Votes given by ad[is]agio

  1. .
    you are shaking fists & trembling teeth. i know: you did not mean to be cruel.
    that does not mean you were kind
    «bel posto»
    Battè le palpebre, distogliendo lo sguardo dallo Spritz arancione stretto fra le proprie mani al resto del locale. Spartano, umile. Insieme ai drink, offriva solo patatine in busta e stantie. C’erano… troppi delfini perché chiunque, perfino uno stravagante Madein Cheena, potesse sentirsi a suo agio. Lo trovava, in mancanza di terminologie migliori, mediocre. Troppo una via di mezzo perché Fake potesse apprezzarlo, considerando funzionasse solo ad eccessi. «l’hai scelto tu» ricordò, piegando le labbra in un sorriso, continuando a passare distratto il dito sulla condensa e tracciare poi linee destinate a sbiadire sul tavolo.
    Non era un filosofo. Non era un pensatore, Madein Cheena, ma fu comunque in grado di cogliere l’ironia del gesto. Abbastanza da fermarsi, stringere la mano a pugno. Nasconderla sotto il tavolo, poggiata su un ginocchio in costante movimento. La gamba era allungata e premuta contro quella di Ryu, per cercare anche il minimo contatto – un’ancora come un’altra per la sua, aperte virgolette, sanità mentale! - e trarne un conforto che mai avrebbe potuto essere debole.
    Sacrificio, gli avevano detto. L’aveva cercato, perché era uno di quei termini difficili che suonavano sempre alieni sulla sua lingua. Togliersi qualcosa in nome di qualcuno. Perdere la magia era stato un prezzo stupido da pagare per riavere il Kageyama in quel bel posto dimenticato da Dio e dal fisco. Alla scoperta di non poter più usare la bacchetta, si era stretto nelle spalle ed era andato avanti con la sua vita. Era tutto il resto, a turbare la normale quiete instabile del cinese. In primis, il fatto che non sapesse mentire, men che meno a Ryuzaki, e non avesse mai avuto ragione di farlo, prima di quel giorno.
    Quando uscirete da qui, domani mattina, continuerete a ricordare tutto. non potrete dimenticare, perché tutto questo siete voi: le memorie andranno a sfocarsi, certo, ma saranno sempre lì.
    Avrebbe dovuto convivere, per sempre, con il ricordo dei mesi senza Ryu. Della Bolla, non gli importava. La fottuta fine del mondo, lo tangeva solo in parte, perché tutti gli imperi erano destinati a crollare. Non che trovasse la minaccia, così l’aveva interpretata Fake, reale: la Bolla poteva reclamarlo quanto voleva, e da lui non avrebbe comunque avuto un cazzo di niente. La sua magia, non l’aveva data a loro: erano stati solo uno strumento necessario, ed uno da cui si sarebbe lasciato usare altre centinaia di volte. Tornare a casa, con un Ty rattoppato solo a metà sotto braccio, e trovarci Kiel a medicare una Claudia stranamente silente ed un Ryu appoggiato al bancone della cucina, era stato troppo tutto insieme. Aveva ricordi sbiaditi di quei primi istanti, solo le braccia avvolte attorno alle spalle del Kageyama – la risata nervosa di lui a vibrare sul suo stesso costato, tirando le corde come quelle di un violino. - ma aveva sentito tutto sbagliato, perché loro non… capivano. Vedeva nei loro occhi qualcosa, ma lontano. Introvabile. Come allungare una mano sott’acqua e cercare sul fondo alla cieca.
    Aveva guardato Taichi, allora. Quello sbilenco lampione di cugino che si ritrovava, costretto ad una vita peggiore della sua, perché quei ricordi non erano nulla per Fake. Uccidere? Persone all’interno che avrebbe dimenticato? Niente. Sapeva per Ty fosse diverso, e allora aveva sorriso tutti i denti, trascinandolo al proprio fianco. «RYU, CI TATUI UN TACCHINO? So già dove lo voglio!» E quello era stato quanto avesse da dire sull’incidente in aeroporto, sulla pelle martoriata e livida, e sullo sguardo dolente e preoccupato posato un po’ su tutti.
    «cos’è successo, fake?»
    Sussultò, persistendo nel tenere lo sguardo basso.
    Tuo cugino slash fratello è sparito.
    Sei andato al Lotus per recuperarlo.
    Sei sparito per mesi.
    Siamo venuti a cercarti.
    Hanno creato una Città per combattere contro Abbadon.
    Ho perso la magia.
    Hai perso Chouko e Reggie e Twat
    .
    «mentre eri in» deglutì, la lingua ad umettare le labbra. «bangladesh?» coprì la menzogna con il liquido altamente e pericolosamente alcolico di Carmen, forzandosi solo a bocca piena a sollevare occhi blu sul giapponese. Non aveva mai mentito a Ryu, non così, ma avrebbe cominciato a farlo se avesse significato risparmiargli tutto quanto. Non sapeva cosa non ricordasse, ma credeva fosse meglio così. Inutile sapere di avere dimenticato qualcosa, se non poteva riaverlo indietro.
    Se lo ripeteva ogni giorno, il fu Toast Hansen.
    «un cazzo di attentato, davvero.» Non si era mai preoccupato del fatto che la storia fosse scritta dai vincitori, fino a quel giorno. Un generale ed ignorante ottimismo a credere che la storia fosse creata dai fatti, non dai fatti secondo qualcuno. Manipolabili. Se solo gli fosse importato di più, qualche crisi d’identità avrebbe anche potuto venirgli – fortunatamente, era solo Fake. Si strinse nelle spalle, finendo il liquido nel bicchiere di plastica. Aspirò asciutto l’aria fra i denti, picchiando i palmi sul tavolo. «ne vuoi un altro? Io ne voglio un altro» prese altro tempo, scattando verso il bancone prima che Ryu potesse aggiungere altro. Ordinò altre due bici - grandi, e cariche: sentiva di averne bisogno – approfittando di ogni momento al banco per rimettere in ordine i propri pensieri.
    Scelte.
    Non era bravo, a farne. La gamba ancora bruciava per i segni d’inchiostro freschi del tacchino gemello a quello del Lìmore, e di suo avrebbe dovuto dire tutto. Espirò un sorriso sul secondo (terzo…?) bicchiere della giornata, sporgendosi per dare una spallata a Ryu. «possiamo non parlarne?» una richiesta sottile, tremula. Delicata come un fiocco di neve poggiato sulla manica della giacca. Rimase in silenzio altri secondi, minuti ed ore, masticando aria e spritz, prima di farsi coraggio. «mi sei mancato» banale. Frivolo, per la memoria opaca del Kageyama. E così reale, da bruciare per la gola come whiskey incendiario. «mentre eri in. bangladesh» ci bevve un altro sorso su, deglutendo denso. Attese ancora un istante, sguardo al soffitto, prima di enunciare un altro «lo sai, vero?» che gli fosse mancato, e tutto quello che c’era in mezzo. Madein Cheena sentimentale lo era stato sempre, con quell’ingenuità bianca un po’ tipica dei bambini. Nello specifico, i bambini a cui non era stato creduto mai, e nessuno li aveva mai ascoltati. Aveva bisogno sapesse, anche se non ricordava. Non aveva bisogno di memoria, per essere certo di quello. «non ha senso, senza di te» vivere, principalmente. Tutto quanto e intorno.
    madeen
    china

