domenico "mimmo" malatesta

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    Perché per stare bene
    Ho bisogno di toccare il fondo
    MIMMO.

    NOME E COGNOME come suo nonno, ed il nonno di suo nonno, ed il nonno del nonno di suo nonno, il nostro protagonista - come da tradizione - prende il nome di Domenico: il buon wikipedia ci dice che deriva dal tardo latino Dominicus, basato sull'aggettivo dominicus che significa "del padrone", e in senso particolare "del Signore" - usato sin dal IV secolo col significato cristiano di "consacrato al Signore" - assolutamente coerente con la forte fede che caratterizza la sua famiglia. Se non provenite dal sud Italia vi stupirà sapere come il suo nome di battesimo venga declinato nei soprannomi più disparati, sebbene preferisca di gran lunga questi al suo nome completo: Mimmo, con il quale si presente alla società, nonché il suo preferito (ha preparato un powerpoint per spiegare come da Domenico si passi a Mimmo), ma capita anche che venga chiamato "Minguccio" dai vecchi di paese o con fare affettuoso dai parenti più stretti.
    Sul suo cognome, invece, non c'è molto da dire se non che, suo Nonno era solito raccontargli di come i Malatesta avessero delle origini nobiliari in qualche parte del centro Italia - e quello bastava al piccolo Mimmo per credersi un principe di qualche terra lontana. E' molto più facile credere al fatto che la famiglia Malatesta in Puglia, contadini da generazioni, avessero preso quel cognome da un qualche parente lontano o spodestato dal trono.

    DATA & LUOGO DI NASCITA non gli è mai piaciuto il giorno del suo compleanno, ogni qual volta il fogliettino del 23 Febbraio appariva sul calendario della cucina di casa Malatesta, le orecchie di Mimmo si coloravano di rosso dall'imbarazzo. Non amava stare al centro dell'attenzione, non amava che gli si cantassero "tanti auguri a te", non amava il dover fingere che gli piacessero i regali ricevuti, e specialmente non amava quando Nonna raccontava a qualsiasi persona incontrasse per le strade di Cerignola (FG), di come la sua vita fosse cambiata in positivo a partire da quella notte del 2007. Amava però essere del segno dei pesci, così come amava il mangiare l'impasto dal cucchiamo mentre Nonna lavava le stoviglie dopo aver preparato la torta, così come amava saltare sui palloncini e scoppiarli a fine giornata.

    STATO DI SANGUE & FAMIGLIAil concetto di "famiglia" per le persone come Mimmo risulta essere un qualcosa di astratto: potrebbe parlare delle persone con cui condivide una stessa cosa o quelle con cui condivide il sangue, ma non sarebbe stato abbastanza. Non lo trovava giusto, perché per quelli come Mimmo la "famiglia" sono almeno un centinaio di persone diverse - e che queste fossero d'accordo o meno, non era un gran problema.
    Famiglia erano le persone che lo avevano messo al mondo, Cosimo Malatesta (suo padre) e Ripalta Patruzzelli (sua madre), morti troppo giovani per permettere al nostro protagonista di avere dei ricordi vividi su di loro. Sapeva cose su di loro grazie alle fotografie che spesso sua nonna sfogliava in prossimità delle festività, a cui seguivano dei racconti che permettevano alla fantasia del piccolo Mimmo di viaggiare: degli eroi, ecco chi e cosa erano. Lui un cavaliere pronto ad aiutare i più deboli, lei la curatrice al suo fianco, strappati vie dalle mani di chi non aveva le loro stesse visioni.
    Famiglia erano le persone che lo avevano cresciuto e che lo avevano incitato alla bontà e, soprattutto alla ribellione. Mimmo aveva imparato cosa fosse l'amore, e cosa significasse amare, guardando Nonno Pino e Nonna Pina essere leggeri nonostante la fame, nonostante la perdita di un figlio, nonostante un nipotino sulle loro spalle. Poco gli importava che fossero purosangue o meno, quella non era mai stata una priorità o un dato fondamentale da tenere a mente. Gli bastava davvero poco, e quel poco bastava a Mimmo.
    E così continuando, famiglia erano cugini e zii lontani che non vedeva così spesso ma con cui aveva condiviso le risate più rumorose che avesse mai fatto. Famiglia erano i bambini del vicinato con cui giocava a palla e con cui si sbucciava puntualmente le ginocchia. Famiglia era la signora che abitava nella loro stessa via, e che era solita portargli le focaccine fritte o la torta al cioccolato quando aveva la febbre. Famiglia erano le persone che ha incontrato durante i suoi viaggi, quelli con cui ha condiviso una coperta nelle notti troppo fredde. Famiglia erano i ribelli del quartier general e non, spiriti affini e per cui avrebbe dato la vita.
    Per Mimmo, la famiglia, era qualsiasi persona lo avesse fatto sentire a casa, anche soltanto per una volta.

