And when I felt like I was an old cardigan under someone’s bed, you put me on and said I was your favorite

ft.Ictus|Biblioteca♡︎

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    Erisha Byrne
    era passato circa un mese dal giorno in cui la sua vita, scolastica e sentimentale, era completamente cambiata, le sue compagne di stanza avrebbero detto in meglio e se qualche tempo prima erisha le avrebbe corrette ora forse gli dava ragione; dopo essersi liberata di quel peso enorme della propria sottonagine, il che includeva aver gettato nel camino le ultime cose che le rimanevano ovvero foto e diario segreto (non molto segreto a quanto pare), la cacciatrice corvonero si era sentita più leggera come se avesse finalmente reciso quel nastro che la teneva legata sentimentalmente al grifondoro.
    Ci aveva riflettuto, e si era vergognata dei propri comportamenti, si era definita da sola imbarazzante e per quanto Lilac le ripetesse che era solo innamorata le veniva da nascondere la testa sotto il cuscino ogni volta che ripensava a quanto era stata ridicola: il suo comportamento da ragazzina innamorata non aveva dato nessun frutto, semplicemente, aveva pensato, si trattava di un sentimento a senso unico, a volte ci si innamora delle idee che si hanno delle persone aveva scritto su una pagina del nuovo diario che si era regalata, quella volta ben attenta a nasconderlo dove nessuno lo trovasse per davvero, e si era resa conto di avere ragione, l’idea che si era fatta del suo ex ragazzo probabilmente non corrispondeva alla realtà, aveva preso una bella batosta ed andava bene così, si rendeva conto di star facendo le sue prime esperienze anche se in ritardo, in quel momento il suo cuore spezzato non faceva poi così male, anzi sembrava essersi rimesso insieme tenendo conto di ogni pezzo perso per strada.
    La leggerezza e spensieratezza di quella rottura ormai superata si leggeva sul viso della Byrne, quel sabato mattina infatti dopo essersi allenata ed aver indossato vestiti mondani rispetto alla solita divisa, jeans e camicetta bianca, si era recata in biblioteca con l’intenzione di restituire ”Cime Tempestose” che aveva preso in prestito la settimana prima e letto fra una commissione e l’altra, occhiali da vista, capelli non in ordine e solo un lucida labbra alla ciliegia per decorarle il viso, era decisa ad accaparrarsi un altro mattone dove potersi perdere su quel mondo fatto di lettere e parole che l’aveva fatta sognare nei giorni precedenti.
    Di solito il reparto dei libri babbani non era poi così affollato, ma complice il fatto che fosse sabato e che fuori non ci fosse una gran bella giornata la biblioteca risultava piena, non le piaceva camminare fra tante persone soprattutto da quando un giornale di gossip aveva scritto a caratteri cubitali della sua relazione finita qualche settimana prima, ma doveva trovare un posto, non sarebbe fuggita con la coda fra le gambe in camera sua per qualche mormorio, quindi dopo aver afferrato in fretta una copia di Madame Bovary, si disse che doveva sedersi per leggere in santa pace.
    Si guardò intorno per qualche minuto e adocchiò uno dei pochi posti liberi, era già occupato ma c’era un sacco di spazio, così a passo veloce si avvicinò alla sedia che avrebbe voluto occupare «posso sedermi? giuro che non ti do fastidio!» congiunse addirittura le mani per qualche secondo, poi gli occhi ambrati si posarono sulla persona a cui stava rompendo la quiete «Ma tu sei l’amico di Ben!!» che se ricordava bene loro chiamavano… Ictus o anche Goblin «Vediamo… di sicuro sei un Ben, quindi che ne dici di Bennie gli sorrise luminosa allungandogli una mano, per presentarsi «io sono Erisha, e queste sono per aver invaso il tuo spazio vitale, era una questione di vita o di morte» gli mise dinnanzi due gelatine alla frutta, di quelle che si portava sempre dietro, sorridendogli ancora e sperando non la cacciasse da lì, non avrebbe seduto di fianco a delle pettegole neanche morta





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    Benedictus Deogratias
    Sebbene ormai fossero passati anni, la biblioteca di Hogwarts continuava a riempirlo di meraviglia e di gioia. Razionalmente era una cosa sciocca, lo sapeva bene, ma il suo istinto, ogni volta che metteva piede in quell’ambiente polveroso e luminoso, non riusciva a capacitarsi come potesse esistere un posto del genere, di come si potessero trovare tutti quei libri in un solo luogo. A Bodie non esisteva una biblioteca. I (pochi) libri erano tutti in parrocchia e, per la maggior parte, fuori dalla sua portata. Solo una volta, arrivato al punto di poter recitare quelli a cui aveva libero accesso a memoria, tanto li aveva letti e riletti, si era arrischiato a prendere in prestito uno di quelli proibiti. Tuttavia, poi, ancora prima di aprirlo, si era sentito così in colpa da autodenunciarsi e restituirlo subito.