    half of me is an hopeless romantic
    and the other half of me is, well, an asshole
    prescelto
    & tacchino
    the fuck i know
    22 y.o. — nothing but an angel'Cause you're the reason I believe in fate,
    you're my paradise
    And I'll do anything to be your love
    or be your sacrifice
    infinity
    jaymes young
    Mother of Night, darken my step
  2. .
    IN ANOTHER UNIVERSE WE HAD FIVE MORE MINUTES
    Osservò Dylan sorriderle e le si scaldò il cuore. Poco prima sembrava fin troppo preoccupata e vederla permettersi quella risata la fece sentire meglio. Non tutti prendevano un ambiente come l'ospedale bene come lei o si sentivano invincibili per essere appena sopravvissuti alla morte. Lei aveva potuto constatare più volte di essere un caso speciale, prendeva la vita con molta leggerezza, fin troppa qualcuno avrebbe potuto aggiungere e lasciava le preoccupazioni agli altri. Però conosceva Dylan e per quanto fosse arrivata da relativamente poco a Londra e non fosse nella sua cerchia ristretta di amici, si era comunque affezionata. Si ritrovava nell'eccentricità della ragazza anche se ora, su quel lettino e quella sofferenza che portava nello sguardo le avevano fatto realizzare quanto effettivamente fosse cresciuta. «e quindi hai ancora il vizio, eh» sorrise spostando una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Che cosa poteva dire? «il lupo perde il pelo ma non il vizio» non era un lupetto lei, sfortunatamente, ma il vizio lo aveva. «e in realtà i funghetti sono la droga a più bassa tossicità che esista. ti sballa senza quasi danneggiarti» anche perché per morire di overdose bisognerebbe ingerire chili e chili di funghetti ed è praticamente impossibile, inoltre crea meno dipendenza, quindi sarebbe addirittura una cura perfetta per la dipendenza. E pensare che tutto questo deriva solamente dalla trasformazione della psilocibina in psilocina nel fegato. E fun fact !! Se negli umani crea allucinazioni, negli insetti una sola briciola dona un senso di sazietà immediato !! Magico. Aveva scelto molto accuratamente la sua droga preferita. Certo, i Bad Trip dei funghetti potevano essere davvero micidiali ma faceva parte del gioco. Ecco, tipo aveva il presentimento che se ne avesse mangiato uno in quel momento avrebbe avuto il Bad Trip peggiore in assoluto. Era strano, non aveva mai avuto un presentimento a riguardo e non si spiegava nemmeno cosa avrebbe potuto vedere di così terribile ma ci credette lo stesso fermamente. Tornando all'incidente però, i suoi ricordi erano piuttosto confusi. «mh, dici? ricordo un’esplosione, nessuna impalcatura però.» magari i due episodi erano correlati o forse non c'entravano niente. Solo qualcuno che aveva assistito da fuori all'evento senza trovarsi al suo posto avrebbe saputo spiegarselo. Non sapeva nemmeno quanto era stata distante da Dylan in quel momento. «magari l'esplosione era più vicina a te e l'onda d'urto si ha causato la caduta dell'impalcatura dove mi trovavo io» si schiarì la voce per poi tossire un paio di volte. Doveva aver sicuramente respirato il polverone che ne era venuto giù perchè sentiva le vie respiratorie un po' ostruite. «ti sei fatta molto male? nell’incidente, dico. ma anche cadendo dal letto.» non si era davvero fermata a pensarci e per un semplice motivo: fino a poco prima non sapeva di essere finita in un letto di ospedale. «sai... è tutto così confuso. ricordo l'impalcatura cadere e che non fosse esattamente sopra di noi, ma se mi chiedi esattamente come o dove mi abbiano colpito schegge e cose varie volate nell'impatto, non saprei che dirti» però allungando lo sguardo per guardarsi, di ferite ne aveva accumulate un bel po'. Alla fine poteva andare peggio... poteva perdere una gamba o addirittura morire, invece era ancora integra, poteva ancora saltellare in giro e arrampicarsi ovunque e ritornare alla sua vita spericolata di prima. «per quanto riguarda la caduta, nah. solo, pensavo di essere in camera mia, non avevo realizzato di essere in ospedale» e come poteva? non ricordava manco di esserci arrivata, lì. Doveva aver preso una bella botta. «tu invece come stai?» chiese osservando le le ferite esposte, il sangue sulla cute e sui capelli. Fortunatamente l'aveva trovata sveglia, altrimenti sarebbe stata molto più preoccupata di vederla in quello stato e addormentata. «meglio di no, per il momento. più tardi, magari…» annuì, allungandosi verso l'appendiabiti per vedere se avesse uno dei suoi peluche a forma di funghetto, per regalargliene uno a Dyl nel frattempo. Stranamente però notò di non averne uno con sé, il che era strano andando in giro sempre con almeno uno della sua collezione. Perchè non lo aveva portato con sé quel giorno? «adesso ho voglia di gelato.» ridacchiò e si mise a gambe incrociate sul lettino ignorando le fitte di dolore. In effetti, ora che ci pensava, anche lei. Chissà da quanto non mangiava e un bel gelato sembrava allettante. «l’ansia mi mette fame.» si girò verso di lei, lasciando penzolare le gambe dal lettino. «allora dovremmo mangiare» non era affatto abituata agli orari da ospedale e che dovessero essere loro a portare il cibo alle ore che dicevano loro e decidendo che cibo permetterle di mangiare. Era sana, era viva, respirava, un po' di cibo non l'avrebbe uccisa. «secondo te lo avranno in mensa? o noi povere malate dovremo mangiare solo pappette?» sì, già non riusciva più a stare costretta a letto. Troppa immobilità la intossicava. Le era già venuta la felice idea di sgattaiolare in cucina e rubare delle vaschette gelato o andare a vedere se esistevano delle macchinette con gelati preconfezionati per portarglieli a Dylan. Dopotutto se lo meritava, era sopravvissuta a un attentato !! Perché nessuno le dava il gelato che meritava !! «posso andare in perlustrazione e tornare con quello che trovo» le sorrise facendole l'occhiolino, gli occhi sbrilluccicando con quella sua vena furbetta, pronta a fare disastri.

    IRIS
    ROUX
    I need to cry but i can't
    get anything out of my eyes or my head
    HALF AND ONLY
    "i will find you. i will. that's all."
    WITCH
    ANIMAGUS | COCORITA
    adhd child — 16 yo — gryffindor — neutralIf you look into the distance,
    there's a house upon the hill
    Guiding like a lighthouse
    It's a place where you'll be safe to feel our grace
    'Cause we've all made mistakes
    If you've lost your way
    BOULEVARD OF BROKEN DREAMS
    GREEN DAY
    moonmaiden, guide us
  3. .
    [ awkward peace sign ]
    Si sentiva a disagio. E direte, voi: beh, Stan, e dov’è la novità. Con ragione, perfino.
    Ma più del solito, che era un livello a cui non arrivava dall’ultimo funerale a cui era stato costretto a partecipare. Obbligato a vedere le persone piangere, attendere il terribile momento di mettersi in fila e stringere la mano porgendo le proprie condoglianze a qualcuno che l’avrebbe odiato ma gli avrebbe comunque sorriso. Un tipo di sofferenza mentale ed emotiva molto specifica, ma pertinente nel contesto della Bolla.
    Allora.
    Non conosceva né William Lancaster, né Jeanine Lafayette. Non aveva idea di chi fossero le persone appartenenti al Nuovo Ordine, né quelle uscite dalla Città insieme ad altri individui. Perchè avevano perso i sensi? Perchè non avevano tempo di salutarsi? Come essere al cinema con qualcuno già in lacrime, sentiva di essersi perso qualcosa - una spiegazione, un momento di importanza vitale che avrebbe cambiato la storia – ma sapeva ci fosse aria di tragedia, e tanto bastò a lasciarlo in disparte. Il colpo più grosso per il Luna, fu osservare la Mistica Barriera apparire di fronte ai suoi occhi, e rendersi conto che Barrow Skylinski fosse dall’altra parte.
    Era rimasto ad osservare il biondo con liquidi occhi chiari a supplicarlo in silenzio di non lasciarlo da solo, non conosceva nessuno, non aveva nulla in comune con nessuno di loro, BARRY TORNA QUI, mentre intorno a loro il mondo dimenticava e riempiva i buchi con acqua e fiabe. Magari vi stupirà, o forse non lo farà affatto, che quando i compagni rientrarono accompagnando gli Altri Ancora all’ospedale, ad averlo raccolto e portato dentro era stato il ragazzino moro dei mostri. Certo non vi lascerà senza parole il «non può entrare perché è morto» di Mood che aveva lasciato il Luna, per ore, in una spirale di stress ed orrore. Un comportamento abbastanza prevedibile per entrambi: mezze verità, demenza giovanile. Una storia vecchia come l’universo. Stan partiva dal presupposto che tutti al mondo sapessero più di lui, motivo per cui tendeva a fidarsi ciecamente di quanto gli veniva detto (che era diverso, dal fidarsi delle persone: quello, non lo faceva mai), e il pensiero che Barry fosse morto creò almeno un centinaio di domande (era morto dall’inizio? Era morto alla fine? Era stata un’allucinazione di gruppo? ERA UN VAMPIRO?) che mise a tacere solo molte ore dopo la buon’anima di Gaylord, trovandolo a fissare il nulla in quella che era diventata la loro stanza. Nel mentre, Stan aveva anche pianto, accrescendo la sua breve, effimera, e non esistente amicizia con lo Skylinski fino ad un imbarazzante livello di affiatamento. Da quando aveva scoperto fosse morto, erano diventati migliori amici per il Luna; Gay aveva distrutto i suoi castelli rendendoli più gestibili e sensati.
    Poi era diventato triste anche il Beckham. E tutti gli altri.
    Si era intristito per osmosi, quando aveva scoperto della cancellazione di memoria collettiva, ma non per gli stessi motivi del resto dei cittadini: dietro di sé, che valesse la pena un doppio e triplo pensiero, aveva lasciato solo Joey – e da inguaribile ottimista che era, credeva sinceramente che con un po’ di connessione wifi avrebbe potuto riavere la sua amicizia – e quello sì che era un pensiero deprimente.
    Ma era sollevato. Istericamente, sollevato. Soffocare le risate nel pugno chiuso, sollevato: nessuno al mondo avrebbe più ricordato fosse esistito? Avrebbero dimenticato le sue figuracce? Avrebbe potuto dormire sonni tranquilli senza rispolverare il ricordo dei suoi momenti cringe in adolescenza e non? Non doveva più tormentarsi all’idea che tutti lo odiassero? Era… wow. Una nuova vita. Un nuovo Stanley Luna. Senza contare che la Città fosse ancora moderatamente abitata, e che avesse un’organizzazione impeccabile e schematica: ciascun cittadino aveva il proprio posto, i propri doveri e compiti.
    Cioè… Gli avrebbero detto cosa fare, mentre la gente intelligente cercava un modo per distruggere la creatura che aveva rubato il suo mondo. Un sogno? Una favola? Non comprendeva come tutti l’avessero presa così male, e quello era il pensiero più avvilente di tutti.
    Che vita invisibile aveva vissuto, Stanley Luna. Non si era mai dato l’opportunità di essere qualcuno, né qualcosa per qualcuno: si era limitato a sopravvivere, confidando che un giorno sarebbe andata meglio, senza muovere un solo dito per renderlo reale. Il tempo gli era scivolato fra le dita e nel palmo non gli era rimasto un cazzo. Non sarebbe mancato a nessuno. Pensieri che avrebbero dovuto portarlo ad una onesta rivalutazione di se stesso, e che giorni dopo avrebbero dovuto convincerlo a cambiare.
    Quando Lisi lo trovò seduto in mensa, da solo perché non si era osato tenere lo sguardo abbastanza alto da cercare Harry e Gay - per cosa, poi: trovare il loro tavolo già occupato, stringersi nelle spalle e dire che non fosse un problema? - , era sempre il solito, patetico, Stanley Luna.
    Ed infatti al quaderno lasciato cadere di fronte a lui trasalì, rischiando di trafiggersi il palato con la forchetta di plastica. «spero non capiti più l'occasione, ma in caso dovesse succedere, almeno sarai pronto» Alzò lo sguardo sulla Selwyn, trascinandolo lentamente sul quaderno ad anelli di fronte a sé. «posso…?» Era per lui? Doveva sfogliarlo? Aveva bisogno di indicazioni più chiare, perché il mondo era spaventoso e lui non era dotato della cassetta degli attrezzi adatta per inserirsi nella società. Non aveva mai ricevuto molti regali, e quand’era successo, era stato terribile per tutti i coinvolti. Esitando, sollevò la copertina, bocca dischiusa in sorpresa ed ammirazione. C’erano bestie di ogni forma e dimensione, cose che mai aveva visto né credeva potessero esistere – altre più familiari, parte anche del folklore babbano – ed erano tutte disegnate a mano, con descrizione a punti di cosa fossero in grado di fare. Inspirò dal naso, un po’ tremulo. Distolse lo sguardo perché sarebbe stato umiliante commuoversi per il gesto di quella che, a conti fatti, era una sconosciuta, attendendo che i tavoli riacquistassero forma e dimensione, prima di sollevare gli occhi su Lisi. «li hai fatti tu?» una domanda stupida, ma sempre necessaria. Erano disegni bellissimi, e Stan non potè fare a meno di continuare a passare da una pagina all’altra, sfiorando con il polpastrello zanne ed occhioni. «se hai altre domande, sono qui Stan.» Oh, baby. Baby. Rimase in silenzio un paio di secondi, ponderando. Gli piaceva imparare; odiava chiedere, se non riceveva alcun input. Quello? Quello era un invito, e sapeva che se non l’avesse colto subito, ancora caldo, avrebbe finito per ignorarlo galleggiando nel mare di merda delle cose che non sapeva.
    «sei sicura? Non hai niente da fare?» Guardò il posto libero di fronte a sé, senza invitarla a sedersi perché cos’era la vita. Umettò nervosamente le labbra, distogliendo l’attenzione da Lisi per riportarla al quaderno.
    Era il momento di iniziare dalle basi. «cos’è successo alle persone che erano qui, e sono andate via…? Tipo, lui» Indicò con il capo il profilo smunto e lontano di Hans.
    stanley
    luna