    RAZZA Mimmo è un licantropo, non dalla nascita, ma la sua prima trasformazione è avvenuta a causa di un morso ricevuto durante una notte di luna piena all'età di tredici anni. Crescere senza qualcuno su cui fare affidamento è stato estremamente difficile per lui, specialmente in relazione alla sua nuova natura - che ad oggi non riesce completamente ad accettare, combattendo una lotta interna ancor prima di una lotta al dolore fisico dovuto alle trasformazioni.

    ALLINEAMENTO il suo cervelletto non è ancora del tutto sviluppato per capirci qualcosa di politica, ma la sua morale è abbastanza forte da poter distinguere il bianco dal nero e definirsi (facendone parte) ribelle.

    ISTRUZIONE il percorso formativo di Mimmo risulta essere non troppo convenzionale: sebbene fosse vicino alle pratiche magiche dalla tenera età grazie agli insegnamenti di sua nonna, entrerà ad Hogwarts, tra i tassorosso, soltanto compiuti i sedici anni. Nonna, in quelle lezioni fatte ogni mattina all’alba dal compimento dei suoi undici anni, ha cercato di non fargli mancare niente - da lezioni di erbologia (alquanto casalinghe) a storia della magia (racconti e pettegolezzi di vecchi maghi di Cerignola). Ad ora, Mimmo può dire di amare il castello: il rischio di perdere qualche arto (o la vita) in qualche lezione gli sembra il giusto compromesso per avere un posto da chiamare casa.

    BACCHETTA legno di biancospino, nucleo di midollo del Mostro del Fiume Bianco, 12 e 3⁄4, elastica.