    L’idea di avere accesso illimitato (o quasi) a tutti quei libri, a Hogwarts e non solo, gli dava quindi ancora alla testa. E il sabato mattina, in particolare, era per lui quasi un rituale rintanarsi in biblioteca fino all’ora di pranzo, dove si sarebbe riunito agli altri Ben e avrebbero passato il resto della giornata insieme. Non che gli piacesse stare lontano dai suoi amici, anzi, sentiva terribilmente la loro mancanza ogni volta in cui si separavano, ma quel momento era solo suo. Ogni Ben, infatti, dedicava il sabato mattina a sé stesso, che si trattasse di torturare un povero malcapitato – fisicamente o verbalmente, dipendeva dalla Ben in questione, è ovvio –, di raccogliere fiori (e perché proprio Ficus) o, appunto, nel caso di Ictus, di afferrare l’ennesimo tomo e buttarsi su una delle sedie centenarie della biblioteca a leggere per ore.
    Quella mattina, dopo aver restituito il libro cominciato il sabato precedente e concluso nella settimana successiva, l’Altair si era addentrato tra gli scaffali alla ricerca della sua prossima lettura. Era così che gli era caduto l’occhio su quel libro. Quello che, più di un secolo prima, aveva arraffato ma mai aperto, morso dalla vergogna e dal senso di colpa. Si guardò intorno, preoccupato, quasi si aspettasse di veder saltar fuori il parroco, poi, con la mano che tremava, lo sfilò dalla libreria. Era solo un libro, in fondo, no? Non stava facendo nulla di male…
    Tuttavia, quando, poco dopo, seduto al suo tavolo preferito, quello un po’ defilato, vicino a una delle grandi finestre della biblioteca, lo aprì, si sentì nuovamente invadere da quel sentore di proibito. Sospirò e si agitò, cercando invano una posizione più comoda, ma comunque composta, per le gambe troppo lunghe. Non si era mai sentito del tutto a proprio agio nel suo stesso corpo, ma, negli ultimi anni, la cosa non aveva fatto che peggiorare. Troppo alto. Troppo magro. Troppo sgraziato. Troppo tutto.
    Alla fine, però, la lettura ebbe la meglio. Per un po’, almeno. In un primo momento non prestò troppa attenzione al rumore di passi in avvicinamento, sebbene, come suo solito, finì istintivamente per entrare in uno stato di allerta. «posso sedermi? giuro che non ti do fastidio!» Quella voce…
    Ricordava perfettamente, Ictus, quando aveva sentito quella voce per la prima volta. Così come ricordava tutte le successive, una per una. Ricordava i particolari di quel viso, gli occhi ambrati contornati dalle lunghe ciglia scure, le labbra che avevano appena appena parlato, le labbra che, ora, gli sorridevano. Un momento. Sorrideva a lui? Parlava a lui?
    Sbatté le palpebre, i pensieri totalmente azzerati. Erisha Byrne, la capitana corvonero, gli stava parlando. Anzi, gli aveva addirittura appena fatto una domanda. Cercò di rispondere, ma evidentemente aveva dimenticato come si faceva a parlare. Tutto quello che gli riuscì fu un cenno di assenso impacciato con la testa. Ma era davvero sicura di volersi sedere lì? Accanto a lui?
    «Ma tu sei l’amico di Ben!!» Sgranò gli occhi, senza pensare che, così facendo, sarebbero risultati ancora più grandi e inquietanti di quanto già non fossero normalmente, per osservarla tra il confuso, il preoccupato e il sorpreso. Forse Ben aveva combinato qualcosa, ma… Erisha Byrne, la ragazza dal cuore spezzato, si ricordava di lui. «… Bennie Rise, Ictus, ritrovando finalmente la voce. All’incirca, almeno. Perché un attimo dopo avvampò, rendendosi conto di aver appena fatto un’uscita totalmente stupida.
