do right people with wrong timing ever get a second try?

POSTQUEST #08 | kieran + shorphy

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    kieran sargent
    «mi dispiace.»
    mi dispiace.
    Parole a perdersi in un frammento di tempo, senza che Kieran potesse afferrarne il significato. Gli occhi erano spalancati sulla barriera, i suoi amici, la sua famiglia a sparire senza che potesse fare niente – allungò una mano davanti a sé, dita a protrarsi più di quanto le fosse possibile a cercare di spezzare quella protezione, non raggiungendola mai.
    Un resiro incastrato in gola a bruciare nei polmoni, il mondo a collassare attorno a lei, mentre il buio sembrava avvolgerla nel più confortante degli abbracci. Un secondo, forse mille, una vita intera, forse un battito di ciglia, finché persino lei smise di esistere.

    Un primo, tremolante respiro. E poi un secondo, ed un terzo, tanto per assicurarsi che in quell’oscurità qualcosa ancora ci fosse, che almeno lei ancora sopravvivesse. Non si era mai domandata cosa la stesse aspettando dopo la Vita, se fosse come i film o qualcosa di simile al Nulla più assoluto – non aveva mai avuto bisogno di chiederselo, aveva solo diciassette anni.
    Aveva solo diciassette anni.
    Kieran Sargent aveva sempre sognato di diventare un’astronauta, o forse era più adatta a diventare una fumettista. Non ne aveva idea, si era detta che aveva ancora tempo per pensarci, dopotutto aveva davanti anni per scoprirlo. Se l’era sempre detto, che aveva ancora tempo. A diciassette anni si ha tutta la vita davanti, giusto?
    Aveva diversi sogni nel cassetto, le sarebbe piaciuto costruire un aquilone, e perché no, persino andare a visitare la Muraglia cinese – sognava un futuro davanti a sé, uno costruito giorno dopo giorno, ritagli di un giornale incollati alla grande bacheca della Vita.
    C’erano tante cose che avrebbe dovuto scoprire, cosa si provasse a poggiare le labbra contro quelle di qualcun altro, il dolore del primo cuore spezzato, il petto a esplodere di mille fuochi d’artificio alla vista di una stella cadente.
    Aveva solo diciassette anni, un’intera vita davanti.
    Finché, in un battito di ciglia, questa vita le si era sgretolata davanti. Solo polvere tra le dita, uno schiaffo in pieno volto. Aveva voluto sperare in una seconda occasione, Leia Skywalker, non sapendo che ormai non aveva più tempo, che non ne aveva mai avuto.
    Pensava di aver perso tutto, finché altri respiri si andarono ad aggiungere al suo, mormorii incomprensibili a rompere il silenzio di quell’incubo. Avrebbe voluto che la luce delle bacchette non si fosse mai riflessa sulle targhette metalliche dai nomi famigliari, occhi affamati a divorarne ogni curva. Cosa voleva dire? Non pot- «MANI IN VISTA, ALLONTANATE LE BACCHETTE» un bagliore ad accecarla per un momento, delle manette a stringersi attorno ai suoi polsi senza che potesse più muoversi. Non capiva, la mimetica, c’era qualcosa di dannatamente sbagliato nelle loro vesti e nel luogo in cui si trovavano. Ci era già stata lì, poteva essere stata ripulita dal sangue e dall’odore del terrore a impregnare la pietra, ma era la stessa in cui Kieran aveva smesso di esistere per qualche attimo, qualche vita. «il museo è chiuso da ore, come avete fatto ad entrare?»
    Il museo? Non capì, la Sargent, finché i suoi occhi non si posarono sulle targhette di poco prima, scorrendo tutta la parete fino a trovare il suo nome. E quello di Murphy, di Beckah e dei tre Beaumont-Barrow. Cosa significava? Erano morti? Non era possibile, poteva ancora sentire il proprio cuore battere furioso, vedere la stessa espressione confusa riflessa sul volto di Shot. Non aveva senso, perché non erano mai morti - loro, perlomeno, non poteva dire lo stesso di Barry o Sandy. Ci sarebbe dovuto essere anche Barry lì, così come Al e Amalie, perché invece non sembravano essere da nessuna parte? Incominciò a torturarsi l’interno della guancia, il cuore ad appesantirsi al solo pensiero che potessero non avercela fatta. No, dovevano essere vivi, non accettava nessun’altra realtà. Perché non avrebbe accettato un mondo dove lei era sopravvissuta e loro no, non aveva niente in più o in meno di loro, non se lo meritava più di quando avrebbero potuto i suoi amici. «mon dieu, siete voi. siete tornati» una voce si levò dalla massa pece a circondarli, e quando si tolse l’elmetto, Kieran realizzò che non era per niente come se l’era aspettato. Fatele causa, se persino lei aveva dei pregiudizi, e immaginava sotto a quella visiera un uomo di mezz’età e con tutta probabilità senza un capello in testa - inutile dire che le era già partita la crush molesta, quella che Erin le descriveva sempre ma che fino a quel momento non aveva compreso appieno. Si sistemò una ciocca dietro ai capelli, il suo misero tentativo di rendersi presentabile, come se ciò potesse cancellare le tracce di sangue dal suo volto e gli squarci sui vestiti. Poco importava, perché quasi smise di respirare pochi attimi dopo «sono william barrow II» incominciò a tossire all’improvviso, la saliva che le era andata di traverso a impedirle di smetterle. Non riusciva neanche a pensare alla pessima figura che stesse facendo, quanto più al fatto che non potesse essere attratta da un parente di William. Che schifo, il solo associarli le metteva i brividi e certo non perché il Barrow avesse qualcosa che non andava, era più il fatto che lo considerasse come un amico e neanche lontanamente attraente. Cioè, non per lei.
    Né quello, né il vedere il nome dei suoi amici su quelle lapidi, era riuscito ad abbattere il suo solito ottimismo - aveva pensato che vi fosse una spiegazione logica, in fondo, che in qualche modo si potesse aggiustare. Il colpo di grazia arrivò alla fine, quando meno se lo aspettava.
    «in che anno siamo?»
