco io… Ehm, dormivi?? Perdonami, non volevo disturbarti…”-
    La rossa si passò una mano fra i folti capelli rossi, per poi sorridergli sincera, come con lui aveva sempre fatto tranne una volta..Quando la loro storia era giunta a termine.
    Non gli aveva mai dato spiegazioni, forse perchè spiegazioni non c'erano.. Si era convinta del fatto che separati, visti i tempi, sarebbero stati più sicuri, salvi. Solo ora si rendeva conto del grosso errore, forse irreparabile.
    -Oh, nono figurati.. Me ne stavo di là a leggere un libro quando ho sentito dei rumori.. Pensavo fosse uno studente, non ti preoccupare- gli disse con un lieve sorriso sulle labbra e con un tono di voce dolce.
    Maledizione, non doveva succedere.. Ma in momenti del genere al diavolo la ragione: si sentiva protetta da qualcun altro, qualcuno che probabilmente visti i precedenti non la voleva maco più vedere e come biasimarlo.
    -“In realtà non so nemmeno perché sono qui… Forse per allontanarmi da tutti, o forse perché cercavo risposte in mezzo a tante domande…”- rispose lui cercando di mantenersi "composto".
    La Davis non capiva il perchè di tutta quell'agitazione, di quella reazione. Non capiva perchè lei aveva conosciuto un altro Tristan.
    Forse aveva intrapreso la strada dei Mangiamorte? In cuor suo si augurò di no.
    Non poteva sopportare l'idea di dover ricordare un Tristan peggiore di come l'aveva lasciato.
    Gli voleva bene? Forse si.. cercava di convincersi che tutti gli uomini che avevano intrapreso una storia con lei fossero giocattoli, ma con lui non poteva.. Forse perchè lui non era mai stato un giocattolo per Karen.
    -Oh beh.. Io, ecco vedi.. Non voglio darti fastidio, ero semplicemente venuta qui per assicurarmi che non ci fosse nessun marmocchio.. Ma ci sei tu, che evidentemente hai bisogno della tua privacy, per pensare e io non ho più motivo per stare qui..quindi ci vediamo in giro?- disse con fare nervoso mentre intanto si alzava dal tavolino dietro quello di Tristan, fino a superare anche il suo.
    Fuggi Davis, fuggi finché sei in tempo.
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  5. *Tristan*
         
     
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    chace15
    Tristan Rosier
    Infermiere - 25
    «E se fosse tutto sbagliato?? Tutto da riscrivere??»


    Guardò il bracciale che recava la lettera K. La K di Karen. Se lo strappò dal polso con violenza, e lo gettò giù dal ponte, mentre una miriade di babbani indaffarati vorticavano intorno a lui in quella strada. Quel ciondolo era lontano…come Karen. Neanche una spiegazione. Solo un sorrisetto falso. Si era smaterializzata davanti a lui, dopo avergli inferto quella coltellata. “Non ti amo più”.
    Quelle parole continuavano a rimbombargli in testa. Com’è possibile smettere di amare qualcuno, così, all’improvviso?! Forse non era vero amore, o forse c’era dell’altro.
    Forse, se l’avesse cercata di nuovo, se l’avesse rincorsa magari ci avrebbe ripensato.
    Ma rincorrere la gente non era atteggiamento da Tristan Rosier, o almeno, non delk Tristan Rosier di allora. Odio e orgoglio smisurato avevano quidato i suoi passi e kle sue scelte. L’unica cosa che avrebbe potuto dissuaderlo dal suo obbiettivo ora non c’era più. La via dell’oscurità era molto più allettante, di quella di una debole resistenza.
    Era un Rosier. Ed era ciò che era nato per essere.
    Forse era stato quel suo lato superbo e spietato a farla scappare…Ma se così fosse stato, allora non lo amava davvero, perché quel lato era parte integrante di Tristan.
    Forse. Una stupida parolina che apre un universo di possibilità.

    . . . . .
    Ed ora? Che era cambiato? Perchè tornava sui suoi passi nonostante non avesse un motivo valido per farlo??
    Dopo anni, Karen era davanti a lui, coi suoi occhi profondi, le sue labbra indimenticabili… Eppure l’effetto era diverso.
    Non la odiava. Non riusciva a provare risentimento o sentimenti negativi verso di lei. Ma non la amava nemmeno. C’era una barriera invisibile tra loro. Ma le voleva ancora bene…un bene profondo, di quelli che vanno aldilà della fisicità e del tempo. Non avrebbe mai potuto odiare nulla di lei. Il suo profumo, le sue guance rosate, la sua ironia pungente, la sua dolcezza… quelli erano stati l’unica cosa bella della sua vita.
    Karen era stata l’unica a poter vedere la parte migliore di lui, ad andare oltre… Anche Ilary ci era riuscita. Aveva visto oltre la maschera, ma per toglierla, ci sarebbe voluto tempo, molto tempo. Chissà come se la passava?
    Tornò a fissare Karen. Forse anche a lei faceva uno strano effetto rivedersi dopo tanto tempo. Lei sembrava la stessa di sempre. Ma non poteva dirlo con certezza. Anche lei era brava a mascherare le sue emozioni, se ci si metteva.
    “Oh, nono figurati.. Me ne stavo di là a leggere un libro quando ho sentito dei rumori.. Pensavo fosse uno studente, non ti preoccupare. Oh beh.. Io, ecco vedi.. Non voglio darti fastidio, ero semplicemente venuta qui per assicurarmi che non ci fosse nessun marmocchio.. Ma ci sei tu, che evidentemente hai bisogno della tua privacy, per pensare e io non ho più motivo per stare qui..quindi ci vediamo in giro?”
    Disse lei, leggermente imbarazzata forse.
    D’istinto Tristan la fermò, prendendole il polso.
    La guardò. Ok, ora no sapeva cosa dire…
    Dio, com’era bella!
    “No… resta.”
    Disse in tono tranquillo, lasciando il suo polso.
    “Non ci vediamo da così tanto…come stai?”
    Chiese semplicemente, accennando un leggero sorriso. Aveva tentato di evitarla per giorni, ed ora che se la trovava davanti…non voleva che se ne andasse.
    Beh, complimenti per la coerenza Tristan!


    made by mæve.

     
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  6. Karen Davis
         
     
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    Karen Davis
    21professoressa

    «La liberazione interiore è l'unica cosa per cui valga la pena di morire, l'unica per cui valga la pena di vivere»

    "non ti amo più".
    "non ti amo più".
    Quelle tre parole, rimbombavano e rimbombavano nella testa della Davis, a quei tempi poco più che diciottenne. Lo aveva lasciato, aveva lasciato Tristan senza dargli nemmeno una spiegazione: solo "non ti amo più".
    Karen non aveva mai pianto in tutta la sua vita, nemmeno quando suo padre era riuscito a romperle una caviglia.
    Mai.
    Eppure quella volta, tornata a casa, aveva gettato la borsa sul tavolino ed era caduta in ginocchio cominciando a piangere, senza riuscire a fermare neppure una sola goccia di acqua salata. Di solito quando si è felici non si piange. Quando si è felici si sorride, si scherza, si ha voglia di vivere.
    Ma lei non aveva voglia di fare niente di tutto ciò. Si sedette sul divano e rimase a fissare un punto a caso del muro bianco davanti a lei per tutta la sera, fino a quando gli occhi, consumati dal pianto non le si chiusero, facendola precipitare in un sonno pieno di incubi.
    Cercava di convincersi che quella era stata la scelta più giusta da fare. Né lei, né Tristan avevano preso una posizione precisa. Nessuno dei due faceva parte dei mangiamorte. Nessuno dei due faceva parte della resistenza. Questo significava essere in una terra di nessuno, che però tutti volevano.. Avrebbero rischiato, e non poco.
    La sua razionalità l'aveva portata a rompere con Tristan, che secondo lei, solo in questo modo sarebbe stato al sicuro.
    La mattina dopo, si svegliò rendendosi conto di tenere stretta tra le dita la lettera T, legata al filo d'argento che portava al collo.
    Non lo buttò via: lei e Tristan non avevano nemmeno una foto insieme, solo quello poteva ricordarglielo concretamente.
    I ricordi rischiano di essere cancellati.