    E perché Erisha Byrne, la ragazza più bella del suo mondo, gli stava sorridendo. Per un attimo fu sul punto di svenire, ma poi, per chissà quale grazia divina, riuscì a sfiorarle appena la mano, imprecando contro sé stesso nel sentire la propria gelata e sudata al tempo stesso e pregando perché non si accorgesse del tremito che l’aveva percorso in quel brevissimo contatto. «Non devi…» Presentarsi? Certo, chi nella scuola non la conosceva? Offrirgli quelle caramelle? Sì, non avrebbe dovuto sprecarle così. Stare lì con lui? «G-grazie.»
    Perché Erisha non era scappate a gambe levate? Una come lei era giusto che stesse lontana chilometri e chilometri da uno come lui. Eppure, egoisticamente, non riusciva a pensare a nulla di più bello di averla lì, seduta al suo fianco. Cercò di trovare le parole giuste, ma il suo cervello era andato a Honolulu con il professor Faustus. Almeno finché il suo sguardo non cadde sulla copertina del libro che Erisha teneva tra le mani. «Seguendo le teorie nelle quali credeva, ella cercò di crearsi l’amore…», mormorò pensoso, il viso nuovamente arrossato. «Madame Bovary Le sorrise, sincero, cercando di ignorare l’imbarazzo che gli faceva bruciare le guance. «Non so se mi sia piaciuto davvero, sai? L’ho trovato… strano Rise appena, abbassando lo sguardo. Da quale pulpito parlava, proprio lui...
    Era un cliché vivente, lo sapeva bene. Ma non poteva farci nulla.
    Il goblin e la ragazza più bella della scuola.
    Benedictus Deogratias aveva una grande, immensa, colossale cotta per Erisha Byrne.
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    Erisha Byrne
    Al cenno di assenso fatto da Benedictus, Erisha sedette quasi esausta al suo fianco.
    Non avrebbe mai pensato che camminare in biblioteca, trovare un posto e sedersi fosse così difficile, le sembrava di aver tirato la pluffa tra gli anelli molte più volte di quanto faceva di solito, mancavano solo i dolori alle braccia e alle gambe; venne richiamata all’attenzione dalla risata del suo, ormai, compagno di lettura dopo che lei aveva proposto di chiamarlo Bennie «oddio scusami!! è per il nome, vero? chiamandoti Ben mi sembrerebbe di parlare con quell’altra Ben, ma se vuoi che ti chiami così posso farlo senza problemi!» un discorso un po’ confusionario, che era dovuto all’imbarazzo del momento, non era la prima volta che erisha parlava in modo veloce e sconclusionato, succedeva soprattutto quando era in soggezione o sotto pressione, pensò di aver davvero fatto brutta figura, e a conferma della sua teoria c’era il fatto che il ragazzo a malapena afferrò la sua mano «Non devi…», non gli piacevano nemmeno le caramelle? Un’ altra gaffe, fu il suo turno di arrossire, quasi si nascose dietro il mattone che teneva tra le mani, come poteva non azzeccarne una? «G-grazie.» e… un momento l’aveva appena ringraziata? «Oh non devi ringraziarmi! anzi, sono io che ti ringrazio, dopotutto stavi qui per conto tuo e mi sono intrufolata quasi senza permesso» poggiò un gomito al tavolo e il capo sul palmo della mano, seguì la linea del suo sguardo e si accorse che… stava osservando la copertina del suo libro, e se poco prima le guance si erano leggermente colorate di rosso a quel punto avvampò e sentì le gote bruciare, l’avrebbe presa in giro come faceva Ben non tanto velatamente? Era risaputo che Bennet non apprezzasse quel tipo di letture particolarmente… rosa, e anche che desse ad erisha della sempliciotta per il fatto che adorasse quel genere di cose, insomma non poteva farci nulla se era un’inguaribile romantica che si scioglieva davanti a quel genere di romanzo «Seguendo le teorie nelle quali credeva, ella cercò di crearsi l’amore…Madame Bovary!», e lì probabilmente lo sguardo di erisha si illuminò, non solo non l’aveva presa in giro ma