    Mi son perso nel buio, col cuore in frantumi, a cercare i pezzi per terra
    Carattere avete presente quando da piccoli vi veniva chiesto a scuola di descrivere il vostro migliore amico, caratterialmente e fisicamente? Ecco, questa è la sensazione che io (ma che anche lui) sto provando in questo momento (oltre alla profonda perdizione cosmica) - forse perché neanche Mimmo sarebbe in grado di definirsi come persona, buttando insieme una serie di aggettivi in grado di riassumere la complessità (se non apparente) del suo cervello, sperando che questi abbiano un senso messi insieme.
    "Simpatico" sarebbe il primo della lista con la più totale modestia del caso, forse perché era il modo in cui più veniva descritto, o forse perché provava disperatamente ad esserlo. Strappare un sorriso agli altri era diventata la sua missione di vita dal momento in cui, probabilmente su un gelato cucciolone, aveva letto che il sorriso era la miglior medicina e cura contro ogni male - e come poteva non fidarsi di tale perla di saggezza? Aveva la battuta pronta, sempre e comunque, tanto da diventare difficile capire quando fosse serio - potrebbe raccontarvi di come da piccolo il suo cricetino domestico sia morto d’infarto e ridervi in faccia un secondo dopo, così come potrebbe raccontarvi il più traumatico dei suoi ricordi e concludere con uno “non è stato molto godente” per sdrammatizzare, così come potrebbe indicarvi un cassonetto dell’immondizia o una bara e dirvi “io così”. Era una persona facile a cui stare vicino, dalle poche pretese, specialmente quando le sue batterie sociali erano cariche - ed infatti avrebbe inserito "solare" come una possibile sfumatura del suo essere.
    Il secondo sarebbe stato "altruista" e nessuno avrebbe potuto dire il contrario. Era sempre stato un bambino parecchio attivo, Mimmo: che fosse suonare delle pentole con dei cucchiai come se fossero una batteria, o inseguire le galline in giardino, il suo hobby preferito rimaneva comunque guardare i quadri che tappezzavano le pareti di casa inventandosi delle storie. Gli scenari che si ritrovava davanti erano ricorrenti, se non ridondanti: il dolore era padrone di quelle tele, corone di spine sulla testa e sangue che sgorgava dalle ferite, crocifissioni, aureole, madonne piangenti e drappi macchiati di cremisi a ricadere dalle loro mani. Eppure c’era un quadro in particolare che sembrava diverso dagli altri e che erano in grado di catturare gli occhi troppo grandi di un bambino troppo piccolo, ed era quello che Nonna aveva appeso sopra la testiera del letto della camera degli ospiti: un agnello dalle iridi spente e le zampe legate da una corda, pronto ad accettare il suo destino. E proprio come un agnello sacrificale, la psiche di Mimmo aveva conosciuto il dolore ed il sacrificio, eppure era impostata ad essere un costante atto di dono, un’offerta volontaria di se stesso per l’eterna salvezza degli altri - che questi la meritassero o meno, non era un problema che il Malatesta si poneva. Si sarebbe privato del proprio cibo in caso di fame, si sarebbe privato dei propri indumenti in caso di freddo, e non avrebbe chiesto nulla in cambio.
    Il terzo, con un po' di esitazione, sarebbe stato "leale". Lo era, e non c’era molto da aggiungere: come un cane avrebbe seguito i suoi cari fino alla morte, senza porsi troppe domande o senza dubitare di loro. Non era così difficile entrare nella cerchia "ristretta" che Mimmo considerava come suoi altri significativi, e non era sempre un bene: non è oro tutto quello che luccica, ed il Malatesta avrebbe bellamente tralasciato quello che è il terreno in cui affondano le radici appena descritte. Era ingenuo, sebbene non volesse ammetterlo - si ereggeva ad esperto di viva, a sopravvissuto, ma bastava davvero poco ad ingannarlo, a raggirarlo, ma vi sarebbe rimasto comunque leale nonostante vi sanguinasse davanti.
    Mimmo era anche profondamente ansioso, ed il provare a nasconderlo lo rendeva ancora più ansioso. Dal classico evitare come la peste le chiamate telefoniche, all'evitare grandi folle, Mimmo viveva con la costante sensazione che il suo cuore gli stesse per uscire dal torace. Non ne conosceva davvero l'origine, o forse cercava semplicemente di ignorarla, ma l'indossare quella maschera di pura felicità di certo non lo aiutava: non era infatti raro trovarlo mordersi l'interno della guancia o giocherellare nervosamente con il laccetto di una felpa come disperato tentativo di avere un po' di pace. Il suo cervello era un flusso di pensieri che non accennava a smettere, e questo rendeva difficile collegarlo alla bocca - ecco perché puntava a frasi brevi e semplici.
    La gelosia era invece il suo tratto più oscuro. Guardava i suoi compagni di classe e si chiedeva quando sarebbe diventato intelligente come loro, bello come loro, felice come loro. Passava davanti a delle vetrine e si chiedeva quando avrebbe potuto indossare dei calzini che non fossero bucati o dei vestiti rovinati dai troppi lavaggi. Vedeva gente innamorarsi e si chiedeva disperatamente quando sarebbe arrivato il suo momento. Ascoltava i racconti del passato dei suoi interlocutori e si chiedeva perché non sarebbe potuto essere al posto loro. Eppure provava a soffocare tutto in una risata, lanciando una battuta fuori luogo nel caso gli fossero state poste domande troppo personali.