    «nel 2117. bentornati a casa»
    R.I.P Kieran Sargent 2000-2117

    Non poteva credere i propri occhi, non sarebbe essere dovuto essere possibile, eppure erano lì, davanti a lei. Sbatté le palpebre come ad accertarsi che quei gelati stessero galleggiando nell’aria per davvero, non riusciva a capire come potessero resistere alla gravità, o se il ragazzo dietro alla cassa fosse un androide o meno, sembrava tutto così reale da farle credere di essere un sogno. Il sorriso sulle sue labbra morì, per quanto quella realtà assomgliasse alle sue fantastie più irrealizzabili, non era la sua. Certo, si sarebbe abituata così come aveva fatto per la precedente, ma non era quello il punto. Aveva perso ogni persona a cui avesse voluto bene, i suoi genitori adottivi, il resto della sua famiglia, e gli unici a rimanerle erano Shot e Murphy. Almeno loro, almeno sempre. Scosse la testa, non c’era niente che potesse fare, non poteva rimodellare il tempo solo perché tutto faceva male, solo perché le sembrava di non riuscire a respirare - almeno poteva dire che non tutto ciò che aveva fatto era stato inutile. Non sarebbe stata la stessa vita di prima, non sarebbe stata buona, ma poteva accontentarsi – sarebbe stata capace di adattarsi un’altra volta, in un modo o nell’altro lo faceva sempre. «non…» non è possibile. Si sporse sul tavolo, ignorando le due persone sedute davanti a lei, portando lo sguardo su due ragazze poco distanti da lei – strizzò gli occhi, il cuore a battere più forte nel petto, c’era qualcosa di familiare in loro, nel modo in cui si curvavano le labbra e le sopracciglia di corrugavano, erano così simili a Erin e Jess da farle male. Strinse le labbra tra loro, impedendosi di alzarsi e avvicinarsi a loro, quelle, per quanto volesse crederlo, non erano le amiche che aveva lasciato indietro, ormai sotto terra da anni. Abbassò lo sguardo sul tavolo, le palpebre premute tra loro nel tentativo di trattenere quelle stupide lacrime – stava bene, lo sarebbe stata. «non è male qui, vero?» esordì, le dita a tamburellare sul bordo della coppetta di gelato, un modo come un altro per rompere il silenzio. Poteva capirli, a giudicare dalla dimensione del barattolo della madre, non doveva averla presa bene come lei, ma aveva bisogno di dirglielo. Avrebbe dovuto tenere in conto il modo in cui si sentivano, avrebbe potuto aspettare qualche anno, qualche vita di più. Kieran Sargent non era fatta per tenere un segreto del genere dentro, e ora che non c’era più nessuno con cui parlarne, sentiva che sarebbe impazzita. Doveva dirglielo, capite? Non aveva più alcun senso continuare a mentirgli, aveva già perso tutto, cos’altro le rimaneva? «sarebbe potuto capitarci di peggio, il 2043 era un vero Inferno in terra» tastò il terreno, lasciando scivolare quell’informazione con la stessa tranquillità con cui si parlava del tempo, o almeno le piaceva crederlo – era più facile ignorare il fatto che stesse tremando, la voce più acuta del solito a minacciare di ricacciare in gola ogni parola. Nessuno le aveva insegnato come infrangere le regole, mai aveva pensato avrebbe spifferato tutto ai suoi genitori, e al contrario dei Prescelti della Missione, non aveva pronto un semi discorso. Stava già sudando freddo, troppe emozioni in così poche ore. «mh, volete vedere una cosa?» frugò dentro lo zaino, il fascicolo che aveva compilato decenni prima a scivolare sul tavolo verso di loro. Era aperto su una pagina particolare, la sezione dedicata alla sua famiglia e che mai aveva mostrato a nessuno, in quel momento, tuttavia, le sembrava la cosa più giusta da fare «questi siamo io, voi due e luke» col il dito indicò le figure sulla pellicola traslucida, evidenziando i nomi che stavano sotto ogni volto e la data risalente al 2037 affianco, un mamma e papà in bella vista sulla pagina ingiallita - pensava fosse abbastanza chiaro, ma in caso si stesse sbagliando «abbiamo viaggiato cento anni nel futuro, quindi non vedo perché non dobbiate credermi. E non mi odiate, vi prego» prese un respiro, le dita a sistemare i capelli dietro le orecchie. Aspettò qualche secondo ancora, aveva bisogno di protrarre quel momento più che potesse, assaporando ogni istante in cui ancora poteva dirla di averla avuta una famiglia, prima che entrambi si alzassero dal tavolo e la abbandonassero senza neanche guardarla in faccia «vengo dal 2043, e voi siete i miei genitori» occhi color pece a riflettersi in quelli altrettanto scuri dei genitori, il cuore a batterle talmente forte da farle girare la testa.
    Non era così che l’aveva programmato, ma era tutto ciò che aveva.

    WHERE WE'RE FROM THERE'S NO SUN
    OUR HOMETOWN'S IN THE DARK


    Edited by cookie monster - 9/5/2018, 20:54
     
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    paris, 2117
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    murphy skywalker

    «non è male qui, vero?» la testa di murphy si mosse impercettibilmente su un lato, ma gli occhi scuri continuarono a sfiorare quanto rimaneva del suo gelato; aveva chiesto un barattolo, riponendo tutte le sue speranze sul fatto che il ragazzo dall'altro capo del bancone gliene avrebbe trovato uno senza battere ciglio.
    E così era stato.
    Avrebbe potuto anche amarlo quel posto, con le sue luci sfavillanti e la sensazione di calore emanata da ogni sorriso incrociato per strada, palline di gelato sospese a mezz'aria e i sospiri placidi dei bambini non più costretti a sopportare sofferenze e la mancanza di un futuro cancellato dall'incertezza. Una come Murphy Skywalker ci si sarebbe adattata alla perfezione, se solo per il suo nuovo mondo di pace non fosse stata costretta a sacrificare tutto il resto.
    Come poteva accettare di vivere felice senza il peso della guerra sulle spalle, sapendo che qualcosa le sarebbe mancato per sempre? «m-mh.» annuì, una seconda volta, senza davvero ascoltare. Voleva bene a Kieran Sargent, la adorava quasi fosse una sorella minore con cui condividere la passione per la pizza e fare gare di just dance, ma nella mente della geocineta le sue parole scorrevano come un melodioso flusso continuo; da un orecchio all'altro, tagliando il cervello in due.
    Stava pensando - «siete voi. siete tornati» - al volto di quel ragazzo, al modo in cui le iridi erano parse illuminarsi nel riconoscere volti per lui importanti, parte della sua storia; pensava al fascio della torcia con cui una delle guardie al museo aveva illuminato il dipinto alle loro spalle, Jeanin Lafayette immobile di fronte al suo stesso ritratto. Pensava alle tombe, Murphy, ultima dimora per quelli caduti in battaglia. Una battaglia che lei stessa aveva combattuto, cento stramaledettisimi anni prima: erano morti quel giorno, il cinque dicembre 2017, e nessuno a Londra o nel mondo avrebbe mai creduto il contrario.