addirittura l’aveva letto!! al contrario di lei che poteva contare nella sua biblioteca personale solo Cime Tempestose e Ragione e Sentimento, non riuscì a trattenere un sorrisetto eccitato e, inconsciamente, si fece automaticamente più vicina al ragazzo «Lo hai letto?! per me è la prima volta che lo apro…» si mordicchiò leggermente il labbro inferiore, mentre apriva la copertina rigida del libro e leggeva il titolo stampato sulla carta, poi riportò lo sguardo verso di lui «Non ho nessuno a cui piaccia il genere e, sinceramente, mi sembra un po’ stupido continuare a farneticare su sdolcinatezze del genere» sospirò mentre riportava un ricciolo ribelle dietro l’orecchio «ma non ne posso fare a meno» si lasciò leggermente andare sul braccio poggiato al tavolo, rimanendo col viso voltato verso Benedictus «Non so se mi sia piaciuto davvero, sai? L’ho trovato… strano.», mh, aveva già trovato qualche opinione contrastanti su internet, unico amico fidato al quale si affidava per decidere le sue letture, ma aveva comunque deciso di dare un’opportunità a quel libro perché nemmeno lei era sicura di sapere cosa fosse esattamente l’amore, non era certa che quello che ci fosse scritto in Madame Bovary le avrebbe chiarito le idee, ma di sicuro le avrebbe aperto altre prospettive, o almeno lo sperava «e invece… hai letto Cime tempestose? quello a me è piaciuto molto» magari aveva trovato qualcuno con cui condividere opinioni su quei libri di cui tanto si vergognava, ne sarebbe stata davvero felice, almeno avrebbe finito di annotare sul quaderno che si portava sempre dietro i suoi pensieri ed opinioni.


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    Benedictus Deogratias
    Poteva sforzarsi quanto voleva, ma non ci sarebbe riuscito. Il cervello gli si era impallato su quell’enorme particolare, così grande e importante da mettere in ombra tutto il resto. Non solo Erisha Byrne stava respirando la sua stessa aria – cosa che, d’accordo, tecnicamente faceva sempre, certo, ma di solito non poteva sentire il profumo di lei invadergli le narici e dargli alla testa, motivo per cui, adesso, istintivamente cercò di respirare meno, per non rubarle nulla – ma gli stava parlando. Forse non avrebbe dovuto essere così sorpreso, perché in fondo la corvonero era tutt’altro che snob e lui lo sapeva benissimo (tanto che, una volta, aveva persino osato farlo notare a Mona. Lui. A Mona!!!). Tuttavia un conto era non esserlo e un altro avere a che fare con lui. Ictus era un ingenuo e quasi del tutto incapace di vedere il male nelle persone, ma certe cose erano così palesi che, alla fine, persino lui arrivava a notarle. Sapeva come lo guardavano gli altri. E con altri intendeva buona parte della scuola, Ben10 a parte. Ed erano i suoi stessi amici, la sua famiglia d’elezione, a chiamarlo Goblin, a chiamarlo…
    «Ictus», mormorò solo quando Erisha smise di parlare, non volendo assolutamente interromperla. In che senso si era scusata con lui? Di solito, se non sempre, succedeva il contrario: era lui a scusarsi con le persone. Strinse le labbra imbarazzato, consapevole di star facendo la figura dell’idiota. Non che la cosa fosse molto lontana dalla realtà, probabilmente, anzi, però… «Voglio dire che… insomma…» Sbuffò piano, imbarazzandosi ancora di più. «Scusa! Cioè, ecco, sì. Scusami tu, se mai. Non io a te?? È che… Sì, siamo tanti, noi Ben, ma è difficile confonderci??» Di male in peggio. Rise piano e scosse appena il capo. «E nessuno mi chiama… Bennie?» Gli sfuggì un’altra piccola risata, tra il divertito e l’imbarazzato e il compiaciuto, sebbene non avesse ancora realizzato del tutto che Erisha gli aveva appena dato un soprannome nuovo. «Di solito per tutti sono… Ictus, appunto.» Si morse le labbra. Non voleva dirlo, ma gli scappò comunque: «O Goblin».
