Jericho era pronta.
Non aveva passato i giorni precedenti a preoccuparsi per Darden. Ma neanche (e soprattutto a dire il vero; un’altra storia, per un altro momento) per il cazzo. Jericho Karma Lowell, da quando aveva accolto una Darden alla sua porta qualche mattina addietro, ed aveva preso confusa una micia fra le sue braccia, aveva fatto solo una cosa: affilare le sue lame.
Tutte. Erano tante.
Era partita dai coltellini da lancio (16) e gli shuriken (8), poi era passata ai pugnali (23) ed alle daghe (3), alle katane (5), le asce (4), i machete (3) ed alle spade (12), finendo con i sai (2) ed iniziando a contare le munizioni per tutte le sue armi da fuoco. Metodica e funzionale come solo con i suoi bambini (le armi) (questo vi dice tanto dei suoi figli veri, uh? Molto freudiano da parte sua) sapeva esserlo. Si fermò solo quando scintillarono abbastanza da far male a guardarle, così taglienti che tagliavano la tensione nell’aria senza alcun contributo da parte delle telepate, ed allora.
Solo allora.
Aspettò.
Un’attesa che sapeva già di sangue, perché in un modo o nell’altro la sua quota di carne l’avrebbe avuta. Un’attesa che sapeva di perchè cazzo mi stai di nuovo facendo questo, e di vaffanculo.
Le sembrava di aver aspettato Darden Larson tutta la sua vita. L’aveva attesa dal suo ritorno in giro per il mondo, la prima volta; l’aveva attesa dalla cazzo di Bodie, la seconda; l’aveva attesa dai Laboratori, la terza e credeva ultima volta.
Poi quello.
Era … era stanca. Era stanca di essere arrabbiata, ed era stanca di farsi fottere, ogni santiddio cristo di volta, dalla vana promessa che sarebbe tornata – una promessa che sapevano entrambe non fosse in nessuna cazzo di posizione per mantenere. Continuava a farsi prendere in giro, ancora ed ancora, per … per cosa, esattamente? Per chi? Ci cascava.
Sempre.
Voglio dire. Capitava di sbagliare una volta, ed era da stupidi sbagliare una seconda, ma alla terza ed alla quarta iniziava a diventare così imbarazzante che la tentazione di lanciarsi sulla parete scintillante delle sue lame, era davvero fortissima.
Invece. Invece.
Era lì, impegnata in un’intensa sfida di sguardi con Dracula, ad aspettare di essere presa per il culo ancora, perché evidentemente era nei geni maledetti dei Lowell l’essere puttane della sorte o chi per esso. L’unica cosa che avevano in comune lei e Nate: un cognome e una condanna.
Cristo SANTO, stava diventando SUO FRATELLO? Era terribile. Inconcepibile. La sola idea, la fece quasi alzare dalla poltrona per afferrare una katana, e darsi una fine dignitosa prima che fosse troppo tardi. Quale sarebbe stato il secondo passo, andare a lezione degli special e approcciare quinti anni? Pomiciare con sconosciuti di fronte ai bambini? Darden. Darden. Guarda - guarda cosa mi stai facendo.
Capite, perché la odiasse. Perchè volesse piantarle i coltellini da lancio (tutti e 16), gli shuriken (tutti e 8), i pugnali (tutti e 23), le daghe (tutte e 3), le katane (tutte e 5), le spade (tutte e 12), le asce (tutte e 4), i machete (tutti e 5) e perfino i sai (entrambi) nella carne, fino a che di lei non fossero rimaste neanche ossa da seppellire? Si sentiva del tutto giustificata e legittimata a voler porre fine a quella sofferenza.
Delirio. Delirio e follia, non sofferenza – DANNATO AUTOCORRETTORE. LEI NON SOFFRIVA! MAI! NEANCHE UNA VOLTA!
Eccetto quando lo faceva. Spesso. Ogni giorno. Di quel languore fottuto che stava lì, compresso fra una costola e l’altra, senza uno sfogo fisico per liberarsene.