    Quel ciondolo era ancora legato al suo collo, così come lei si sentiva ancora legata a lui.
    Stupida Davis, lui non ti vorrà nemmeno più vedere, lui si sarà rifatto una vita, lui avrà una ragazza e tu ora paghi le conseguenze per quello che hai fatto. Allontanò il pensiero del suo infermiere con qualche bionda, mora o rossa -no, di rossa ce n'era una sola- che fosse e cercò di riprendersi quel barlume di razionalità, che piano piano la stava abbandonando.
    La sua rapida camminata la stava riportando al suo ufficio, quando una presa stretta, ma allo stesso tempo molto fragile, la obbligò a fermarsi e a girarsi di scatto.
    Tristan la stava fermando. Perchè?
    Quanto doveva patire ancora? Questo è ciò che ti meriti Davis, le disse una vocina, che associò alla coscienza.
    -No… resta.- le disse tranquillo, lasciandole il polso.
    Voleva che Karen restasse?
    Lei voleva andare, divorata interiormente da una sensazione strana, che ancora non era riuscita bene a capire cosa fosse. Lui voleva restare, forse perchè ormai la rossa non gli provocava più alcuna emozione. Beh, forse era meglio così, almeno non era lui a dover soffrire.
    Si sedette sul gradino accanto al tavolo di Tristan. Lo guardò nel viso e scoprì che una cosa non era cambiata: i suoi occhi, profondi e lucenti, riuscivano ancora a trascinarla in quel vorticoso burrone di emozioni.
    -Non ci vediamo da così tanto…come stai?- chiese accennando alla rossa un leggero sorriso.
    cominciò a muovere nervosamente le dita perfettamente smaltate di rosso, poi stranamente riuscì a comporre un discorso di senso compiuto -Già.. diciamo che non me la passo male..Ho viaggiato per tre anni, ma ora ho deciso di fermarmi in un posto per cercare di condurre una vita decente.-
    Dopo la rottura della loro storia, lei aveva viaggiato in tutta Europa alla ricerca di qualche notizia di suo padre.
    Tre anni in cui Karen aveva cercato di dimenticarsi di Tristan.
    Tre anni in cui ogni notte la passava con un uomo diverso.
    Lo faceva perché solo così poteva illudersi di essere protetta. Quando era con Tristan si sentiva così e dopo la loro rottura, ricercava quella protezione in ogni uomo.
    Sciocca rossa.
    -Tu invece.. Stai bene?- le chiese con un tono di voce altrettanto tranquillo, senza però riuscire a guardarlo negli occhi.
    Maledetti sensi di colpa. made by mæve.



    Edited by Karen Davis - 10/6/2013, 22:07
     
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  7. *Tristan*
         
     
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    Tristan Rosier
    Infermiere - 25
    «E se fosse tutto sbagliato?? Tutto da riscrivere??»


    Incredibile come solo tre parole possano cambiare due destini.
    Se quelle tre parole fossero state altre, magari non si sarebbero trovati lì, a parlare di cose superflue come due perfetti estranei.
    Se quelle tre parole fossero state “Io ti amo”…forse sarebbe stato tutto diverso. Forse la visione che aveva avuto sarebbe stata realtà. Ci sarebbero state risate di bambini, al posto di urla di dolore, sbucciature sulle ginocchia, invece di ferite mortali da curare. Forse, se tutto ciò fosse accaduto, avrebbe potuto guardarsi allo specchio e sorridere, felice di ciò che era, felice del posto che occupava nel mondo.
    Ma Tristan Ares Rosier non era fatto per quella vita, lo sapeva bene. In fondo non era che un soldato dormiente, che le parole “Non ti amo” avevano risvegliato.
    Parole taglienti come lame, che l’avevano ferito a morte.
    Il vecchio Tristan era morto quel giorno. Un mangia morte era nato dalle sue ceneri. Una persona che aveva perduto la sua anima…che l’aveva fatta in pezzi ogni volta che aveva torturato ed ucciso qualcuno.
    La fine di quella storia aveva avuto conseguenze molto più gravi di ciò che si poteva vedere. E la scia di sangue che si era portato dietro sembrava aver lavato via il dolore, e ciò che restava dei suoi sentimenti.
    Ma la causa di quel dolore era lì ora, davanti a lui.
    E lui era tranquillo.
    Forse perché col senno di poi aveva capito che non era lei la responsabile di tutto. Lei era stata solo la miccia che aveva innescato la bomba. Non era stata lei a muovere la sua bacchetta nel momento del giudizio.
    Karen non avrebbe mai voluto che lui imboccasse quella strada.
    E la rottura forse era stata un bene.
    Le aveva risparmiato di vederlo cambiare e perdere sé stesso.
    Le aveva chiesto di restare, nemmeno lui sapeva perché. Forse perché dopo tanto tempo, la voleva ancora vicino.
    “Già.. diciamo che non me la passo male..Ho viaggiato per tre anni, ma ora ho deciso di fermarmi in un posto per cercare di condurre una vita decente.”
    Tagliò corto lei.
    Aveva scelto una strada diversa. Aveva preferito fuggire lontano, ma tenersi stretta sé stessa. Ed ora era lì avanti a lui. La stessa dolce Karen che aveva lasciato tre anni prima.
    “Tu invece.. Stai bene?”-
    Chiese di rimando, quasi per fare conversazione.
    Abbozzò un sorrisetto.
    “Abbastanza… Immaginavo che fossi partita…non ti ho più vista da queste parti!”
    O forse l’aveva evitata?!? Beh, anche! Anche se…aveva cercato i suoi occhi in tutte le persone che incontrava. Aveva immaginato di vederla spuntare da dietro l’angolo ogni giorno. Fino a che non aveva capito di averla perduta per sempre.
    Lei era salva, da qualche parte.
    Lui era restato, per studiare medi-magia e per…beh, lo sapete!
    Panta rei: tutto scorre. Il divenire è un fluire continuo, diceva Eraclito. Ma questa volta il divenire sembrava aver voluto ripercorrere lo stesso sentiero che aveva calpestato tempo addietro. Il perchè però, solo il destino lo conosceva...


    made by mæve.

     
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  8. Karen Davis
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    Karen Davis
    21professore

    «Il passato rivive ogni giorno perché non è mai passato»