    Eppure, nonostante quella confessione, la corvonero gli si era seduta accanto, ribaltando nuovamente la situazione alla quale era abituato. Era lui che ringraziava tutto e tutti – e ovviamente, sopra ogni altro, il Signore – e gli piaceva anche farlo, lo faceva sentire bene. Ma essere ringraziato? E da lei? Abbassò lo sguardo impacciato e si strinse nelle spalle. «Ma no… la biblioteca è di tutti…» Senza alzare gli occhi, giocherellò con il libro che aveva davanti, un piccolo sorriso sulle labbra. «È uno dei motivi per cui piace tanto venirci… Tutti questi libri… alla portata di tutti…!» Razionalmente sapeva che era una cosa scontata, ma non lo era per lui.
    Così come non era scontato essere vicino a una ragazza. Già quello, in effetti, sarebbe stato strano – se si escludevano le sue amiche. D’accordo, le sue amiche tranne Mona, dalla quale sapeva di dover sempre mantenere almeno un metro di distacco; dopotutto, lei lo aveva addestrato bene, come si fa con i cani, a cui si insegna a non salire sul letto o sul divano. Ma quella seduta lì vicino a lui non era una ragazza qualsiasi. Era LA ragazza. Di tutta la scuola, sì, ma soprattutto dei suoi sogni. Realizzandolo per l’ennesima volta si sentì andare a fuoco e non poté neanche sperare che lei non lo notasse, perché erano dannatamente vicini, almeno per i suoi standard. Cosa che, manco a dirlo, lo fece arrossire ancora di più.
    Furono proprio i suoi amati libri a salvarlo. All’incirca, almeno. Se non altro, gli permisero di ritrovare la voce, ignorando, più o meno, la tempesta che gli imperversava dentro. «Lo hai letto?! per me è la prima volta che lo apro…» Annuì e spontaneamente le sorrise. Nonostante l’imbarazzo, non riuscì a non fissare prima le sue labbra, mentre lei le mordicchiava, poi le sue mani, così piccole e delicate, che sfioravano il frontespizio di Madame Bovary. Il sangue gli ribollì nelle vene, letteralmente, quando si chiese quanto morbide fossero quelle labbra e gentili quelle mani.
    «Non ho nessuno a cui piaccia il genere e, sinceramente, mi sembra un po’ stupido continuare a farneticare su sdolcinatezze del genere» Sbatté le palpebre, tornando alla realtà, le orecchie che gli ronzavano per il sangue in circolo. Era veramente un mostro. «Perché?», gli uscì quindi senza rifletterci, genuinamente perplesso. Solo a quel punto realizzò. «Nonono!! Scusa!!» Mona aveva ragione a dargli del deficiente. Perché non gli funzionava il cervello?? (Eh………….) «È che… non lo trovo stupido? Nel senso… perché non dovresti, se ti piace? Se ti fa… sentire bene? Non fai del male a nessuno…» La osservò, dapprima teso, ma via via sempre più preoccupato e dispiaciuto. «… a parte te stessa…» «ma non ne posso fare a meno» Dalla ciocca di capelli il suo sguardo si spostò su quello di lei. Le sorrise, impacciato, facendole un cenno del capo. Non sarebbero stati umani, senza alcun vizio...
