All my lights have gone dim.

charles x amélie x viktor

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +5    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,097
    Spolliciometro
    +1,003

    Status
    Offline
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    «chrìst» lo diceva ogni volta, ogni fottuta volta i suoi occhi incrociavano quel riflesso affatto familiare sullo specchio. Ci avrebbe mai fatto l'abitudine? Probabilmente no, ma non che avesse altra scelta.
    Quando aveva lasciato Hogwarts mesi prima, promettendo che non vi avrebbe mai più messo piede, era davvero convinto di potersi lasciare ogni cosa alle spalle, di poter ricominciare. Paradossalmente, ci credeva ancora. Non era proprio una certezza, più una speranza, un infimo bagliore in mezzo a quel caos che la sua vita era sì sempre stata, ma che di recente non aveva fatto altro che peggiorare.
    Aveva imparato ad accettare l'idea che il suo futuro non sarebbe stato brillante come aveva sognato, ad accantonare i propri progetti, ad intrufolarsi al San Mungo di nascosto per poter scorgere per qualche istante sua madre, a non poter più comunicare con Viktor se non tramite qualche regalo che, anonimamente, riusciva a fargli recapitare di tanto in tanto, solo per ricordargli che era ancora lì, che non l'aveva abbandonato di nuovo. C'erano tante cose che avrebbe voluto fare, cose che aveva sempre sottovalutato ma che, a quel punto, sentiva mancargli disperatamente: un'altra sigaretta assieme a Perses, una colletta alcol clandestina con Heather, la possibilità di chieder scusa ad Amélie, riprendersi la famiglia che gli era rimasta e farla finita con le stronzate, iniziare a farne parte davvero. Erano tutte cose che si era precluso nell'istante in cui aveva mollato Hogwarts, in cui aveva scelto di seguire Iden, ma ancora, nonostante tutto, non se ne pentiva. Forse avrebbe avuto senso se quella convivenza forzata avesse portato a qualcosa, se l'aver mandato in aria la sua vita gli avesse quanto meno garantito la felicità che aveva compreso di poter trovare solo in quel dannato Corvonero - perché era sempre un Corvonero a incasinargli le cose -. Ma non era stato così. E dire che avrebbe dovuto saperlo, perché neppure una volta aveva avuto l'impressione che le cose sarebbero potute andare meglio di com'erano poi effettivamente andate, ma l'aveva fatto lo stesso. Per amore, per stupidità, per follia — difficile a dirsi ma, in ogni caso, non aveva più importanza.
    Non era stato facile venire a patti con l'evidenza di non potercela fare, di non essere in grado di condividere ventiquattr'ore su ventiquattro la stessa aria di Iden e vederlo mandare in rotoli la sua vita, sapere di non potere averlo come avrebbe voluto, discutere con lui per ogni più stupida frase buttata per caso in una conversazione fine a sé stessa. Ci aveva provato, ci aveva provato davvero, perché voleva talmente tanto che funzionasse da aver scelto di dimenticare tutto il resto solo per quello, solo per una relazione che non aveva mai neppure accennato a decollare. Ed alla fine aveva perso. Come sempre con Iden, come sempre.
    Neanche accettare di tornare tra quelle maledette mura era stato facile. Per orgoglio, per la consapevolezza di ciò che si stava lasciando alle spalle, per ciò che avrebbe comportato. Ma che altra scelta aveva? Restare con Iden era diventato impossibile, tornare in Francia per chiedere aiuto a coloro che avevano voltato le spalle a sua madre anni prima era l'ultimo dei suoi pensieri, e non c'era un solo posto sicuro per lui se non quello, lì dove era iniziato tutto, protetto da una causa a cui non aveva mai neppure creduto davvero ma per cui aveva scelto di rischiare.
    E faceva male non potersi più riconoscere allo specchio, fingere di essere una persona che non era, affrontare giornalmente decine di occhi familiari e comportarsi come se non li avesse mai visti prima d'allora. Ma faceva meno male dell'idea di tornare alla Stamberga. Quello poteva sopportarlo, quello almeno gli dava la possibilità di avere nuovamente vicina la sua famiglia, anche se non come avrebbe voluto.
    Il problema era trovare il modo giusto per avvicinarli, per spiegare.
    E non aveva trovato altra soluzione, niente che potesse garantirgli di non risultare sospetto, niente che potesse convincerli a presentarsi ad un improbabile appuntamento, se non un impersonale biglietto scritto non certo da Charles Dumont, ma da Eméric Lacroix, il nome che presto o tardi avrebbe dovuto imparare a sentire come proprio.
    Lasciata la sua stanza ed ingollato l'ennesimo sorso di Pozione Polisucco, salì le scale per la Torre dell'orologio e lì attese, poggiato al davanzale di uno dei portici, cercando con lo sguardo l'ingresso sotto al Platano Picchiatore.
    I'm just a broken
    machine, not who
    I used to be.
    Eméric Lacroix
    charles dumont
    20 yo
    french
    assistant
    liar
     
    .
  2. wabi·sabi
        +5    
     
    .

    User deleted


    amélie Marlène dumont // dear brother
    Era indefinibile il tempo trascorso dall'ultima volta che si erano incontrati, Amélie stentava quasi a credere all'idea di trovarsi ancora in inghilterra per cosa? Certo non per la ragione per cui vi si era recata, suo fratello.
    Il loro incontro, breve e sfuggente non le aveva causato nient'altro che dolore. Un ulteriore conferma del fatto che la sua famiglia fosse andata in pezzi tanti anni or sono -per quello che era riuscita a scoprire- ancor prima che lei venisse al mondo. Ma allora cosa la spingeva a stare ancora in quel luogo, in cui non aveva affetti, legami, in qui nemmeno quell'unico fratello -che nemmeno si era preso lo briga di riconoscerla- si trovava dopo l'inevitabile fuga dal castello dovuta alla ribellione avvenuta alle porte del nuovo anno.
    Era sparito, senza lasciar nessuna traccia di sè, senza una spiegazione per quelle poche persone che lo avevano a cuore, tra cui Vik. Il dolce, premuroso e grazie a dio qualcuno in questa vita a modo suo affettuoso Vik, Viktor Dallaire la sola persona per cui avesse ritenuto opportuno restare. Non che fossero diventati d'un tratto amici del cuore, ma era l'unico supporto che avesse in quella scuola, non aveva ben capito che rapporto li legasse, forse cugini? Alla lontana? Tanto, però, le bastava per non mollare tutto e tornare a casa.

    Stanca di sprecare il proprio tempo chiusa in quella stanza pensò di alzarsi e fare una passeggiata fuori, ma mentre si avvicinava alla porta si accorse si avere ai suoi piedi un bigliettino, lo raccolse confusa e lesse l'annotazione frettolosa in cui le si dava appuntamento di lì a pochi minuti alla torre dell'orologio, firmato Lacroix. Quel nome appena letto le era suonato familiare, si trattava di un assistente giunto ad Hogwarts da non molto tempo. Si chiese subito per quale ragione la volesse incontrare e perchè l'avesse convocata in quel modo così insolito. La curiosità si fece ardente e prendendo lo stretto necessario si incamminò verso il luogo di incontro.

    Non appena arrivata lo vide, adagiato al davanzale guardare fuori dalla finestra, sentì dei passi alle sue spalle e vide avvicinarsi Viktor, lo guardò con fare interrogativo, ma egli alzò le spalle disorientato quanto lei. Non avrebbe resistito ancora allungo così voltandosi nuovamente verso il giovane richiamò la sua attenzione Professore...?

    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Be bold
    Be arrogant
    Be cheeky
    BE FRENCH
    hey brother - avicii
    Mean
    French
    16 yo
    ravenclaw




     
    .
  3.     +4    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    Svegliarsi nel dormitorio Corvonero, stretto al corpo bollente di Hunter, era una sensazione bellissima. Sentirlo sotto le dita, percepirlo reale, avere finalmente il sentore che tutto stesse andando finalmente bene sapeva di quella tranquillità che tanto aveva ricercato, ma che non era mai stato in grado di trovare. Non c’era spazio per i drammi, in quel baldacchino dalle tende tirate; bastava quello spiraglio di normalità per renderlo felice, per mettere una pietra sopra a tutto il male ricevuto, a tutti i colpi bassi conficcati nel cuore. Rimanere tra quelle lenzuola, affondando il viso nell’incavo di quel collo martoriato di baci e succhiotti, era più di quanto avesse mai fatto. Il sesso era sempre stato facile perché bastava sparire, non lasciare traccia di sé la mattina successiva, facendo capire al partner occasionale che era stata solo una notte e nulla di più. Hunter non era quello.
    Era il sole, quello che filtrava dalla finestra e che illuminava fievolmente la stanza. Era il cinguettio degli uccellini sul davanzale. Era il respiro quieto del sonno, le ciglia lunghe ed il naso all’insù. Era poesia, una di quelle malinconiche ma pur sempre romantiche, di una dolcezza lasciata sott’intesa ma perfettamente udibile. Era stato passione, tra le sue cosce, quella notte.
    Ed era bello, una constatazione quasi superficiale se unita a tutte le altre sfumature, ma non aveva potuto fare altro se non pensarlo, sveglio e attento, con le iridi azzurre intenerite da quella visione intima, dalla fiducia con cui l’altro gli avesse dormito accanto. Il sorriso, tenue ed emozionato che gli aveva stirato le labbra, sincero come lo erano i sentimenti che provava per l’Oakes, aveva il gusto di zucchero; o forse erano state le labbra poggiate sulla spalla dell’altro ad addolcirgli il risveglio, la reazione stupita della sua presenza, borbottando prima un «Halley, non sbavare» comico, quasi che per lui fosse stato un sogno vivido dal quale doveva solo svegliarsi «Buongiorno, mon amour» gli aveva sussurrato sulle labbra, prima di baciarlo.