    Aspetto fisico Mimmo era una di quelle persone che cercava sempre il bello nelle cose, anche in quelle più piccole e insignificanti: guardava i passanti tenersi per mano e ne sentiva il calore, i brufoli sulla pelle come costellazioni lontane e le smagliature come oceani ancora da esplorare, le ginocchia sbucciate che raccontavano storie a lui ancora sconosciute. Eppure la legge del “ognuno è bello a modo suo” sembrava non applicarla nei momenti in cui il proprio sguardo incontrava il suo riflesso nello specchio: non sapeva cosa voleva da quel corpo che non sapeva far altro che essere ridente immagine distorta, incapace di frantumare uno schema e sanguinare per davvero.
    Guardava la sua corporatura e quella era la parte che gli faceva venir maggiormente la nausea. Era alto, gliel’avevano sempre riconosciuto, ma non abbastanza da essere considerato un gigante: il suo metro e settantanove di altezza erano in grado di farlo sentire ancor più goffo di quanto non fosse, specialmente se paragonato ai suoi coetanei. Le mani callose per gli anni di lavoro in campagna ad aiutare la Nonna scendevano sulla propria pancia, la stringevano con forza e la tiravano sperando che potesse andare via: non c’erano addominali sul corpo di Mimmo - fin dalla prima infanzia era sempre stato un bambino paffuto, e con l’adolescenza gli avevano detto che si sarebbe sviluppato, che sarebbe stato più formoso, agile, mascolino. La situazione sembrava essere migliorata da quando aveva ricevuto il morso, la cui cicatrice era ancora ben visibile sul suo braccio, ma Mimmo non riusciva a sopportare il confronto con gli altri - era quello il suo problema. Evitava tutte le situazioni in cui qualcuno avrebbe potuto vederlo senza maglietta, dagli allenamenti in palestra fino al semplice cambiarsi alla sera nella sua stanza in sala comune.
    Guardava la sua pelle e quella la trovava alquanto buffa. Non sapeva bene se fosse olivastra di natura o perennemente abbronzata per tutte le ore che passava sotto al sole, ma fatto stava che quello metteva ancor di più in risalto le lentiggini rossicce che gli decoravano il volto - mescolate a qualche brufolo che, da bravo adolescente, erano sempre presenti.
    Guardava i suoi capelli perennemente arruffati e di un ramato scuro, e cercava di sistemarli senza mai riuscirci - quelli li aveva presi da sua madre, e ricordava ancora le volte in cui la povera donna provava a pettinarli senza successo. Ci provava a dargli un senso o un ordine, ma la sensazione che Mimmo provava era quella che si aveva quando si usciva da un parrucchiere: si fingeva di essere soddisfatti ma la voglia di piangere era tanta.
    Guardava i suoi occhi di un castano tenue ed in essi trovava un porto sicuro: gli piacevano, erano gentili, gli ricordavano quelli di Nonna. Gli davano spesso un’aria appisolata nell’essere incappucciati, portando la gente a fraintendere uno sguardo distratto con un’occhiataccia sebbene Mimmo non possedesse alcun tipo di cattiveria nel suo intero corpo - e sicuramente lo scuro delle occhiaie non lo aiutavano ad avere un’aria più sveglia (intellettualmente e non). Le sopracciglia erano folte, aveva provato a dare una sistemata ed una forma più ordinata ma con poco successo: continuavano a crescere quando e come volevano loro.
    Guardava le sue labbra piccole ma allo stesso tempo piene, forse un po’ troppo screpolate, sollevarsi in un sorriso. Erano sempre così, nonostante tutto, nonostante tutti. Era difficile trovare il Malatesta con le labbra imbronciate, ma questo non voleva dire che i suoi sorrisi fossero smaglianti o a trentadue denti, anzi: erano proprio quelli a creargli dei problemi. Erano storti, specialmente i frontali che cercavano una piccola finestrella - proprio per quello cercava di parlare con la bocca sempre un po’ corrucciata, rendendo difficile il comprenderlo; specialmente se lo aggiungiamo al fatto che Mimmo parlasse velocissimo, per la paura creare noia o di non essere ascoltato.
    Guardava le sue unghie rovinate per il lavoro con la terra e le dipingeva con dello smalto, specialmente quello nero - era un classico ormai. Aveva provato anche altri colori, dai più sgargianti, ai pastelli fino a quelli più neutri, ma il nero rimaneva un comfort a cui non poteva rinunciare - gli dava ordine, lo calmava.
    Se rimaneva troppo a lungo davanti a quello specchio si sarebbe ritrovato a guardare un'immagine senza riconoscerla, senza riuscire ad intravedere in quelle linee distorte un volto che potesse riconoscere come il suo, uno che gli appartenesse e fosse davvero riflesso di quello che premeva senza sapere dove sbattere in pareti che si stringevano fino ad essere soffocamento. Per quello li evitava, e ne aveva quasi paura.
    Sceglieva i primi vestiti che si ritrovasse davanti e che gli sembravano andar bene insieme, e li indossava sperando, pregando, di non essere cambiato. Molto spesso, quando non metteva la divisa scolastica, erano felpe di una taglia più grande dentro cui scomparire, e jeans da dover sollevare da terra quando pioveva per il rischio di bagnarli. Gli accessori gli piacevano, specialmente i braccialetti colorati e gli anelli argento: ne aveva i polsi pieni e le dita pesanti.
    Niente più, niente meno.

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    — Ha un forte accento italiano quando parla in Inglese, e spesso non viene capito proprio per quello. Non gli dispiace, però: non vuole perdere il legame con la propria terra di origine.