    E' strano come più la gente crede di fare la scelta giusta, e più questa si rivela essere la peggiore di tutte. Ma come si fa ad accorgersi se effettivamente, la scelta che abbiamo fatto è quella giusta o no? Bhe, solo il tempo ci può rispondere.
    Karen e Tristan si erano lasciati da tre anni.
    Tre anni in cui tutto poteva essere cambiato: lei poteva essere cambiata, lui poteva esserlo.
    La rossa, nel bene e nel male era rimasta comunque la stessa. Continuava a mantenere la sua posizione neutrale, continuava a mettere in ridicolo le persone che si credevano superiori e continuava a non uccidere.. Ferire forse, quando si doveva difendere, ma non uccidere.
    Quello era il suo credo.
    Non uccidere.
    Il tempo però, non da mai risposte certe.
    Quelle ce le dobbiamo dare da soli: esso ci indica solo la via da seguire, poi è il libero arbitrio a fare il resto.
    Ora che Tristan era accanto a lei, non sapeva dire con esattezza se lasciarlo, era stata davvero la scelta più giusta.
    Più lo guardava e più sentiva il bisogno di convincersi che era così.
    Era stata la scelta giusta e niente sembrava dimostrare il contrario: Tristan era ancora vivo, nonostante tutto riusciva ancora a sorridere, e soprattutto era riuscito a raggiungere l'obbiettivo che si era prefissato quando ancora stavano insieme, diventare medi-mago.
    Ma allora perchè non si sentiva abbastanza convinta da mettersi l'anima in pace?
    Forse lasciarlo lo aveva fatto soffrire, forse lo aveva portato tra le schiere dei mangiamorte.
    Al solo pensiero di Tristan, che con le sue mani uccideva qualcuno, rabbrividì.
    No, quello non era il vero Tristan.
    Il vero Tristan curava le persone, non le uccideva.. non le torturava.
    Il vero Tristan sapeva amare, sapeva essere dolce e giocherellone, sapeva tenere testa alla piccola Karen quando litigavano, ma poi sapeva anche come calmarla in pochi minuti.
    Solo lui riusciva a fare tutto questo con Karen.
    Ma se aveva davvero intrapreso quella strada? La Davis non se lo sarebbe mai perdonato.
    Quella strada che lei aveva tanto odiato, era la stessa che aveva scelto suo padre; quel viscido verme che non appena poteva cercava la figlia per poterla torturare con i suoi “amici”.
    Era la strada del male. La strada sbagliata.. e Tristan non doveva, non poteva farne parte.
    Era sicuramente colpa sua, se lui aveva scelto loro.
    Doveva rimediare, a costo di rimanere ferita nel combattimento.
    -Abbastanza… Immaginavo che fossi partita…non ti ho più vista da queste parti!- rispose lui, dopo averle sorriso.
    E così non l'aveva vista da quelle parti. Non l'aveva vista perchè la Davis era stata una codarda.
    Aveva preferito scappare, dedicarsi ad altro, pur di non affrontare la realtà. Ma quando uno usa sempre e costantemente il cervello, è ovvio che alla prima emozione o sensazione non prevista, non capisce più nulla e non è più in grado di tenere sotto controllo la situazione.
    Così si era sentita lei.
    Inutile e impotente. Allora era scappata. Ma ora, aveva la chiara dimostrazione che tutto ciò non era servito a nulla.
    Finalmente ce l'aveva; aveva trovato la risposta alla domanda “lasciarlo è stata la cosa giusta?” No. Ecco la risposta.
    No, perchè lui aveva perso sé stesso probabilmente.
    La Davis inclinò la testa e sorrise a sua volta, si passò una mano tra i capelli e disse -Quindi tu sei rimasto qui.. e complimenti.. sei diventato medi-mago-. In quelle parole, in quel tono, si poté percepire quasi una nota di orgoglio..
    Sapeva quanto era importante per lui la sua professione, e non poteva che essere contenta del suo successo.
    Poi tornò a guardarsi nervosamente le mani, mentre intanto distendeva le gambe. Doveva sgranchirle.
    se solo si potesse tornare indietro nel tempo..anche solo per un minuto, per un istante.
    Karen aveva passato tre anni senza la sua “famiglia”: suo padre era sparito dalla circolazione, sua madre non l'aveva mai vista, e Tristan era altrove.
    Per tre anni era stata sola, sola come un cane. Era lei la sua famiglia: diventava padre quando doveva difendersi da qualcuno o qualcosa, madre quando doveva fare da mangiare e il bucato, bambina quando voleva piangere. Piangeva e con lei non c'era nessuno che potesse consolarla, anche con uno stupido abbraccio.
    L'abbraccio è il modo più sincero e dolce per dimostrare quanto bene vuoi ad una persona.
    E lei era stata tre anni senza un abbraccio.
    Gli abbracci di Tristan e le sue soavi parole sussurrate all'orecchio, erano forse una delle cose che le erano mancate di più, e ora che lui era accanto a lei, sentiva la voglia e il bisogno di gettargli le braccia al collo e rimanere così per qualche minuto.
    Tuttavia non l'avrebbe fatto. Doveva mantenere il controllo, anche se era difficile.
    -Di là ho un po' di bottiglie da smaltire, e da sola non credo di potercela fare...O meglio, ce la farei sicuramente, ma non voglio pensare a come sarebbe la lezione domani- disse poi, senza riuscire a trattenere una breve risata.
    Voleva bere un po'.. Era tanto che non lo faceva. Ovviamente, in modo del tutto controllato: una sbronza ad Hogwarts, nelle sue condizioni e con i tempi che correvano non era proprio l'ideale.
    Così, lanciando un ultimo sguardo a Tristan, corse in ufficio a prendere quelle tre o quattro bottiglie di alcool che aveva, in modo da offrirgli una scelta, per poi tornare di corsa in aula.
    -vuoi qualcosa?- chiese gentilmente a Tristan, mentre intanto versava un po' di Sherry nel proprio bicchiere.
    Forse così sarebbe stato più facile parlare. Voleva tornare a parlare normalmente con Tristan.
    Una tranquilla chiaccherata non avrebbe fatto male a nessuno dei due. made by mæve.



    Edited by Karen Davis - 11/6/2013, 22:28
     
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  9. *Tristan*
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    chace15
    Tristan Rosier
    Infermiere - 25
    «E se fosse tutto sbagliato?? Tutto da riscrivere??»


    Panta rei, tutto scorre. Tutto scivola via come l’acqua in un torrente. Tutto resta indietro, e scompare alla vista. Ma resta comunque nella memoria. E ti sembra di tornare indietro e rivederlo, quando trovi qualcosa che somiglia a ciò che hai vissuto. Ma non è che una proiezione della tua mente. Non sarà mai lo stesso. Sarà mutato, diverso, consumato dal flusso incessante.
    Le persone vengono trasportate come sassi. Si levigano, cambiano forma e aspetto. Sai chi sono, ma non sai cosa hanno passato, e quanto quel corso abbia influito sul loro essere.


    “Quindi tu sei rimasto qui.. e complimenti.. sei diventato medi-mago.”
    Sorrise, ricordando le serate trascorse a fantasticare sui loro sogni per il futuro.
    “Già…ce l’ho fatta”.
    Disse. Forse era l’unica cosa buona che era riuscito a fare. Ma per una cosa buona, ce ne erano altre cento che avrebbe voluto dimenticare.
    Erano sempre loro. Eppure il tempo aveva costruito un muro intorno a loro.
    C’era un’imbarazzante silenzio, tra una frase e l’altra. Quel silenzio che non c’era mai stato tra loro.
    “E tu invece? Come mai proprio divinazione?”
    Chiese curioso. A quanto ricordava, le piaceva quella materia, ma non aveva mai avuto un’ossessiva passione per sfere di cristallo e foglie di the.
    “Di là ho un po' di bottiglie da smaltire, e da sola non credo di potercela fare...O meglio, ce la farei sicuramente, ma non voglio pensare a come sarebbe la lezione domani.”
    Karen se ne uscì d’improvviso con questa frase.
    Rise. Non aveva perso il senso dell’umorismo…ed era un buon segno.
    “Ti faccio volentieri compagnia…”
    Rispose facendo spallucce, mentre lei si avviava verso il suo ufficio, tornando con alcune bottiglie.
    “Vuoi qualcosa?”
    “Un po’ di Sherry anche per me, grazie!” Rispose accostando il bicchiere.
    Magari un drink avrebbe rotto il ghiaccio, magari avrebbe creato un’atmosfera più rilassata…
    Sorrise.
    “Sai…ti confesso che mi fa un po’ strano stare qui, con te, come ai vecchi tempi. Ma sono felice di averti rivista. Non sai quante volte mi sono chiesto se stessi bene, come te la passavi…”
    Ma checcaz…?
    E adesso perché buttare questa bomba così, d’improvviso, rischiando di farla strozzare?
    Vabbè, tanto c’è un infermiere in sala!
    Ah, ecco…

    In realtà forse aveva semplicemente dato voce ai suoi pensieri. E non era finita qui.
    Guardò il liquido che si muoveva nel bicchiere, poi alzò di nuovo gli occhi verso di lei
    “Non ho rimorsi, né rancore.Ma una domanda devo fartela…Perché?”
    Lei sapeva benissimo a cosa fosse riferito quel “Perché?”. E forse la risposta avrebbe dato fine a quel tormento. A quella domanda che gli frullava in testa da tre anni, insieme alle altre mille.
    Magari col senno di poi, anche per lei sarebbe stato più facile trovare la risposta.


    made by mæve.

     
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  10. Karen Davis
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    Karen Davis
    21professoressa

    «Non è l'amore che fa soffrire, ma la sua assenza.»

    “Già…ce l’ho fatta”- aveva semplicemente risposto Tristan.. Un "Già ce l'ho fatta" che sembrava celare dietro di sé poca convinzione.
    Sapeva quanto ci tenesse a quella professione.. ma allora perchè quelle parole suonavano così strane alle orecchie della Davis?
    Forse perchè lei, conoscendo lui e conoscendo la sua passione per la medimagia, si sarebbe aspettata una reazione più euforica.
    Già, ma una persona non può mica mostrarsi euforica con il primo che passa!? La confidenza che c'era tra loro sembrava essere sparita, lasciando il posto all'imbarazzo più totale.
    Almeno per quanto riguardava la rossa.
    Gli sorrise, battendogli una mano sulla coscia, poi disse -Sono molto fiera di te Tristan-.
    Si passò una mano tra i lunghi capelli rossi, che ancora profumavano di balsamo al lampone, per poi tornare a guardare a terra.
    -“E tu invece? Come mai proprio divinazione?” -
    La sua domanda era più che lecita. La Davis non era particolarmente affascinata da premonizioni, palle e robe varie, tuttavia sentiva il bisogno di trovare un lavoro fisso e Hogwarts sembrava accogliere la sua richiesta.
    - Beh, diciamo che avevo bisogno di un lavoro serio e soprattutto di una casa in cui vivere..E quando torno qui, in un certo senso, mi sento sempre a casa.. Poi mi conosci no? Sono abbastanza testarda quando mi ci metto.. per questo ho fatto una scommessa personale con me stessa.. Insomma, mi piacerebbe molto vedere questa materia rivalutata.. Io non credo che sia inutile..- disse la Davis convinta delle parole che le erano appena uscite di bocca.
    Poi, non poté non ripensare al discorso che qualche sera prima, le aveva fatto quella civetta di un'Italie.. “nessun mangiamorte di rispetto ha mai insegnato quella materia”.