    Era così che voleva svegliarsi ogni mattina.
    Era così che voleva sentirsi ogni giorno. Felice. Sereno. Spensierato. Non con il peso di un’esistenza già troppo tediosa per un ragazzo di appena diciassette anni. Tuttavia era impossibile che si sentisse bene.
    Se la presenza di Hunter risultava essere terapeutica, impedendogli così di farsi volutamente del male, non poteva di certo stargli vicino più del consentito. Erano attimi di smarrimento, i suoi. Momenti in cui tornava l’uomo nero nella sua testa a ricordargli quanto inutile, stupido e sporco fosse, e non bastava la spugna a graffiare la pelle deturpata per togliergli la sensazione d’essere sempre ad un passo dal burrone. Sempre lì vicino. Voleva credere che l’Oakes l’avrebbe afferrato al volo, ma allo stesso tempo odiava oscurare il tempo passato insieme, quello bello, quello che lo rendeva felice, con il buio che sembrava stringergli l’ultimo pezzo di cuore rimastogli.
    La solitudine lo spezzava come un ramoscello al vento e forse era stato solo lo spirito di conservazione o il desiderio di non uccidersi per non dare un dispiacere al Corvonero se aveva deciso di trovare in Amélie un altro conforto. Uno più discreto, meno intimo forse di quello che aveva con Hunter, ma pur sempre utile.

    La cugina era intelligente, sotto quegli strati di trucco e superficialità. Era come guardarsi allo specchio: la bellezza, una condanna. L’essere attraenti, un pretesto per considerarli scarsamente seri o poco intuitivi.
    I tacchi le donavano, come i vestitini rosa delle più varie sfumature; la chioma bionda perfettamente acconciata e gli occhi di ghiaccio, così simili ai propri, da fargli domandare se in realtà non fosse sua sorella e non di Charles.
    Ed avrebbe mentito se non avesse ammesso di provare un senso di protezione, per la Dumont, quasi che fosse una sua responsabilità vista la mancanza di Charles.
    Pensare all'ormai ex Serpeverde gli faceva sempre, sempre male. Non passava momento in cui non si torturasse l’anima per la preoccupazione; lo nascondeva bene. Non ne parlava mai, non esternava niente. Non voleva nemmeno che Amélie ricevesse l’ennesima delusione, perché in fondo erano abituati entrambi ad essere i secondi o gli invisibili, a meno che non si trattasse di sesso, ed allora bastava poco per sapere a cosa gli altri pensassero di loro. Facili, oggetti di scena inanimati.

    Ed è proprio lei che ritrova nella Torre dell'Orologio, dopo cena, con lo stesso bigliettino stretto tra le mani piccole e curate, lo sguardo apparentemente confuso, identico al proprio.
    «Professore» la sente mormorare incerta, incapace di darsi una spiegazione plausibile sul perché un insegnante volesse vederli proprio lì e non in un’aula, come sarebbe stato consono. Era l’ennesimo test? Per interrogarli sul Dumont? O, semplicemente, voleva punirli per qualcosa?
    Di certo, non si sarebbe aspettato nulla di diverso, abituato ad essere il punchball preferito dei professori, il cugino del traditore.

    «Professore» si limita a dire, secco, educato, rivolgendo uno sguardo ad Amélie e facendo spallucce, quasi a voler sottolineare il suo totale smarrimento, eppure pronto a difenderla in caso di pericolo «le serve qualcosa?» e poi, perché proprio loro due? La ragazza era sempre stata una studentessa modello, rigida e zelante come poche. Non l’aveva mai, mai vista infrangere una regola, né soprassedere ai suoi doveri.
    Era curioso di sapere dove Lacroix volesse andare a parare.
    Because brothers
    don't let each other wander
    in the dark alone.
    17 y.o. | Gryffindor | Protective
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Viktor
    Asmodeus Dallaire
     
    .
  4.     +3    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,097
    Spolliciometro
    +1,003

    Status
    Offline
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Adesso, se ancora fosse stato il Charles Dumont di un tempo, se l'infinita serie di scelte sbagliate che aveva fatto nel corso della sua breve eppure intensa esistenza non l'avessero piegato al punto tale da spezzarlo, avrebbe trovato tremendamente appetibile l'idea di divertirsi un po' con Viktor ed Amélie sfruttando il suo nuovo aspetto. Ma di Charles non restava che un'ombra sbiadita, niente di più. Aveva superato gli sguardi di disapprovazione del padre, il tradimento di un uomo che un tempo era stato per lui famiglia, il trauma del vedere la propria madre piegata dalla tortura, la difficoltà del doversi adattare ad una nuova casa, il dolore di un amore non corrisposto, la disillusione del vedere i propri ideali svaniti come fumo, la consapevolezza d'aver perso ogni cosa, lo sforzo immenso del rialzarsi. Aveva superato ogni cosa, ma inevitabilmente si era lasciato qualcosa alle spalle, qualcosa che non poteva semplicemente essere rimpiazzato da un nuovo corpo, da un nuovo nome, da un nuovo scopo. Era sopravvissuto, ma non sentiva affatto d'aver vinto.
    Ma una parte di sé, una piccolissima, era ancora lì, vivida, a combattere tra la vita e la morte, a spingerlo ancora ad essere lo stesso Charles di sempre ma senza tutti quegli strati di finto orgoglio, senza più la necessità di proteggersi perché non era rimasto più niente da proteggere. E forse, per quanto gli dolesse ammetterlo, forse era meglio così. Forse finalmente poteva essere onesto, con sé stesso e con le persone a cui voleva bene.
    Ecco perché, al sentirsi chiamare professore, non riuscì a trattenere un sorriso divertito. Tralasciando il fatto che si stesse spacciando solo per un tirocinante senza né arte né parte più che per un reale insegnante, sentirsi appellare in quel modo da Viktor ed Amélie era davvero una di quelle cose per cui un tempo avrebbe riso fino alle lacrime. E c'era dell'altro. C'era il volto di Viktor che non vedeva da quell'orribile discussione che avevano avuto all'Inferius, e c'era Amélie per cui non aveva mai avuto una sola parola gentile. C'erano la mancanza, e il rimorso, e la sensazione di non saper più mettere due parole in fila dandogli un senso compiuto, perché c'erano così tante cose che avrebbe voluto dire che aveva l'impressione che sarebbero presto esplose tutte insieme.
    Ma rimase composto il Dumont, una mano ad accarezzarsi l'accenno di barba che non aveva mai avuto nel suo reale aspetto, lo sguardo a correre veloce prima sulla bionda, poi sul Grifondoro, chiedendosi se fosse il caso di esser diretti o se invece lasciare che fossero loro a riconoscerlo, per quanto impossibile viste le circostanze.
    «bonsoir» si schiarì la voce, stirando le labbra per ritrovare l'assoluta serietà «mi scuso per l'invito piuttosto ambiguo — è l'età» che cazzo stava dicendo? Assolutamente niente di sensato, ma ormai ci aveva preso gusto e, sì, era sempre Charles, inutile fingere il contrario. Avrebbe anche trovato il momento per essere serio, ma quella era un'occasione che proprio non poteva non sfruttare. «in realtà volevo parlarvi di un paio di questioni di grande importanza» si grattò la fronte con fare pensieroso, avanzando di qualche passo col capo chino per nascondere il lieve sorriso, provando piuttosto a mostrare il portamento più greve di cui era capace «e vorrei che prendeste sul serio ciò che sto per chiedervi, perché i ragazzi di oggi sono così — superficiali» fortuna che lui, dall'alto della sua saggezza, fosse sceso sulla terra per salvare tutte quelle povere anime perdute «ma mi auguro che voi, in quanto miei compatrioti, sappiate distinguere il bene dal male» scosse il capo come amareggiato, sollevandolo poi all'improvviso ed incrociando lo sguardo della Corvonero, avvicinandosi a lei con uno scatto ed afferrandola per una spalla «miss Dumont, che bel cognome» chissà con quale forza divina non stava scoppiando a riderle in faccia «prima domanda» ed attese qualche secondo per dar enfasi a quanto stava per dire, forse per potersi anche permettere di scrutare l'espressione dei due dinanzi a quella sua insensata - eppure tremendamente divertente - messa in scena «fuma ancora le YvesSaintLauren, non hint probabilmente poco riconoscibile, ma era la prima cosa che gli era venuta in mente sul loro primo incontro — sì, la sorella aveva tirato fuori un pacco di YvesSaintLauren. La lasciò andare, passando a quel punto sul Dallaire, reprimendo l'istinto di dirgli chiaramente quanto cazzo gli fosse mancato.
    «e lei, Dallaire» cominciò invece con la stessa enfasi di prima, mordendosi un labbro per non rovinare tutto sul più bello «pensa ancora che i pantaloni bordeaux possano star bene con le camice giallo limone?» se non era chiaro il riferimento per Amélie, quello qualunque Viktor senza Alzhaimer sarebbe riuscito a coglierlo.
    I'm just a broken
    machine, not who
    I used to be.
    Eméric Lacroix
    charles dumont
    20 yo
    french
    assistant
    liar
     
