as long as we don't die, this is going to be one hell of a story

ft. Ben | preq 11

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  1. aò!
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    i berserker hanno la violenza nel sangue. scatenano la loro furia sul nemico con efferatezza, incuranti della propria salvaguardia.
    Sentite.
    Romolo Antonio Linguini aveva pianto una sola volta nella vita, ed era successo dopo Roma-Genoa 3-2 il 28 maggio 2017. Prima (e dopo) quella data, chiunque avrebbe pensato che i condotti lacrimali dell’italiano non funzionassero — e con tutte le ragioni del mondo. Non aveva lo spessore emotivo per provare quel genere di emozioni. Tristezza? Dolore? Ma per carità. Piangere per qualcosa, o ancora peggio, per qualcuno, era, a detta sua, la cosa più stupida del mondo dopo la fondazione della Lazio.
    Non avrebbe pianto per la famiglia, perché non era qualcosa nelle sue corde.
    Ma poteva essere incazzato, quello gli riusciva benissimo.
    Se vogliamo, era il suo personalissimo modo per esprimere affetto e – ugh, tormento. Soffriva, certo che soffriva, come avrebbe potuto essere diversamente? Gli avevano strappato non uno, non due, ma ben quattro cugini in una sola botta (sei, se si contavano Vincenzo e Giusè, di cui per fortuna Lollo non sapeva un cazzo *manine*), e nessuno al mondo l’avrebbe presa bene, di certo non uno come lui che non era in grado di gestire i propri sentimenti, e che non sapeva come funzionare senza una famiglia a fargli da supporto morale, emotivo e fisico.
    Era stato già difficile sopravvivere al diploma, o accettare che le loro vite prendessero strade diverse una volta per tutte, che fossero costretti a crescere e abbandonare l’ovile familiare, non fare più ogni singola cosa insieme, condividere il dormitorio, i pranzi e le cene, le lezioni, le ore libere. Agli occhi di una persona esterna al Clan (ma forse anche agli occhi dei Linguini più funzionali) un atteggiamento del genere avrebbe potuto sembrare vagamente inquietante, sindrome di stoccolma e tutta quella roba lì, immaturo e profondamente sbagliato; ma Lollo non ci aveva mai visto nulla di male a esistere nel contesto Linguini, a tratti in quello della curva, e basta. Era sempre stato ciò che lo definiva, non perché avesse problemi a farsi nuovi amici o trovare altre compagnie, o ad avere una vita fuori dai Linguini — semplicemente, non aveva mai voluto. Era abituato così, gli piaceva così, ed esistere in funzione della propria famiglia, legarsi a loro in maniera così viscerale, non lo aveva mai ritenuto sbagliato, o un problema.
    Se c’era qualcuno che lo reputava tale, cazzi loro; il romano (e romanista) era disposto a spaccargli i denti con una testata sulle gengive, se gli avessero fracassato troppo la minchia a riguardo.
    Era normale, dunque, che volesse a tutti i costi riprendersi i cugini spariti, e fare il culo a strisce ai pezzi di merda che li avevano rapiti. Era anche normale che li odiasse tutti, i cugini un po’ di più, perché non sapeva come altro esprimere la propria preoccupazione.
    Non erano mica Francesco Totti che faceva il giro dell’Olimpico per l’ultima volta da calciatore, non avrebbe pianto per loro.
    Tirò un altro sasso nell’acqua, poco interessato a fargli fare il maggior numero di salti possibili, quanto più imprimere la propria rabbia sulla superficie liquida del Lago Nero. E ne avrebbe tirato un altro se una voce alle sue spalle non lo avesse distratto. Una voce che, per qualche irrazionale motivo, di certo non uno che Lollo avesse la capacità intellettiva per spiegare, da qualche tempo riusciva ad arrivargli sotto la pelle e colpire lì dove Romolo non faceva arrivare mai nessuno. Non avrebbe mai definito ad alta voce Bennett Meisner come la sua coscienza, ma non poteva nemmeno negare che molto spesso le parole della studentessa, o i suoi atteggiamenti, funzionavano un po’ da freno (almeno emotivo) per la guardia di sicurezza. Non era mai successo che qualcun altro influenzasse l’italiano in quel modo, nemmeno i cugini, e la cosa lo faceva sentire non poco a disagio.
    «se prendi la piovra, dara sarà molto triste e mi toccherà ucciderti»
    «nun me provocà, piccolè.»
    Non aveva il minimo dubbio che Bennett potesse tenere fede alle minacce, l’aveva vista minacciare e aggredire più studenti di quanto potesse suggerire il suo fisico minuto (e tutte le volte Lollo aveva finto di non vedere, chiudendo entrambi gli occhi e girandosi dall’altra parte) e non era così stupido da non sapere che quelle non erano solo parole al vento.
    «ma stai tranquilla, il polipone gigante vivrà un altro giorno.» borbottò, lasciandosi cadere poi sulla riva del lago. «non è lui che vorrei ammazzare.» che senso aveva tenere segrete certe cose con la ragazzina? Sembrava sempre sapere tutto, quando lo fissava con quegli occhietti neri inquietanti.
    «che arma porterai quando andremo?»
    Quasi sorrise nel notare come non avesse mezzo dubbio sul fatto che sarebbero andati entrambi — dove non si sapeva, da qualche parte. A fanculo, probabilmente. Le riservò mezza occhiataccia perché dove cazzo vuoi andare tu hai quattro anni ma non lo disse ad alta voce: contrariamente a quanto si poteva pensare, Lollo voleva arrivarci davvero, e arrivarci vivo, al giorno della partenza.
    Si strinse nelle spalle, prendendo un altro sassolino, strappandolo dalla spiaggia ghiaiosa sotto le sue chiappe. «boh, un tirapugni? ‘na spranga de ferro? un manganello? qualcosa.» non era un grande conoscitore di armi, e spesso preferiva fare a mani nude e sentire le ossa degli altri rompersi a contatto con le sue nocche, ma persino lui sapeva che “a mani nude” era un pessimo concetto, in quelle circostanze.
    E no, non avrebbe usato una pistola come Remo, ma dov’erano, in una scena di Suburra?
    «ne ho uno,» di manganello, ovviamente, «l’ho rubato a ‘no sbirro» ciao sbirro!, «quando hanno provato a fermamme durante gli scontri post fiorentina-roma. me lo so riportato a casa.» perché glielo stesse raccontando non era dato saperlo, ma ci teneva a far conoscere le propria gesta alla mora… in qualche modo, sperava stupidamente di fare colpo, che sapere fosse sopravvissuto a più scontri di quanti potesse contarne sulle dita della mano, la rendesse fiera di essere sua — UGH!! amica.
    Tutto terribile.
    «te?» e fece un cenno con il mento in direzione della custodia che teneva in mano, «li vuoi addormentà co ‘na ninna nanna? mi aspettavo di più da te, Puffè.»
    romolo
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    1999 — romano — romanistaWe're death defyin', coming in like lightnin'
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