    Affrontava un lutto, la ventunenne, ma non era per se stessa che continuava a negare, negare e negare imperterrita. Non era per la propria dipartita, che il cratere nato per l'impatto del cuore esploso nel petto continuava ad allargarsi; si nutriva di dolore, un dolore che Murphy non sembrava in grado di colmare: aveva perso Run, Gemes, Barry, suo zio, Amalie. Forse morti, certo persi in un posto dove a lei non era concesso di raggiungerli. Non era certa di poter vivere senza di loro, fingendo che quel mondo rappresentasse una pia illusione di perfezione, ma nessuna sofferenza superava la consapevolezza di non aver potuto dire addio. Che quelli rimasti indietro, persone per cui avrebbe dato la vita anche in quel preciso momento, mentre lei scivolava inerte ed impotente sul pavimento del museo appoggiando la fronte contro il proprio sacrario, se n'erano andate credendola persa per sempre.
    Sin, Erin e Scott, Jess e Nate, Nathan e Stiles.
    Era rimasta concentrata sul ricordo che aveva di suo padre ogni minuto da quando, abiti laceri e scie di sangue raggrumato sul viso, aveva messo piede sul pavimento in legno di casa Barrow, seguendo il gruppo con la stessa presenza di spirito di uno zombie, la mente a picchiare sempre sullo stesso chiodo, ancora e ancora: non l'aveva mai chiamato papà. Un pensiero stupido, infantile e fuori luogo, che Murphy non era riuscita a cancellare fino a quella stessa mattina, quando la mano di Shot le aveva sfiorato i capelli nel tentativo di riportarla alla realtà. Lei si era scansata, pur non volendo; lui si era allontanato di un passo, pur non volendo.
    E anche se la geocineta avvertiva solo il disperato bisogno che il suo migliore amico annullasse le distanze stringendola tra le braccia impedendole di scappare, strappando ciò che rimaneva di buono da quel vuoto che lei stessa sembrava aver scelto, di fronte agli occhi scuri di Shot era rimasta in silenzio.
    Distante.
    Meritava tutt'altro, Chariton Deadman, meritava qualcun altro; qualcuno che fosse abbastanza forte da affrontare la situazione, rimboccarsi le maniche e andare avanti e pensare al futuro. Che una vita insieme a Shot, Murphy, se la sarebbe immaginata facilmente, un sorriso appena accennato a spuntarle incontenibile sulle labbra, se solo. «willie mi ha dato un aggeggio per navigare su internet. Una specie di tablet. Sono andata a curiosare.. Sin ha aperto un orfanotrofio, nel 2021, con uno spazio per gli animali. Si chiama Murphy's» sollevó la testa, un cucchiaino sporco di gelato alla vaniglia appeso al labbro inferiore. Non era certa di aver pronunciato l'ultima frase ad alta voce - nonostante il cuore le battesse a quel punto tanto forte nel petto da sentirselo anche nelle orecchie - così nel dubbio sbatté lentamente le palpebre, quasi ridestandosi da un sogno vischioso dal quale faticava a riemergere completamente. «scusa, kier. il 2043?» Si costrinse a trovare la concentrazione necessaria per evadere dai propri macchinosi pensieri, che una parte di lei lo sapeva: Kieran non aveva alcuna colpa.
    Cercava solo di sopravvivere, la mimetica, aggrappandosi a coloro che conosceva meglio in quel mondo nuovo, ed era una bambina. Una bambina. Le sorrise, inspirando l'aria fragrante e dolce che aleggiava nella gelateria, le iridi cioccolato catturate per un lungo istante dalle stesse ragazze osservate dalla Sargent pochi minuti prima, tratti delicati e così familiari da risultare dolorosi quanto una mazzata sui denti. Si appoggiò al fianco di Shot con la spalla destra, Murphy, quasi senza accorgersene, il barattolo ormai vuoto stretto in grembo come un neonato. «mh, volete vedere una cosa?» Tornò a voltarsi nella direzione di Kieran, il busto leggermente sporto in avanti sul tavolino; senza mai interrompere il contatto fisico con il ragazzo al suo fianco, la mano a scivolare dal contenitore di plastica per stringere le dita attorno all'avambraccio di lui.
    Era la prima volta in due giorni, ormai, che Murphy Skywalker mostrava un minimo di interesse per qualcosa, quella curiosità che in una vita apparentemente troppo lontana aveva caratterizzato il suo stesso essere. Credeva non le sarebbe importato più di nulla, finché il fascicolo recuperato da Kier nello zaino non le scivoló proprio sotto gli occhi: una foto, due sorrisi ampi e spensierati, due appena accennati da uomini veri, braccia a stringere spalle e sguardi carichi di un amore capace di bucare la superficie patinata della stampa; quasi peggio di uno schiaffo in faccia. Riconobbe la Sargent alla prima occhiata, sebbene i tratti acerbi da adolescente in quello scatto stessero già lasciando il posto alle stupende fattezze di una donna adulta.
    Corrugó la fronte, la geocineta, le labbra dischiuse su una domanda formulatasi rapida nella mente, ma troppo difficile da formulare ad alta voce. Poteva provarci, quanto meno. «avevi una so-» -rella? «questi siamo io, voi due e luke» No, non aveva una sorella. I loro occhi si incrociarono, per un istante, e Murphy interpretò l'emozione letta in quelle iridi scure come incertezza, più che timore; sbagliando, le venne da pensare che fosse normale, per una ragazzina, tentare di riempire i vuoti lasciati da un destino di merda con quello che le capitava a tiro.
    Ad esempio, una foto trovata chissà dove, tra cataste di ricordi appartenuti a qualcuno ormai perduto, l'idea di una famiglia lasciata indietro e con la quale non era possibile ricongiungersi. Murphy la capiva, davvero: dopotutto, aveva passato due ore, giusto quella mattina, seduta sul pavimento freddo dell'ala del museo destinata a conservare per sempre il ricordo di coloro che avevano donato la vita per la Francia ed il mondo, raccontando allo zio defunto alcuni dettagli del futuro, sorridendo tra sé e sé nell'ascoltare le risate di Amalie e Maeve esistenti solo nella sua testa. Ciascuno di loro faceva del suo meglio per sopravvivere di fronte a quella nuova realtà inconcepibile e crudele, e Murphy Skywalker sapeva di non essere la persona adatta per riportare Kieran con i piedi a terra. «chi è luke?» nemmeno si accorse di aver effettivamente dischiuso le labbra, il busto chino sul tavolino e le braccia posate sulla superficie dello stesso, il viso ad un palmo di naso dalla foto; il nome del ragazzo le parve quasi scivolare sulla lingua, un suono perfetto ed armonioso, terribilmente giusto. A voler essere proprio sinceri fino in fondo, la somiglianza tra loro ed i volti impressi sulla stampa opaca della fotografia aveva un che di inquietante. «abbiamo viaggiato cento anni nel futuro, quindi non vedo perché non dobbiate credermi. E non mi odiate, vi prego» Qualcosa nella facciata apparentemente tranquilla della geocineta cominciò a scricchiolare.