    Ictus lo sapeva bene. In primo luogo proprio per via di Erisha Byrne. Non che lei avesse alcuna colpa, anzi! Il colpevole, in tutti i sensi, era lui. Ma i libri… anch’essi lo intossicavano, proprio come la ragazza. «e invece… hai letto Cime tempestose? quello a me è piaciuto molto» Scosse il capo, riprendendo inconsciamente a giocherellare con il suo libro. «È vero che ci sono anche delle anime? Insomma, dei fantasmi…» Senza rendersene conto stava cercando, come suo solito, di farsi piccolo sulla sedia, cosa però quasi del tutto impossibile, data la sua altezza. Sospirò e, imbarazzato e colpevole, ridacchiò. «Sono un po’… suscettibile, sull’argomento…»
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    Erisha Byrne
    aveva accavallato le gambe, poggiato la bacchetta sul tavolo e scoperto la nuca tenendo su i capelli con una pinza che era la sua migliore alleata quando tornava in biblioteca, era piacevole stare seduta accanto a Benedictus, aveva il potere di tranquillizzarla e farla sentire a proprio agio senza fare nulla in particolare «Voglio dire che… insomma…Scusa! Cioè, ecco, sì. Scusami tu, se mai. Non io a te?? È che… Sì, siamo tanti, noi Ben, ma è difficile confonderci??» Erisha ridacchiò, era probabilmente colpa sua, che l’aveva messo in imbarazzo con un soprannome che non era di suo gradimento «è colpa mia, ti ho dato un soprannome senza nemmeno chiederti se ti piacesse» alzò le spalle e iniziò a scartare una gelatina, alla fragola, le uniche che mangiava, dall’involucro «Ictus va bene, se a te piace» gli sorrise, porgendogli la gelatina senza carta, era un modo per farsi perdonare? certo, offrire la sua gelatina preferita, senza carta, era un gesto che faceva con le persone a cui teneva di più, si sentiva anche un po’ ridicola quando lo faceva, visto che era un’azione che poteva essere associata ad una bambina di dieci anni su per giù, ma era il suo modo di dimostrare gratitudine o affetto e non avrebbe smesso, chissà se ictus l’avrebbe presa per una svitata o per una sempliciotta «Ma no… la biblioteca è di tutti…» Erisha scosse il capo mentre arrotolava con l’indice una ciocca di capelli sfuggita alla pinza, ancora in imbarazzo per essersi praticamente seduta accanto ad Ictus senza lasciargli una scelta ed averlo chiamato Bennie, se lui non avesse voluto più parlarle per il resto dell’anno scolastico non l’avrebbe di certo biasimato «è di tutti, certo, ma chi tardi arriva male alloggia» fece una leggera pressione col labbro superiore su quello inferiore, prima di continuare «e tu non ci hai pensato due volte prima di farmi posto, quindi dovevo ringraziarti» cercò di sbirciare quello che lui stava leggendo, prima che lui dicesse che gli piaceva quel posto perché c’erano tanti libri alla portata di tutti «anche io lo penso! dei libri alla portata di tutti, da sempre un senso di pace poter leggere quello che vuoi quando vuoi» perché a casa sua non era di certo così, i libri babbani erano severamente proibiti, e gli unici che le erano passati fra le mani erano quelli di incantesimi o semplicemente materiale scolastico, era così che era riuscita a praticare l’animagia, con suo cugino «Perché?… Nonono!! Scusa!!» Eri poggiò un piede sulla panca che condividevano, portando una delle ginocchia al petto, non prima di essersi accertata che nessuno stesse guardando e potesse sgridarla «non scusarti!! era una domanda lecita» ridacchiò poggiando una mano sulla sua, d’istinto, per rassicurarlo, per poi rendersi conto di quello che aveva fatto e ritirarla subito, con le guance rosse «non faccio male a nessuno, hai ragione, non dovrei vergognarmene ma a volte mi preoccupo troppo di ciò che pensano gli altri» ecco, con ictus si sentiva libera di dire ciò che voleva senza paura di un giudizio errato o affrettato «sono un po’ sempliciotta e credo nel ”vissero felici e contenti” non ci posso fare nulla» era per quello che aveva letto anche le fiabe dei fratelli grimm, che erano più inquietanti di quanto si aspettasse in realtà.