    .
  5. wabi·sabi
        +3    
     
    .

    User deleted


    amélie Marlène dumont // dear brother

    «Bonsoir, mi scuso per l'invito piuttosto ambiguo — è l'età in realtà volevo parlarvi di un paio di questioni di grande importanza e vorrei che prendeste sul serio ciò che sto per chiedervi, perché i ragazzi di oggi sono così — superficiali ma mi auguro che voi, in quanto miei compatrioti, sappiate distinguere il bene dal male» ma cosa stava accadendo, Amélie non riusciva a credere alle proprie orecchie, il professore -chiamiamolo così per comodità, non poteva che avere una manciata d'anni più di loro- stava farneticando e la povera Dumont non riusciva a stargli dietro.
    Il fatto che anch'egli avesse origini francesi risultava essere innegabile e palesato da ogni fibra del suo essere, a partire dal suo nome per poi continuare con l'accento, il portamento, il modo di vestire e chi più ne ha più ne metta. Ma il fatto che venissero dallo stesso luogo non creava tra di loro nessuna forma di legame e continuava a non capire dove di grazia volesse andare a parare. Guardò sempre più confusa Vik cercando una risposta nei suoi occhi, ma anch'egli sembrava essere più perplesso che altro.
    «miss Dumont, che bel cognome» l'avrebbe dovuto ringraziare? Preferì di gran lunga il silenzio lasciandolo continuare nel suo discorso alla ricerca di qualcosa che avesse potuto spiegare la ragione per cui si trovavano in quel luogo «prima domanda, fuma ancora le YvesSaintLauren, non?»
    Ronzio.
    Nient'altro che un fisso, vibrante ronzio nella mente di Amélie... Non sentì più nemmeno una parola di quelle che uscirono dalla bocca del professore.
    La bocca asciutta, le gambe instabili la portarono ad indietreggiare, poggiare le spalle al muro e lasciarsi scivolare fino a toccare terra.
    Era appena arrivata ad Hogwarts quando si era recata nella camera del fratello, sfoggiando le sue YSL con l'alterigia che solo da una francese ci si sarebbe potuto aspettare, ma dopo aver ricevuto l'unica approvazione della serata tornando in camera aveva deciso di eliminarne ogni traccia -non pensate male, il giorno dopo aveva già ordinato una considerevole scorta di Chanel, davvero credevate che si sarebbe abbassata a fumare altro? Tsk stolti-.
    Così non appena sentì il riferimento che solo il fratello poteva fare fu presa da una confusione incontrollabile, ma immediatamente la soluzione le affiorò alla mente -è molto più sveglia di quanto pensiate- quello che aveva di fronte era davvero suo fratello ed era ovvio che non potesse tornare allo scoperto dopo tutto quello che era successo, che aveva provocato.. certo non con le sue sembianze, merde «Polisucco» sussurrò con un filo di voce.

    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Be bold
    Be arrogant
    Be cheeky
    BE FRENCH
    hey brother - avicii
    Mean
    French
    16 yo
    ravenclaw




     
    .
  6.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    Eméric Lacroix.
    Quello che sapeva di lui era solo che fosse il nuovo assistente di uno dei professori, che fosse francese e che possedesse un certo carisma. Nulla di più, nulla di meno. A dire la verità, poco gli era importato di chiedere in giro, di farsi un’idea generale su chi potesse essere quel tale, se avesse costituito l’ennesima minaccia per la propria serenità o se sarebbe stato solo l’ennesimo volto anonimo nella sua vita. Non che avesse prestato attenzione all’ambiente circostante in quei mesi, troppo impegnato ad evitare l’ennesimo crollo nervoso, badando più al fatto che volesse trovare la pace non per se stesso, ma per una possibile, quanto agognata, tranquillità nella relazione che stava cercando, con tutte le forze, di costruire con Hunter.
    Era abbastanza complicato dover pretendere di stare bene, di aver lasciato alle spalle ogni singolo affronto, di aver dimenticato le ustioni, la consapevolezza che il suo corpo non sarebbe più tornato quello di un tempo. Era difficile far finta che non sentisse il bisogno costante di farsi male, di stringere i denti il più possibile e di dare un taglio ai tagli, che detta in quel modo poteva anche sembrare qualcosa di ilare, ma non lo era. Affatto.
    Quindi, il pensiero di quell’estraneo nella sua vita non lo aveva minimamente toccato.

    Come non gli importava ascoltare la questione urgente di cui stava ciarlando; come non gli interessava minimamente quello che pensasse delle nuove generazioni, bla bla. Era un continuo bla bla senza senso.
    Doveva sentirsi in colpa perché la sua priorità non era quella di sentir parlare l’ennesimo cretino che si atteggiava a gran maestro?
    Doveva, in qualche modo, trovare interessante le cazzate che stava sparando, quasi che fosse il saggio del villaggio intento a dispensare consigli utili e dilettevoli per vivere un’esistenza migliore?
    No, e nemmeno ci stava provando ad essere onesti.
    Fissava Eméric come se davanti a sé avesse l’ennesimo idiota d’accontentare. Quello sguardo di puro disgusto che rivolgeva a tutti coloro che non meritavano la sua attenzione, quindi praticamente all’intero corpo studentesco. In viso aveva stampato quel cipiglio di superiorità che faceva parte del suo essere un Dallaire; troppo vecchio per quelle stronzate, troppo stanco per sentire quel tipo parlare di cose “importanti”. Nella top five delle sue priorità non c’era, nella maniera più assoluta, l’essere convocato nella Torre dell’Orologio da un imbecille, in compagnia di Amélie.

    «ma mi auguro che voi, in quanto miei compatrioti, sappiate distinguere il bene dal male» ah, perché essere francesi dava un valore aggiunto? Tutti quelli che aveva conosciuto fino a quel momento si erano rivelati delle persone abbastanza inutili. Come lo era lui la maggior parte del tempo, come lo era stato Charles ai tempi, come probabilmente lo era anche la cugina intenta a fissarlo come se si stesse domandando esattamente il perché stessero ancora lì ad ascoltarlo vaneggiare. Bella domanda sott’intesa. Non lo sapeva, ma non potevano mancargli di rispetto.
    Poteva, però, fare finta di essere super preso, quasi ammirato da cotanta intelligenza (quale) e lasciarlo sproloquiare riguardo a sigarette YvesSaintLauren e complimenti inappropriati.

    Il punto era che lo scatto verso Amélie, nonostante tutto, l’avesse messo in allarme. Teso come una corda di violino, pronto a saltare addosso al Lacroix se questo avesse solo provato a torcere un capello dorato della ragazza. Non aveva bisogno di bacchette per spaccargli la faccia, andando probabilmente incontro ad un’altra punizione, ma toccare il sangue del suo sangue? Ah, no. Non sotto la sua guardia. #got
    Ci sarebbe stato un tempo in cui avrebbe fatto finta di niente, fregandosene di lei, del Dumont, di Hunter, di chiunque, perché avrebbe pensato prima a se stesso piuttosto che a tutti gli altri. Ma dopo le vicende accadute in quei mesi, aveva sviluppato una sorta di coraggio che dubitava fosse apparso dal nulla. Semplicemente, si era reso conto di essere più pericoloso di quanto non avesse mai pensato. Cruciare innocenti e non sentire pietà era stata una palestra per la sua nuova concezione della vita; uccidere per salvare le persone amate valeva la candela, valeva qualcosa.