    Crack.
    Aggrottó le sopracciglia, rimettendosi seduta composta, il capo piegato in modo da poter osservare un alternanza Kieran e Shot, Shot e Kieran.
    Per quale motivo non avrebbero dovuto credere? Ma poi, buon dio!, credere a cosa? Si trattava di una fantasia, niente di più. Innocente e comprensibile, niente di cui la diciassettenne dovesse vergognarsi. E allora perché il cuore perse un battito? Perché il respiro le si mozzó in gola, quasi qualcuno avesse deciso di risucchiarle tutta l'aria dai polmoni?
    Strinse le dita sul ginocchil di Shot, senza guardarlo. Cercó la sua mano, senza guardarlo. Che in cuor suo già lo sapeva, la Skywalker; le iridi scure rimasero inchiodate alla foto, la sata scritta in calce, mamma e papà, un quartetto di capelli corvini e sguardi carichi di quell'affetto che Murphy conosceva bene, lo sentiva sfiorarle la pelle e l'anima ogni volta in cui si permetteva di pensare a suo padre, a Run, a Elijah o Stiles. Ai suoi amici, alla sua famiglia. Era l'amore di chi si aggrappava l'uno all'altro fino a diventare una cosa sola. «non..» capisco, non voglio, non posso - ma le labbra si richiusero senza aggiungere altro, il battito troppo rapido a pulsarle dritto in gola. «vengo dal 2043, e voi siete i miei genitori» Dovette sforzarsi, la geocineta, per non stringere eccessivamente la presa sulla mano di Shot e rischiare di spezzargli le falangi (?), preferendo piantagli le unghie tagliate corte nel palmo.
    Aveva dimenticato come respirare, ed il cervello privato dall'ossigeno fece l'unica cosa che in quelle condizioni ci si sarebbe aspettati da un organo di tale vitale importanza: diede fourfet.
    Annuí con aria solenne, il mento - ed una traccia appiccicosa di gelato - sporto leggermente in fuori, le palpebre socchiuse al punto da rendere gli occhi due fessure: li rivolse a Shot, stringendosi nelle spalle mentre allentava la presa, sorvolando affabile all'espressione disorientata (non una novità) dipintasi sul volto del ragazzo. «quindi siamo stati a letto insieme. quanto vorrei poterlo dire a run.» Un sorriso le sfioró le labbra, guastato dal retrogusto acidulo della bila risalita fino in gola, quest'ultima ostruita da tutte le lacrime, la tensione ed i sospiri che Murphy fino a quel momento non aveva trovato la forza di liberare. Si sentiva piena e vuota allo stesso tempo. Strinse di nuovo a sé il barattolo di cartone vuoto, un rimasuglio di vaniglia sciolto sul fondo, ma solo con il braccio destro: una frazione di secondo, il tempo di far battere il cuore e le ciglia, e la mancina aveva già attirato Kieran a sé. Non pensava a nulla, Murphy Skywalker, troppo stanca per credersi madre, troppo stanca per sperare fosse vero, voleva solo aggrapparsi a qualcosa di bello, e Kieran Sargent era qualcosa di meraviglioso.
    Ed era qualcosa di suo

    h i r a e t h ; the nostalgia, the grief for the lost places of your past
     
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    chariton deadman
    1996's | 22.12.2117
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    «comment puis-je t’aider?» Chariton Deadman, braccia rigorosamente incrociate sul petto, alzò le scura sopracciglia voltandosi verso la fonte del suono. Avrebbe potuto rivolgersi a chiunque, la Guaritrice dell’ospedale magico parigino, eppure gli era parso fin troppo palese che la sua attenzione fosse tutta per lui: per il morbido tono accondiscendente che chiunque da quasi due settimane a quella parte nella capitale francese sembrava usare per rivolgersi ai sette eroi giunti direttamente da cento anni prima, per il fatto che l’unico intruso in quella stanza fosse il ventunenne, o anche soltanto perché in fin dei conti Shot era stato da sempre un filo egocentrico; era ovvio, parlasse con lui.
    A prescindere dal fatto che pareva essere una costante della gente del ventiduesimo secolo, quella di chiedere alle leggende se potessero essere loro d’aiuto – in un francese fluente, quando stentare l’inglese richiedeva una conoscenza che non tutti sembravano avere; come se non potessero sopravvivere da soli, in quel nuovo mondo -, Chariton era seriamente l’elemento disturbante, lì dentro. Non sapeva nemmeno perché, dopo giorni passati a non fare nulla nella villa di Will, aveva pensato che presentarsi nella struttura che per prima li aveva ospitati dopo la loro apparizione nel museo di Beauxbatons potesse essere una buona idea.
    O meglio, sapeva benissimo quale fosse il motivo che l’aveva portato a smettere di starsene con le mani in mano a fare Dio solo sapeva cosa – ossia, nulla: c’erano fin troppe cose sconosciute, in quel duemila cento diciassette, e soltanto con poche di esse aveva macchinato abbastanza da capire come potessero essere usate; ragion per cui se ne stava seduto dove capitava con una sigaretta o una birra tra le dita, che almeno alcol e tabacco ancora non erano radicalmente cambiati dopo tutto quel tempo -, ma ciò non spiegava come l’ospedale fosse diventato agli occhi scuri del ragazzo l’attrattiva migliore da prendere in considerazione.