    E poi, le chiese di cime tempestose «È vero che ci sono anche delle anime? Insomma, dei fantasmi…Sono un po’… suscettibile, sull’argomento…» tamburellò le dita della mano destra sul tavolo, mentre le labbra si piegavano in un sorriso dolce «non si tratta di anime in quel senso» la gamba che aveva in precedenza portato al petto andò a calarsi verso il basso in modo che la corvonero potesse avvicinarsi come a volergli confessare un segreto «si tratta di… anime gemelle, due persone che si incontrano e realizzano che le loro anime sono uguali» e probabilmente, se prima aveva solo le guance rosse, in quel momento lo diventarono anche le sue orecchie «che si rendono conto che sono fatte per stare insieme, e che stare separati fa più male di una ferita» gli occhi color ambra cercarono quelli di ictus «potremmo… leggerlo insieme? se ti va ovviamente»

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    Benedictus Deogratias
    Razionalmente sapeva che nulla di quello che Erisha stava facendo era strano o sconvolgente. Anzi. Eppure, per lui che si agitava anche solo al pensiero di stare respirando a distanza decisamente ravvicinata la stessa aria di lei, ogni sua mossa aveva la stessa capacità di sovvertire ogni cosa di un terremoto. Per cui si dimenticò di respirare per parecchi istanti, per poi riprenderlo a farlo troppo in fretta, e di colpo, quando la vide accavallare le gambe e tirarsi su quella cascata di onde scure. Si chiese come fosse possibile che esistesse una nuca tanto perfetta, dalla leggera conca che, ne era sicuro, doveva avere la stessa inclinazione della sezione aurea, alle ciocche sicuramente soffici ben più di una piuma. E il suo profumo… la sua risata…
    Un momento, si stava incolpando? Lei? Quando lui faceva quei pensieri da peccatore o – com’è che li chiamava Paris? Da pervertito? Sentì le guance bruciare e dovette impegnarsi a fondo per collegare il suono delle parole al loro senso. «Ictus va bene, se a te piace» «Io non… lo so?» Sbatté le palpebre, confuso. «Insomma, in parte sì, perché me l’hanno dato i miei amici.» Sorridendo intenerito abbassò un attimo lo sguardo. «Ma non ci ho mai davvero riflettuto… Però Bennie… va benissimo???» Perché, in questo caso, gliel’aveva dato lei. E… «Perché è… carino?? Mille volte meglio di… Goblin, ecco.» Ridacchiò arrossendo e si strinse nelle spalle. «Forse… anzi… sicuramente… anche di Ictus, in effetti. Se uno non sa da dove viene è…» Fissò prima la caramella, poi Erisha, poi di nuovo la caramella, quindi si indicò, sorpreso, come a chiedere se fosse per lui. Pregò con tutte le sue forze che lei non notasse quanto gli tremava la mano, quando, qualche istante dopo, la avvicinò alla sua per prenderla, cercando di fare più attenzione possibile a non sfiorarle la pelle. Non voleva fare nulla che potesse importunarla e, egoisticamente, aveva anche paura delle proprie reazioni. «Ne hai una anche per te, però?», chiese quando ormai era troppo tardi e la gelatina era tra le sue dita, guardandola dispiaciuto. «Grazie…» Ormai era fatta, quindi se la appoggiò sulla lingua, sforzandosi di non pensare che prima era stata in mano a lei – e fallendo miseramente. «Fragola! La mia preferita!»
    Forse grazie allo zucchero (una delle tante cose a cui, nonostante fossero passati anni, non si era ancora abituato del tutto, motivo per cui, spesso e volentieri, gli faceva un po’ l’effetto della droga di Pandi), forse perché, proprio per tentare di scacciare l’imbarazzo, prese a parlare un tantino troppo a macchinetta, finì per trovare il coraggio di, appunto, parlarle. E quale argomento migliore, Gesù a parte, della biblioteca e dei libri? Era tutt’altro che esperto e lo sapeva bene, ma si sentiva vagamente sicuro, in quel campo, perché almeno era qualcosa che gli piaceva e dove non aveva paura di esplorare. Più o meno.
    Le parole di Erisha, però, a differenza dei suoi gesti, che razionalmente sapeva essere del tutto normali, erano straordinarie. Non che avesse mai avuto dubbi a riguardo, ma averla lì, accanto a lui, a parlare proprio con lui, non fece che dimostrarglielo. Non solo lo ringraziò ancora, suscitando tutto il suo stupore e il suo imbarazzo, ma si disse d’accordo con lui sulla bellezza delle biblioteche e della lettura.
    Sembrava così tranquilla, così rilassata… Era sorpreso di farle quell’effetto, visto che, lo sapeva bene, non erano pochi a trovarlo inquietante, per non usare altre parole, specie come faceva anima!Sara, sempre pronta a essere la voce della verità al suo orecchio. Però la cosa lo rendeva stranamente e, lo sapeva, ingiustamente orgoglioso, e contento. Si sforzò di non fissarle la gamba, all’improvviso così vicina, irrigidendosi appena e tentando nuovamente, in modo del tutto inutile, di farsi piccolo sulla panca. «non scusarti!! era una domanda lecita» Era pronto a scusarsi di nuovo, e persino a spiegarle il perché con nome e cognome (ciao Lollo), ma quella era la mano di Erisha sulla sua. Sì. La mano di Erisha sulla sua.