    -“Ti faccio volentieri compagnia…Un po’ di Sherry anche per me, grazie!”- le disse rivolgendole un sorriso e avvicinando il bicchiere alla bottiglia di vino che la Davis stava pericolosamente maneggiando. Lei gli sorrise di rimando, poi ne versò un po' anche nel suo bicchiere.
    Aveva appena appoggiato il suo sulle labbra che lo sentì dire -“Sai…ti confesso che mi fa un po’ strano stare qui, con te, come ai vecchi tempi. Ma sono felice di averti rivista. Non sai quante volte mi sono chiesto se stessi bene, come te la passavi…” -
    La Davis fu costretta a buttare giù il vino, tutto d'un fiato.
    Tossicchiò due volte poi, con la mano destra premuta sul petto, spostò lo sguardo dal bicchiere ai suoi occhi.
    eccoci che ci risiamo
    -Anche io mi sento così.. strana, ma felice. Tristan io..- esitò prima di concludere la frase -.. mi sei mancato-.
    Voleva aggiungere un “tanto” a quel “mi sei mancato”, ma probabilmente non sarebbe stato comunque abbastanza.
    Probabilmente sarebbe sembrato ridicolo, detto da lei.
    Eppure quella era la verità..quella era la maledetta e straziante verità; una verità con la quale la Davis doveva fare i conti ogni sacrosanto giorno.
    Lo osservò guardare il vino nel suo bicchiere.
    Lei prese di nuovo il suo e ne prese un altro sorso, come se quella fosse l'unica distrazione da un qualcosa di troppo grande persino per lei.
    -“Non ho rimorsi, né rancore.Ma una domanda devo fartela…Perché?”- le chiese poco dopo.
    La reazione a quella domanda fu totalmente diversa dalla prima. Se con quella precedente aveva rischiato di strozzarsi, con quella rimase in un primo momento impassibile, continuando a guardare nel vuoto.
    Quella non fu un fulmine a ciel sereno.. Se l'aspettava in un certo senso.
    Sapeva che prima o poi, se Tristan era stato davvero innamorato di lei, quella era una domanda alla quale doveva dare una risposta.
    sapeva che lui, in fondo, non aveva creduto a quelle tre parole, con le quali lei aveva deciso di troncare la loro relazione.
    Sapeva che ora meritava una risposta sincera.. vera. Non una stupida bugia come l'ultima volta.
    Quello era il momento di confessare, di tirare fuori tutto quello che la rossa aveva dentro.. un qualcosa che aveva aspettato anche troppo, per venire fuori.
    - Ho mentito..- esordì Karen, mettendo al primo posto quella che era la sua colpa, - Ho mentito a te e per troppo tempo ho cercato di mentire a me stessa dicendo che non ti amavo più..Non cercherò di giustificarmi, ma voglio che tu sappia che non l'ho fatto per cattiveria, ma per proteggere te e anche me, da tutto quello che stava accadendo. Vedi, la sera prima che ti lasciassi, tornando a casa, ho trovato un biglietto nel posto in cui da piccola cercavo di nascondermi.. un posto, che conoscevamo solo io, in quanto mi ci nascondevo, e mio padre, in quanto mi veniva sempre a cercare lì.. Diceva che io dovevo tornare sulla “giusta strada” oppure non sarei stata l'unica a pagarne le conseguenze..- fu costretta a fermarsi qualche secondo, per evitare di piangere.
    Non voleva piangere davanti a lui, visto che la colpa era sua.
    -avevo paura di quello che sarebbe potuto succedere e non sono stata abbastanza forte da dirti la verità.. avevo paura.. Tristan, tu non sai di cosa è capace quell'uomo..Va oltre i limiti..- disse cominciando a sentire un nodo alla gola.
    Sembrava non riuscire più a respirare. Poi trovò la forza e cercò di andare avanti, seppur con la voce ormai strozzata -Ho preferito lasciarti.. così non saresti più stato legato a me, e nessuno sarebbe venuto a cercarti.. Ho dovuto usare quel “non ti amo più”, perchè sapevo che probabilmente, dirti che non ti amavo più, ti avrebbe allontanato ancora di più da me.. Non potevo permetterti di venirmi a cercare.. era troppo pericoloso.. Mi dispiace Tristan.. sono stata egoista...-
    Solo due lacrime scesero dai suoi occhi verdi..
    Due lacrime che la Davis non mascherò, né cercò di coprire.. Doveva liberarsi di quel macigno che per tre anni era stata costretta a portarsi sulle spalle.
    Forse non l'avrebbe perdonata.. ma per la rossa, il suo infermiere era e sarebbe stato per sempre, l'angelo che vegliava i battiti del suo cuore.made by mæve.



    Edited by Karen Davis - 22/6/2013, 21:22
     
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  11. *Tristan*
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    Tristan Rosier
    Infermiere - 25
    «E se fosse tutto sbagliato?? Tutto da riscrivere??»


    “Negli occhi tuoi il mio viso, il tuo nei miei, mostrano cuori semplici e sinceri.
    Dove meglio li trovi, due emisferi, senza ovest declinante o freddo nord?
    Solo muore ciò che inevitabilmente è commisto…Ma se i nostri due cuori sono uno, e noi ci amiamo in modo tale che nessuno sia da meno…mai morranno.”


    Ciò che era stato solo nei suoi sogni più reconditi ora era realtà. Era di nuovo lì, insieme alla sua Karen, come se il tempo fosse tornato indietro. Lei era la stessa. Il suo sorriso era lo stesso. Avrebbe dovuto essere felice di aver ritrovato l’inestimabile tesoro che aveva perduto…ma qualcosa era cambiato. Lui era cambiato.
    Il ragazzo che sognava di poter aiutare la gente per creare un mondo migliore aveva lasciato il posto a un uomo cresciuto troppo in fretta, che aiutava gli altri forse per espiare le sue colpe; per sentirsi utile, in un mondo che non era il suo.
    “Sono molto fiera di te Tristan”.
    Disse lei. Avrebbe voluto davvero renderla fiera di lui, ma non avrebbe potuto nemmeno volendo. Quella non era che apparenza. C’erano cose di cui non si poteva andare fieri. Cose che non poteva dirle.
    Cercò di sorridere, di mostrarsi sereno.
    “Beh, diciamo che avevo bisogno di un lavoro serio e soprattutto di una casa in cui vivere..E quando torno qui, in un certo senso, mi sento sempre a casa.. Poi mi conosci no? Sono abbastanza testarda quando mi ci metto.. per questo ho fatto una scommessa personale con me stessa.. Insomma, mi piacerebbe molto vedere questa materia rivalutata.. Io non credo che sia inutile..”
    Karen era così. Combattiva, e spesso vincente. Era come una specie di “Re Mida”, tutto ciò che toccava diventava oro.
    Sorrise, stavolta senza alcuna difficoltà, sinceramente.
    “Hanno trovato la persona giusta allora. Solo tu potresti riuscirci!”
    Disse. In effetti la divinazione era una disciplina piuttosto mal vista, molti si chiedevano perché la insegnassero ancora.
    E la sua mente tornò alla visione di prima. Una visione di serenità. Chissà cosa mostrava la sfera? Magari quello era un mondo parallelo, con destini diversi. Avrebbe pagato oro per potersi annullare e poter vivere in un mondo del genere. Ricominciare daccapo. Utopia.