    Aveva bisogno, nonostante ostentasse menefreghismo ed una certa disinvoltura nei confronti del viaggio secolare, di distrarsi. Che la pace di quel futuro fosse qualcosa di fantastico, Shot non l’avrebbe mai potuto mettere in dubbio: rispetto alla situazione mondiale dalla quale provenivano loro, e sebbene fosse certo che dietro tutta quella bellezza non poteva ch’esserci del marcio a covare nel sottosuolo, gli sembrava di essere una di quelle utopie di cui si legge soltanto nei racconti; pareva, in quel di Parigi, che nulla potesse andare storto in alcun modo – non era tutto perfetto, ma si stava bene. Niente a che vedere con la Londra del secondo decennio del duemila. Di quel periodo, quel mondo sembrava aver riservato ben poco; del loro piccolo mondo, non sembravano essercene più le tracce. Persone come Chariton Deadman, lì, avevano la possibilità di ricominciare da capo: nel caso più specifico del babbano, di iniziare e basta. Nessuno avrebbe saputo che era un adescatore; nessuno l’avrebbe messo alla gogna pubblica per aver rapito centinaia di ragazzi, di uomini e donne che di colpa avevano avuto quella di venire segnati su una lista fin troppo lunga; nessuno l’avrebbe chiamato Apollyon, domandando al ventunenne di fare soltanto ciò che sapeva fare meglio.
    Non c’era nessuno, che potesse impedirgli di essere Shot, capite? Era stata una ventata d’aria nuova, quella a premere nei polmoni nel respiro rubato ad un universo che non apparteneva loro. Quella del pronipote di Will, era sembrata essere una remissione di tutti i peccati che potessero aver mai commesso cento anni addietro: erano dei fottutissimi eroi, il tempo delle loro guerre era finito, erano al sicuro. Ad ogni giorno che passava, Chariton non poteva ripetersi che non gli interessava se Lafayette sarebbe infine riuscita a trovare un modo per riportarli a casa - che per quanto gli riguardava, poteva benissimo ricostruire le fondamenta di una nuova vita lì: aveva vissuto secondo la politica del “adattarsi o perire” per vent’anni, poteva riuscire in un’impresa simile senza alcuno sforzo.
    Ma. «non» rispose all’infermiera, un forte accento francese a chiudersi sulla vocale: ancor prima di poter capire grazie al proprio potere qualsiasi lingua come fosse effettivamente inglese, e di conseguenza rispondere con la stessa, fluente semplicità, l’adescatore era stato addestrato per anni a parlare ed emulare in maniera perfetta qualsiasi linguaggio dell’Europa occidentale, pronto per ogni evenienza; la lingua romanza non era stata mai la sua prediletta, eppure aveva notato essere quella che gli era costata meno studi e fatica – quasi fosse naturale, per il ragazzo, parlare il francese. Rimase a guardare la ragazza, e questa altro non fece se non ricambiare il suo sguardo, quasi aspettando che continuasse a parlare – al ché, aggiunse quel «merci» di cortesia che altrimenti, se non si fosse sentito tanto tedioso, non avrebbe mai davvero ritenuto opportuno specificare.
    Il fatto era che non riteneva davvero d’avere un motivo per essere lì, pertanto gli aiuti non potevano che essere inutili.
    Il fatto era che non avrebbe potuto aiutarlo nemmeno se lo avesse davvero voluto: perché lei, quel ma a strozzargli il respiro – ed a farlo svegliare alle quattro di mattina senza nessun motivo, sudato e con il fiato corto sebbene caldo non ne facesse; a fargli chiudere gli occhi, le dita a premere sulle tempie per placare un’emicrania priva di forma, ogni volta che si ritrovava sovrappensiero, la mente a scivolare sui ricordi di Run, Sin, Lydia, Arci o Jade -, non poteva toglierglielo nemmeno provando in tutte le maniere che le nuove scoperte della medicina le permettevano.
    Perché il problema, era che ciò che si era lasciato alle spalle faceva male - più di quanto i Chariton Deadman di questo mondo potessero mai immaginare di soffrirne: quelli come Shot, il dolore a derivare da un distaccamento del genere, non erano stati addestrati per provarlo. La vita nel duemila cento diciassette poteva essere bella, ma senza Run, senza i suoi coinquilini, senza Arci e senza Jade, non ne valeva davvero la pena.
    E lui, quel nodo allo stomaco a stringere sempre un po’ di più, giorno dopo giorno, non riusciva nemmeno a classificarlo sotto quella sfera: non glielo avevano mica mai spiegato, come bisognava gestire le proprie emozioni. Per quanto lo riguardava, poteva essere soltanto una qualche merda di influenza del futuro per la quale non erano ancora stati vaccinati - sapeva che non era così, ma lo aiutava a dormire la notte.
    O almeno, quasi tutte le notti; evidentemente, non quella.
    «en revanche,» era tornato a guardare il nulla ad aleggiare sopra i lettini ospedalieri, e quando la voce della ragazza si fece eco nella stanza non si premurò di voltarsi nella sua direzione. A meno che non fosse sordo, era impossibile per lei credere che non l’avesse sentita: gli unici altri rumori erano strani macchinari attaccanti ai pazienti, o alcuni di questi che nel sonno mugugnava e si dimenava; lui, ovviamente, l’avrebbe preferito. Parlare con il genere umano non era il suo passatempo preferito, figurarsi alle quattro del mattino - già sdrucciolare tre sillabe in croce era stato un impegno troppo grande, per il ragazzo. Ciononostante, ritenne opportuno continuare a parlare: Shot dovette chiudere brevemente gli occhi, per ripetersi mentalmente che tirare fuori una pistola e minacciare di spararle se avesse continuato non era una buona idea. «tu veux m’aider?»
    Se voleva aiutarla.
    Evidentemente, la gente del dopoguerra si era costruita tutto un proprio mondo con i nomi dei Prescelti. Non aveva voluto informarsi oltre, ma era lecito credere che sul nome degli eroi di Beauxbatons fossero state scritte storie mirabolanti di gesta leggendarie – erano i loro eroi, le loro leggende: non poteva dargli torto. Nessuno però sapeva che non l’avevano voluto loro, e che quello che riportano i libri di storia altro non sono che piccolezze trasformate dalla piuma di uno scrittore troppo fantasioso; avrebbero potuto far saltare in aria la scuola, per quanto ne sapevano, ed avrebbero continuato a portarli sul palmo della mano come idoli d’oro laccato.
    Eppure non rispose, Chariton. Non un sorriso sardonico, né sopracciglia arcuate in silenzioso dissenso; non un fiato a dirle che non era il tipo che aiutava le persone, lui – e che se lo faceva, era per la loro rovina. Quando, serio ed atono, le chiese cosa avrebbe potuto fare – e cosa effettivamente avrebbe fatto di lì a poco: un potere inadatto ad una persona come Shot, ma decisamente utile in contesti simili; gli fece notare che non era sicura di riuscire a medicare tutti gli ospiti, e che lui poteva prendersi cura di alcuni di loro -, non lo fece per aiutare l’infermiera.