    girlboss? no.
    boyloser. guyfailure. dudenobody
    master of
    delusional
    babbanissimo
    25 y.o. — muggle — c'è posta per teNo one ever understood, and they probably never will
    So, I'm going now Away, away
    So, I'm going now
    Watch me disappear just like a ghost
    ghost
    ryan caraveo
    moonmaiden, guide us
  4. .
    "have you tried giving up and using hard drugs?"
    ”mckenzie hale”
    Spalancò gli occhi su una stanza che non riconobbe. Il cuore in gola, gli strascichi del sogno a trascinarsi nei palmi premuti sulle palpebre abbassate. Un respiro regolare, e comunque in qualche modo spezzato. Incompleto. La fitta al petto fu inaspettata e rapida: un crampo; dolore intercostale, forse.
    Battè le ciglia, deglutendo febbrile al lampadario del salotto in attesa che lo stato d’allerta scemasse. Nel buio del suo appartamento, gli venne quasi da ridere: il Bangladesh l'aveva cambiato così tanto? Ricordava di averlo trovato più lussuoso ed accomodante di quanto non si fosse aspettato, l'accampamento dove aveva passato gli ultimi mesi. Ricordava la legna, e il sole a picchiare sulla nuca. Ricordava le dita a dolere - le mezzelune insanguinate sui polsi - ed i calli fasciati ogni sera.
    Ricordava tutto, Mckenzie Hale.
    Di ritorno al Ministero, forzando un sorriso verso Nicky, l'aveva definita un'esperienza formativa, perché dire fosse partito per - cosa? per cosa, Mac? - cercare una valvola di sfogo ad una società che minacciava giornalmente di soffocarlo, sembrava patetico e disperato anche alle sue orecchie. Lo pensava, comunque; pensava anche che non fosse servito ad un cazzo, considerando persistesse nelle brutte abitudini che l’avevano spinto in primis a scappare. Passava ore guardando le pareti bianche del loft sentendosi stanco e svuotato, incapace di sentirsi a casa perfino dove avrebbe dovuto esserlo. Si sentiva estraneo, un’ospite. Non aveva neanche il coraggio di spostare la tazza abbandonata da uno dei suoi coinquilini sul tavolino, temendo d’essere intrusivo. Aveva creduto - l'aveva fatto? - che impiegare le proprie energie in qualcosa di buono, potesse lavare lo sporco dell'anno precedente e riassestarlo nella propria pelle. Come se a quelle morti non avesse contribuito; come se nei suoi incubi non ci fosse - «mckenzie hale» - una Tottington - e mura pastello - impolverata ad ingoiare - alberi, e alberi, e alberi - città in fiamme e grida - perché? perché? perché? - a rimbalzare da un edificio all'altro. Abbadon - Abbadon? - a stringere le dita attorno alla gola dei suoi amici. La nebbia scura a…Uh. Premette una mano sul petto, massaggiando la cassa toracica. Aggrottò le sopracciglia, premendo fino a sentire il contraccolpo del cuore sotto le dita. Un terrore sempre recente, come se quei fili d'ombra avessero invaso la radura il giorno prima. Il giorno stesso. Come se affacciandosi avesse potuto trovare - non dirlo, non puoi, non sai un cazzo - macerie e cenere e corpi incastrati nel cemento. Umettò le labbra, sentendole secche e spaccate sotto la lingua.
    Si costrinse a respirare piano, malgrado non ci fosse nessuno da disturbare. I suoi coinquilini gli avevano detto… spinse un gomito sul cuscino, alzandosi a sedere sul divano. Posò lo sguardo sulle tende, certo di non averle scelte; sulla trapunta piegata ai piedi del divano, ricamata per …Jacob? Michael? Caleb? Non aveva coinquilini fissi da quando Willow ed Harper se n'erano andate, ed aveva smesso di impararne i nomi. Londra era un porto di talenti e sognatori, quando non veniva devastata da guerre e mattatoi.
    Si era addormentato dove si era rannicchiato, occupando un solo cuscino e lasciando l'altro alla palla di pelo raccattata a Different Lodge. Orion, capito? Mac aveva soffiato l'aria dal naso in uno sbuffo divertito, perché qualcuno doveva avere un gran senso dell'umorismo per dare il nome di una stella a quella cosa scheletrica e dagli occhi neri come l'inferno. Aveva chiesto di chi fosse il cane, sperando fino alla fine che quell’Orion fosse riferito ad una persona, ma nessuno aveva saputo dirglielo. Il suo appartamento era solo una soluzione temporanea fino a che non avessero trovato i padroni. L'esitazione sullo zerbino era durata meno di un battito di cuore, perché chi mai avrebbe dovuto sgridarlo per l'ennesimo randagio? Nessuno rientrava da giorni, facendo sovvenire il lecito dubbio che prima della partenza per la costruzione delle case, fosse stato avvisato di un addio - l'ennesimo ignorato, perché all’Hale i saluti non piacevano. Non ricordava quando fosse stata l’ultima volta che avesse sentito Harper. L’aveva lasciata vivere la sua vita, conscio di essere solo un’ancora del passato. Sto bene, non devi tornare, a non suonare neanche troppo come una menzogna. Fece comunque male, quasi avesse sfregato limone su un taglio ancora sanguinante. Erano passati anni, e sembrava sempre un vuoto recente.
    Lo starnuto del cagnolino lo distolse dai propri pensieri. Si erano addormentati vicini, senza sfiorarsi, ciascuno necessitando dei propri spazi. Lo guardò pensando fosse familiare, in qualche modo - ma chi; ma dove. - allungando cauto una mano per farsi annusare. Riuscì perfino a sorridere, quando Orion lo leccò sul dorso nascondendo poi il muso sotto la coda.
    Si schiarì la voce, rabbrividendo all'eco del colpo di tosse fra le pareti.
    Erano tre giorni che dormiva in quel salotto di merda, il Legionario. Aveva spalancato la porta della sua stanza sognando solo il proprio letto, ma non era riuscito ad entrare. Era rimasto con un piede dentro ed uno fuori, colto da quello che aveva tutta l'aria di essere l'ennesimo, senza senso, attacco di panico. Non c'era abbastanza aria al mondo per il polmoni di Mckenzie Hale, ed era… stanco, di vivere così. Incapace di trovare un obiettivo reale, uno scopo. Di stringere qualcosa fra le mani abbastanza forte da non lasciarlo più andare. Perfino il lavoro che aveva scelto perché pensava fosse la cosa giusta, lo teneva sveglio la notte – o forse quello era causa della recente onda d’urto ad aver privato casualmente maghi e streghe di ogni potere, ed il dover guardare ragazzini dicendo loro che non avessero fatto nulla di male, era stato solo uno sfortunato incidente, non è colpa tua. Sbloccò lo schermo del telefono guardando l’ora. Sapeva che avrebbe dovuto mangiare, e sapeva che non l’avrebbe fatto. Scorse piuttosto i messaggi non letti, continuando a non leggerli per cercare la più recente chat con Joni.
    I messaggi di Joni Peetzah li leggeva sempre, l’Hale. Rispondeva perfino. Era andato a trovarla in ospedale, ridendo secco del palloncino insensatamente grosso portato da Julian Bolton. Aveva tentennato al suo capezzale («non è un capezzale, smettila di chiamarlo così.») dondolando sui talloni per più tempo del necessario, labbra strette fra loro a cercare cosa dirle, e come farlo. Era sempre difficile, per l’ex Corvonero, legare a doppio filo pensieri e parole. Voleva dirle fosse terrorizzato da casa propria, che non volesse più metterci piede. Che si sentisse solo nella maniera disperata di un animale sempre vissuto in cattività con decine di simili. Che non si fidasse di se stesso, con quelle stanze tutte per sé. Che avesse bisogno di qualcuno, almeno tu, a scegliere di restare.
    «l’affitto costa poco dalle mie parti»
    Dopotutto, se Joni non avesse saputo leggere tra le righe, non sarebbero sopravvissuti né a Tottington, né al dopo - la parte peggiore.
    Voleva rimanere in quell’angolo di divano e non alzarsi per le successive dodici ore, ma Orion lo spiava da sotto la folta coda arancio, e l’Hale si costrinse ad alzarsi. «hai fame?» Sul tragitto verso casa, si era fermato a comprare una dozzina di scatolette (ed un giochino di gomma a forma di capra; una cuccia, una pettorina ed un guinzaglio allungabile; sacchettini di plastica) dai sapori diversi eccetto l’anatra – ma sembravano andare d’accordo, orion e gi joni - incerto su quali fossero le sue preferite. Immaginava le avrebbero provate tutte? Stava riflettendo con quale iniziare, quando suonarono il campanello.
    Si gelò sul posto, spalle rigide e respiro trattenuto nel petto. Guardò colpevole la sottospecie di volpino, che a sua volta lo guardò con quella che aveva l’aria di essere sfida.
    «no» mimò, ignorato dalla palletta di pelo che iniziò ad abbaiare. Furiosamente. Odiava quando suonavano alla porta, perché cosa mai potevano volere da lui. Di solito andava …uh. Qualcun altro, immaginava, o nessuno affatto. Era bravo a fingere di non esistere. Ma Orion abbaiava, e il campanello suonò di nuovo, ed alla fine fu costretto a scollare le suole dal pavimento per andare ad aprire.
    Un pacco.
    Una ragazza dal caschetto moro ed uno dei sorrisi più belli del mondo.
    Rimbalzò smarrito lo sguardo dall’uno all’altro degli elementi sul suo zerbino, l’Hale. Imbarazzato. Era il momento in cui ammetteva che qualunque dei suoi coinquilini stesse cercando, fosse andato via senza salutarla e – battè le palpebre. Una, due, tutte le volte necessarie.
    «corvina?»
    Ovviamente, era Corvina. Biasimò la confusione alla mancanza di sonno ed un uso affatto limitato di farmaci alternativi, od a come non vedesse la ragazza da un anno e credeva l’avesse dimenticato. Ironico, quasi divertente. Le sorrise, perché non avrebbe potuto fare altro. Si sfregò ancora gli occhi cercando di cancellare le occhiaie violacee, ridendo impacciato e nervoso. «scusa, io - scusa» e tornò tutto insieme: l’Azerbaigian, i draghi, la radura, Moka e Javi e Sin e Wren e Jane, Arci e Bells. Per qualche motivo, sentì gli occhi pungere di lacrime e di qualcosa d’indefinito che non aveva alcuna intenzione di scoprire. In parte, era abbastanza certo fosse sollievo, come se parte di un mastodontico peso gli fosse stato sollevato dalle spalle. «per – uh? Vuoi – entrare?» Ti fermi, almeno un po’?
    mckenzie
    l. hale