    Forse era stata la reazione di Amélie a scuoterlo da quella noiosa conversazione, a fargli rizzare i capelli sulla nuca, a fargli provare un senso di allarme tale da chiedersi che diamine stesse succedendo. Non aveva nemmeno avuto il tempo di voltarsi per afferrarla, per impedirle di scivolare al muro con le iridi azzurre sbarrate dallo shock, sulle labbra solo una parola. Polisucco.
    «E lei, Dallaire» confuso, adesso in allerta, fissa gli occhi neri di Eméric con una certa curiosità «pensa ancora che i pantaloni bordeaux possano star bene con le camicie giallo limone?».

    A differenza della cugina, presa da un’emozione di panico totalmente comprensibile, scioccata dalla rivelazione silenziosa che l’aveva colta molto prima di lui, era rimasto immobile. Una statua di sale, un blocco di marmo freddo, bianco come un lenzuolo. Non che cambiasse dal colore della pelle, in genere naturalmente pallida, ma l’impercettibile movimento delle labbra tradiva lo sgomento, il riflesso di panico ad attraversargli le iridi chiare.
    Se dall’esterno poteva sembrare come se non gli importasse, come se non avesse ancora realizzato che davanti a sé non ci fosse Lacroix ma Charles, dentro aveva un terremoto. Uno tsunami di emozioni tali da impedirgli di esternare un sentimento che non fosse apatia. Pura, semplice incapacità di dire o fare qualsiasi cosa. Il vecchio Viktor gli sarebbe saltato al collo, emozionato di rivederlo, seppure totalmente smarrito dal cambio di aspetto; ovvio, era normale, l’aveva fatto per poter ritornare ad Hogwarts senza essere riconosciuto, ma dubitava che fosse stato la mente dietro quel piano laborioso. Si sarebbe commosso, avrebbe pianto, probabilmente avrebbe gridato d’euforia al solo pensiero di poterlo riavere indietro, di poter ricominciare da lì. Avrebbe avuto fiducia nel Dumont, avrebbe perdonato ogni cosa ed avrebbero riscritto la loro storia, questa volta consapevoli di essere uniti, che quel sentimento non fosse solo a senso unico.

    Ma il nuovo Viktor era ammaccato, e ferito, e morto.
    Era felice il tempo di un sospiro, tra le braccia dell’uomo che gli aveva rubato il cuore. Tuttavia, erano istanti di pace che si era ritagliato tra una crisi e un pianto, tra l’isteria e la solitudine. Tra l’essere ad un passo dal trovare la pace e la gioia, dal morire a letto con la voglia di non alzarsi mai più.
    Vedere Charles ad un passo, così vicino da toccarsi, eppure così lontano emotivamente da farlo sentire quasi in colpa, gli faceva male, eppure bene. Avrebbe voluto davvero mostrare quanto averlo lì lo sollevasse più di ogni cosa. Quando saperlo vivo, al sicuro, fosse il regalo più bello che gli avesse mai fatto; che aveva colto l’allusione a quel pomeriggio passato nel dormitorio dei Serpeverde a ciarlare di stupidaggini, come se quel tempo fosse lontano anni luce.
    Le pozze azzurre erano ferme su quel viso, aride. Ma se Charles avesse scavato, se avesse anche solo soffermato un po’ di più lo sguardo, si sarebbe accorto di come dentro stesse gridando.

    «Sei più bello di prima, mon cher» afferma, facendo ciondolare la testa da un lato, neutro, la voce limpida e calma. In realtà, non avrebbe voluto che fuggire da quella maledetta Torre per rimanere solo. S o l o.
    Per dare sfogo a tutti quei sentimenti che non riusciva ad esternare in presenza dei due fratelli. Sentiva l’attacco di panico in gola, come le lacrime, ma quasi che il suo corpo si rifiutasse di esternare tanto, rimaneva lì a fissarlo spento, fino a porgere poi la mano in direzione della cugina, profondamente turbata «proprio bello» accenna un sorriso a metà, enigmatico, ma fraterno.
    La verità era che ormai il tempo del rancore fosse passato e l’unica cosa che poteva concedere a Charles era un misero appiglio, uno sguardo che diceva a chiare lettere “mi hai ferito una volta, ma aiutami ad avere nuovamente fiducia in te”.
    Because brothers
    don't let each other wander
    in the dark alone.
    17 y.o. | Gryffindor | Protective
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Viktor
    Asmodeus Dallaire


    Edited by Fancy|Bitch - 27/2/2019, 03:24
     
    .
  7.     +3    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,097
    Spolliciometro
    +1,003

    Status
    Offline
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Siamo onesti: non si era illuso per un solo istante che Viktor ed Amélie avrebbero potuto reagire a quell'improvviso ritorno gettandogli le braccia al collo come se niente fosse accaduto fra loro. Ci aveva un po' sperato, quello sì, ma non aveva osato andar oltre la mera speranza. La verità era che aveva fatto troppo. Troppo con Amélie, che si era rifiutato di accogliere nonostante fosse sangue del proprio sangue, nonostante lui più di chiunque altro avrebbe potuto comprendere la sua sofferenza. Troppo con Viktor, a cui non aveva mai dato la giusta importanza se non troppo tardi, che aveva abbandonato pur sapendo quanto avesse bisogno di lui.
    Aveva commesso talmente tanti errori che dubitava potessero essere perdonati, non pretendeva che lo fossero. Tutto ciò che voleva era dirgli che era tornato, che avrebbe preferito morire che rimetter piede ad Hogwarts ma che alla fine aveva scelto loro, che d'ora in avanti li avrebbe scelti sempre, perché non c'era orgoglio, non c'era Iden, non c'era nessuno stupido meccanismo di difesa che potesse portarlo ancora una volta a tradirli, perché non se lo sarebbe permesso.
    Si era trattato sempre e solo di quello: della famiglia. La famiglia che suo padre gli aveva impedito di avere sin dal principio, la famiglia che sua madre aveva cercato di rimettere in piedi con tutte le sue forze, la famiglia che i Mangiamorte gli avevano portato via e che i suoi nonni non erano mai stato in grado di ridargli indietro, la nuova famiglia che si era rifiutato di accettare per paura di poterla perdere ancora. L'aveva desiderata, agognata con tutte le sue forze, ma aveva preferito fingere che non fosse così per non crollare di nuovo, e l'aveva mandata a puttane, un po' come tutto il resto della sua vita.
    Cosa gli restava?
    Uno sconosciuto da fissare allo specchio, un cuore spezzato, un'infinita serie di colpe da scontare. Di Charles Dumont non era rimasto niente. Ma sarebbe sopravvissuto, ci avrebbe provato come aveva sempre fatto, perché era troppo codardo per fare altrimenti. La morte era un atto coraggioso che non aveva mai potuto permettersi.
    E poi c'era un'altra cosa. Charles non piangeva, non piangeva mai, ma forse a quel punto dovette trattenersi con ogni fibra del suo essere per non lasciarsi andare a quel flebile, appena sussurrato «Polisucco» pronunciato da Amélie. Perché lo aveva riconosciuto. Perché nonostante fosse stato uno stronzo, nonostante non le avesse mai dato neppure l'occasione di considerarlo un fratello, lei lo aveva riconosciuto.
    E Viktor, che l'ultima volta gli aveva chiesto di non farsi vedere mai più, di tenerlo lontano dai propri casini, Viktor che oltre quell'apparente immobilità non era riuscito del tutto a nascondergli le proprie emozioni. Non sapeva come si fosse ripreso in quei mesi, se davvero lo avesse fatto, se fosse almeno un po' felice, ma vederlo vivo dinanzi a sé era quanto di meglio potesse sperare, perché non c'era stato un istante in cui il Dumont non avesse avuto paura per lui.
    «Non potevo che aspettarmi perspicacia da qualcuno col mio stesso sangue» ma c'era un tacito grazie in quelle parole tanto superficiali, un grazie che non era ancora in grado di pronunciare ma che sentiva dal profondo del cuore.
    «Sono» felice di vedervi «contento che stiate bene» abbassò lo sguardo sulle proprie mani, più grandi ed affusolate di prima. La verità? Non sapeva cosa dire. In effetti, non c'era niente che potesse dire per ricucire i rapporti che lui stesso aveva con violenza strappato.
    «Volevo solo farvi sapere che» mi siete mancati «rimarrò qui per un po'» si schiarì la voce, avvertendo l'impellente necessità di una sigaretta: ma no, Eméric non poteva trasgredire le regole della scuola come Charles. Poteva solo morire nella propria astinenza in silenzio.
    «Ovviamente non mi aspetto niente — non vi sto chiedendo di, non so, comportarvi come se fossi» parte della famiglia «ancora vagamente importante» un sorriso amaro fece capolino sulle sue labbra, ancora incapace di sostenere lo sguardo di entrambi «so di aver perso questo diritto parecchio tempo fa — forse non ce l'ho mai avuto davvero» si passò una mano fra i capelli, trovandoli meno voluminosi di quelli a cui era abituato «ma, per quel che vale, volevo chiedere scusa a entrambi. So che non ha senso farlo adesso, però sono davvero» distrutto «consapevole di tutte le stronzate che ho fatto» ed aver perso ogni cosa non ripaga neppure lontanamente quello che so di aver fatto a voi.
    I'm just a broken
    machine, not who
    I used to be.
    Eméric Lacroix
    charles dumont
    20 yo
    french
    assistant
    liar
     
    .
  8. wabi·sabi
        +3    
     
    .