    Tristan Rosier era rinomato per la sua capacità di formulare domande e frasi inopportune in momenti altrettanto inopportuni.
    Vide Karen quasi strozzarsi con lo Sherry. In effetti, poteva scegliere un altro momento, se proprio voleva dirglielo.
    “Anche io mi sento così.. strana, ma felice. Tristan io…-.. mi sei mancato.”
    Poche parole. Poche parole che sembrarono strappargli lo stomaco in mille brandelli.
    Mi sei mancato.
    Le era mancato davvero? Ma se era così, perché l’aveva lasciato? Le persone non mancano se non si prova qualcosa per loro.
    Ma quasi non gli importava. Non gli importava perché avesse sentito la sua mancanza. Ciò che gli importava era che anche lui aveva sentito la sua mancanza. Ogni giorno, in ogni istante, in ogni gesto.
    Lei aveva lasciato il vuoto che aveva colmato con odio e sangue.
    Ed avrebbe dovuto chiederle perché, in ogni caso, o non avrebbe trovato pace.
    “Ho mentito.”
    Altre due parole in grado di distruggere Tristan come un pezzo di cristallo. In grado di farlo piombare in un baratro senza fondo.
    Lo stesso baratro in cui era caduto quando quella menzogna era stata detta. Aveva pensato a quell’eventualità, ma era comunque andato avanti per la sua strada. La strada sbagliata. E aveva perso tutto.
    Attese che dicesse qualcos’altro, stringendo impercettibilmente il bicchiere. In ogni angolo del suo corpo sentiva il suo cuore battere all’impazzata. Quello era il momento della verità. Il momento del giudizio.
    “Ho mentito a te e per troppo tempo ho cercato di mentire a me stessa dicendo che non ti amavo più..Non cercherò di giustificarmi, ma voglio che tu sappia che non l'ho fatto per cattiveria, ma per proteggere te e anche me, da tutto quello che stava accadendo. Vedi, la sera prima che ti lasciassi, tornando a casa, ho trovato un biglietto nel posto in cui da piccola cercavo di nascondermi.. un posto, che conoscevamo solo io, in quanto mi ci nascondevo, e mio padre, in quanto mi veniva sempre a cercare lì.. Diceva che io dovevo tornare sulla “giusta strada” oppure non sarei stata l'unica a pagarne le conseguenze.. avevo paura di quello che sarebbe potuto succedere e non sono stata abbastanza forte da dirti la verità.. avevo paura.. Tristan, tu non sai di cosa è capace quell'uomo..Va oltre i limiti…-Ho preferito lasciarti.. così non saresti più stato legato a me, e nessuno sarebbe venuto a cercarti.. Ho dovuto usare quel “non ti amo più”, perchè sapevo che probabilmente, dirti che non ti amavo più, ti avrebbe allontanato ancora di più da me.. Non potevo permetterti di venirmi a cercare.. era troppo pericoloso.. Mi dispiace Tristan.. sono stata egoista...”
    Ascoltò quelle parole immobile, come se fosse su un altro pianeta. La sua testa si riempiva di pensieri e delle sue parole, mentre passava con lo sguardo dai suoi occhi verdi al liquido nel bicchiere, che assumeva increspature quasi irreali.
    La sua mano tremò leggermente, non sapeva nemmeno perché. Sapeva solo che si sentiva impotente e fragile. Sapeva che lo era. Lo era sempre stato da quando lei se ne era andata. Ed aveva cercato di uccidere quel Tristan, riducendosi l’anima in mille pezzi. Lasciando una parte di sé stesso e di Karen in ogni persona a cui faceva del male. Prendendosi parte di quelle persone sconosciute, i cui ricordi non potevano scalfirlo.
    Posò il bicchiere e tornò a guardare lei. Il suo viso era rigato di lacrime. Era bella, anche quando piangeva.
    Cercò le parole, anche se era difficile trovarle in quel vorticare di emozioni. Tra sensi di colpa e sentimenti repressi.
    “La Karen che conosco non si sarebbe mai arresa così facilmente.”
    Disse solamente, con la voce quasi spezzata. Avrebbe voluto urlare, piangere, fuggire. Ma restò immobile, su quella poltroncina. Sospirò.
    “Avresti dovuto parlarmene. Lo avremmo affrontato. Ce l’avremmo fatta insieme, come sempre. So di cosa sono capaci tali persone…le conosco bene. E per questo ti dico che non avrei esitato a proteggerti da lui. A proteggere ciò che eravamo. E se fossi morto nel tentativo, poco me ne sarebbe importato…”
    Conosceva quel genere di persone. Lui stesso era diventato quel genere di persona. Come suo padre, come il padre di lei. Chi in un modo, chi nell’altro raggiungeva il bivio, e molti sceglievano la via dell’oscurità. Combattere il male probabilmente l’avrebbe indotto a non farglielo poi abbracciare. Tutto sarebbe stato diverso. Ma il passato era andato, e non potevano farci nulla.
    “…sono morto un po’ ogni giorno da quando te ne sei andata.”
    Tante emozioni vorticavano nella sua testa. Avrebbe voluto dirle tutto. Ma dirle che era diventato esattamente come l’uomo da cui era fuggita forse le avrebbe fatto troppo male.
    Il Tristan che conosceva era morto. Non restava di lui che un relitto in preda ai sensi di colpa.
    Un’altra lacrima ci fu quella sera, stavolta sul viso di Tristan. Avrebbe voluto scappare. Avrebbe voluto che tutto ciò non fosse mai accaduto.
    Prese la sua mano e la strinse, abbassando lo sguardo.


    made by mæve.

     
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  12. Karen Davis
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    Karen Davis
    21 professoressa
    « Anche un orologio fermo segna l'ora giusta due volte al giorno. »

    Don't tell me if I'm dying.
    Si sentiva morta. Viveva per inerzia, perchè il suo cuore batteva, perchè nelle sue vene scorreva il sangue, perchè ancora arrivava ossigeno al suo cervello.
    Viveva fuori, agli occhi delle persone che incontrava nei pub, sui marciapiedi, o a sedere su una panchina, ma era morta dentro. Quella morte poteva essere vista solo agli occhi della sua anima. Un'anima ormai lacerata, dilaniata e fatta a pezzi dai sensi di colpa, dal rimorso. Dall'amore.

    Don't tell me if I'm dying, 'cause I don't wanna know.
    Non aveva più obbiettivi da raggiungere, non aveva nessuno con cui condividere un pasto, non aveva nessuno a cui consegnare il proprio regalo di Natale, non aveva nessuno che l'abbracciasse la notte di Capodanno sotto il cielo tempestato di stelle.
    Aveva passato gli ultimi tre anni fregandosene di quello che succedeva intorno a lei.
    Era attaccata alla vita, ma non come un tempo: si difendeva finchè poteva, scappava fin dove poteva, senza mai pensare a ciò che sarebbe successo dopo. Se fosse morta? Non importava, perchè lei senza Tristan era già morta.
    Ma il destino le aveva sempre consentito di uscire indenne da tutto, da ogni scontro, da ogni corsa.
    Forse un giorno avrebbe voluto qualcosa in cambio. E lei allora, sarebbe stata in grado di soddisfare le richieste del destino?

    Don't tell me if I'm dying.
    Aveva le mani fredde, tanto da essere costretta a sfregare il palmo di una su quello dell'altra, le gambe intorpidite e gli occhi verdi non riuscivano a staccarsi da lui, dal suo sorriso. Non sembrava sincero, ma non aveva importanza.. Lui era ancora capace di sorridere dopo tutto quello che Karen aveva fatto. Lui meritava di sorridere, lei probabilmente no.
    -''Hanno trovato la persona giusta allora. Solo tu potresti riuscirci!''-
    Disse lui, sembrava sincero. Sorrise anche lei, grata di quelle parole.
    Il discorso, piano piano, stava cambiando direzione e la Davis sapeva benissimo che da li a poco sarebbe scoppiata una bomba. Una bomba che avrebbe distrutto Hogwarts se fosse stata concreta.
    Posò il calice vuoto sul tavolo, si alzò di nuovo e lo riempì: doveva trovare qualcosa da fare, per non guardarlo negli occhi quando sarebbero giunti al punto cruciale.
    Si era fermata in tempo perchè non traboccasse dal calice. Era pieno fino all'orlo, proprio come loro due, come Karen e Tristan.
    Un solo movimento e dal bicchiere sarebbe fuoriuscito il vino.
    Era arrivato il momento della verità e Karen disse tutto; disse tutto quello che probabilmente avrebbe dovuto dire quando aveva diciotto anni. Cominciò a piangere e poteva sentire le lacrime bagnarle il viso.
    Prese il bicchiere e cominciò a buttare giù, fino a quando questo non rimase vuoto un'altra volta.