    Come la maggior parte delle azioni a muovere il ventunenne, lo faceva per sé stesso: aveva bisogno di tenere occupati mente e corpo, di essere perfetto in qualcosa in quel nuovo mondo.
    Aveva bisogno di non pensare a quello vecchio, Chariton Deadman.
    Se per farlo doveva improvvisarsi Allegro Chirurgo, l’avrebbe fatto.

    Annuì placido alla constatazione di Kieran, le iridi scure a rimbalzare da un gelato all’altro in mano alle due ragazze: buon Dio, com’era possibile che due esseri così piccoli potessero ingozzarsi così tanto? Più volte aveva cercato di relegare un tale pensiero ai meandri più reconditi della mente, ritenendo giusto non farsi più tante domande sulla Skywalker dopo tutto quel tempo, tutta quella vita, passato in sua compagnia, ma il modo in cui ingurgitava qualsiasi cosa le passasse dinnanzi gli impediva di non domandarselo ogni sacrosanta volta. La Sargent, non era di certo da meno; un po’, c’era da ammetterlo, lo spaventavano - davano l’impressione che se avessero voluto, avrebbero potuto mangiarti vivo.
    Fortuna (per lui e per tutto il genere umano) che erano Murphy e Kieran, gente che durante attacchi nemici si preoccupava se spezzando la spina dorsale ad un uomo quello sarebbe stato bene.
    Ovviamente, lui non aveva preso nulla – vedere quelle due mangiare saziava perfettamente.
    «willie mi ha dato un aggeggio per navigare su internet. Una specie di tablet. Sono andata a curiosare.. Sin ha aperto un orfanotrofio, nel 2021, con uno spazio per gli animali. Si chiama Murphy's» deglutì appena, lo sguardo a posarsi sul profilo della ragazza al suo fianco. «murph…» una parte di Shot, quella che puntualmente gli infiocchettava ben bene l’intestino tenue, avrebbe voluto posarle un braccio sulle spalle, stringerla al proprio petto e dirle che sarebbero tornati indietro; che almeno c’era lui, con lei.
    Un’altra, semplicemente, non ce la faceva: quella, ripensava a quei baci rubati quando nessuno dei due sapeva se avrebbero avuto altre occasioni per provarci, quei disperati tentativi di capire cosa cazzo stesse succedendo; ripensava a quella stessa mattina, identica a tutte le altre, in cui aveva cercato un contatto dopo giorni in cui la confusione aveva regnato come indiscussa sovrana, e lei si era allontanata.
    Inutile dire quanto poco Deadman ci sapesse fare con gli esseri umani: non li comprendeva, troppo complicati; Murphy Blue Skywalker, era il peggiore esemplare. Perché lei l’aveva sempre conosciuta, e più passava il tempo, meno gli sembrava di averlo mai fatto realmente. «ti avevo detto di non fare ricerche» l’aveva consigliato credendo che le avrebbe fatto male sapere come gli altri erano andati avanti nonostante tutto, e naturalmente non si sbagliava. «finirai per scoprire che run si è messa a coltivare barbabietole da zucchero in qualche parte del mondo» uau, sarebbe stato davvero trpp mistiko!!1
    «scusa, kier. il 2043?» quando la ragazza aveva osservato che in quell’anno parevano passarsela peggio, Chariton non ci aveva fatto davvero troppo caso. Quando erano approdati in quell’epoca, Will aveva detto loro che c’erano stati cinquant’anni di guerra ed altrettanti di pace: quella data, la poteva anche soltanto aver vista in qualche libro di storia, nel quale era ricordata per qualcosa di veramente spiacevole. «mh, volete vedere una cosa?» ed ancora, Shot non riuscì a guardare la più giovane - sembrava esserci uno schema in quell’incontro, che casuale e fortuito non lo era mai stato; ma non era per quello che non riusciva a soffermarsi sui tratti di lei. C’era qualcosa, in Kieran Sargent, che non gli quadrava – qualcosa che si incastrava fin troppo in puzzle che non aveva mai cominciato, capite.
    Senza contare che la sua attenzione era per tutt’altro. Le iridi cioccolato non poterono far altro, in quel momento, se non scivolare sulle dita di Murphy a stringergli il braccio: ancora, non riusciva a capirla.
    Quello che seguì ai muti e significativi cenni dei due Estremisti, per i gusti di Shot accadde un po’ troppo velocemente.
    «questi siamo io, voi due e luke»
    Non ebbe il tempo di domandare come fosse possibile - che lui una data del genere non l’aveva mai vissuta, che il presunto sé stesso della foto sembrava avere una ventina di anni in più di lui, che non aveva mai visto lei o tale Luke prima d’ora. Aggrottò soltanto le sopracciglia, il fiato a morirgli in gola.
    «abbiamo viaggiato cento anni nel futuro, quindi non vedo perché non dobbiate credermi. E non mi odiate, vi prego»
    Non ebbe il tempo di dirle che credeva a ben poco, lui, e che odiava tanti. Ma che lei, ne era certo, non avrebbe mai potuto odiarla: una sensazione a pelle, la sua, dal primo momento che i loro sguardi si erano incrociati a Beauxbatons; troppo familiare, per ispirargli un rancore immotivato.
    «vengo dal 2043, e voi siete i miei genitori»
    Non sentì la mano della Skywalker stringersi violentemente attorno alle sue dita, troppo turbato e confuso. Avrebbe voluto dirle che non capiva, ma più osservava la foto più riteneva non ci fosse nulla da capire: era, semplicemente, troppo assurdo per essere vero.
    Che avesse sempre idealizzato l’idea di un futuro con Murphy, di una vita normale con la migliore amica, era palese agli occhi di tutti tranne che a quelli di lei – ma era arrivato a pensare, di averla idealizzata a tal punto da averla resa inaccessibile: le cose belle, lui, non le sapeva tenere. Non le sapeva comprendere.
    Quello, tuttavia, era troppo – e dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio, non poté più trattenere una sincera risata gutturale a graffiargli la gola. Avevano viaggiato nel tempo per cent’anni, come aveva loro fatto notare la mimetica, quindi non aveva alcun modo di mettere in dubbio la sua provenienza da quell’anno – qualunque fossero state le sue ragioni -, ma era il resto ad essere troppo esilarante.
    Troppo bello per credere fosse vero.
    Troppo desiderato, per credere potesse essersi realizzato.
    Non aveva idea di come prendere una simile notizia, Shot: l’unico modo possibile, era non prenderla e basta. «quindi siamo stati a letto insieme. quanto vorrei poterlo dire a run.» così poco incline a ridere il Guaritore, che smettere per guardare serio la ragazza al suo fianco fu un gioco da ragazzi.
