è solo una follia, un salto nel vento

ft. Paris | preq 11

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    set © young padawan

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    si dice che sulle teste dei seguaci di arda vegli la dea da cui prendono il nome. queste abili sentinelle mirano ad indebolire il nemico e darlo in pasto ai loro alleati
    Quella battaglia non era la sua battaglia.
    Nessuna battaglia era mai la sua battaglia, nemmeno quelle che lo toccavano da vicino.
    Ma quella in special modo era ben lontano dal provocare ripercussioni sulla sua vita — quindi, la domanda sorgeva spontanea: perché partecipare?
    Anche in quel momento, a distanza di giorni, se la ripeteva nella testa con lo stesso tono di voce con cui suo fratello gemello l'aveva posta la prima volta, più annoiato che confuso; preoccupato, nemmeno per sbaglio. Mikkel era abituato alle scelte poco coerenti – e spesso dettate dalla noia – a cui Elias era solito cedere, creatura troppo debole e amante di vizi e tentazioni per avere in sé l'autocontrollo sufficiente a resistere; quella domanda doveva esser nata da un altro genere di spinta emotiva, magari il fastidio provocato dall'idea che Elias potesse finire con lo stare via troppo a lungo e rovinare i loro progetti, quelli che includevano lo sterminio totale dei ribelli, e per i quali avevano lavorato a lungo negli ultimi venti anni.
    Non che ad Elias importasse qualcosa.
    Cioè, sì — ma solo in parte.
    Le sue priorità cambiavano come cambiava il meteo, e non era mai stato bravo a controllarle; preferiva di gran lunga lasciare che fossero loro a controllare lui.
    E poi, aveva già fatto una scelta, e come molto spesso succedeva, non avrebbe cambiato facilmente (o affatto) idea. La missione poteva anche non toccarlo da vicino – cosa che in realtà faceva, perché sia lui sia Mikkel sapevano bene chi fosse annoverato nella conta degli spariti – ma, da creatura onirica e legata al mondo immateriale e distorto dei sogni quale era, Elias basava la sua intera esistenza sulle immagini che riceveva dalla dimensione di cui era vittima e artefice in egual misura; e proprio quel mondo lì, un caro amico che aveva rivelato allo special più risposte di quanto anni e anni di lavoro e spionaggio e ricerca e deduzione avessero mai fatto, gli aveva suggerito di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto. Non sapeva quale fosse, quel posto, né per cosa dovesse essere pronto, ma raramente i suoi sogni e premonizioni erano così precise, perciò era abituato a leggere tra le righe di immagini poco chiare, al punto da decidere in autonomia quale significato dargli, con quale chiave di lettura sezionarli ed elaborarli. E anche quella volta aveva scelto di procedere come spesso faceva: a cazzo duro.
    Al fratello, ovviamente, aveva rivolto solo un sorriso affilato e una stretta di spalle. Anche se gli avesse spiegato il motivo, non avrebbe mai capito; o, peggio!, si sarebbe fidato di lui e sarebbe partito in missione. Elias non poteva permetterselo, c'erano già ben due bestiole che doveva tenere d'occhio, e , sapeva già che i bambini si sarebbero uniti alle squadre di ricerca e no non glielo avevano detto le sue visioni: come un bravo fratello maggiore di tutto rispetto, aveva seguito i più piccoli della compagnia a lungo, e continuava a farlo a giorni alterni, per accertarsi riuscissero a sopravvivere in quel mondo crudele brutto e cattivo in cui vivevano; non perché fosse preoccupato o una persona dal cuore buono, ma perché lui e Mikkel avevano organizzato, nei loro progetti, anche come rivelare a tutti i loro bros che fossero una grande e allegra famigliola — non poteva mica lasciare che cose banali come, tsk, la vita intralciassero i loro piani, no?! Era, se vogliamo, il loro angelo custode.
    (Che culo.)