    — Il suo genere musicale preferito è l’indie italiano, ma segretamente ha una vera e propria ossessione per un gruppo kpop composto da dodici saffiche ragazze: le LOONA.

    — È miope, ma tanto miope. Dimentica anche di essere astigmatico, ma non ha mai capito cosa voglia dire. Dovrebbe portare gli occhiali ma è troppo povero per comprarsene un paio nuovo e troppo pigro per andarne alla ricerca - inoltre crede di stare meglio senza.

    — Le sue materie preferite sono erbologia e pozioni, entrambe discipline con cui ha dimestichezza fin dall’infanzia.

    — È omosessuale, ma non ha mai davvero fatto coming out. Attenzione, questo non vuol dire che Mimmo non accetti se stesso, anzi! È che crescere un po’ girly pop a Cerignola (FG) non è affatto semplice, specialmente se in un contesto prettamente cristiano, e questo ti costringere (e ti abitua) a tenerti determinate cose dentro.

    — Ha sempre un accendino e delle sigarette con sé, pronti ad ogni evenienza. Non che gli piaccia particolarmente fumare, anzi: non ha mai imparato ad inspirare, quindi tiene un po’ il fumo in bocca per poi soffiarlo via. Pensa però che sia un ottimo espediente per fare conversazione con qualcuno.

    — Ogni oggetto inanimato che possiede ha un nome proprio di persona - ad esempio, le sue pantofole si chiamano Nina e Lina.

    — Ha una lista delle cose che odia, e questa comprende: fare la lavatrice, sporcarsi con il gelato, l’Augmentin, il succo alla pera, chi ha se stesso come sfondo del telefono, i ghiaccioli alla menta e quelli all’anice, chi non fa skin care, i calabresi, i pelati, il cioccolato fondente, chi scrive la “n” al contrario in corsivo - e potrebbe andare avanti per volto.

    — Ha anche una lista di cose che ama, ma questa viene aggiornata con meno frequenza rispetto alla precedente, in quanto tende a condividere più volentieri con gli altri le cose che gli piacciono. Le ultime cose che ha sognato sono: la sprite, league of legends, le crocchette di pollo, chi lo chiama “tesoro”, le carezze, ascoltare musica triste in momenti tristi, le caramelle frizzanti, le insegne luminose delle farmacie.

    Cerco d'andare dritto
    Anche se sottosopra
    Anche se sotto sotto
    Sotto non ci vado mai

    Anche se mi perdo
    Anche se ci perdo

    ZINGRIAMINT’!
    Hai solamente quattro anni quando vedi tua nonna piangere per la prima volta.
    Ci si aspettava che un funerale fosse in un giorno di pioggia. Gli ombrelli scuri che si affollano fra le lapidi, le lacrime che si mischiano alle gocce che scendono, come se anche loro volessero dare un ultimo saluto. Quel giorno, invece, era una delle giornate più luminose che avesse mai visto lì a Cerignola. Aveva indossato un abito che la nonna gli aveva comprato solo per l'occasione, perché difficilmente un bambino di quattro anni aveva bisogno di un abito nero, e ricordava quanto la pelle sudasse sotto quell'indumento che attirava i raggi, quasi a voler rendere impietosa la sua figura esile. Mimmo non aveva pianto, gli occhi gli erano rimasti secchi, leggermente aperti come se la sorpresa nell'apprendere quella notizia avesse messo lì le sue radici. «Dicono facessero parte della resistenza…» e «No, no, è stato semplicemente un incidente…» erano i bisbigli che il piccolo Malatesta udiva in quel frangente, stringendo un lembo della gonna sfilacciata e sporca di terra di Nonna, con una presa spasmodica, e fissando le fosse profonde in cui, presto, i suoi genitori sarebbero spariti, risucchiati dall'oscurità. La concezione del "mai più" era un peso che manteneva un astrattismo soffocante, impensabile eppure reale.