    -''La Karen che conosco non si sarebbe mai arresa così facilmente.''-
    Si accorse che la voce di Tristan era spezzata e sentì un tuffo al cuore. Il bicchiere era di nuovo vuoto, così si passò nuovamente una mano tra i capelli, mentre con l'altra cercava di fermare le lacrime.
    -''Avresti dovuto parlarmene. Lo avremmo affrontato. Ce l’avremmo fatta insieme, come sempre. So di cosa sono capaci tali persone…le conosco bene. E per questo ti dico che non avrei esitato a proteggerti da lui. A proteggere ciò che eravamo. E se fossi morto nel tentativo, poco me ne sarebbe importato…''-
    Si aspettava un discorso del genere. Ma era proprio per quello che lei non glielo aveva detto.
    Sapeva che lui l'avrebbe seguita in ogni parte del mondo, sapeva che l'avrebbe difesa da tutto e tutti, sapeva che lui avrebbe fatto tutto questo perchè l'amava.
    La rossa scosse la testa, e d'improvviso le lacrime aumentarono.
    -Sapevo che avresti detto così, per questo ti ho mentito..Ti avrei voluto accanto a me ogni giorno, ogni notte. Avrei voluto tenerti la mano mentre camminavo da sola per le strade di chissà quale sconosciuta città, avrei voluto stringermi fra le tue braccia ogni notte che fuori c'era il temporale, avrei voluto passare gli ultimi Natali con te, a scartare i regali.. Ma non potevo, non potevo perchè tu potevi difendere me, ma io non ero in grado di difendere te- disse la rossa, ora anche lei con la voce spezzata.
    Restò a fissarlo per alcuni secondi, finchè il suo cuore non aveva ripreso a battere, poi abbassò la testa.
    Si sentiva in colpa.
    -Tristan, volevo saperti vivo da qualche parte e che ogni tanto pensassi a me. Volevo sapere che c'è altro in questa vita e non l'avrei più saputo se ti avessero ucciso..- disse con voce debole.

    Don't wake me cause I'm dreaming.
    Si sentiva debole, le pulsavano le tempie e aveva la vista annebbiata.
    Avrebbe trovato suo padre, l'avrebbe ucciso. Quello era stato il suo modo di difendere Tristan; d'altra parte a diciotto anni poteva fare poco per lui.
    In quei tre anni era resciuta però, era diventata una donna.
    Lui era un uomo e lei era una donna, lui poteva difenderla e lei poteva difenderlo. Potevano spalleggiarsi senza che uno lasciasse scoperta la schiena dell'altro.
    Si portò le mani sugli occhi. Bruciavano, forse a causa del pianto, forse perchè le era venuta la febbre.
    -''…sono morto un po’ ogni giorno da quando te ne sei andata.''-
    Un altro colpo al cuore, come se qualcuno le stesse sparando. Trovò la forza di guardarlo negli occhi, occhi magnetici che continuavano ad avere su di lei sempre lo stesso effetto.
    -''Anche io Tristan.. Ho cominciato a morire quando ci siamo divisi, ma allo stesso tempo non ho mai smesso di vivere..vivo perchè ti amo- disse Karen facendo trasparire un lieve sorriso sulle labbra.
    Poi ci fu quel contatto: lui le prese la mano, e lei se la lasciò stringere..
    Una lacrima solcò il suo viso. La rossa spostò lentamente l'indice sulla sua guancia, e gliela asciugò.
    Di nuovo i suoi occhi incollati ai suoi.
    Non voleva sapere se stava morendo. Non lo voleva sapere; forse era un sogno.. il sogno di due angeli sulla luna.
    Don't wake me cause I'm dreaming, of angels on the moon
    made by mæve.

     
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  13. *Tristan*
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    chace15
    Tristan Rosier
    Infermiere - 25
    «E se fosse tutto sbagliato?? Tutto da riscrivere??»


    “Insieme, sempre”.
    Tristan guardò Karen negli occhi, mentre chiudeva il ciondolo nella sua mano e la stringeva. E il ciondolo che lui portava al collo si illuminava. Luce di speranza.
    Era la sensazione più bella che avesse mai provato. Felicità. Felicità velata dalla speranza. Avrebbe voluto vivere con lei il resto della vita. Immaginava tutto inconsciamente. Lei era tutto. E quella totalità avrebbe riempito ogni spazio del suo cuore rimasto vuoto.
    Una promessa nel vento.

    Erano passati anni da quel momento felice, eppure la scena sembrava ripetersi. Erano di nuovo mano nella mano, di nuovo occhi negli occhi.
    Solo la sensazione era cambiata. Alla felicità erano commisti paura e rabbia, freddezza e rancore. Alle persone che si erano scambiate quella promessa si erano sostituiti due perfetti estranei…o forse due parti dello stesso cuore che non potevano fare a meno l’una dell’altra.
    L’amore…cos’era l’amore? Il giovane Rosier sembrava averlo dimenticato. Aveva riempito la sua vita di odio e violenza. Ma al momento anche questi ripieghi sembravano venir meno. Perché anche odio e violenza si inchinavano di fronte ai suoi occhi verdi e sinceri. E i ricordi sembravano prendere il sopravvento su tutto…su ciò che era diventato, su ciò in cui credeva.
    Il cuore di Tristan battè all’impazzata in ogni istante…e sussultò ad ogni parola di lei.
    “Sapevo che avresti detto così, per questo ti ho mentito..Ti avrei voluto accanto a me ogni giorno, ogni notte. Avrei voluto tenerti la mano mentre camminavo da sola per le strade di chissà quale sconosciuta città, avrei voluto stringermi fra le tue braccia ogni notte che fuori c'era il temporale, avrei voluto passare gli ultimi Natali con te, a scartare i regali.. Ma non potevo, non potevo perchè tu potevi difendere me, ma io non ero in grado di difendere te…”
    Si sentiva come un bambino indifeso davanti al pericolo. Avrebbe voluto scappare, urlare, piangere. Ogni sua parola era come una maledizione cruciatus. Era il verso di una poesia che parlava della sua prigione e della sua agonia. Era un verso che descriveva la loro distanza.
    Non potè fare a meno di pensare a come sarebbero stati gli ultimi anni insieme a lei….Se non se ne fosse andata. Se non fosse diventato un assassino. Sorrise al pensiero. Ma le sue taglienti parole non esitarono a riportarlo alla realtà. Non era che un sogno quella vita, come la visione della sfera.
    “Tristan, volevo saperti vivo da qualche parte e che ogni tanto pensassi a me. Volevo sapere che c'è altro in questa vita e non l'avrei più saputo se ti avessero ucciso..”
    Restò a fissarla con la bocca semi aperta, senza riuscire a dire una parola anche quando lei abbassò lo sguardo. Le sue mani tremarono. Tristan Rosier, il grande mangiamorte, cedeva alle emozioni e ai sensi di colpa, per la prima volta dopo tanto tempo. Non riusciva ancora a realizzare di aver creduto ad una menzogna, e di aver ceduto la propria anima al diavolo per dimenticare lei. Lei che era tutto. Tutta la sua vita.
    ''Anche io Tristan.. Ho cominciato a morire quando ci siamo divisi, ma allo stesso tempo non ho mai smesso di vivere..vivo perchè ti amo”.
    Quelle parole furono taglienti come lame. Così come il suo tocco.
    Si sentiva perduto. Avrebbe preferito morire che affrontare questo…che dover affrontare lei.
    Non bastò asciugare una lacrima, perché altre ne sgorgarono quando lei disse di amarlo. Lei lo amava, nonostante tutto. Nonostante la distanza, gli eventi e il mondo in cui vivevano.
    Sfiorò la sua mano, mentre le lacrime continuavano a sgorgargli dagli occhi incontrollate. La strinse, scansandola dal suo viso.
    “Non farlo Karen…non amarmi”.
    La sua voce fu rotta da lievi singhiozzi.
    Avrebbe voluto stringerla forte e baciarla, lasciandosi il resto del mondo alle spalle. Avrebbe voluto prenderla e strapparle i vestiti di dosso come un tempo, rapirla e portarla in un mondo in cui non c’era dolore, né violenza. Avrebbe voluto poterle dire che anche lui la amava, che non aveva mai smesso di farlo. Avrebbe voluto tornare indietro e cancellare tutto.
    Ma non poteva. Lui le stava mentendo. Colui che amava, non era Tristan.
    “L’uomo che ami non è che un ricordo. Io…”
    Abbassò lo sguardo, non riuscendo a sostenere quello di Karen. Si sentiva un verme. Diventare ciò che era equivaleva ad un tradimento verso di lei e verso ciò in cui avevano creduto. Della loro favola non restavano che briciole.
    “…Io non sono chi credi. Non sono in grado di amare. Sono solo un soldato che combatte per la sua legione, un fedele del regime. Un traditore dei propri ideali, una macchina per uccidere. Scappa Karen, finchè sei in tempo. Non c’è nulla per te qui…”
    Stavolta fu lui a mentire per salvarla. Ma sapeva che stavolta sarebbe stato giusto.
    Purtroppo ciò che aveva fatto era irreparabile. La sua anima era irreparabile. Ed avrebbe preferito morire tra le peggiori sofferenze, piuttosto che trascinare anche Karen in quel tunnel di violenza.
    In fondo anche lui l’amava. L’amava da morire, più di ogni cosa al mondo. A dispetto di ciò che le aveva detto, Tristan era ancora in grado di amare. Non aveva mai smesso, neanche un istante. Ma la sua condanna era quella del dover celare i propri sentimenti per salvarla. Questa volta i ruoli erano invertiti.
    Eppure non riusciva a guardarla negli occhi. Non era un bravo attore. Non riusciva a mascherare nulla davanti a lei. Si sentiva trasparente ed indifeso.
    Per la prima volta dopo tanto tempo, il mangiamorte lasciava il posto a ciò che era in realtà. Un ragazzo cresciuto troppo in fretta e in mezzo a troppo odio. Un giovane con sentimenti seppelliti e speranze spezzate dalla vita che aveva scelto.
    Aveva scelto di essere un assassino. Una strada senza via d’uscita.



