Quella battaglia non era la sua battaglia. Nessuna battaglia era mai la sua battaglia, nemmeno quelle che lo toccavano da vicino. Ma quella in special modo era ben lontano dal provocare ripercussioni sulla sua vita — quindi, la domanda sorgeva spontanea: perché partecipare? Anche in quel momento, a distanza di giorni, se la ripeteva nella testa con lo stesso tono di voce con cui suo fratello gemello l'aveva posta la prima volta, più annoiato che confuso; preoccupato, nemmeno per sbaglio. Mikkel era abituato alle scelte poco coerenti – e spesso dettate dalla noia – a cui Elias era solito cedere, creatura troppo debole e amante di vizi e tentazioni per avere in sé l'autocontrollo sufficiente a resistere; quella domanda doveva esser nata da un altro genere di spinta emotiva, magari il fastidio provocato dall'idea che Elias potesse finire con lo stare via troppo a lungo e rovinare i loro progetti, quelli che includevano lo sterminio totale dei ribelli, e per i quali avevano lavorato a lungo negli ultimi venti anni. Non che ad Elias importasse qualcosa. Cioè, sì — ma solo in parte. Le sue priorità cambiavano come cambiava il meteo, e non era mai stato bravo a controllarle; preferiva di gran lunga lasciare che fossero loro a controllare lui. E poi, aveva già fatto una scelta, e come molto spesso succedeva, non avrebbe cambiato facilmente (o affatto) idea. La missione poteva anche non toccarlo da vicino – cosa che in realtà faceva, perché sia lui sia Mikkel sapevano bene chi fosse annoverato nella conta degli spariti – ma, da creatura onirica e legata al mondo immateriale e distorto dei sogni quale era, Elias basava la sua intera esistenza sulle immagini che riceveva dalla dimensione di cui era vittima e artefice in egual misura; e proprio quel mondo lì, un caro amico che aveva rivelato allo special più risposte di quanto anni e anni di lavoro e spionaggio e ricerca e deduzione avessero mai fatto, gli aveva suggerito di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto. Non sapeva quale fosse, quel posto, né per cosa dovesse essere pronto, ma raramente i suoi sogni e premonizioni erano così precise, perciò era abituato a leggere tra le righe di immagini poco chiare, al punto da decidere in autonomia quale significato dargli, con quale chiave di lettura sezionarli ed elaborarli. E anche quella volta aveva scelto di procedere come spesso faceva: a cazzo duro. Al fratello, ovviamente, aveva rivolto solo un sorriso affilato e una stretta di spalle. Anche se gli avesse spiegato il motivo, non avrebbe mai capito; o, peggio!, si sarebbe fidato di lui e sarebbe partito in missione. Elias non poteva permetterselo, c'erano già ben due bestiole che doveva tenere d'occhio, e sì, sapeva già che i bambini si sarebbero uniti alle squadre di ricerca e no non glielo avevano detto le sue visioni: come un bravo fratello maggiore di tutto rispetto, aveva seguito i più piccoli della compagnia a lungo, e continuava a farlo a giorni alterni, per accertarsi riuscissero a sopravvivere in quel mondo crudele brutto e cattivo in cui vivevano; non perché fosse preoccupato o una persona dal cuore buono, ma perché lui e Mikkel avevano organizzato, nei loro progetti, anche come rivelare a tutti i loro bros che fossero una grande e allegra famigliola — non poteva mica lasciare che cose banali come, tsk, la vita intralciassero i loro piani, no?! Era, se vogliamo, il loro angelo custode. (Che culo.) Aveva già fallito l'anno prima, quando aveva ignorato tutti i campanelli di allarme dei suoi sogni profetici e non aveva fatto nulla per salvare papà due e la sorella; non avrebbe fallito anche quella volta. Forse. Non poteva prometterlo, non era il custode (o la coscienza) dei bimbetti. O di nessun altro. (E per fortuna.) Fatto sta, che “seguire e tenere d'occhio” era esattamente quello che stava facendo quel giorno, trench color crema a coprire un completo casual ma che gli faceva fare la sua discreta figura, capelli così biondi da sembrare quasi bianchi quando catturavano la luce del sole, e sguardo pallido nascosto dagli occhiali a specchio che aveva calato sul naso; sembrava un giovane trentenne qualsiasi, pronto a godersi una banalissima giornata per le vie di Hogsmeade, e assolutamente non il fratello stalker che in realtà era. Ma, da brava spia quale era, Elias Raikkonen era abituato ad apparire chi non fosse. Faceva parte delle sue tantissime doti. Insieme alla discrezione, ai sorrisi dolci e affabili, e alle maniere educate. Per questo, quando decise infine di avvicinarsi al ragazzetto intento a fare esercizi che stancavano il pavor solo guardando, lo fece con educazione e senza fretta, ma, soprattutto, senza mettere in allerta i sensi non umani, del corvonero. (Sì, sapeva anche quello; era una spia, era letteralmente il suo lavoro sapere le cose, e figuriamoci se non sapeva perfettamente tutto quello che succedeva ai suoi fratellini! Buh-uh.) La sua figura alta ed esile gettò appena un'ombra allungata sullo sportivo – ugh, terribile, in un'altra vita (e in un'altra forma) lo avrebbe anche potuto capire, ma era Elias in quel momento, non Kimi, ed Elias detestava l'attività fisica che non fosse a scopo ricreativo e con fini ben più piacevoli – e quando fu certo di avere la totale attenzione di Paris, con un sorriso morbido ma che metteva in mostra i denti affilati, chiese semplicemente «scusa, hai mica da accendere?» La scusa più vecchia del mondo, sigaretta stretta fra le dita e occhiali a coprire lo sguardo divertito di chi sapeva molto più di chiunque altro; la scusa più vecchia del mondo, sì, ma anche la più efficace. Non si era mai spinto così oltre da arrivare ad approcciare uno dei bambini, ma erano giorni che sentiva di doverlo fare, e non era mai stato fan dell'ignorare le proprie sensazioni, il fu Linguini. Perciò, here we are! Non c'era tempo (né voglia!) per i ripensamenti dell'ultimo momento. | elias raikkonen | making love with the devil hurts; times are changing | | | | sentinella seguace di arda [dimezza attacco O difesa del nemico] | special lvl leader |
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