    All I had is gone
    So what am I waiting on?
    sad cowboy
    sobbing yeehaw
    (rapito miniquest)
    aka bangladesh
    21 y.o. — legionario — bodie, ca, '19It's taking a minute for me to adjust, wait
    It's taking a minute for me to give up, hey
    It's been easier to forget and shut up
    worthless
    d4vd
    Mother of Night, darken my step
  5. .
    whatever, fuck it
    quanti giorni erano che il buttercup blooms era chiuso?
    aveva piantato un cartello fuori l’entrata, facendo crescere dei rampicanti per tenerlo su in modo che non potesse volare via, scrivendoci che avrebbe riaperto a breve, ma quanto sarebbe durato quel periodo di pausa?
    la verità era che si sentiva esausta e sfinita, dopo quell’incidente a cui aveva assistito e in cui era rimasta ferita.
    Si era risvegliata al san mungo, dopo essere svenuta nei pressi della gringott, mentre dei malviventi che cercavano di rapinare quest’ultima e seminavano il caos, e dove era riuscita ad adocchiare ginevra, lucrezia e tendere una mano verso entrambe, prima di… non ricordare praticamente nulla probabilmente grazie a una botta alla nuca, colpita da qualche incantesimo senza avere il tempo di poter reagire, e senza nemmeno accorgersene; aveva scoperto che anche altre persone erano state coinvolte, e che erano tutti nelle sue stesse condizioni, le era stato detto di riposare perché si era agitata, cercando invano di mettersi in contatto col suo ragazzo, in viaggio in america con la scuola, venendo a conoscenza del terribile incidente accaduto a disneyland orlando, dove si trovava lui, infine aveva annuito e si era calmata solo dopo aver ascoltato al telefono la voce di Benedictus che le diceva che era tutto apposto, che era ammaccato ma stava bene.
    e poi la convalescenza era finita, anche se le era rimasto qualche livido in giro per il corpo che non sapeva come avesse fatto a formarsi, era tornata a casa sua, ed aveva deciso di andare a trovare le due italiane, come faceva spesso d’altronde, visto che, nonostante fossero le cugine del suo ex , erano in cima alla lista delle proprie amiche, dopotutto non era riuscita ad incrociarle in nessun modo nei corridoi dell’ospedale, aveva bisogno di sapere se stessero bene.
    di solito non le dispiaceva passare nei turni in cui poteva trovarle e trascorrere la mattinata al bar di famiglia, a volte trovando anche giacomino, con il quale condivideva una paperella come animale domestico; quella mattina infatti decise di fare un salto al bar per assicurarsi che anche loro stessero bene, dopo aver coperto il livido sullo zigomo con il correttore ed aver indossato dei jeans comodi e una felpa, lasciò different lodge incamminandosi verso la sua meta, ed una volta lì fuori mise la mano destra sulla porta d’entrata, spingendola con un sorriso sulle labbra, pronta a trovarsi la bella napoletana dinnanzi e a chiacchierare un po’ con lei.
    ma purtroppo il fato aveva un programma diverso, per lei.
    si gelò sul posto.
    «che vvoi?»
    stette lì a boccheggiare qualche secondo.
    poi si decise a parlare.
    «buongiorno» perché era una signora, a differenza sua «pensavo fosse il turno di ginevra, non c’è?» arricciò leggermente le labbra e incrociò gli avambracci sotto al seno, era la prima volta che rivolgeva la parola a romolo linguini dopo la loro rottura.
    eppure perché le sembrava così familiare ritrovarselo davanti?

    Erisha
    Byrne


    Fast asleep in your city that's better than mine
    the beauty
    no beauty without intelligence
    what is this feeling?— geokinesis, 2003, floristBut now that we're done and it's over
    I bet it's hard to believe
    But it turned out I'm harder to forget than I was to leave
    And, yeah,
    I bet you think about me
    I bet you think about me
    Taylor Swift
    Mother of Night, darken my step
  6. .
    ho monopolizzato pandi lmao

    OMG! Ho trovato la figurina di dylan kane!
    link role: all that you rely on && all that you can save, will leave you in the morning


    OMG! Ho trovato la figurina di elias raikkonen!
    link role: i'm oscillating between dimensions, y'all want anything?


    OMG! Ho trovato la figurina di DESDEMONA BENSHAW!
    link role: i'm gonna draw my future like picasso
  7. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    ombrocinesi
    the chosen one
    defective
    Kul Oh


    non era mai stato una cima Kul Oh.
    non eccelleva nelle materie scolastiche, non eccelleva nell’ambito sentimentale, non eccelleva nell’ambito comportamentale.
    aveva sempre creduto a ciò che gli dicevano gli altri, lo aveva fatto suo, ciò che sua mamma, quando era ancora in vita, gli raccomandava, quello che suo padre si assicurava che lui sapesse.
    ed era stato bravo, fino a quel momento, a far sì che tutto filasse come previsto, era stato bravo a seguire gli ordini celati sotto le mentite spoglie di consigli, fino a quel momento per l’appunto.
    non aveva mai preso in considerazione il fatto di rinunciare alla propria vita, la sua libertà, la vita che tanto era grato di poter vivere, non era pronto a lasciare tutto.
    si sentiva un bambino viziato, non voleva lasciare che suo fratello affondasse nell’oblio, che nessuno si ricordasse di lui, il fantastico special che era riuscito a diventare il capitano di tassorosso, il finto bad boy che aveva cominciato a fare stragi di cuori.
    erano solo ragazzini, ed erano stati chiamati a prendere una scelta più grande di loro.
    erano solo ragazzini, ed ora lui era difettoso, più di quanto già fosse, più di quanto fosse riuscito ad immaginare.
    tirò ancora più su il lenzuolo, per coprire la testa, avrebbe pianto se non fosse stato che… non ci riusciva, si sentiva svuotato, dai suoi poteri, da tutto.
    «ma sei deficiente», contrasse la mascella e strinse tra le mani il tessuto del lenzuolo, senza muoversi «”cosa direbbero mamma e papà”, bohoo. ma se mamma è morta, e sai che papà mi supporterebbe!», si scoprì di botto Kul, con uno sguardo accigliato guardò suo fratello, quello che era suo fratello
    «forse hai ragione» la voce che aveva pronunciato quelle parole non sembrava nemmeno la sua, di solito allegra e leggera, roca e… sprezzante «forse ti supporterebbero, ti lascerebbero stare qui, guardandoti abbandonare la tua vita» abbandonare me.
    si passò entrambe le mani fra i capelli incrostati di sangue, il suo e quello del mai nato, tirandoli all’indietro, cercando di calmare i nervi «come sei egocentrico. megalomane. Kul! kul. qui si parla del mondo intero»
    il… mondo intero? ok, va bene, era un egocentrico, era un megalomane ma… aveva il diritto di volere suo fratello al suo fianco, l’unica persona con cui avesse condiviso ogni cosa, per sempre? «io… non so se si tratti del mondo intero. » lo guardò, per la prima volta da quando avevano iniziato quel discorso, negli occhi «io volevo solo vivere il resto dei miei giorni al tuo fianco in una realtà non fasulla, perché eri mio fratello, sarò egoista o megalomane, chiamami come diavolo ti pare» la testa venne poggiata alla testiera del letto «…hai tutta la vita» «anche tu Kaz, anche tu avevi tutta la vita» avevi me.
    «avremmo potuto… provare a fare qualcosa al di fuori di questa cosa… questa cosa che ha preso il mio sangue, mi ha reso difettoso, mi ha tolto mio fratello» abbassò lo sguardo osservando la mano poggiata sul lenzuolo candido, rosso su bianco
    «questo è il momento in cui mi chiedi scusa.»
    ma Kul invece, tacque.