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  14. Karen Davis
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    Karen Davis
    21 professoressa

    «Le lacrime non sono espresse dal dolore, ma dalla sua storia»

    Inverness, 1999.
    -Hei Matt vieni qui!! Non correre così veloce, non vale!- urlava a squarciagola una bambina dai capelli rossi legati in due trecce e alta poco più di uno sgabello da pub. Più avanti la precedeva un bambino più o meno della stessa età, i capelli castani arruffati dalla corsa e la maglietta bianca sporca d'erba. Si girò verso l'amica rimasta indietro e dopo averle fatto la linguaccia le urlò di rimando -Dai Ker, corri!! Ci siamo quasi!!-
    La bambina, a quelle parole, sembrò aver riaquistato tutta la forza. Accelerò il passo e lo raggiunse, fino a quando non si fermarono all'ombra di un albero difronte alla cattedrale.
    -Matt avevi detto che stavolta saresti andato più piano!! io sono una femmina, non sono forte come te!- disse la bimba dagli occhi verdi come le foglie dell'albero sotto il quale si erano seduti. Il bambino seduto accanto a lei rimase in silenzio per qualche istante, poi la guardò nel viso scoppiando a ridere.
    -Beh? che c'è da ridere adesso?- lo guardò severa.
    -Nulla, ma hai una faccia orribile quando ti arrabbi!- rispose l'ometto senza riuscire a smettere di ridere.
    Quel posto era il loro posto, andavano sempre lì quando erano insieme. Ogni pomeriggio si sedevano all'ombra di quell'enorme albero e fissavano la facciata di quella splendida cattedrale gotica, fantasticando su quale poteva essere la sua storia e su quale potesse essere quella degli uomini che l'avevano costruita.
    Ma Karen non sapeva che dal quel giorno ci sarebbe tornata da sola.
    -Karen cosa ci fai con quello sporco babbano?- disse una voce gelida alle loro spalle. La bambina si girò impaurita, poi sorrise dicendo -Ciao Mark, stiamo giocando a inventa la storia, vuoi venire a giocare con noi??-
    -Non ci penso nemmeno per sogno- disse con il tono di voce arrabbiato. Poi si avvicinò a lei e la prese per un polso, stringendola a tal punto da farla sobbalzare.
    -Lasciala, non ha fatto niente di male!- intervenne Matt, alzandosi a quel punto in piedi e mettendosi davanti all'ultimo arrivato, che rispose -Oh, io credo di si invece.. Stare con gente come te! Che schifo, e menomale che è la figlia di uno spietato mangiamorte! Vedi papà, cosa ti avevo detto?? Guarda cosa fa la figlia di Alexander Davis, guarda che gente frequenta!!-
    Un uomo dai capelli lunghi e scuri e dal volto corrugato uscì da dietro un albero.
    -avevi ragione figliolo, ora ci penso io- disse estraendo dalla tasca del cappotto la propria bacchetta magica.
    -Avada Kedavra!- un lampo di luce verde colpì in pieno petto il bambino dai capelli scaruffati, che ebbe appena il tempo di guardare l'amica per l'ultima volta, prima di cadere indietro e accasciarsi sul prato.
    La bambina sembrava quasi non aver focalizzato quello che era appena successo. Poi capì e in preda al pianto e alle urla cercò di divincolarsi da una presa diventata più stretta di quella di prima. Ora, era l'uomo che la teneva.
    -Lasciami!! Lasciami ho detto!!! LASCIAMII- si dimenava, fino a quando il mangiamorte si voltò verso di lei e le lasciò uno schiaffo pesante sulla guancia. Non pianse, ma rimase impassibile. Sapeva che avrebbe dovuto riservarsi le lacrime per dopo.
    Tornata a casa arrivò il peggio: schiaffi su schiaffi, tagli su tagli, bruciature su bruciature. Quello era il padre di Karen Davis e quella era la sua vita.
    Non avrebbe mai dimenticato Matt, Mai.


    Karen non aveva smesso di pensare all'ometto dai capelli scompigliati nemmeno per un giorno. Lui era l'unica cosa bella della sua infanzia, lui era uno dei motivi per il quale schifava il marchio nero che aveva tatuato sul braccio.
    Il regime, quello orribile modo di vivere le aveva strappato Matt e Karen non gli avrebbe certo permesso di portarsi via anche la sua anima e quella di Tristan.
    Sì, perchè infondo lei credeva, o forse sperava disperatamente in un mondo migliore. Ma forse era sola utopia.
    La sua mano tremava più di prima. Il contatto con quella pelle, la stessa che le era mancata in quei tre anni, la faceva andare in tilt, la distoglieva da quella che era la realtà bruta e cruda. Una realtà da cui non c'era fuga.
    La strinse alla sua appoggiandola sulla propria coscia, ormai incandescente per l'imbarazzo, per l'odio represso che provava verso chi le aveva distrutto la vita, per le troppe emozioni che le stavano pervadendo il corpo.
    Probabilmente sarebbe morta di li a poco. No, forse no.
    Le parole della rossa non fermarono le lacrime di Tristan, bensì le aumentarono e non potè che sentirsi responsabile per il dolore che gli stava causando.
    Lei, la ragazza che credeva di fare sempre la scelta giusta, si stava invece rivelando la persona che commetteva un errore dietro l'altro. Stava per asciugargli anche le altre lacrime, quando la sua mano allontanò quella della Davis dal proprio viso.
    -“Non farlo Karen…non amarmi”.- disse lui con voce flebile, interrotta sempre più spesso da quei singhiozzi che gli toglievano il respiro. Era lei la causa di quel dolore. Si sentiva un verme, uno schifo.
    Come poteva chiederle di non amarlo. Come poteva chiederle di essere razionale su ciò che è irrazionale? Era stata lontano da lui tutto quel tempo proprio perchè lo amava, era rimasta neutrale per quello e lui le chiedeva di rinnegare tutto.
    Lo guardò impassibile, senza far trasparire alcuna emozione. Avrebbe voluto urlargli nel viso, avrebbe voluto prenderlo a pugni e chiedergli cosa gli fosse preso, avrebbe voluto che quella fosse soltanto una semplice discussione tra due persone innamorate l'una dell'altra.
    Ma lei non aveva alcuna voce in capitolo. Era lei che lo amava. Forse lui si era rifatto una vita, come biasimarlo.
    -“L’uomo che ami non è che un ricordo. Io…”- continuò senza cercare il contatto con gli occhi della Davis. I crampi alle gambe aumentavano e lei tremava sempre di più, incapace di ascoltare altro.
    Non voleva più sentire niente, non ce la faceva.
    Era davvero quella la fine della loro storia?
    Fu un attimo, e sentì la testa voler cadere all'indietro, ma non voleva cedere. Se doveva dirgli che non l'amava più voleva sentirlo, voleva sentire quelle tre parole uscire dalla bocca di Tristan. Altrimenti non si sarebbe rassegnata.
    Avrebbe preso volentieri un altro bicchiere di vino, ma le sue gambe le impedivano qualsiasi movimento.
    Era quella la sua punizione: doveva patire quello che lei, qualche anno prima aveva fatto patire a lui. Non poteva scappare stavolta, era condannata a restare lì e in silenzio.
    -“…Io non sono chi credi. Non sono in grado di amare. Sono solo un soldato che combatte per la sua legione, un fedele del regime. Un traditore dei propri ideali, una macchina per uccidere. Scappa Karen, finchè sei in tempo. Non c’è nulla per te qui…”-
    Deglutì forte, poi, dopo qualche secondo di silenzio cominciò a piangere.
    si staccò dalla presa di Tristan per portare entrambe le mani sul proprio volto. Come aveva potuto passare dalla loro parte? Quello che Tristan era diventato era colpa sua. E allora, scappare tutto quel tempo a cosa era servito?
    A nulla, ecco la risposta Davis.
    Pianse; ogni lacrima sembrava portare via con sè ogni bel ricordo di loro due, ogni singolo istante di felicità.
    E piano piano sentiva le forze venirle meno. Ma non doveva cedere alla debolezza; il suo momento ancora non era arrivato.
    Prese i polsini della propria maglia e asciugò le poche lacrime che stavano ancora tracciando delle scie umide sulle sue guance morbide e arrossate.
    Poi lo guardò nel viso.
    Nel suo sguardo c'era un insieme di emozioni che cercavano di fuggire da quell'anima dannata.
    -Tu sei Tristan, il ragazzo che ho amato tutto questo tempo e che amerò fino alla fine dei miei giorni! Maledetto!!- urlò la rossa con quanta più voce aveva in corpo, una voce ormai rauca e impotente.
    Sbattè i pugni per terra, facendosi male. Poi altre lacrime tornarono a ripercorrere le scie tracciate da quelle precedenti.
    -Non mi importa un tubo Tristan di chi servi. Dimmelo! Dimmi in questo istante, guardandomi negli occhi, che non mi ami più.. e io mi farò da parte e ti lascerò condurre la vita che vuoi.- disse con un tono di voce che andava ad affievolirsi sempre di più, diventando quasi affannato.
    Non aveva più aria in corpo, sentiva le tempie pulsare e gli occhi bruciare.
    Stette in silenzio qualche secondo, portandosi le dita della mano destra sul setto nasale e socchiudendo momentaneamente gli occhi. Fece qualche respiro profondo prima di riparlare nuovamente.
    Gli riprese la mano, quella che prima lui aveva allontanato dal proprio viso.
    -Baciami Tristan. Baciami e io capirò se quello che dici è vero.. Baciami e se non mi ami davvero io ti guarderò vivere la vita da lontano, comportandomi da perfetta estranea- disse la rossa spostando lo sguardo verso i propri piedi.
    Se quello doveva essere l'addio, voleva ricordarlo con il sapore delle labbra dell'uomo che aveva amato sulle proprie.
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  15. *Tristan*
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    chace15
    Tristan Rosier
    Infermiere - 25
    «E se fosse tutto sbagliato?? Tutto da riscrivere??»