    C’è da dire, però, che fu anche molto facilitato dalla saliva che improvvisamente aveva rischiato di strozzarlo alle parole di Murphy. Quindi siamo stati a letto insieme.
    Santo cielo, dopo anni che le andava dietro era a malapena riuscito a racimolare un bacio nei momenti di disperazione e stordimento generale, venendo subito dopo ripagato con un sempre più gelido distacco: da lì a pensare di essere stati sotto le stesse coperte, ce ne passava d’acqua sotto i ponti.
    Non che non avesse voluto. Era lei, a sembrare di non volerlo.
    «oh, andiamo murphy, non vorrai dirmi che ci credi davvero» tornò con gli occhi su Kieran, le braccia alzate in segno di resa. «cioè, posso credere al fatto che tu venga dal futuro, ma che tu sia nostra figlia?» dette la colpa di quella titubanza all’assurdità della frase stessa, e non di certo al fatto che ripetere quella semplice nozione facesse uno strano effetto al livello della gabbia toracica. «dimmi la verità, kieran» si inumidì le labbra, piegandosi appena sul tavolo: il minimo dubbio gli era sorto nel momento in cui era intervenuta la Dottoressa, ma continuava a ripetersi che Run non gli avrebbe mai fatto una cosa del genere. Era una Run, ma era anche la sua migliore amica: sapeva da sempre cosa provasse per Murphy, e non aveva mai una volta fatto in modo che lei capisse qualcosa. Doveva risolversela Shot, e si fidava abbastanza della Crane per credere non avesse spifferato il suo segreto.
    Eppure… magari era tipo uno di quei piani di riserva, sapete?, di quelli che trovi nei kit di sopravvivenza in caso di fine del mondo – e si sapeva che la ragazza avesse priorità particolari, nella vita.
    Come potessero conoscersi Run e Kieran, non lo sapeva credo?.
    «ti sei per caso messa d’accordo con qualcuno per organizzare questo scherzo?» prese la foto tra le dita, esaminandola più a fondo. «sembra fatta così bene, chi l’ha ritoccata deve essere un vero mago su photoshop»
    E non poteva che continuare a pensare, che doveva per forza essere uno scherzo.
    Che più teneva in mano quell’istantanea, più riconosceva i tratti impressi sulla carta fotografica, e meno aveva senso.
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    Era ipnotizzata da quel cibo così strano e familiare al tempo stesso, che alla fine dei conti era sempre lo stesso ma il fatto che provenisse dal futuro lo rendesse speciale – era un po’ come se avesse preso un gelato in Brasile, uguale ma super bello perché uau è esotiko!!11! Girava il cucchiaino nella pasta e si sorprendeva ogni volta di come un nuovo arcobaleno partisse dalla punta, chissà se poi poteva mangiare anche quello, lei sperava di sì. C’erano un bilione di cose che la Sargent avrebbe potuto fare e invece era lì a emozionarsi sopra del cibo, era così tipico di lei da farla ridacchiare sommessamente come gli psycho; pregava che Murphy e Shot non l’avessero sentita perché era davvero imbarazzante. Si era imposta di fare bella figura davanti ai suoi genitori, anche se a quel punto non era sicura importasse così tanto: dopo tutto quello che avevano passato in quest dubitava che conservassero ancora un pudore. Beh, lei e la Skywalker non ce l’avevano mai avuto, era di Shot che stava parlando. Sapete, il Deadman le aveva incusso paura sin dal primo momento in cui l’aveva visto, lui e i suoi modi da ottantenne bisbetico, e mai in quella vita avrebbe pensato di riuscire a superare quell'ancestrale terrore. Era un po’ fiera di se stessa, anche se le ci era voluta una situazione di vita o di morte per farlo. «willie mi ha dato un aggeggio per navigare su internet. Una specie di tablet. Sono andata a curiosare.. Sin ha aperto un orfanotrofio, nel 2021, con uno spazio per gli animali. Si chiama Murphy's» Kieran alzò lo sguardo sulla donna, sorridendole morbidamente, non aveva idea di quello che doveva star passando la Skywalker ma poteva immaginarlo: lontana dalla sua famiglia, senza possibilità di contattarli. L’unica cosa che le rimaneva era quel tablet e un paio di articoli di giornale, a cui si aggrappava disperatamente – glielo leggeva negli occhi, non poteva negarlo. «spero che abbia allargato la sua collezione di piccioni» così, a caso, dato che non era in grado di reggere quelle situazioni delicate. E cosa avrebbe dovuto dire? L’aveva a malapena conosciuto, non si trovava nella posizione di spendere tante belle parola. Da quello che aveva potuto vedere sembrava una brava persona, forse un po’ eccentrica, e voleva bene ai suoi animali, tanto le bastava perché lo accettasse nel suo kwore. «ti avevo detto di non fare ricerche» severo, ma giusto. C’erano volte in cui ringraziava la rudezza di Shot, tra quelle di disagiate dagli occhi troppo grandi, qualcuno come lui serviva. Kieran si domandava se anche Caleb fosse come loro padre, o se invece avesse preso da Murphy, peccato che non avrebbe mai potuto scoprirlo. Il suo volto si rabbuiò per un momento, il cuore a stringersi nel petto al pensiero che non avrebbe mai potuto conoscerlo. «scusa, kier. il 2043?» annuì piano, lo sguardo ad alzarsi sulla madre mentre tirava fuori il fascicolo che aveva conservato con tanta cura fino a quel momento «avevi una so-» scosse la testa, incapace di proferire parola, la lingua annodata all’interno del palato. Quello che lesse negli occhi della madre non fu ciò che si aspettava, sebbene avrebbe dovuto aspettarselo: non poteva sganciare una bomba del genere e aspettarsi che tutti ne fossero entusiasti. Osservò il volto di Shot, un misto di confusione e sospetto nei suoi lineamenti, mentre Murphy sembrò superare la diffidenza iniziale avvicinandosi alla foto «chi è luke?» «è mio fratello» rispose, quella parola a scivolare sconosciuta dalle sue labbra, lei che un fratello non l’aveva neanche mai avuto. Finse di non vedere la mano di sua madre a stringere quella del Deadman, il suo cuore da psycho!shipper e figlia non poteva sopportare tutte quelle emozioni. «quindi siamo stati a letto insieme. quanto vorrei poterlo dire a run.» preferiva non pensare a quella parte, era troppo anche per lei «mmh già, bello» abbassò gli occhi sul gelato, mormorando quell’ultima parte.