    Photo album on the counter
    Your cheeks were turning red

    You used to be a little kid with glasses in a twin-sized bed
    And your mother's telling stories 'bout you on the tee-ball team You told me 'bout your past thinking your future was me
  8. .
    il voto dei protettori è quello di permettere a se stesso ed ai compagni di vedere l'alba successiva, sopravvivere per combattere un'altra guerra.
    Ce l'avevano fatta, erano riusciti a liberare coloro che erano stati rapiti e gli erano stati strappati via. Era corso immediatamente da Ethan appena lo aveva visto tuffandoglisi addosso, stringendosi a lui il più possibile per assicurarsi che non fosse un sogno e che fosse reale. Non gli importava quanto gli facessero male le ferite, quanto fosse stremato, quanto volesse solamente piangere. «mi dispiace, è stata tutta colpa mia, non volevo, non dovevi venire a cercarmi» e Ethan gli aveva parlato, gli aveva detto qualcosa, l'urgenza nella sua voce, ma non aveva percepito nulla. Era stanco e aveva bisogno solo di un abbraccio, il calore delle sue braccia ad avvolgerlo e sparire. «dani... dov'è dani?» Erano riusciti a liberarli, o almeno questo era quello che aveva creduto, perchè alcuni dei rapiti avevano scelto di rimanere, altri che erano partiti con lui avevano fatto altrettanto. Si sentì tradito, soprattutto quando incontrò lo sguardo di Dani dall'altra parte. Gli era bastato uno sguardo per capire che scelta avesse fatto. Tutte le parole che aveva da dirgli gli erano morte in gola, lo stomaco sottosopra. Avrebbe voluto dirgli tante cose ma non lo aveva fatto. Era rimasto in silenzio a fissarlo, consapevole che avesse fatto una scelta e che lui non era nessuno per dirgli di non farlo, non avrebbe sicuramente cambiato idea per lui. Se mai avesse cambiato idea, sarebbe stato per Blaise. Non per questo non faceva male, era doloroso, perché gli era affezionato e non avrebbe voluto perderlo, soprattutto dopo che aveva rovinato tutto uscendo allo scoperto e rivelandogli suoi sentimenti. Aveva cercato di eliminare tutti e mettere le basi per una vera amicizia, Dani dopotutto era stato uno dei pochi ad effettivamente avergli rivolto la parola quando pensava di essere invisibile per chiunque e ora nemmeno la sua amicizia avrebbe potuto avere. Era stato stupido da parte sua pensare che sarebbe stato capace di portarlo via di lì. Non aveva detto niente e non aveva avuto il tempo per farlo.

    Things change, people change, everything change
    Love change, friends change, everyone change


    Lui era un prescelto. Finley Lloyd era un cazzo di prescelto. Inutile dire che Finn gli era scoppiato a ridere in faccia a quelle parole. Ma si erano mai fermati a osservarlo bene? Lui era l'ultimo degli ultimi, il moscerino più insignificante dell'intero universo, che era riuscito ad affezionarsi a una creatura non ben identificabile e per la quale aveva sofferto un sacco uccidendola. Lui era Finley Lloyd, l'ultima ruota del carro, quello che per una missione suicida aveva deciso di portarsi come arma uno spray al peperoncino. Sinceramente, nessuno avrebbe mai scelto con coscienza di renderlo un prescelto, probabilmente nemmeno i suoi compagni avrebbero voluto averlo come compagno di squadra se avessero potuto scegliere. Era stato reputato degno. Avrebbe voluto dirgli di ricontrollare i loro prerequisiti perché lui non era nemmeno capace di uscire fuori di casa senza avere un attacco di panico ma non disse niente, la risata già parlava per lui. Era stato bombardato da troppe informazioni: La Città, Michael, il sacrificio, la questione dell'essere stato scelto, la perdita della magia, il legame con la Bolla, il fatto che il mondo intero si fosse dimenticato di quel posto. Che lui avrebbe dimenticato quel posto una volta uscito da lì, che avrebbe dimenticato chi aveva scelto la Bolla e tutto quello accaduto lì. Blaise già si era dimenticato dell'esistenza di Dani, così come Ethan, così come avrebbe fatto lui e questo valeva per ogni persona che avevano abbandonato lì dentro. Non poteva sopportarlo, ma non aveva scelta, la sua scelta l'aveva fatta e ora era troppo tardi per cambiare e cose. In altri momenti avrebbe avuto un attacco di panico ma ora era troppo stanco, era devastato, era stato investito da un senso di apatia che lo aveva gelato nell'anima.

    Quando aveva riaperto gli occhi, ricordava ancora tutto. Per quanto ne fosse stato avvertito, era stato difficile fidarsi. Non sapeva per quanto tempo avrebbe ricordato, sarebbe arrivato ad un punto nel quale tutto quello sarebbe scomparso. Non del tutto, gli ricordò una vocina. Sarebbe stato chiamato, reclamato, sarebbe stato difficile vivere all'esterno. L'avevano maledetto. Perchè nessuno glielo aveva chiesto, nessuno gli aveva detto che stava legando se sesso a quella Bolla. Aidan aveva avuto sempre ragione, stavano proteggendo qualcosa, l'intera esistenza di quel luogo dipendeva da solo. Ormai erano un'unica cosa. Per distruggere la bolla avrebbero dovuto dare la propria vita.
    Si era bloccato a fissare il proprio riflesso della vetrina della cartolibreria verso la quale si era diretto. Per essere una persona alla quale era appena stata stravolta l'intera esistenza, non mostrava segni di alcun cambiamento, solo i suoi occhi gli sembravano alieni, per quanto fossero sempre i suoi. Quelli dovevano essere gli occhi di chi aveva visto fin troppo. Scosse la testa cercando di tornare alla realtà e non perse altro tempo, entrò ne negozio per comprare un'agendina e una penna. Aveva iniziato a scrivere, camminando per strada, fermandosi su una panchina. Aveva cercato di disegnare il volto di Dani per non dimenticarlo ma aveva sempre fatto schifo a disegnare e si era ritrovato a scarabocchiare frustrato su quel disegno. Non era giusto. Era partito solo per salvare i suoi amici e si era trovato immischiato in qualcosa di più grande di lui. Avrebbe preferito essere uno di quelli che aveva semplicemente dimenticato, almeno non avrebbe sofferto così tanto, non avrebbe avuto paura di dimenticare parte della sua vita da un giorno all'altro. Sarebbe stato più facile da affrontare perchè non avrebbe dovuto affrontare niente. Sarebbe stato terribile ma lui on lo avrebbe saputo. E aveva continuato a scrivere, tutto, nei minimi dettagli, senza tralasciare niente. Tutto quello che sapeva, tutto quello che aveva visto e che gli era stato raccontato. Aveva iniziato scrivendo di fidarsi, che era tutto reale, che non era solo l'idea di un libro ma la realtà, di parlare con gli altri prescelti, che qualcuno prima o poi gli avrebbe creduto, una volta che avrebbe dimenticato tutto. «ti stavo aspettando.» e stava ancora scrivendo quando sentì quelle parole. Strinse la penna in un pugno, conficcandola nelle pagine. «noi... ci conosciamo?» chiese spaventato, alzando lo sguardo su Elias. Aveva già iniziato a dimenticare? Penava che avrebbe avuto più tempo. «ho sempre voluto dirlo!» fece un sospiro di sollievo. Probabilmente non si stava riferendo a lui e non lo conosceva. Vagò però con lo sguardo ad analizzare la persona che aveva di fronte, quella sensazione di déjà vu non lo aveva ancora abbandonato. «hai un'aria piuttosto familiare» e sapeva perfettamente chi gli ricordava. Presto si sarebbe dimenticato anche di lui. «hai per caso un fratello minore?»
    FINLEY
    LLOYD
    "I wish that you would stay in my memories"
    In my memories, stay in my memories
    FEELING LIKE A GARBAGE
    stupid, emotional,
    obsessive little me
    24 yo — ex ravenclaw — glitter fairy — neutralwatching my memories go
    everything i’ve ever known
    slip underwater exchange with fear
    i’m scared i’ll disappear
    iìm scared i'll disappear
    water from your eyes
    moonmaiden, guide us
  9. .
    I don’t give a f**k
    uno scricchiolio, un suono ovattato che accompagnava le notti al dormitorio serpeverde, mura sommerse dalle oscure acque del lago simbolo della scuola.
    un malessere che le impregnava le membra da giorni, un malessere che non c’entrava nulla con le ferite che squarciavano la pelle candida della Parker.
    avrebbe lasciato correre, se quel malessere le si fosse presentato mentre era avvolta tra le morbide lenzuola del suo letto scolastico. ma non si trovava a scuola.
    si trovava in un letto asettico d’ospedale, dopo essere stata colpita da dei detriti, molti detriti di un edificio che era lì vicino, tornava tutto in effetti, ma perché si sentiva come se le mancasse un pezzo?
    era già la terza volta in quella notte che sognava cose che al suo risveglio, cruento e immotivato, non riusciva a ricordare, ed era strano, lei non aveva mai sofferto di insonnia, nemmeno quando le suore per punirla la facevano dormire in uno scantinato putrido nel quale la sua unica compagnia erano i topi; si sentiva strana, quasi triste, forse… di quei sogni riusciva a ricordare unicamente il viso di Paris, distrutto, e lei che gli carezzava il capo consolandolo, ed ogni volta si svegliava con una sensazione terribile allo stomaco.
    sospirò, spostando le gambe dal materasso al pavimento, quest’ultimo poteva sentirlo, freddo e tagliente sotto le piante dei piedi, con fatica si tirò su, una mano sullo stomaco, dove poche ore prima aveva scoperto di avere tanti… fori. avrebbe proprio voluto sapere che tipo di detriti le avevano lasciato quelle strane ferite.
    aprì la porta e iniziò a trascinarsi lungo il corridoio buio e quasi inquietante, erano pur sempre le tre di notte ed era quasi certa che non avrebbe trovato nessuno lì fuori a farle compagnia, beh in effetti quasi certa «…Paris» lo chiamò con tono piatto, fermandosi sul posto, pigiama a quadroni, capelli neri sciolti sulle spalle fino ad arrivarle ai fianchi, una faccia stanca e piedi scalzi «non riesci a dormire?» lui, che era stato coinvolto nel suo stesso incidente, lui che occupava i suoi sogni, unica cosa che rammentava di quei probabili incubi «come ti senti? sei ancora ammaccato?»
    si poggiò al muro, stanca di tenersi in piedi, quel maledetto dolore al torace a ricordarle che era lì per un motivo
    «sappi che…» «sappi che qualsiasi cosa sono lì» «qualsiasi cosa sono lì » disse, indicando con un cenno della testa la camera in cui l’avevano sistemata, com’era crudele il destino, le prime parole che rivolgeva a Paris erano come le ultime che gli aveva rivolto sul campo di battaglia.
    ma questo lei, non poteva saperlo