Ci provava. Ci provava, ad ignorarlo. Anche in quel momento, piuttosto che soffermarsi sul silenzio del suo appartamento, preferì elencare al gatto di Darden tutti i modi in cui avrebbe scorticato la sua ex - aveva tenuto a sottolinearlo più volte – padrona, per poi rivendere i suoi tarsi al mercato nero per i feticisti gotici.
Poi lo sentì.
Anzi, no: lo percepì. Una vibrazione familiare nella parte più esterna della sua coscienza, quella che indipendentemente da tutto - indipendentemente da Jericho - rimaneva sempre all’erta alla ricerca di una forma conosciuta. Un colore specifico. Una sensazione precisa.
Drizzò la schiena sulla poltrona.
Scambiò un cenno con Dracula, invitandola con un movimento della mano a saltarle in braccio.
Ignorò il battito, infimo bastardo e traditore, sulla punta della lingua ed in gola, scegliendo di scendere nella sua sfera nulla che anticipava ogni omicidio commissionato. Con quelli passionali, e ce n’erano stati parecchi, non funzionava così bene. Aveva bisogno di [troy bolton’s voice] getcha head in the game.
LA PORTA JERICHO, LA PORTA – dannazione, doveva aprirla? Lasciarla socchiusa in maniera ominous? Tergiversò sul posto un paio di secondi, gli occhi a saettare dalla finestra alla maniglia.
Decise che il fato avrebbe fatto la sua parte, e ruotò la poltrona da gamer per dare le spalle all’entrata.
Inspirò. Espirò.
Espirò.
Espirò.
Darden, ma che CAZZO YOU HAD ONE JOB. I denti scattarono fra loro; fece per girarsi e rovinare tutta la scenografia, quando sentì le dita sul pomello.
Sorrise.
Non necessariamente un sorriso crudele; un segreto che Dracula avrebbe mantenuto.
Mind yall business.
La sentì fermarsi. Schiarirsi la voce. Non si voltò, le dita della destra gentilmente poggiate sul corpo del gatto, e quelle della mancine strette ad un coltellino da lancio perché non si sapeva mai. Magari la Russia le aveva rinfrescato le idee.
Haha. Se nella sua vita fosse andata male come sicario, avrebbe sempre potuto candidarsi a comica.
«ciao. sono tornata»
Pensa.
«ho pensato di portarti la colazione, nel caso non l'abbia già fatta»
Rimase in silenzio qualche altro secondo. Cercò di annusare l’aria, ma il sacchetto di carta soffocava i profumi. «è un muffin al triplo cioccolato?» il suo preferito; una volta, Darden lo sapeva. «non che mi importi.» le importava eccome. Con lentezza studiata, ruotò sulle ruotine della sedia fino a trovarsi dirimpetto all’emocineta. Dalla sua reggia – poltrona da gamer – la studiò a palpebre socchiuse, le dita a vibrare per le fusa di Dracula. Lanciò un’occhiata di sfida alla Larson, mostrandole che oramai il felino fosse suo, e la amasse più di quanto non amasse lei.
«ciao. sei tornata» osservò impassibile, perché fra Grifondoro era sempre cosa buona e giusta rimbalzarsi l’ovvio – fosse mai che si perdessero nella traduzione. Umettò le labbra, studiandola ancora. Qualcosa, qualcosa che non voleva sapere, solleticò i margini del suo potere; lo ignorò, perché non era – ancora, finché Darden non avesse voluto – affar suo.
Voleva pugnalarla. Non per forza per ucciderla, solo per farle un po’ male. Voleva essere arrabbiata. Voleva tante cose, la Lowell, ed alla fine le disse solo «per quanto?» perché di quello si trattava, no? «è il tuo marchio di fabbrica. andartene, dico» e tornare, e andarsene, e tornare, e andarsene, e per quanto ancora doveva farle quello. «per quanto?» ripetè allora, lasciando che la voce si facesse più calda ed arrabbiata - più Jericho che fottuta Lowell.