    Hai solamente cinque anni quando capisci che la routine è qualcosa in cui puoi cullarti e trovare pace.
    Mimmo Malatesta trovava la sua pace nel passare parte del suo tempo a contatto con le persone, seguendo Nonna nelle sue visite di routine tra quelle baracche di mattoni porosi e alluminio raccattato, mangiato dalla ruggine e deformato dal caldo, che la gente di campagna aveva iniziato a chiamare casa per forza di cose. In secondo luogo, era diventata una routine quella di passeggiare con i piedi nudi a contatto con la terra porosa della boscaglia dietro alla loro baracca, specialmente quando i fili d’erba sembravano fargli il solletico, raccogliendo i frutti dagli alberi quando era di passaggio nel cercare ingredienti per le pozioni di Nonna. Ed infine, Mimmo trovava maggiormente pace nella ciclica routine delle prime luci del mattino, quando la figura di Nonna gli faceva ombra, tenendogli la piccola mano, guidandolo tra le strade polverose e ancora in allestimento del mercato di Cerignola – gli diceva sempre che quelle fossero le ore migliori, sia per il fresco, in quanto il sole sorgeva dall’altra parte della città, sia per gli affari che si riuscivano a fare quando i banconi erano ancora semi vuoti e i venditori ambulanti non storditi dalle ore passate al caldo. Nel tragitto che li separava dalle compagne alla parte più centrale della città, dove quelle cassette impilate facevano da bancarelle, sua nonna gli sussurrava all’orecchio quelli che col tempo sarebbero diventati per Mimmo dei preziosi insegnamenti che venivano tramandati di generazione in generazione attraverso delle storie – o almeno era quello che Nonna era solito dirgli per attirare la sua attenzione, infondendo nel bambino un senso di responsabilità e maturità. Il gioco che amava più fare con Nonna era quando lei indicava con l’indice raggrinzito dalle rughe, alcune piante mediche, chiedendogli cose del tipo: “la ricordi quella? A chi piace mangiarla?” e lui, tutto fiero e con il petto gonfio, sebbene il volto fosse ancora scavato per il sonno mancato, a rispondergli di rimando «è il fiore preferito del folletto col cappello rosso! Quello con il mal di pancia, non è vero?». Una persona semplice, Mimmo Malatesta.

    Hai solamente otto anni quando capisci realmente che la vita è in perenne bilico su un filo sottilissimo, e tu potevi esserne influente.
    Non era raro avere il tavolo della cucina occupato da qualche sconosciuto – letteralmente, si intende. Doveva ammetterlo, ci si abituava all’odore del sugo della domenica che si mescolava a quello del sangue soltanto con il passare degli anni; specialmente se, come Mimmo, si è particolarmente sensibili a quel denso rosso cremisi – e no, non parlava del ragù di carne di cavallo. Eppure la voce autoritaria, ma sempre e stranamente accogliente di Nonna, era in grado di risvegliare il più piccolo da quello stato di trance, e quando “Mimmo, potresti apparecchiare la tavola?” diventava un “Mimmo. Tavola libera. Garze pulite, acqua fredda e foglie di belladonna”, sapeva che la situazione si stava facendo seria. Erano generalmente contadini quelli che si rivolgevano alle cure dell’anziana signora, e forse era anche quello a renderla particolarmente attenta e devota a quella causa – certo, nel suo sangue, come in quello di Mimmo, scorreva l’amore per il prossimo, spinto da una fede cristiana che li portava ad avere un crocifisso d’oro al collo e almeno tre quarti delle mura di casa tappezzate da santi, padre Pio, don Bosco, e da rappresentazioni di Cristo in ogni sua sfumatura. Si sentiva d’aiuto, Mimmo. Si sentiva buono, e voleva essere buono. Non chiedevano nulla in cambio, se non delle preghiere, e quello molte volte saziava il suo stomaco che brontolava per la fame.