    Aveva già fallito l'anno prima, quando aveva ignorato tutti i campanelli di allarme dei suoi sogni profetici e non aveva fatto nulla per salvare papà due e la sorella; non avrebbe fallito anche quella volta.
    Forse.
    Non poteva prometterlo, non era il custode (o la coscienza) dei bimbetti. O di nessun altro. (E per fortuna.)
    Fatto sta, che “seguire e tenere d'occhio” era esattamente quello che stava facendo quel giorno, trench color crema a coprire un completo casual ma che gli faceva fare la sua discreta figura, capelli così biondi da sembrare quasi bianchi quando catturavano la luce del sole, e sguardo pallido nascosto dagli occhiali a specchio che aveva calato sul naso; sembrava un giovane trentenne qualsiasi, pronto a godersi una banalissima giornata per le vie di Hogsmeade, e assolutamente non il fratello stalker che in realtà era.
    Ma, da brava spia quale era, Elias Raikkonen era abituato ad apparire chi non fosse. Faceva parte delle sue tantissime doti.
    Insieme alla discrezione, ai sorrisi dolci e affabili, e alle maniere educate. Per questo, quando decise infine di avvicinarsi al ragazzetto intento a fare esercizi che stancavano il pavor solo guardando, lo fece con educazione e senza fretta, ma, soprattutto, senza mettere in allerta i sensi non umani, del corvonero.
    (Sì, sapeva anche quello; era una spia, era letteralmente il suo lavoro sapere le cose, e figuriamoci se non sapeva perfettamente tutto quello che succedeva ai suoi fratellini! Buh-uh.)
    La sua figura alta ed esile gettò appena un'ombra allungata sullo sportivo – ugh, terribile, in un'altra vita (e in un'altra forma) lo avrebbe anche potuto capire, ma era Elias in quel momento, non Kimi, ed Elias detestava l'attività fisica che non fosse a scopo ricreativo e con fini ben più piacevoli – e quando fu certo di avere la totale attenzione di Paris, con un sorriso morbido ma che metteva in mostra i denti affilati, chiese semplicemente «scusa, hai mica da accendere?»
    La scusa più vecchia del mondo, sigaretta stretta fra le dita e occhiali a coprire lo sguardo divertito di chi sapeva molto più di chiunque altro; la scusa più vecchia del mondo, , ma anche la più efficace.
    Non si era mai spinto così oltre da arrivare ad approcciare uno dei bambini, ma erano giorni che sentiva di doverlo fare, e non era mai stato fan dell'ignorare le proprie sensazioni, il fu Linguini. Perciò, here we are! Non c'era tempo (né voglia!) per i ripensamenti dell'ultimo momento.
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    1991 — chiaroveggente — pavor spiaIn the end, the choice was clear:
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    più razionali e metodici dei berserker, i cacciatori studiano attentamente le loro prede prima di passare all’attacco, considerando ogni punto debole.
    All’inizio pensava fosse uno scherzo di cattivo gusto.
    Non era stato così.
    Il fatto –lo scherzone più assurdo dell’universo– era che non era la prima volta che succedeva; in qualche modo marginale si era aspettato che accadesse ancora. Un triste scherzo del destino, che aveva deciso di fotterlo senza alcuna preparazione per l’ennesima volta. Quindi no, anche se aveva voluto fingersi sorpreso, aveva avuto il sentore sin dall’inizio che qualcosa sarebbe andato a puttane il suo compleanno. Per inciso, il 14 febbraio non era solo il suo compleanno. Vedete, il Tipton aveva ben chiaro il delicato equilibrio che per mesi si era ostinato a sostenere a mani nude, ed era stato abbastanza sveglio da dividere le sue priorità. I Ben erano moralmente obbligati a partecipare a qualsiasi stronzata gli fosse passata per la mente, dato che l’anno precedente si erano– no, non era vero che avevano preferito essere altrove che con lui. Glielo avevano già spiegato, doveva smettere di auto-sabotarsi e stuzzicare croste a coprire la pelle perché lo faceva sentire meglio.