    User deleted


    amélie Marlène dumont // dear brother

    Si sarebbe mai ripresa dallo shock? Charles, suo fratello, lui che per così tanto tempo era sparito dalla circolazione, non aveva dato traccia di sè adesso era tornato. Il figliol prodigo. Ma per favore, cosa si sarebbe aspettato? Festoni, applausi e grida di gioia? Aveva disseminato solo rabbia e sofferenza e il suo ritorno non faceva che sottolineare il suo egoismo perché sì, lei si era presentata in quella scuola con il solo scopo di conoscerlo, ma lui non ne aveva voluto sapere, l'aveva mandata via e scaricata al cugino, come se non meritasse il suo interessamento, il suo prezioso tempo. Quale stronzo si sarebbe comportato in questo modo con il sangue del suo sangue? Che domande, se lo trovava davanti proprio in quel momento, non mostrava il minimo pentimento per ciò che aveva compiuto, si era semplicemente presentato lì come se fosse stata la cosa più ovvia da fare, come se non sarebbero stati necessari mesi e mesi di scuse per riportare ordine in quella famiglia.
    Aveva visto negli occhi di Viktor la preoccupazione crescere nel vederla scivolare a terra come se le forze l'avessero d'un tratto abbandonata, ma questa fu subito sostituita dalla consapevolezza che quello che stava lì di fronte a loro non era altri che Charles.
    «Non potevo che aspettarmi perspicacia da qualcuno col mio stesso sangue» tosser lo stesso sangue che aveva rinnegato con tanta audacia fino a quel momento.
    «Sono contento che stiate bene. Volevo solo farvi sapere che rimarrò qui per un po'. Ovviamente non mi aspetto niente — non vi sto chiedendo di, non so, comportarvi come se fossi ancora vagamente importante, so di aver perso questo diritto parecchio tempo fa — forse non ce l'ho mai avuto davvero ma, per quel che vale, volevo chiedere scusa a entrambi. So che non ha senso farlo adesso, però sono davvero consapevole di tutte le stronzate che ho fatto»
    Quasi non riusciva a respirare sentendo quelle parole tanto ipocrite. Malgrado la crescente agitazione che la stava facendo tremare violentemente provò a ragionare e trovare un modo per poter dimostrare al fratello quanto fosse turbata e contrariata per tutto quello che stava avvenendo in quel luogo. Optò per il francese, che le avrebbe concesso di gridare a più non posso contro il Dumont senza essere capita da nessuno se non da loro due, calcolò con attenzione le parole per evitare di pronunciare il suo vero nome, si alzò senza esser notata, si avvicinò ad egli e alzando gli occhi appena lucidi iniziò quello che sarebbe stato solo l'inizio di uno sfogo che non sarebbe mai concluso nel suo cuore e che avrebbe rivissuto nei suoi pensieri infinite volte «Vous! connard stupide, comment peux-tu t'en aller sans rien dire, comment peux-tu me laisser seul ici sans jamais clarifier ce qui s'est passé si longtemps auparavant Et maintenant, avec quel courage vous vous présentez ici, devant nous, comme si de rien n'était. Sans même une excuse, rouvrir sans crainte les blessures ouvertes. Vous attendiez-vous à ce que nous ayons sauté de joie? Que nous vous accueillerions à bras ouverts? Non, ce n'est pas ce que tu vas recevoir de moi au moins. Gardez votre conscience et revenez d'où vous venez.» traduzione in spoiler fece il suo discorso tutto d'un fiato avvicinandosi sempre più al fratello, ma non reggendo alla tensione non riuscì più a trattenersi e tempestando il petto di Charles di pugni scoppiò in un pianto a dirotto.

    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Be bold
    Be arrogant
    Be cheeky
    BE FRENCH
    hey brother - avicii
    Mean
    French
    16 yo
    ravenclaw





    Tu! stupido stronzo come sei potuto andare via senza dire nulla, come hai potuto lasciarmi qui da sola senza mai chiarire quello che era successo così tanto tempo fa. E adesso con che coraggio ti presenti qui, di fronte a noi, come se nulla fosse. Senza nemmeno una scusa, riaprendo senza pietà delle ferite aperte. Ti aspettavi che avremmo saltato di gioia? Che ti avremmo accolto a braccia aperte? No. Non è quello che riceverai da me almeno. Tieniti la tua consapevolezza e torna da dove sei venuto.
     
    .
  9.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    Il sospiro carico di stanchezza a rotolargli via dalle labbra era solo un modo per buttare fuori il nervoso che tutta quella situazione gli stava provocando. Perché non era certo di poter reggere, allo stesso tempo sapeva di doverlo fare; non era una scelta, era un obbligo. Se da una parte avrebbe voluto lasciare quella Torre e non voltarsi più indietro, rifugiandosi nelle braccia di Hunter, c’era qualcosa nelle parole di Charles che cozzava con la finta spavalderia, con il sarcasmo che era solito lasciare quella bocca un tempo velenosa. Forse non era un Legiliments, ma la stupidità non gli apparteneva e conosceva abbastanza bene il Dumont da capire che fosse… spezzato. Che sotto quegli strati di totale e artefatta sicurezza, vi fosse un ragazzo piegato da forze più grandi e più potenti di lui.
    Avrebbe mentito nel dire che avesse messo una pietra sopra a quello che era accaduto pochi mesi prima, né aveva perdonato Charles; forse solo nel cuore, per quell’affetto che aveva sempre posto persino prima di se stesso. Ma nella mente? Era quello il problema. Era un piccolo pungiglione a scavargli il cranio a ricordargli quello che fosse successo in Sala Torture. A fargli sentire ancora il calore del liquido dorato sulla pelle, le catene ai polsi, le notti passate con la febbre causata dall’infezione a chiedersi il perché fosse ancora vivo. A sperare, a urlare, a strepitare affinché lo lasciassero morire.

    Tuttavia, non voleva infierire sul dolore che l’altro sembrava provare. Le iridi scure del cugino, un tempo azzurre come l’acqua limpida di un lago, tradivano il malessere che stava tentando di nascondere, camuffandolo con parole vuote, con scuse non richieste. Erano i fatti ciò che voleva. Non il rimorso a scavargli la carne, né che si cruciasse l’animo per snocciolare quelle frasi al vento. Voleva che Charles gli chiedesse “come stai?” ogni giorno; aveva bisogno che il cugino capisse i silenzi e lo afferrasse quando tutto si faceva troppo buio e l’aria iniziava a mancare; che gli stesse accanto in silenzio, solo per guarirsi le ferite a vicenda.
    Non c’era odio nei suoi occhi, né disprezzo, né condanna. Charles avrebbe sempre trovato il conforto, il perdono, la sua presenza, se solo avesse fatto un passo nella giusta direzione. Forse non la fiducia di un tempo e nemmeno il solito sorriso sghembo, ma un appiglio. Perché ne avevano bisogno entrambi e perché erano troppo giovani per sentire rancore, per avere la pancia piena di bile, come se le loro vite non fossero già state messe al rogo tanto tempo prima.
    Se il Dumont aveva perso sua madre per colpa di una violenza che avrebbe reputato vergognosamente vigliacca, lui era stato privato della propria innocenza e tradito da uno dei suoi fratelli. Erano vittime, entrambi. Erano bambini a cui era stata tolta la felicità e per questo incapaci di vivere come gli altri, di sentire come le persone comuni, di andare avanti domandandosi quale fosse il passo successivo, vivendo nel terrore. Charles non aveva mai avuto una figura di riferimento solida nella sua vita, così come lui; la percezione del cugino della realtà era rimasta, per molto tempo, chiusa in una bolla, incapace di provare nulla che non fosse amore o protezione verso se stesso.
    O forse stava solo vedendo qualcosa che non esisteva, proiettando il proprio essere sull’altro, cercando di darsi una spiegazione logica a quello che poteva passare nella testa dura dell’ex Serpeverde. Aveva dovuto sbatterci il muso, il Dumont, per comprendere cosa fosse la vergogna o, peggio ancora, la colpa.