    Delilah
    Parker


    It takes my breath away
    Soft hearts, electric souls
    hothead
    “what are you looking at?”
    amnesia — 17 y.o, slyterin, confusedTake my picture now, shake it 'til you see it
    And when your fantasies become your legacy
    Promise me a place
    in your house of memories
    house of memories
    panic! at the disco
    moonmaiden, guide us
  10. .
    Burn the pain, burn the lies, Burn the fear inside myself. And burn it all again, It's the right time to Escape this cage
    check vibe non doveva elaborare un cazzo, perché non c'era un cazzo da elaborare.
    si poteva dire che un momento così, un occasione come quella!, l'avesse aspettato per tutta la vita — due, a essere sinceri. c'era stato un tempo, uno più semplice, in cui il giovanissimo ché avrebbe trovato affascinante tutto quello: una piccola comunità che cercava di ripartire da zero, ogni singolo individuo pronto a fare la sua parte, un piccolo sacrificio per evitare un male insopportabile. i confini, nella mente corrotta del cheemy, si erano confusi in fretta.
    le linee, inizialmente ben visibili e definite, avevano sbavato il loro inchiostro trasformandosi in un disegno caotico e distruttivo, una macchia dopo l'altra a fondersi con la carta. convinto, nonostante tutto e fino all'ultimo istante, di aver venduto anima e innocenza per qualcosa che era senza sugli più grande: di lui, di loro.
    i piani del vibe erano decisamente più modesti.
    preferiva mantenersi umile pensando a se stesso, piuttosto che ad un bene superiore pronto a chiedere in cambio la sua libbra di carne. e tra dentro o fuori, era convinto avrebbe fatto poca differenza; non si lasciava indietro nulla, check. tranne forse un peso, quello che aveva gravato sul torace magro di un bambino facendo scricchiolare le costole e sulle spalle di un adulto artigliando pelle e carne — per la prima volta da quando ne aveva memoria, la voce lo aveva lasciato solo. era bastato un passo, e quando le onde concentriche di quella magia sconosciuta avevano travolto tutto e tutti, anche quei sussurri di fiele si erano dissolti.
    il suo personale torna a casa, ché.
    nel mondo esterno, quello che non gli apparteneva più, aveva lasciato soltanto delle briciole; così poco di se stesso, che le persone alle quali teneva se l'era ritrovate tutte al proprio fianco. buffo, a volerci trovare qualcosa da ridere, e più difficile capire cosa lo fosse di più: che fossero solo due, un'intera vita ridotta a suo fratello «pidocchio—» «lo so»
    e ad hans belby
    «non credevo potesse importarti.»
    «non volevo che buttassi via la tua vita, l'hai dimenticato?»
    o il fatto che per check fossero gia troppe.
    non aveva lasciato alcuno spazio a hold e justin perché potessero riempirlo, e alla fine il tempo gli aveva dato ragione: al cenno leggero di quella mano sollevata a mezz'aria, il vibe aveva risposto con la più totale indiffere nza, quasi non si aspettasse altro. non aveva nemmeno iniziato a considerarli parte della sua vita, ed erano già belli che andati.
    un problema in meno a cui pensare.
    aveva atteso un paio di giorni, persi ad esplorare la città sotto la bolla, un brulicante fermento di nuova vita nel quale ricominciare da zero; o dal punto stesso in cui aveva interrotto la propria. conscio, suo malgrado, di essere uno dei pochi a cui degli addii e delle conseguenze non poteva fregare una minchia di meno — aveva visto le lacrime, la disperazione, la consapevolezza farsi più nitida di secondo in secondo; il tradimento, l'odio e il rancore, l'accettazione in occhi lucidi e sguardi affranti.
    di tutto quello gli importava poco.
    le conseguenze per chi fosse rimasto a lottare nella bolla, sacrificio di sangue and all, gia un po di più..
    in fondo, quando finalmente aveva deciso di fare il primo passo, trovare hans non era stato difficile: sapeva come seguire gli spostamenti di qualcuno, check vibe, anche quando questo qualcuno avrebbe preferito scomparire dalla faccia della Terra.
    un bravo segugio, se così si può dire.
    la scelta del lago, d'altraparte, gli sembrava un pochino azzardata; nostalgica, quasi.
    «tranquillo, è tranquillo» non si sedette accanto al minore, rispettando il suo spazio. un paio di metri a distanziarli era quanto poteva concedergli, tutto considerato «ma agli squali ci hai pensato?» mantenne le iridi verde acqua rivolte alla superficie appena increspata, affondando le mani nelle tasche. il cielo, che sembrava stato dipinto con una tonalità di azzurro sbagliata (impercettibile, come la sensazione che dava guardarlo troppo a lungo: artificiale, falso quanto un sorriso di circostanza), mostrava già il profilo della luna, pallido e incompleto.
    aveva chiesto e gli era stato detto di non preoccuparsi.
    nel dubbio, check non lo faceva: se volevano studiare le reazioni di un licantropo durante la luna piena senza antilupo in circolo avevano solo che da chiedere.
    a quel punto piegò il capo, rivolgendo ad hans un'occhiata che non era di scuse, né tantomeno di compassione; qualunque cosa stesse passando il belby, check non aveva la pretesa di capirlo. poteva condividerlo, però — un cazzo di problema alla volta «perchè sei rimasto, hans» non era nemmeno una domanda, quasi un pensiero tra sé e sé lasciato rotolare sulle labbra con una studiata casualità. voleva sapere, voleva sempre sapere, ma non al punto da costringerlo ad aprire bocca per raccontarglielo.

    check
    vibe-bigh

    Burn the pain, burn the lies
    Burn the fear inside myself
    nobody smart
    plays fair
    MAGO
    WEREWOLF
    20 — halfblood — Focused. FlourishingReady to fight, ready to go
    That defines the world
    Second chances are gifted
    Just get one
    burn
    onlap
    moonmaiden, guide us
  11. .
    sometimes i just agree with people so they can stop talking
    Ma che cazzo. Se Ryuzaki chiudeva gli occhi, gli ultimi due mesi gli parevano un fever dream, un universo alternativo dei bordi sfocati e intangibili. Ma non erano solo gli ultimi due mesi, no? Era dal suo soggiorno in Siberia che si sentiva così, le sue fondamenta scosse e collassate e riassemblate in una forma differente con cui aveva dovuto imparare a convivere. Ed eccome se l’aveva fatto, perché vaffanculo che l’avrebbe data vinta a degli anonimi camici bianchi, quando non aveva piegato il capo nemmeno davanti al suo capofamiglia. Vi era solo una persona per la quale avrebbe sempre ceduto, un soft spot che si era sviluppato negli anni fino a che era diventato innegabile e il suo tallone d’Achille. Secondo voi, perché altro avrebbe dovuto accettare di andare nel fottuto Bangladesh a costruire casa per i poveri se non dietro richiesta di Fake? Richiesta, più che altro una di quelle idee folli che ogni tanto entravano in testa al suo migliore amico, e non vi era modo di dissuaderlo. E dio, dio, cosa non avrebbe dato il Kageyama per vederlo felice, persino spaccarsi la schiena sotto al sole cocente del sud est asiatico. Ma non– non era stato lì tutto il tempo, vero? No, era dovuto tornare a casa per qualcosa. Poco importava, se i bambini e Fake erano felici, Ryu era felice. Dio santo, non sarebbe potuto essere più palese, a se stesso e a una prospettiva esterna, la debolezza che suscitava in lui il Cheena. Ed era lì, in quel momento, cristallino nello sguardo apprensivo e pesante che scrutava il viso provato di Fake «bel posto» si concesse un sorso del suo spritz, gli occhi a scivolare lungo la parete, e poi oltre le porte dove la proprietaria del bar stava tenendo banchetto con una donna dal pesante eyeliner e tacchi vertiginosi. Erano gli unici due dentro al locale, per qualche ragione. Se Ryuzaki non avesse knew better, avrebbe pensato che quel bar appartenesse a un qualche tipo di organizzazione criminale. «cos’è successo, fake?» lasciò tamburellare le dita sulla plastica del bicchiere, impronte lasciate sulla condensa del bicchiere anzi di premerle sul polso dell’ex grifondoro, un tocco di cui aveva bisogno per assicurarsi che Fake fosse lì. Vivo, davanti a lui. «un cazzo di attentato, davvero.» secca, la risata del Kageyama, incredula come lo era stato quando aveva sentito per la prima volta dell’incidente a Heathrow. Capitavano tutte a loro, uh? Forse avrebbero dovuto farsi vedere da qualcuno per controllare di non avere il malocchio. E andava bene, fino a che se la cavavano con ancora tutta la pelle sulla schiena, ma fino a quando li avrebbe assistiti la fortuna? Ryuzaki non poteva– non poteva farlo un’altra volta, quell’incertezza di non sapere in che condizioni versasse Fake. Essere rinchiuso in una cella frigida per mesi, con il calore del proprio corpo come unica compagnia.
    ryuzaki
    kageyama