    Stranamente, non erano stati i Ben10 a deluderlo quell’anno. Forse sarebbe stato meglio, ormai ci aveva fatto il callo. Been there, done that no? Decisamente meno umiliante di essere piantato in asso senza uno straccio di spiegazione. E poi essere ignorato per giorni dopo il fatto.
    E per settimane.
    Fino a quando le settimane erano diventati mesi.
    Perché non sei tornato.
    Dove sei.
    Sono preoccupato.
    Aveva tutte le ragioni per esserlo, dopo aver visto il numero di persone che era scomparso dal nulla. Aveva le sue teorie, duh, ma nessuna di queste includeva scenari rosei. Voleva gridare, voleva spaccare la pelle sulle nocche fino a rivelare i tessuti sottostanti, farsi così male da concentrarsi sul pulsare delle ferite anzi dei suoi devastanti pensieri. Avrebbe voluto essere meno realistico, così da mettersi il cuore in pace, illudersi che in qualche modo sarebbe andato tutto bene. E invece no. Sto gran cazzo, non avrebbe aspettato un intervento divino per andarsi a riprendere coloro che erano scomparsi, per riprendersi lui, lo avrebbe fatto con le sue stesse mani. Con i Ben al suo fianco, perché erano un cazzo di branco che si muoveva come una famiglia. Insieme.
    Non riusciva a vivere nella propria pelle, il Tipton, troppa energia a dimenarsi e a cercare una valvola di sfogo. Quindi aveva preso a correre di mattina, un qualcosa che una volta aveva additato come un passatempo per folli, ma che aveva fatto suo in quei mesi. Era un modo come un altro per smettere di pensare, svuotare i polmoni fino a sentirli bruciare tanto per provare qualcosa. Si fermò per riprendere aria, capo rivolto verso il cielo a godere della leggera aria che baciava il suo volto imperlato di sudore e la canottiera attaccata al torace. Nemmeno si accorse dello sconosciuto che si era avvicinato a lui. «scusa, hai mica da accendere?» si concesse un sussulto appena celato, ruoteando gli occhi sullo sconosciuto– diffidenti e calcolatori «ti sembro uno che fuma?» fece un gesto con la mano per indicare la mise da sportivo, il faux pas dell’uomo era l’equivalente di chiedere a una persona cieca quante dita stesse tenendo sù. Lasciò passare qualche momento per il sake del drama, per poi scuotere la testa divertito dal suo monologo interiore «la risposta è: assolutamente sì» sfilò la bacchetta dall’apposita tasca nei pantaloni –sì, i maghi si erano evoluti– e con un movimento delle labbra castò una debole fiamma sulla punta della bacchetta «questo è il momento in cui mi dici che sei un ex carcerato che sta raccogliendo soldi per i bambini in zimbabwe, o qualcosa del genere?» sentite, la faccia da criminale tossicodipendente ce l'aveva tutta.
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    si dice che sulle teste dei seguaci di arda vegli la dea da cui prendono il nome. queste abili sentinelle mirano ad indebolire il nemico e darlo in pasto ai loro alleati
    «ti sembro uno che fuma?»
    Il commento di Paris non turbò il maggiore, che non perse il sorriso e seguì invece il movimento lento della mano che indicava l'outfit sportivo dalla testa ai piedi. Dovette sforzarsi per tenere sotto controllo la propria espressione e non lasciare il disgusto per quanto stava osservando si palesasse troppo sui suoi lineamenti: come già detto, non era mai stato fan dello sport e di tutto ciò che lo riguardava — abbigliamento compreso.
    Piuttosto che esternare i propri sentimenti a riguardo, però, preferì glissare sopra l'intera questione e lasciare che il sorriso educato vincesse sopra qualsiasi altra smorfia, chinando solo appena il capo come per fingersi colpito (quando in realtà era solo molto divertito) dalle parole del corvonero.