    Perché se lui era lì fermo a fissarlo, questo non avrebbe mai escluso la reazione di Amélie.
    Non poteva impedirle di reagire, perché non erano i suoi sentimenti, non era la sua sofferenza, non poteva dire a quella ragazza come sentirsi nei confronti di Charles.
    I pugni a battere sul petto del fratello sapevano di uno sfogo che si era tenuta dentro non per mesi, forse per anni. Avevano il gusto salato delle lacrime, ma anche quello acido del veleno.

    Con passo lento, si avvicina alle spalle della giovane Corvonero, afferrandole con delicatezza per allontanarla, quel tanto che bastava per farla desistere dal continuare, con il cuore spezzato dalle lacrime che stonavano con i lineamenti da bambola.
    «Mon petit, c'est assez maintenant.» le sussurra, accarezzandole con il palmo la schiena, sollevando poi le iridi azzurre sul volto sconosciuto di Charles. Per un istante, gli era parso di non poter reggere e di non riuscire a contenere l’urgenza di accasciarsi al pavimento. Solo, non poteva. Doveva essere forte, doveva farlo per quella famiglia che, seppure disastrata, rimaneva comunque qualcosa.
    «Non lo vedi, Amélie? Eméric sta cercando di scusarsi» le dice, mantenendo un tono calmo, accennando un piccolo sorriso ed asciugandole qualche lacrima con la mano libera «e tutti meritano un’altra occasione, no?» che fosse l’ultima, non aveva importanza «Siamo tutto ciò che ci rimane» la voce per un attimo trema, se di emozione o quant’altro era irrilevante. Forse più per il finto alone di calma che stava cercando di mantenere, così da non turbare la fragilità di entrambi i Dumont. E la sua? Ah, quella era già spezzata da un po’ «e in una famiglia si commettono degli errori. Siamo stati tremendamente sfortunati e non abbiamo avuto il tempo per essere migliori di così» di nuovo, lo sguardo si posa sul cugino, stringendo le labbra, pensieroso «questa volta sarà diverso. Eméric» sottolinea quel nome, ancora una volta «starà attento» per quanto si fosse sforzato di non essere pericoloso, la velata minaccia sfumata nelle ultime parole sottolineava un fermo avvertimento «Dico bene?» non avrebbe più permesso al Dumont di tirare la corda, ed al minimo sbaglio non ci sarebbero più stati momenti da condividere. Non per lui—ormai aveva accantonato l’idea di essere vagamente di spessore in quella storia fatta di alti e bassi, ma per Amélie. Charles doveva essere il fratello che la Corvonero meritava. Doveva avere cura di lei, perché nessuno l’aveva mai fatto. Doveva, perché era meglio di così e lo sapeva anche lui.
    Because brothers
    don't let each other wander
    in the dark alone.
    17 y.o. | Gryffindor | Protective
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Viktor
    Asmodeus Dallaire
     
    .
  10.     +3    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,097
    Spolliciometro
    +1,003

    Status
    Offline
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Un altro Charles avrebbe afferrato le braccia di Amélie e se la sarebbe scrollato di dosso con in viso una smorfia quasi inorridita, più preoccupato per la propria incolumità e reputazione che per l'effettivo shock della sorella. Impassibile, avrebbe solo confermato a sé stesso come la scelta di allontanarla sin dal principio fosse stata saggia, impedendogli così ulteriori rogne indesiderate. Ma quel Charles, quell'Eméric, era ad un passo dallo sprofondare nel baratro, e dovette usare ogni briciolo del proprio autocontrollo per non avanzare il fatidico passo verso il vuoto. Non era per Amélie in sé — anche, indubbiamente, ma la questione riguardava ancora una volta sé stesso, il proprio senso di colpa, la consapevolezza di aver mandato ogni cosa a puttane, di essere la causa diretta dello sfogo della sorella, della sofferenza negli occhi di Viktor. Proprio il suo sguardo andò a cercare in quell'istante, immobile ad incassare i colpi della Dumont, quasi a voler cercare in lui la forza per non lasciarsi sopraffare. Trattenne il respiro fino a che il cugino non intervenne a calmarla, incapace di muovere un solo muscolo per il terrore di non riuscire a reggere un intero movimento senza accasciarsi sul pavimento. E cosa poteva dire? Aveva smesso di parlare più del necessario, e non perché si stesse sforzando di farlo. Semplicemente, aveva perso le parole. Non c'era spavalderia nel suo atteggiamento, non il solito sorriso beffardo. Solo una persona sconfitta.
    «No, ne ha tutto il diritto» annuì infine, la voce lievemente incrinata «va bene così» anche se non andava bene per un cazzo, ma come dar torto alla sorella? Non sapeva neppure che tipo di persona fosse, se potessero mai essere in grado di andar d'accordo, se un giorno sarebbero riusciti a volersi bene. Non gliene aveva mai dato l'occasione, non ci aveva neppure provato, cos'altro poteva aspettarsi da lei se non rabbia? Forse anche solo aver rivelato loro di essere tornato era stato uno sbaglio. Forse avrebbe dovuto lasciare che continuassero la loro vita senza di lui, evitargli quell'ennesima seccatura, quell'ennesimo rischio.
    Il pallido sorriso che rivolse a Viktor non era che un'eco dei suoi soliti sorrisi, ma era quanto di meglio riuscisse a fare per comunicargli che, davvero, non si aspettava niente da loro. Non avrebbe preteso il loro affetto, né la seconda occasione che Viktor dichiarava di essere pronto a concedergli: dentro di sé, con tutta probabilità, non sarebbe stato così semplice accettarlo davvero nuovamente. Avrebbe richiesto tempo, e forse non sarebbe mai più stato come prima. Magari era un bene, perché lui pur nella sofferenza era cresciuto, perché Viktor non aveva più quella cieca fiducia che l'avrebbe steso ancora una volta alla sua mercé, perché Amélie avrebbe potuto finalmente avere un fratello nel bene o nel male. O magari sarebbe rimasto per sempre un rapporto fragile, troppe volte ricucito per poter apparire ancora impeccabile come un tempo.
    «Come ho detto, Amélie, non mi aspettavo niente» annuì leggermente in risposta alle parole del cugino, incrociando nuovamente il suo sguardo per qualche istante «volevo solo farvi sapere che ero tornato, solo questo» poggiò il fianco al muro, perdendosi con lo sguardo oltre il cortile del castello «ma siete liberi di accantonare l'informazione e continuare la vostra vita senza di me» perché ci sarebbe stato se mai avessero avuto bisogno di lui, ma dubitava che sarebbe mai accaduto — perché mai avrebbero dovuto cercarlo? Non aveva mai mosso un dito in loro favore. Solo per Viktor, una volta, e quando era già troppo tardi. «purtroppo non ho scuse per voi, niente che io possa dire adesso ad alta voce» tornò a rivolgersi alla Dumont, scuotendo leggermente il capo «mi dispiace» mormorò quindi, mordendosi nervosamente la guancia e restando in silenzio per un po', prima di sollevare nuovamente lo sguardo su Viktor.
    «non è mia intenzione ferirvi ancora, e non ci sarà più nessun» iden «motivo per farlo, e non perché io non abbia nient'altro» meh, in verità sì «ma perché ho fatto la mia scelta e, vik, non sarai mai più la mia seconda».
    I'm just a broken
    machine, not who
    I used to be.
    Eméric Lacroix
    charles dumont
    20 yo
    french
    assistant
    liar
     
    .
  11. wabi·sabi
        +3    
     
    .