    Hai solamente undici anni quando ti viene donata la prima bacchetta, apparteneva a tuo padre, ma è quello che potevate permettervi, ma ne sei comunque grato.
    Era a quell’età che la maggior parte dei maghi o delle streghe di Cerignola, specialmente tra i più benestanti, lasciavano la cittadina per iniziare il loro percorso scolastico lontani da casa – ma quello non era lo scenario per Mimmo. Certo, Nonna ci teneva alla sua istruzione, sarebbe stato crudele non permettere al suo unico nipote di non imparare l’arte della magia, oltre a quella già consolidata delle erbe magiche: «Da domani la tua sveglia sarà al cantare del gallo più vecchio del pollaio, chiaro?» disse mentre il più piccolo era intento a pestare nel mortaio delle foglie di camomilla per un anti-infiammatorio, posando al suo fianco uno scrigno consumato dal tempo. Il Malatesta si strofinò le mani contro i pantaloncini di almeno un paio di taglie più grandi, appartenente ai figli della vicina, ormai troppo grandi per indossarli, così da poter aprire quella scatola: fu lì che Mimmo brandì per la prima volta la “sua” bacchetta. La sentiva vibrare sotto al proprio tocco, emanava un calore così familiare da tranquillizzarlo, sebbene questa sembrava non sentirsi allo stesso modo – «Non sarà facile, Mimmo…» e Nonna portò le sue dita raggrinzite tra i suoi capelli rossi, carezzandoli prima di chinarsi goffamente con la schiena per lasciargli un bacio sulla fronte, per poi tornare composta.
    Anche quel tipo di routine non gli dispiaceva, seppur ci volle un po’ prima che potesse abituarsi: iniziavano sempre con della pratica, generalmente con gli incantesimi più semplici o con quelli che aveva imparato nelle lezioni precedenti, per poi a passare a qualcosa di più complesso o nuovo. Anche la teoria non mancava, ma quella c’era sempre stata: che fossero le creature magiche o l’erbologia, Mimmo si sentiva un asso a riguardo – e Nonna con la storia della magia, seppur soporifera, trovava comunque un modo per renderla interessante, proprio come faceva quando era più piccolo.

    Hai solamente tredici anni quando non hai più paura del mostro sotto al letto, ma di quello che vedi attraverso lo specchio.
    Paura, che strana emozione. Era sempre stata uno strumento decisivo nella vita dell’uomo: permetteva di vincere o perdere guerre, faceva la differenza fra vivere o morire; determinava chi fossi, prima ancora che il singolo potesse averne una consapevolezza, delineando un percorso sulla sabbia ed obbligando a seguirlo con argini troppo alti. E Mimmo ne aveva avuta di paura quando quel tavolo della cucina non era occupato più da uno sconosciuto, ma dalla sua stessa nonna, e che il sangue che circondava la propria bocca e che era incrostato sotto le unghie fosse proprio il suo. Non ricordava nulla, era davvero stato lui? Tutte le ossa gli facevano un male cane, atroce, come se fossero state ridotte in polvere e rimesse insieme granello dopo granello. Sentiva tutto un po’ più forte di prima, dai pappagalli del vicino che mangiucchiavano i loro semi fino al cuore che pompava ritmicamente quella mescolanza di sangue ed adrenalina, mentre lui se ne restava rannicchiato a terra – privo di vestiti e con quel morso al braccio che si stava rigenerando ad una velocità inumana. Inumano, era quella la parola giusta per descriverlo, e per descrivere quello che gli era successo. Inumano era quell’uomo che aveva cercato rifugio a casa Malatesta un paio di settimane prima – non era solito di Nonna e Mimmo giudicare qualcuno, dopotutto la compassione era una virtù che cercavano di perseguire ogni qual volta tenevano il rosario tra le falangi, supplicando Dio di perdonare i loro peccati – come avrebbero potuto lasciarlo fuori al freddo, e affamato? Se solo avessero saputo che, quando un uomo che cerchi di ospitare scompare, e nel recinto delle galline ti ritrovi quello che sembra un lupo di grande stazza, posto in equilibrio sulle zampe posteriori che corre verso di te, e che ti morde - forse qualcosa sarebbe successo davvero.

    Hai solamente tredici anni quando capisci che dovrai crescere da solo e nulla sarebbe stato uguale a prima.
    Era in quel periodo che la consapevolezza lo aveva abbracciato come un'ombra lunga al crepuscolo, annunciando il destino solitario del suo percorso di crescita, lontano dalla dolce armonia di un tempo passato. Si era insegnato da solo l'arte dell'austerità, dopo aver lasciato Cerignola, riducendo i bisogni al minimo essenziale. I ricordi erano troppo dolorosi da sopportare, rimanendo lì. Aveva raccolti i suoi averi in uno zainetto, chiuso per sempre quella porta alle sue spalle e si era messo in cammino, la meta non era ben conosciuta. Lontano. Voleva semplicemente andare lontano, come se servisse effettivamente a cancellare il suo passato. Si era asciugato le lacrime con la grazia di chi era diventato maestro nell'arte del distacco, cedendo persino gli ultimi frammenti di ciò che gli apparteneva a coloro che, agli occhi del mondo, ne avevano maggiore necessità. Come se portasse sulle spalle un fardello, si considerò indegno, consapevole di un peccato interiore che gli sussurrava che tutto, inevitabilmente, gli sarebbe stato strappato via. Eppure, il Malatesta fu più implacabile, un inclemente architetto del destino, come Nonna che gli aveva insegnava: "tolto il cerotto, tolto il dolore". Questo rituale gli permetteva di chiudere gli occhi e abbracciare il vuoto, consapevole che la sua strada era tracciata senza deviazioni, senza "prima", senza alcun altro. Apprese che le pretese erano illusioni evanescenti, che l'esterno e l'interno erano due dimensioni disgiunte, e il suo mondo interiore poteva restare sigillato, sospeso in un vuoto che sussurrava l'imperativo di conquistare ogni cosa. Questo fu il suo tentativo, nonostante la bestia interiore mantenesse sempre il controllo.