    Getting it all for free
    Living a strung-out dream
    we are
    golden
    SPECIAL
    umbrakinesis
    2001 — former gryffindor — yakuzaI'm blinded by the neon lights
    Shining bright on the innocent
    Shibuya nights
    Burning brighter than the sun
    neon
    One Ok Rock
    moonmaiden, guide us
  12. .
    IN ANOTHER UNIVERSE WE HAD FIVE MORE MINUTES
    C'erano una volta due anime. Erano un tutt'uno e due anime separate allo stesso tempo. Cresciute assieme, qualcuno avrebbe detto inseparabili, dove andava l'una, l'altra la seguiva. Era così che avevano abbandonato la propria casa, per intraprendere il loro viaggio personale e trovare loro stesse. Erano inseparabili, qualcuno avrebbe detto eppure, per la prima volta non si trovavano l'una di fronte all'altra, no. Un'anima osservava l'altra di fronte a sé per la prima volta. Avrebbe dovuto riconoscersi, erano le stesse anime di sempre, si conoscevano da una vita, avevano vissuto assieme, eppure la prospettiva era cambiata, i contorni si erano sfumati ed era difficile realizzare che loro due fossero le stesse anime di un minuto prima. Una mano, allungata verso l'altra, cercando di reclamare quella parte di sé che era stata strappata. Non l'avrebbe mai lasciata, l'avrebbe seguita ovunque. «e dime, ninos qual è la cosa mai e poi mai potreste sacrificare per il bene più grande?» La libertà. Era sempre stata la libertà e per quanto amasse quell'anima, lei non poteva seguirla e non poteva nemmeno costringere l'altra a fare la sua stessa scelta. Se aveva scelto quella strada al di sopra di lei, significava che ci credeva fermamente ed era la scelta giusta per lei. «ci sarà sempre un posto per te» se mai avesse cambiato idea, se mai deciso di tornare a casa. «niente potrà mai davvero dividerci, sarò sempre tua sorella» aveva sorriso, quell'anima, il cuore in mano, spezzato in due che sanguinava sulle sue mani, prima che quell'immagine venisse spostata, prima che un vuoto si facesse strada dentro di sé.

    If you have a sister and she dies, do you stop saying you have one? or are you always a sister, even when the other half of the equation is gone?

    Ancora prima di aprire gli occhi, aveva sentito un peso nel cuore. Si sentiva svuotata, aveva il magone ma non riusciva a piangere, non era una che piangeva spesso, anzi, non piangeva mai, nemmeno quando ruzzolava giù per alberi o staccionate e posti vari sui quali si era arrampicata. Sentiva però di aver perso parte di se stessa da qualche parte, una parte di sé non era mai tornata. Si era rigirata nel letto ed era caduta con un tonfo a terra, portandosi addosso qualunque cosa avesse addosso, cercando di appigliarsi a qualcosa. Life is not daijoubu. «che dolore... oddio mi sento uno straccio. come se mi avessero scavato con una coppetta gelato» non si riferiva nemmeno al dolore fisico, era abituata ad essere dolorante anzi, era più strano non esserlo e quello era un letto di ospedale quindi sicuro doveva essersi fatta qualcosa. Cosa però, non lo avrebbe saputo dire. Il dolore che sentiva però era più radicato e più cercava di afferrarlo per capire cosa fosse, più esso le sfuggiva di mano. Non si era mai sentita così. Iris non era una ragazza triste o malinconica. Ora che ci rifletteva su, quello era lo stesso tipo di dolore che sentiva quando le veniva ricordato di essere l'unica non licantropa della famiglia. Lo stesso tipo di mancanza, di vuoto, di esclusione da qualcosa che non capiva, solo triplicato. Non capiva da dove provenisse quel dolore. Non aveva alcun motivo di sentirsi vuota, la sua vita era fantastica e piena di vita come sempre. I suoi amici... I suoi amici erano al suo fianco, certo. E lei non poteva in nessun modo sentirsi sola perché... lo era sempre stata. Primogenita e figlia unica. Anche se, se non fosse stato per Perv che ogni tanto la andava a trovare e viceversa, probabilmente si sarebbe annoiata a morte fra le mura di casa sua. «è stato un attentato?» sobbalzò e fece capolino da sotto il letto con la testa, osservando per la prima volta con chi stesse condividendo quella camera d'ospedale. «no, sono solo cadut- ah, certo, non intendevi questo» però il tonfo effettivamente, poteva averla allarmata, che ne sapeva lei. Non aveva saputo di nessun attentato quindi su due piedi le era sembrata la risposta più adeguata. Si rialzò dandosi una spolverata ai pantaloni, per poi rendersi conto di non essere fuori a far parkour ma in un ospedale sicuramente tirato a lucido e si bloccò di colpo. Ci mise un secondo di più a metabolizzare la domanda che le era stata posta precedentemente. «dici? non sono finita in ospedale per aver ingerito troppi funghetti?» si accasciò sul lettino con un gemito. No, quelli non erano funghetti. Però ricordava la sensazione di aver fatto un sogno strano, un po' come se fosse sotto l'effetto allucinogeno ei funghetti, ma non ricordava nient'altro. Ricordava che c'erano tante persone e che lei non volesse abbandonarle ma se provava anche solo a pensare ai volti, la sua mente si annebbiava. «cos’è successo?» l'ultima cosa che ricordava... più cercava di pensarci e più le veniva voglia di buttarsi su quel letto e non pensare a niente per il resta della giornata. Doveva proprio star vivendo quel momento specifico della adhd, la paralisi. Non le succedeva quasi mai, forse era anche per quello che quella sensazione le sembrasse così aliena. «uh... ora ricordo.» scattò a sedere poco dopo «ci è quasi caduta un'impalcatura addosso» fortunatamente evitava i cantieri per dar parkour quindi non era andata lì per quello e non era stata colpa sua. «devo avvisare Akelei… il ministero…» la osservò sprofondare fra i cuscini e rimase in silenzio a fissare il soffitto. «hai visto joni, per caso?» Joni... no, lei aveva visto altre persone, sicuro non lei però. «no, ma se tu eri con lei e sei finita qui, probabilmente ci sarà anche lei da qualche parte. appena ti sentirai meglio possiamo andare a cercarla, se vuoi !!»
    IRIS
    ROUX
    I need to cry but i can't
    get anything out of my eyes or my head
    HALF AND ONLY
    "i will find you. i will. that's all."
    WITCH
    ANIMAGUS | COCORITA
    adhd child — 16 yo — gryffindor — neutralIf you look into the distance,
    there's a house upon the hill
    Guiding like a lighthouse
    It's a place where you'll be safe to feel our grace
    'Cause we've all made mistakes
    If you've lost your way
    BOULEVARD OF BROKEN DREAMS
    GREEN DAY
    moonmaiden, guide us


    Edited by shroomie - 8/5/2024, 11:16
  13. .
    le lame mortali non hanno clemenza nè compassione per i nemici, e la loro furia va a discapito di loro stessi.
    La cosa che trovava più difficile ammettere – a se stessa, figurarsi ad alta voce – era che trovasse Romolo Linguini… divertente. Non solo buffo e pagliaccio, quello credeva fosse conoscenza comune, ma intrattenente, e non necessariamente a sue spese. Non troppo, almeno. Strinse le labbra fra loro, trattenendo un sorriso al suo racconto di come si fosse appropriato del manganello. Riusciva ad immaginare la scena così bene, compresa la fuga della quale l’ex Grifondoro non aveva voluto renderla partecipe, che un po’ sentì di esserci stata anche lei.
    Non così. Grazie a Dio. Avevano già condiviso una giungla ed un camionista, gli sembrava abbastanza per tre vite intere, ed una a metà. «forte» commentò, impassibile.
    Tristemente, lo pensava davvero. Perfino un po’ invidiosa, perché Ben aveva vissuto un’adolescenza protetta, custodita fra famiglia e amici come il dollaro fortunato all’interno del portafoglio di ogni famiglia scaramantica che volesse portarsi soldi, e di conseguenza priva di… quello. Con i ben ne combinavano davvero di ogni, sicuro, ma erano in dieci, ed ogni reato rientrava ormai nel campo della criminalità organizzata – l’aveva studiato; magiavvocato, ricordate?
    L’espressione della Meisner era perennemente torva. Di natura, senza impegno. Se possibile, alla smorfia compiaciuta del Linguini, riuscì comunque a rabbuiarsi di più.
    «me voi proprio 'na cifra de bene, eh ciciolè.» Infantile, avrebbe voluto rispondere stizzita perchè ti ho colpito alle palle? Ma sei cretino? fingendo di non sapere a cosa si riferisse, ma aveva ormai diciassette anni. Era una donna matura, indipendente, forte, superiore, e quindi gli diede un pugno sulla spalla.
    Forte.
    «il prossimo è in faccia.» mugugnò, senza guardarlo in faccia. Volergli bene, sembrava… estremo, perfino nelle loro peculiari circostanze. Drizzò le spalle. Forse non poteva dire non fosse vero, ma poteva sempre accoltellarlo ed assicurarsi che nessun altro lo venisse a sapere. Era abbastanza vergogno così.
    Decisamente il momento di tirare fuori l’artiglieria pesante, prima che dicesse qualcos’altro di inappropriato e stupido che le avrebbe fatto rimpiangere i metri percorsi per raggiungerlo, o il fatto che volesse il suo primo omicidio significativo. Un sacrificio, magari. Un torto antico e vecchio come il mondo.
    Vendetta su chiunque avesse rapito gli amici dei suoi amici, perché Ben sapeva fosse una possibilità concreta. Non le dispiaceva quanto avrebbe dovuto.
    «l'hai rubata in armeria?»
    Ma cazzo diceva. Aggrottò le sopracciglia, stringendo oltraggiata la scimitarra al petto. «è mia» voleva forse fare lo SNITCH? LOLLO?! CHI FACEVA LA SPIA NON ERA FIGLIO DI MARIA NON ERA FIGLIO DI GESù ALL’INFERNO CI VAI TU. «nun lo so mica se ti posso lascia' andare in giro con quella, sai» Sbuffò una risata, roteando gli occhi scuri sul suo viso. «non mi stupisce, non sai mai niente» un po’ severo, ma anche giusto. E poi metà degli studenti di Hogwarts spacciava, buon Dio, minchia voleva dalla sua spadina. «ma quante spade c'hai» A quello, aveva una risposta precisa: «q.b.» imparata dai ricettari di Ficus. Praticamente, da che diceva il ragazzo, q.b. significava a sentimento. Lo sentivi dentro, quand’era abbastanza. Si era sentita compresa e molto rappresentata.
    Bennett non era brava a condividere. Lo faceva con i suoi amici perché li amava e venerava, ma solo perché a loro aveva già dato anche sangue ed anima. Gli altri? Lollo? Eppure, non tornò sui propri passi: rimase a guardarlo cauta, in attesa di un rifiuto con cui avrebbe potuto chiudere la saracinesca e tornare a farsi i cazzi suoi in una bolla senza il Linguini. Non dava tante opportunità – solo una. D’istinto, alla prima smorfia del moro, si spinse un po’ più avanti pronta a ritirare l’offerta e ringhiare, l’offesa era sempre la miglior arma, ma si trattenne. Gli concesse ancora qualche secondo, perché … perché sì, e basta. Che vi frega del perché? «ma sai che, quasi quasi….» Lo faceva per far felice lei? Non era mica obbligato, eh. Poteva andare a farsi fottere, e non le sarebbe importato un accidenti di niente. Assottigliò le palpebre, i muscoli della schiena rigidi come le corde del violino che non aveva nella custodia.
    «sicura che non ti serva altro rosso sangue per imprimere meglio il messaggio?»
    Esalò il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento. Piano, per non dare nell’occhio. Si sgonfiò comunque come un palloncino, causando ad un timido sorriso di sfuggire al suo ferreo controllo. «sto usando quelle argento, così possono diventare rosse con il sangue dei miei nemici» non stava neanche scherzando, perché idealmente, era una logica che non faceva una piega. Se le aveva gialle?! Allungò una mano al proprio fianco, afferrando un contenitore e lanciandolo al Linguini. Certo che le aveva. «per ficus e balt» una pausa. «e la bandiera pan e non-binary» a ciascuno le sue priorità.
    bennett
    meisner