    User deleted


    amélie Marlène dumont // dear brother

    Nel pieno della sua crisi Amélie si sentì allontanare dalla sua inerme vittima, non aveva opposto resistenza, anzi si era voltata verso il petto familiare del Dallaire cercando conforto e riservando a lui le sue lacrime amare.
    «Mon petit, c'est assez maintenant. Non lo vedi, Amélie? Eméric sta cercando di scusarsi» sicuramente ci stava provando, ma non era quello che si sarebbe aspettata, anzi che dava quasi per scontato vista la sofferenza che aveva causato ai membri della sua famiglia, a cui aveva voltato le spalle senza pensarci per un solo istante.
    «e tutti meritano un’altra occasione, no?» era la verità, chiunque avrebbe meritato una seconda occasione specie un membro della famiglia, sopratutto quando ancora una primma opportunità di conoscersi era andata così presto in fumo. «Siamo tutto ciò che ci rimane» seconda verità assoluta della giornata, non avevano che loro stessi l'uno per l'altro. Nessuna famiglia su cui contare se non un padre ormai assente da tanto da non notare nemmeno la sua assenza, da accettarla con così tanta noncuranza da far credere alla figlia di essere inutile all'interno di quella famiglia.
    «e in una famiglia si commettono degli errori. Siamo stati tremendamente sfortunati e non abbiamo avuto il tempo per essere migliori di così, questa volta sarà diverso. Eméric… starà attento.Dico bene?» concluse il suo discorso quasi con un tono di minaccia.
    Fino a quel momento Charles lasciò parlare il cugino senza intromettersi, ma poi intervenne «No, ne ha tutto il diritto, va bene così» J'aimerais voir. si staccò dalle braccia del cugino e fissò nel volto estraneo il fratello mentre conduceva il suo discorso «Come ho detto, Amélie, non mi aspettavo niente volevo solo farvi sapere che ero tornato, solo questo, ma siete liberi di accantonare l'informazione e continuare la vostra vita senza di me; purtroppo non ho scuse per voi, niente che io possa dire adesso ad alta voce mi dispiace non è mia intenzione ferirvi ancora, e non ci sarà più nessun motivo per farlo, e non perché io non abbia nient'altro ma perché ho fatto la mia scelta e, vik, non sarai mai più la mia seconda» una volta finito, senza interrompere il contatto visivo gli disse questa volta calma, riprendendo il suo solito contegno «Vik ha ragione, non si nega una seconda possibilità, ma penso che ti dovresti esercitare un po' di più allo specchio con le tue scuse fanno pena» disse cercando a testoni nelle tasche le sue sigarette ed estraendone una così come il primo giorno gli chiese, solo apparentemente, indifferente «Hai da accendere?» sporgendosi nella sua direzione «Je disais sono ancora così sciocca da volerti dare un'altra opportunità, malgrado tu abbia buttato la prima come se nulla fosse. Questa volta, però, non sarò così tollerante sia chiaro, dovrai dimostrare di esserci, che ti importa di me come di lui» disse indicando con un cenno del capo Viktor «e soprattutto non permetterti di andar via di nuovo. Io non ti conosco, non so niente di te, ma lui ne ha già passate abbastanza a causa tua, ma scappare non è la giusta alternativa. Siamo soli, siamo noi tre da soli, ci dobbiamo dare da fare per sopravvivere a tutto questo.»
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Be bold
    Be arrogant
    Be cheeky
    BE FRENCH
    hey brother - avicii
    Mean
    French
    16 yo
    ravenclaw




     
    .
  12.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Inferius
    Posts
    426
    Spolliciometro
    +589

    Status
    Offline
    «volevo solo farvi sapere che ero tornato, solo questo, ma siete liberi di accantonare l'informazione e continuare la vostra vita senza di me»

    Avrebbe voluto dimenticare d’avere Charles davanti.
    Per una volta, avrebbe solo desiderato girarsi dalla parte opposta e fare la scelta migliore per se stesso, mettendo da parte le necessità di chiunque altro e occupandosi della già orribile, incasinata situazione che aveva nella testa. Perché non stava bene. Aveva accantonato l’urgenza di farsi del male per non dare dispiaceri ad altri, per essere un buon amico, un buon compagno, un buon amante. Il liquido dorato, quello stesso che l’aveva quasi ucciso, era stato anche un modo per ricominciare ed eliminare tutti quei tagli, quelle ferite che aveva custodito come un tesoro. Una colpa che sentiva radicata dentro di sé come se fosse una malattia; forse lo era davvero, in fin dei conti. Forse, quella smania che aveva di spillare l’ultima goccia di sangue dal suo fragile corpo era solo la conseguenza di quello che gli avevano fatto. Distrutto. Lacerato. Abbandonato.
    Pur di non fare male ai suoi affetti, pur di non far sentire il peso della colpa a gravare sulle spalle altrui, si convinceva che ogni cosa, ogni singolo sbaglio fosse dovuto alla sua totale mancanza di cuore. Che se Charles aveva deciso di lasciarlo dipendeva dal fatto di non essere stato abbastanza; se Mephistophele aveva pensato di ucciderlo, forse, lo meritava veramente; se quell’uomo aveva posato le sue mani viscide sul suo corpo, sporcandolo per sempre, era stato a causa del suo provocare silenzioso; se Mortimer era sparito lasciando un vuoto incolmabile, magari, era perché si era stancato di lui; se Hunter lo voleva era perché, ancora, non si era reso conto di quanta merda si portasse dietro, di quanto dolore e pena e disgusto per la vita si annidavano nel suo petto.
    Tuttavia, era capace di amare.

    Amava il Dumont, lo adorava come se fosse la pietra preziosa incastonata in un anello d’oro, il fratello che avrebbe voluto, ma che il destino sembrava tenere lontano; amava Amélie perché fragile e insicura sotto quegli strati di pura leggerezza, come se niente potesse toccarla; amava Mortimer perché per lui era stato come un padre, un mentore, la sua àncora di salvezza dal continuo desiderio di morire; amava Mephistophele, perché in lui rivedeva una parte di se stesso, del bambino che non era mai stato, frutto di violenze inimmaginabili; amava Hunter e lo amava con il cuore in mano, perso in quelle braccia che avrebbe voluto strette a sé per tutta la vita.
    Amava e non sapeva nemmeno come fosse possibile. Non c’era quindi da stupirsi se le lacrime della ragazza erano state laceranti per il suo povero cuore, che sentirla sul suo petto a singhiozzare avesse, in qualche modo, sciolto quella patina di indifferenza che sembrava ostinarsi a portare come una maschera. La verità, quella più intima, risiedeva ai loro occhi senza che potesse celarla. Era l’affetto, quello che gli impediva di uscire da quella Torre e dimenticarsi di averlo visto. Era il «mi dispiace» mormorato di Charles a trattenerlo con i piedi ben piantati a terra, impossibilitato a fare un passo indietro, ma nemmeno di avanzare nella sua direzione.
    Amélie, tanto testarda quanto ragionevole, aveva colto nelle sue parole tutto quello che doveva essere detto.
    Non un altro errore. Non un'altra stupidaggine. Non avevano bisogno, ancora, di essere torturati, umiliati, sottomessi fino ad annullarsi come esseri umani.

    «ma perché ho fatto la mia scelta e, Vik, non sarai mai più la mia seconda»

    In apnea.
    Percepiva il mondo intorno a sé ovattato. C’era la bionda a parlare, ad estrarre dalla tasca della gonnella le sigarette Chanel, diverse da quelle di cui aveva parlato Charles poco prima, portandosene una alle labbra, prima di accenderla. Fissava il tabacco bruciare, il fumo salire, l’ambiente farsi più dolce.
    La prima cosa che gli era saltata in mente, stupidamente, era stata quella di dirle “non si fuma all’interno delle mura”, quasi che fosse la cosa più importante in tutta quella vicenda. Non che il cugino gli avesse appena promesso che non lo avrebbe più trattato come se fosse la seconda scelta, come si era sempre sentito, com’era sempre stato, ma come la prima. La prima.
    E forse non era in grado di capire, di reggere, di poter percepire quelle frasi come qualcosa di sensato.
    Aveva il panico a salirgli in gola. Gli occhi pericolosamente lucidi, ma le labbra ermetiche, chiuse come lo era il suo stomaco. Aveva il terrore di rimanere ancora deluso. Aveva il terrore di soffrire ancora la lontananza di Charles, che tutto quello che gli stava dicendo fosse come quelle spirali grigiastre a perdersi nell’aria. Una parte di sé voleva solo girare i tacchi, contraddicendo le parole che erano servite più per quietare Amélie che per se stesso; l’altra, invece, voleva solo essere felice. Voleva mandare via il bisogno di imprimere su pelle il dolore che non riusciva a buttare fuori, concentrandosi sulle cose belle della sua vita, imbrigliando ciò che di marcio c’era dentro di sé.
    Ma era impossibile e lo sapeva. Una volta solo, senza un appiglio, avrebbe finito nuovamente per trovare conforto nelle piccole linee frastagliate a decorargli i polsi.

    «Devo andare» doveva andare. Perché ancora non era pronto a rapportarsi al Dumont, perché voleva essere certo di aver messo l’anima in pace, prima di potersi confrontare. Perché voleva che stessero soli e che nessuno intervenisse tra loro. Aveva bisogno di guardarlo in viso, in quella bolla che doveva essere costruita solo per loro, e perdonarlo.
    «J'ai juste besoin de temps pour réfléchir. Seul.»

    Codardo. Era un codardo.
    Era stato semplice non guardare negli occhi Charles, perché se lo avesse fatto nuovamente, si sarebbe trovato ad affrontare il vuoto in quelle iridi neri. Avrebbe deposto l’ascia senza nemmeno far finta di essere quantomeno forte e lo avrebbe abbracciato. Si sarebbe buttato tra quelle braccia alla ricerca del sostegno che rifiutava, come la peste, di ricevere.
    Era stato facile voltarsi e scendere le scale, arrivando alla fine con la mano sulle labbra e le palpebre serrate fino a vedere delle piccole scintille bianche. Il cuore a martellare furiosamente nel petto.