    “Corvonero!”
    Aveva esclamato il cappello parlante, mentre il preside lo toglieva dalla testa di una ragazzina. Il suo viso era radioso, La pelle pallida contrastava col folto caschetto di capelli rossi. Quella fu la prima volta che vide Karen Davis. Una semplice undicenne, che col suo sorriso era riuscita ad illuminare la Sala Grande. Correva, verso quelli che sarebbero stati i suoi compagni, la sua famiglia.
    Seguiva i suoi movimenti, ignaro che di lì a qualche anno, quella ragazzina sarebbe diventata la ragione della sua vita. L’unica in grado di tenerlo in quel mondo.


    Odi et amo. Come Catullo viveva tormentato per la sua Clodia, o Lesbia, come la definiva, così Tristan amava Karen, in preda all’agonia ed al tormento. Quei suoi occhi verdi e profondi, in grado di metterlo a nudo con un semplice sguardo erano la sua dannazione.
    E quel suo tocco, così delicato ed allo stesso tempo invadente era come fuoco. Bruciava nella sua anima, e riduceva in cenere tutto ciò che fino ad allora aveva creduto di essere.
    A nulla bastò implorarla di dimenticare tutto. A nulla era servito dirle tutto. Ciò che era diventato. Lei lo avrebbe amato comunque. Anche se era un mangiamorte. Anche se si era disintegrato l’anima. E lui sapeva benissimo di non meritarlo. Sapeva benissimo di non meritare né lei né quello spiraglio di felicità. E soprattutto sapeva che amarla avrebbe significato dannazione anche per lei. E per nulla al mondo l’avrebbe trascinata nella sua agonia…
    Si scostò, mentre lei iniziava a piangere copiosamente. Ora erano in due a versare lacrime, forse per gli stessi motivi, forse per ragioni opposte.
    “Tu sei Tristan, il ragazzo che ho amato tutto questo tempo e che amerò fino alla fine dei miei giorni! Maledetto!”
    Inveì lei. Il suo cuore ormai si era quasi fermato. O forse batteva talmente tanto forte da rischiare il collasso e non riuscire più a sentirlo. Non riusciva ad abituarsi all’idea di essere amato. Di essere amato da lei, la creatura più pura e preziosa del mondo. La bella che amava la bestia? Non poteva esistere favola simile! Già, perché la bestia non si sarebbe trasformata in principe stavolta. Mostro era e mostro sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni.
    Indietreggiò. Meglio fare la figura del codardo che portarla con sé alla dannazione.
    “Non mi importa un tubo Tristan di chi servi. Dimmelo! Dimmi in questo istante, guardandomi negli occhi, che non mi ami più… e io mi farò da parte e ti lascerò condurre la vita che vuoi.”
    Bastava poco. Bastava solo una piccola bugia, e Karen sarebbe stata salva. Aveva mentito per molto meno, sarebbe stato un gioco da ragazzi!... Eppure non ci riusciva. Rimase inebetito a fissarla, in piedi. Nessuno parola riusciva ad uscire dalla sua bocca. Quel “non ti amo” non riusciva proprio a dirlo. Forse perché il suo cuore sperava ancora che tutto potesse essere possibile. Che la favola potesse avere un lieto fine. Abbassò lo sguardo, evitando quello di lei. Non riusciva più a reggerlo. Non riusciva a mentire a quegli occhi.
    Di nuovo quel contatto. Di nuovo quella pelle che sfiorava la sua. Lei gli prese la mano, chiedendo l’impossibile.
    “Baciami Tristan. Baciami e io capirò se quello che dici è vero.. Baciami e se non mi ami davvero io ti guarderò vivere la vita da lontano, comportandomi da perfetta estranea..”
    Abbassò lo sguardo, ora erano vicinissimi. Tanto vicini da poter appoggiare la fronte alla sua, sfiorarle il naso col suo. A quella vicinanza il suo profumo si faceva inebriante, Sapeva di vita, di passato. Sapeva di bei ricordi dimenticati e di strazio. Sapeva di punto di non ritorno.
    Prese un bel respiro, chiudendo gli occhi per un istante, e lasciando cadere l’ultima lacrima che gli restava.
    “Tu mi chiedi l’impossibile. Mi chiedi di dirti che non ti amo…ma non posso. Mentirei a te e a me stesso. Ogni istante, in questi ultimi tre anni ti ho amata, sempre. Ogni giorno ho pregato dei nei quali nemmeno credevo, affinchè ti proteggessero. Ho sperato che tu fossi felice da qualche parte, e che non avessi mai sentito il bisogno di tornare qui. Ma rivederti è stata la cosa più bella che potesse capitarmi… Ti amo Karen, non ho mai smesso. Ma tu mi chiedi ora di trascinarti con me all’inferno, ed è proprio perché ti amo che non voglio. Tu meriti di meglio. Tu meriti di vivere…”
    Riaprì gli occhi, ancora una fronte contro l’altra. Aveva i suoi occhi a pochi centimetri, la sua bocca ancora più vicina. Le accarezzò la guancia col dorso della mano libera. Quasi tremava, mentre il suo cuore sembrava essere impazzito.
    Cedere all’amore, o essere così giudizioso da lasciarla vivere lontano da lui??
    In fondo, solo un bacio divideva le due scelte.
    La baciò. Un bacio quasi disperato, come fosse il primo e l’ultimo. Un bacio che lo riportò indietro di anni. Un bacio delicato, rispettoso. Eppure un bacio in grado di risvegliare tutto ciò che credeva di aver dimenticato.
    Un bacio tra due scelte.


    made by mæve.

     
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