    Hai solamente sedici anni quando hai cambiato di nuovo vita e ti chiedi chi sei, quando quella è l’ennesima città che incroci nel tuo cammino, la chiamano Londra e c’è qualcosa che ti tiene ancorato lì da un po’. Ci hai fatto l’abitudine a vivere per strada, è sicuramente più facile che stabilirsi in maniera definitiva in un’abitazione che sai che dovrai abbandonare. Cerchi comunque di trovare conforto nelle piccole cose, o almeno fingi di farlo: andare a scuola era una di queste, ti faceva sentire un normale adolescente – anche se non lo sei, e continui a non volerlo ammettere. Le notti di luna piena sono quelle che odi di più, è quando la bestia esce fuori e tu devi correre via il più lontano possibile, sperando di aver sbranato qualche coniglio e nessun essere umano, per quello ti isoli.

    Hai ancora sedici anni, e ne sei stupito. Sei sorpreso di essere ancora vivo, nonostante tutto. Sei anche sorpreso di aver trovato un posto che puoi chiamare casa e delle persone da poter chiamare nuovamente famiglia. La vita, nonostante la guerra, nonostante la disperazione, sembra avere di nuovo un senso. Hai delle persone al tuo fianco che ti vogliono bene, ed hai delle persone con i tuoi stessi ideali. Pensi di poter fare la differenza e vuoi davvero farlo, devi farlo. Devi farlo per tua nonna, devi farlo per le persone che hai incontrato nei tuoi viaggi, devi farlo per te stesso. Certo, la scuola può essere una scocciatura, ma che sarà mai in confronto alla disperazione che hai conosciuto? Niente.


    ©bulnoriya | Federico Cesari is Domenico Malatesta


    Edited by memento vivere - 4/4/2024, 21:39
     
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    FINITO !!!

    mio dio, è stato.......... qualcosa di........ intenso..... specialmente le ultime battute..... credo che questa scheda sia perfettamente rappresentata dal meme del cavallo disegnato male.
    MA CI TENEVO A FINIRLA PRIMA DELL'INIZIO DELLA QUEST, ED AMMETTO DI NON!!! AVERLA!!! RILETTA!!! MA AVEVO LA NAUSEA PARDON!!!

    4e4e0be66cdfb3e92ba08e48aa05445b

     
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    scheda accettata!vieni a giocare con noi...per sempre.
    indica il prestavolto
    segna l'allineamento. hai un pg ribelle? trovi qui l'iniziazione e dove segnare il tuo ruolo!
    hai abilità particolari da segnalare? qui!
    segnala tua permanenza wat:
    qui, se frequenti o hai frequentato istituti magici (hogwarts compresa)
    qui, se sei stato nei laboratori
    segnala il tuo lavoro
    apri la tua scheda livelli e conferma di averlo fatto!

    finito ciò... abilitazione!

    bonus!
    oltre ai biscotti, lo scrivo scuro così non leggete #wat

    apri il tuo wanna alla ricerca di amiki
    ed apri il tuo pensieve (obbligatorio)
    e why not una discussione in #inforandom
    dai un'occhiata ai topic delle relazioni (otp & brotp & squad)
    cerchi un club dove trovare nuovi amici?
    uno sguardo alle iniziative interne?
    il tuo pg ha una bacheca pinterest?
    vuoi entrare nella squadra di quidditch? controlla qui:


    spero per voi che stiate già pensando al secondo pg #stalking
    ci ami già?
    e ora?
    e adesso?
    dai, amaci
    ti lasciamo un link speciale
     
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2 replies since 5/11/2023, 15:59   296 views
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