    Faceva male. Tutto faceva dannatamente male.
    Because brothers
    don't let each other wander
    in the dark alone.
    17 y.o. | Gryffindor | Protective
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Viktor
    Asmodeus Dallaire


    Edited by Fancy|Bitch - 2/3/2019, 23:52
     
    .
  13.     +1    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    1,097
    Spolliciometro
    +1,003

    Status
    Offline
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Andare a trovare sua madre non era mai stato semplice. Se avesse seguito il suo istinto, forse avrebbe scelto di non rivederla mai più, perché era maledettamente difficile guardarla negli occhi e non vedervi altro che smarrimento, incrociare quelle iridi così simili alle proprie eppure non riconoscervisi, sentirle chiedere ancora ed ancora 'chi sei?' e fingere che questo non facesse male. Talvolta restava per ore, interi pomeriggi, accettando di essere uno sconosciuto, un gemello morto decenni prima, suo padre, un infermiere. Perché distruggere le illusioni di una donna che, comunque, avrebbe dimenticato ogni cosa l'istante dopo aver lasciato il suo capezzale? Perché privarla della gioia di avere dinanzi chiunque desiderasse, meno che il figlio che neppure ricordava d'aver avuto? Non era mai stato semplice, eppure aveva sempre scelto di restare. Era la sola, unica cosa, che avesse mai fatto contro di sé, per consapevolezza e non per puro impulso.
    «Devo andare»
    Non avrebbe seguito Viktor.
    Non perché non gli importasse, non perché ogni fibra del suo corpo non gli stesse implorando di farlo, ma perché un'altra volta voleva ascoltare la ragione. Conosceva Viktor, sapeva quanto il suo passato gli avesse fatto male, quanto ancora avesse delle ripercussioni in lui e quanto per questo fosse estremamente fragile, eppure lo aveva abbandonato comunque per seguire il cuore, il che avrebbe anche potuto essere in qualche modo giustificabile se solo non fosse stato pregno di un profondo egoismo. La verità era che voleva disperatamente cominciare a seguire la testa, smettere di fare stronzate, non doversi più pentire di ogni azione. Voleva rispettare il bisogno di solitudine di Vik, la sua necessità di voltargli le spalle, anche per sempre se necessario. Non sarebbe stato facile ma l'avrebbe incassato, esattamente come aveva fatto con tutto il resto.
    Rimase in silenzio, percependo la stessa identica sensazione che provava ogni qual volta si ritrovava in quella dannata stanza al San Mungo, e che ancora prima aveva provato dentro quell'armadio, sbirciando inerme gli ultimi istanti di sua madre. Impotenza. Perché aveva passato tutta la vita a fingersi forte, a cercare il controllo, a studiare ed a mostrarsi sempre brillante per non doversi mai più sentire debole, eppure erano state le sue stesse azioni a sottometterlo ancora una volta.
    «Hai da accendere?» senza dire una parola, estrasse la bacchetta dalla tasca ed accese la sigaretta della sorella, ormai sprovvisto di un accendino. L'odore acre del tabacco gli giunse fino alle narici, mettendogli addosso ancora quella disperata voglia di fumare. Voltò il capo verso la finestra, provando a non pensarci.
    «tu non mi conosci» mormorò, schiarendosi appena la voce «tu non hai idea del perché ho fatto quello che ho fatto, del perché sono andato via, e non puoi capirlo» un sorriso amaro prese a fargli capolino sulle labbra, facendogli scuotere lievemente il capo.
    «non te ne faccio una colpa, dal momento che sono stato io a creare questa situazione» perché comprendeva il bisogno dell'altra di avere una ragione dietro a quel categorico rifiuto, ma se avesse avuto modo di vedere a che livelli giungesse il suo orgoglio, il suo amor proprio, allora non si sarebbe stupita di vederlo lasciare il castello. E dopo, quando l'avevano additato come ribelle malgrado non avesse fatto altro che difendere le proprie idee, come sarebbe potuto tornare senza rischiare la pelle? Già il solo fatto che fosse lì era più di quel che si potesse sperare. «ma non è a te che devo delle scuse per essermene andato» perché avrebbe cambiato poco o nulla se fosse rimasto, ed anzi era stato proprio quell'allontanamento a farlo riflettere sul loro di rapporto.
    «con te posso solo scusarmi per non averti dato alcuna possibilità, e per quello non ho giustificazioni: l'ho fatto perché non volevo ritrovarmi invischiato in altri casini, per puro e semplice egoismo» tornò a guardarla, ignorando l'astinenza a fargli bruciare i polmoni «ed alla fine mi sono comunque infilato da solo in quegli stessi casini che avrei voluto evitare, occhio per occhio» scrollò le spalle, rassegnato «e, per quanto questa esperienza possa avermi cambiato, non sono diventato un santo Amélie, e potrei comunque non piacerti, né do' per scontato che tu piacerai a me» meglio essere onesti dal principio, che fingere un affetto che non poteva ancora provare nei confronti di una emerita sconosciuta, pur condividendone il sangue «ma mi sembra giusto provarci, cominciare da capo» le sorrise a quel punto, osservandola per qualche istante prima di rubarle la sigaretta dalle dita e portarsela alle labbra «christ» imprecò, aspirando il fumo con la voracità di un tossico.
    I'm just a broken
    machine, not who
    I used to be.
    Eméric Lacroix
    charles dumont
    20 yo
    french
    assistant
    liar
     
    .
  14. wabi·sabi
        +3    
     
    .

    User deleted


    amélie Marlène dumont // dear brother

    Viktor era appena andato via, padrone delle sue scelte, forse per evitare di rimanere eccessivamente travolto da quell'esperienza di per sè già abbastanza sconvolgente.
    Adesso erano rimasti soli e i pensieri affollavano la mente della Dumont, tanto arrabbiata con il fratello quanto profondamente desiderosa di conoscerlo fino in fondo. Giungere finalmente ad una condizione per cui potessero veramente considerarsi fratello e sorella e potessero parlare tra di loro raccontandosi o anche confessandosi eventi della loro vita che non si sarebbero mai immaginati di narrare ad anima viva.
    Vaneggiamenti di una ragazzina, in fin dei conti era di questo che si trattava, e per quanto la cosa la ferisse era perfettamente consapevole del fatto che questo non sarebbe mai avvenuto con ottime probabilità e che la sola idea era già abbastanza assurda, certo in fondo al suo cuore la speranza non si sarebbe mai spenta.
    Una volta morta la madre ed in un certo senso perso il padre, si sentiva completamente sola al mondo e il fatto di avere un fratello era stata per lei una consolazione che le aveva dato la forza di andare avanti. Mai si sarebbe aspettata dapprima un rifiuto tanto netto e poi addirittura la sua sparizione. Ben presto l'idea di avere un fratello si trasformò in una magra consolazione, prossima a tramutarsi in un ricordo e poi come spuntato dal nulla, riaprendo una ferita mai totalmente rimarginata, eccolo lì, di fronte a lei, in carne ed ossa anche se con un differente aspetto, ma ugualmente vivo e presente.
    Le voltò le spalle rivolgendo lo sguardo fuori dalla finestra ed iniziò a parlare con voce lenta e pacata per poi ritornare a guardarla negli occhi mentre pronunciava parole vere, senza alcun dubbio, ma che la ferivano nel profondo del cuore.
    Quando il suo discorso finì, come in preda ad una crisi di astinenza le si avvicinò coprendo immediatamente la distanza che li separava e con un'imprecazione le strappò la sigaretta di mano aspirando a pieni polmoni con un sorriso di sollievo stampato in viso.
    Hai ragione, noi due non ci conosciamo e come hai sottolineato tu, questo non dipende che da te. E' vero non mi devi alcuna scusa per il fatto di essere sparito, ma questo non ti redime dal non avermi dato la minima possibilità di conoscerti, sia che tu sia uno stronzo o meno, sia che dopo averti parlato per mezz'ora tu ti dimostri la persona più orribile che io abbia mai conosciuto. Vedi, però, questo per me non ha alcuna importanza perchè qui non ho nessuno se non te mio malgrado, perchè sono venuta fino a Londra solo ed unicamente per te e non intendo andar via finchè non mi darai la possibilità di conoscerti, Vik è buono, tanto gentile con me, ma forse per mia sfortuna per quanto tu ne dica la sorte non mi ha affidata a lui, ma a te. Non ti chiedo di fare il fratello maggiore, di aiutarmi o fare qualsiasi altra cosa, ti chiedo solo di darmi una possibilità. Non voglio altro che questo.
    Adesso penso non sia nemmeno il caso di continuare a discuterne qua, non vorrei venissi per assurdo scoperto, ma prima di andar via ho bisogno di qualcosa che si avvicini anche solo lontanamente ad una promessa e di un appuntamento.


    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
    Be bold
    Be arrogant
    Be cheeky
    BE FRENCH
    hey brother - avicii
    Mean
    French
    16 yo
    ravenclaw




     
    .
13 replies since 25/2/2019, 21:05   345 views
  Share  
.
Top