    «la risposta è: assolutamente sì»
    Avrebbe fatto commenti sulla vena drammatica del suo fratellino, se avesse potuto; l'avrebbe fatto di sicuro, una volta tornato da Mikkel per raccontare ogni dettaglio di quell'incontro, ma gli sembrava un po' prematuro farlo già lì con Paris. Dopotutto, l'altro non aveva la minima idea di chi egli fosse.
    Non ancora.
    Tempo al tempo!! C'era un piano quinquennale dietro quel progetto di rivelazione, supportato anche dalle frasi dei biscottini della fortuna che erano chiaramente dalla sua parte.
    L'unica cosa che disse al Tipton, invece, fu: «valeva la pena fare un tentativo, l'alternativa era andare a disturbare quella coppia laggiù» e, così facendo, dopo aver lasciato che Paris accendesse la sigaretta che stringeva tra le labbra con un colpo di bacchetta, gli indico con un cenno del mento due piccioncini seduti qualche panchina più avanti, intenti a divorarsi la faccia a vicenda. Era presto, e come quell'orario disumano chiedeva, molte persone erano ancora in casa a farsi gli affari propri, o magari a dormire — wish that was him, e invece doveva fare il babysitter del suo fratellino neo maggiorenne.
    Riportò lo sguardo castano su di lui, a quel punto. «grazie mille, e–»
    «questo è il momento in cui mi dici che sei un ex carcerato che sta raccogliendo soldi per i bambini in zimbabwe, o qualcosa del genere?»
    E come avrebbe potuto mai non allargare il sorriso, colmo di adorazione e divertimento nei confronti di quell'incredibile cretino con cui condivideva parte del DNA?! Lo adorava, Elias, così come adorava anche tutti gli altri e non vedeva l'ora di metterli sotto lo stesso tetto e assistere a qualsiasi catastrofe avrebbe portato con sé quell'incontro.
    «ho davvero un'aria così poco raccomandabile?!» chiese, con il più innocente degli sguardi e le labbra appena dischiuse, fingendosi davvero colpito dalle velate accuse del più piccolo. Ed era vero che Elias avrebbe potuto essere considerato un (ex) carcerato o un criminale — ma mai nessuno era riuscito a mettere le mani su di lui, neppure quando metà delle sue personalissime vendette erano compiute nell'ombra e senza la finta protezione del ministero.
    C'erano così tanti motivi per cui avrebbero potuto sbatterlo in una cella e perdere la chiave, e invece era ancora a piede libero perché era troppo furbo, scaltro, bello e intelligente per essere acciuffato. Si sarebbe paragonato a Lupin se non si fosse amato così tanto da sapere di essere più simile a una del trio Occhi di gatto *nail polish emoji* «in realtà lavoro al ministero,» che motivo aveva di non condividere quella nozione con lui? Dopotutto, infondo, era lì perché voleva iniziare ad instaurare un rapporto con il resto della banda, tanto valeva cominciare già a dire qualcosa di sé! «mi dispiace per averti messo a disagio, non era mia intenzione! Non sono un maniaco, giuro.» disse, spegnendo di qualche watt la luminosità del sorriso per non sembrarlo davvero, un maniaco. «anche se immagino sia estremamente quello che un maniaco direbbe.» eh già. E lui lo sapeva benissimo, perché aveva studiato e imparato gli atteggiamenti di un sacco di categorie di persone, per imitarli poi al meglio nel momento più opportuno; quello lì, per la precisione, era quello in cui si fingeva un po' impacciato e a disagio, mano passata tra i capelli biondissimi e l'altra a stringere la sigaretta come se ne dipendesse della sua vita. «ti– ti offrirei una sigaretta per farmi perdonare ma ti stai allenando, forse è meglio che vada.» con l'intenzione di tornare a breve — dove con “a breve” intendeva un momento non meglio precisato che andava dal giorno dopo al dopo missione. Perciò insomma: non era molto bravo con le tempistiche, il Raikkonen, e non era mai stato puntuale una sola volta in vita sua.
    elias
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