    Un fremito lo percorse anche in punti che nemmeno sapeva di avere.
    Lei ritirò la mano.
    «No…» Per la mano? Per le scuse? Per entrambe? «… Non è giusto dover parlare di qualcosa di cui non si vuole solo perché dall’altra parte qualcuno è invadente…» «non faccio male a nessuno, hai ragione, non dovrei vergognarmene ma a volte mi preoccupo troppo di ciò che pensano gli altri» «Aspetta… tu ti preoccupi di quello che pensano gli altri? T-tu?» Non c’era accusa, nel suo tono, tutt’altro. Era solo… profondamente sorpreso. Ma poi ecco emergere il senso di colpa. «Perdonami, non avrei nemmeno dovuto presupporlo, perché tutti possiamo sentirci insicuri e impauriti… Soprattutto chi è più degli altri sotto gli occhi di tutti…», cercò di spiegarsi e di rimediare, con però, probabilmente, solo il risultato opposto. Non avrebbe dovuto dare per scontato che Erisha fosse sicura di sé e mai preoccupata dal giudizio altrui perché popolare, intelligente e bellissima; al contempo, proprio perché popolare era naturale che, infinitamente di più di una nullità sfigata com’era lui, si sentisse costantemente sotto i riflettori, con una platea pronta a giudicare ogni suo respiro.
    Erisha era tutto questo, certo, ma era anche molto di più. «sono un po’ sempliciotta e credo nel ”vissero felici e contenti” non ci posso fare nulla» Sebbene ancora agitato e imbarazzato per l’uscita infelice che aveva appena fatto, sentendola dire così si sciolse e le sorrise raggiante. «Ci credi perché è vero! Tutti avremo il nostro felici e contenti… Perché tutti se lo meritano!» Ne era profondamente convinto, non era solo qualcosa che si ripeteva, la notte, quando certi pensieri emergevano dall’oscurità. «In questo mondo o nell’altro, saremo tutti felici e contenti, perché in fondo c’è del buono in ognuno…»
    E, a proposito di vita dopo la morte, finì per chiederle delle presenze che popolavano Cime tempestose. All’inizio era davvero concentrato, così concentrato da essersi quasi rilassato, nonostante l’estrema vicinanza di lei. Ma poi Erisha mosse la gamba e, con un gesto fluido, gli scivolò più vicina. Ictus, dal canto suo, si immobilizzò, se non fosse che tutto il suo corpo prese a tremare come in preda alla febbre. In effetti, era proprio così che si sentiva: febbricitante. «si tratta di… anime gemelle, due persone che si incontrano e realizzano che le loro anime sono uguali, che si rendono conto che sono fatte per stare insieme, e che stare separati fa più male di una ferita» Malato.
    Il respiro di lei, il suo profumo, a quella distanza praticamente inesistente, ormai, erano inebrianti. Come facevano le persone a starle vicine senza impazzire? La sua amica Neffi, ad esempio, che le stava sempre attaccata… non le girava la testa? Non si sentiva come se il Paradiso avesse permesso di raggiungere il cielo più lontano, sedendo tra i santi e i beati ad ammirare la Sua bellezza? O nel bel mezzo delle fiamme dell’Inferno, e al contempo nelle profondità dei suoi ghiacci, come i peggiori tra i traditori? Perché lui si sentiva così, e tutto insieme. <b>«C-capisco…»
    Tentò di riprendere fiato, ma l’aria gli sembrò troppo densa per riuscirci davvero. «O meglio… vorrei capire… provarlo…», ammise, inumidendosi le labbra secche. «Dev’essere bellissimo e terribile…»
    Perché la sua, di anima, era la sola a provare quelle cose, per quella persona, e così sarebbe stato sempre.
    Ecco perché, fin troppo entusiasticamente, annuì alla sua proposta, con così tanta enfasi da allentare l’elastico che gli legava il codino. «Facciamolo! Insieme!»
    When you smile,
    I melt inside.
    I’m not worthy
    for a minute of your time…

    Ben10Altair16 y.o.


    Sara: veloce e indolore!
    Sempre Sara: hello darkness my old friend....................................
     
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5 replies since 28/3/2023, 01:01   274 views
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