    it's called gay rights
    because i'm gay and i'm always right
    rogue lame mortali
    [ 15-20 pa - pa/pd dimezzati per 2 turni ]
    strega
    LEADER
    17 y.o. — ravenclaw — ben10So get the hell out of my face
    If you can't tell that you're in my way
    Time is up, I'm losing patience, yeah
    So go to hell, hope that you stay
    way i am
    call me karizma
    Mother of Night, darken my step
  14. .
    i berserker hanno la violenza nel sangue. scatenano la loro furia sul nemico con efferatezza, incuranti della propria salvaguardia
    Sapeva di avere poco tempo, la Benshaw, prima della missione. Questioni logistiche da sistemare, discutere con il resto dei ribelli quale sarebbe stato il suo obiettivo, e altre mille faccende che stava rimandando da giorni. Di certo, il modo migliore di sprecare quei cruciali minuti non era facendo quello. «possiamo bruciarle, nessuno ne sentirà la mancanza» uno sguardo di comprensione passò tra le due bionde, un tanto ne ha altre dieci non detto ad esitare per qualche attimo nella distanza a separarle. Era un orribile pensiero da avere, ma ormai aveva perso il conto da quando frequentava il Matheson. «sono orribili, non riesco a smettere di guardarle» una frase che avrebbe potuto applicare a molti contesti della vita ultimamente, se era onesta. Scosse la chioma bionda, una smorfia ad increspare momentaneamente le labbra «è proprio quello che vuole, è terribile» tutto, nel dubbio. «e non chiederò come sono finite nella tua camera» a quello, si lasciò scappare una risata divertita, un breve affare che raramente si concedeva in compagnia di altri. Aveva un’immagine da mantenere, non importava con chi si trovasse– ma c’erano delle eccezioni. «oh no, non vuoi. è meglio che certi segreti restino nella tomba» no, Cherry non stava insinuando niente, perché era palese ad entrambe il rapporto che l’ex serpeverde avesse con Lawrence. Ma non voleva rivivere ad alta voce la scena di un Lawrence che decideva di andare commando per la sua serata di caccia, lanciando i vestiti dove capitava. L’atmosfera nella stanza divenne più sobria il tempo che Cherry ci mise a battere le ciglia, un cambio netto all’ilarità di qualche momento prima «sei pronta?» esalò un respiro dalla bocca che assomigliava sospettosamente a un pff, e portò le braccia a sostenere il capo nel perfetto ritratto dell’ozio «non la mia prima volta, lo sai. sicuramente nemmeno l’ultima» era il più vicino che poteva andare senza dire la verità, non tutta, una linea che calpestava da anni quando si trattava della Moor «ma non è la missione che mi preoccupa» lasciò quelle parole sospese nell’aria, il labbro inferiore prigioniero dei propri incisivi e gli occhi chiari nudi di una preoccupazione che raramente mostrava. «è ipocrita da parte mia dirle di non partecipare, ma mona ha– cosa? diciassette anni? non ha idea di cosa la aspetta» chiuse per un battito le palpebre, le memorie sanguinolente della guerra a farsi strada tra i ricordi, le ossa rotte e le grida strazianti che avevano lacerato l’aria. Nessuna idea. Ma quella era la guerra, e questa era una missione di soccorso. Doveva credere che sarebbe stato diverso, che non aveva tutti i segni di essere una trappola. «ho già perso un amico, perché tentare la sorte due volte?» non poteva impedirle di partecipare alla missione, non quando lei e i suoi amici tendevano a muoversi insieme come un branco, ma non poteva negare che la sola idea la riempiva di un sentimento che poche volte nella vita aveva provato. Ansia, timore, un bisogno feroce nel petto di legarla da qualche parte con quei deficienti dei Ben. Non era un posto per bambini, non era niente a cui Hogwarts potesse prepararli. Eppure, doveva convivere con quella realtà.
    charlyse
    benshaw

    Wish I could bottle the taste
    'Cause I'd drink up the look on your face
    guerriero berserker
    (un tiro pa bonus)
    MAGO
    MAGO
    1999 — rebel spy — ministrySo you, so you wanna fight me, are you big enough?
    Kick the back of my knee, are you serious?
    You keep on trying but i like
    your blood on my teeth just a little too much
    little girl gone
    chinchilla
    moonmaiden, guide us
  15. .
    più razionali e metodici dei berserker, i cacciatori studiano attentamente le loro prede prima di passare all’attacco, considerando ogni punto debole

    Liam O' Sullivan era ben lontano da essere solo lo special strambo incontrato in un vicolo fuori dai 3 Manici. Ci aveva impiegato meno di quanto Amaranth avrebbe voluto per insinuarsi nel miocardio e lì rimanere: venire a conoscenza della sua sparizione era stata una doccia fredda che non si aspettava. Ci era andata fino a mai volentieri in quel fottuto albergo, pronta a riprendersi una di quelle poche persone per cui valeva la pena provare affetto.
    Si sistemò comoda sulla seduta, allungando lo sguardo morbido su Liam prima di tornare al suo tè. Sistemò le mani intorno alla tazza percependone il calore, ne inspirò l'aroma fresco e tornò sul minore solo per alzare le spalle alla sua domanda.
    «Tutto okey. »
    Dai, se proprio si voleva vedere il bicchiere mezzo pieno: non era comunque uscita sconfitta da una guerra(!!) Si poteva considerare un trauma minore. Cioè: c'era di peggio.
    «A lavoro tutto bene? » Lo sapevi? I Nott hanno radici nella ridente Brescia, per questo il discorso doveva andare a parare anche su quello.
    Almeno lui ce l'aveva, un lavoro. Mica come lei che si lamentava senza fare assolutamente nulla per cambiare la situazione pensando di poter tornare alla sua scrivania ministeriale così, dall'oggi al domani per grazia divina.
    E a proposito di Ministero, annuì appena portandosi la tazza alle labbra, fermandola. Impercettibilmente i polpastrelli fecero più pressione sulla ceramica.
    «Già. Così pare...»
    La notizia che Ministero si era svegliato adesso mentre a Febbraio orecchie da mercante e non avevano mosso un dito la diceva lunga su quanto secondo quel governo fosse la cosa più fottutamente sbagliata che esistesse (come nella vita vera. Ciao Giorgia)
    Sorseggiò il suo tè macchiato latte senza fretta, scostandolo dalle labbra solo per rispondere alla seconda domanda del giorno.
    Trattene un sorriso per la risposta scontata che sarebbe arrivata da lì a poco: certo che sarebbe andata. Non di certo per aiutare, ma per cercare di capirci qualcosa sì, perchè bella l'idea di mandare un messaggio minatorio ad Abbadon e compagnia ma magari non usando lei, Liam o John, Adrian, Corvina, Scarlett: avevano un nemico comune, potevano anche parlarne.
    Invece no, si ritrova da giorni con pochi ricordi nitidi e altri fastidiosamente sconnessi, sfuocati, confusi.
    «Certo. Sono curiosa di sapere chi c'è dietro tutto questo.»
    L'idea di incontrare qualche suo ex collega non la entusiasmava particolarmente, ma il gioco valeva la candela. Probabilmente, i ministeriali non sarebbero state le uniche facce conosciute che avrebbe rivisto.
    Bevve ancora, alternando pacatamente le iridi dalla tazza all'irlandese e si ricordò quando arrivando all'Hotel, una parte di lei aveva avuto paura che quei momenti non ci sarebbero più stati.
    Sospirò e ciò che trattenne fu la domanda di rimando che rimase incastrata in gola; troppo paura della risposta più quotata.

    Amaranth
    Nott

    Qui finisce il mio silenzio
    E inizia il mio agire
    Guerriero cacciatore
    rimuove 5-10 pd da difesa avversaria
    SPECIAL
    APPRENDISTA
    31 y.o — Pyrokinesis— Gun (12/12)A deeper dive
    Eternal silence of the sea
    I'm breathing
    Alive
    Faded
    Alan Walker
    Mother of Night, darken my step
909 replies since 26/4/2020
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