    «oh, andiamo murphy, non vorrai dirmi che ci credi davvero» la Sargent finse di non aver appena ricevuto una stilettata nel ventre, come se quelle parole non l’avessero neanche sfiorata - ma sappiamo tutti quanto Kieran fosse pessima a fingere, quindi si limitò ad affondare nelle sedia. Il seguito della conversazione fu anche peggio di quello che immaginava, incredibile. «dimmi la verità, kieran» stava già sudando freddo, anche se sapeva che era quella la verità. Il ragazzo si sporse sul tavolo, e Kieran si sentì morire cento volte, immaginandosi già in un interrogatorio della CIA. «ti sei per caso messa d’accordo con qualcuno per organizzare questo scherzo?» quando prese la foto tra le mani ebbe una paura folle che stesse per strappargliela, il cuore a smettere di battere nel petto per qualche momento «sembra fatta così bene, chi l’ha ritoccata deve essere un vero mago su photoshop» okay, quello era offensivo. La sua espressione da cucciolo bastonato mutò immediatamente in una oltraggiata, ma come si permetteva? Okay che aveva messo in conto quel tipo di reazione, non voleva certo dire che fosse preparata ad affrontarla. Era naturale che non le credesse, da lui se l’era aspettato, aveva solo bisogno di mostrargli qualche prova in più e fare leva su Murphy.
    Chiuse per un attimo gli occhi prendendo un respiro profondo, sentiva già di star per svenire. «okay, ci sta che tu non mi creda e pensi sia uno scherzo» glielo concedeva, sarebbe stato strano il contrario «immagino che abbia bisogno più prove per credermi, giusto?» non aveva idea del perché gli sembrasse così assurdo che avesse creato una famiglia con Murphy, da quel che aveva visto non sembravano aver problemi?? Riprese il fascicolo nelle sue mani, scorrendo le varie pagine in cerca di qualcosa che potesse convincere entrambi, trovandosi in discreta difficoltà. Poteva sentirle il sudore scorrere sulla fronte e l’orologio ticchettare dall’altra parte della stanza, quella era peggio di un’interrogazione per la quale non aveva studiato o uccidere un tipo con un abbraccio. «ho una lettera dal futuro, che immagino sia carta straccia opp- ah, ci sono! Posso dirvi qualcosa su voi stessi che solo una persona vicino a voi saprebbe» quella strategia l’aveva presa da un telefilm, doveva ammetterlo, però avevo funzionato alla fine quindi tanto valeva provare. «vediamo un po’…te, Murphy, sei stata rapita da bambina e portata nei Laboratori dove entrambi lavorate/vate e in realtà zan zan zan sei una Quinn» lo sapeva che la madre non aveva bisogno di chissà quale convincimento, però voleva includere anche lei nel discorso #wat. Spostò poi lo sguardo sul Deadman, concentrandosi per trovare qualcosa nella sua mente che lo convincesse «anche te Shot sei stato rapito da bambino - uau kuante kose in komune che avete - e….quando mangi le m&m’s scarti sempre quelle verdi perché ti fanno senso» terminò fiera di se stessa, incrociando le braccia al petto e attendendo una riposta dai due. Ovviamente c’era scritto tutto sulla lettera - la quale poteva benissimo essere falsa - ma quelli erano dettagli.

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    Il tatto non era propriamente la caratteristica migliore di Chariton Deadman, e tantomeno il senso di colpa che sarebbe potuto derivare dalla palese assenza di un tale umano attributo di fronte ad un’altra persona: parlava ancora prima di pensare, privo di un qualche filtro che gli permettesse di selezionare cosa fosse giusto o meno dire affinché qualcun altro non ne risentisse. Sia perché, sinceramente, non gliene era mai importato più di tanto del fatto che qualcuno potesse non apprezzare ciò che aveva da dire - quando e se, lo aveva da dire; preferiva di gran lunga restare in silenzio e giudicare da lontano, piuttosto che sprecare il proprio fiato se poteva scegliere -, sia perché gli era stato insegnato sin dalla tenera età che non aveva il tempo di riflettere prima di sparare: una dottrina, quest’ultima, che aveva adattato sia alla praticità del proprio lavoro che alla mondanità di tutti i giorni.
    Osservò Kieran inabissarsi nella propria seduta senza battere ciglio; la vide risentirsi, offendersi delle accuse che le erano appena state mosse contro, incapace di rammaricarsi a sua volta della scarsa attenzione e premura con cui l’aveva trattata. Di certo, non era sua reale intenzione ferirla in quel modo: voleva soltanto capire dove volesse andare a parare, cosa ci fosse dietro; quello raccontato dalla giovane era un idillio fin troppo utopico agli occhi di Shot, nonché esageratamente assurdo e fuori luogo. Chinò appena lo sguardo su Murphy, stringendo le labbra tra di loro e chiedendosi come potesse non trovarlo maledettamente ironico. Non riteneva utile domandarsi come potesse credere ciecamente alla confessione della Sargent, conoscendo talmente bene la migliore amica da sapere ch’ella, di storie fantascientifiche simili, ci si abbuffava quasi fossero un buffet gratuito alla sagra della ciambella – ma che fosse irrazionale, almeno un po’, doveva pensarlo.
    Forse sbagliava lui, a prenderla in quel modo: certo l’aveva messo in preventivo sin dal momento in cui gli si era creato un groppo in gola alla vista dell’istantanea della sua presunta figlia, ma aveva le sue buone ragioni per non voler credere a quella storia. Sospirò appena, distogliendo le iridi scure dal profilo della Skywalker per riportarle sul viso di Kieran: la somiglianza indiscutibile che legava le due non aiutava a mantenere salda la propria posizione in quella faccenda. Era destabilizzante, come ogni minimo movimento della più piccola paresse essere un’emulazione perfetta ed adattata di quelli che, per vent’anni, aveva notato in se stesso e nella geocineta – e respirò ancora soltanto per avere altro da fare, mentre la caparbietà ed esplosività della sua presunta figlia venivano a galla rendeva tutto più complicato.
    Più passavano i secondi, più Chariton sapeva di credere a quella storia; al contempo, sempre maggiormente si convinceva di non essere disposto a farlo.
    Si sentiva esattamente come Run e Murphy durante lo scatto finale nella maratona della loro serie preferita: avevano percorso tanto, mancava loro soltanto lo sprint esaustivo che avrebbe portato a compimento la stagione – e poi arrivava Sin, che innocentemente se ne usciva dicendo di aver letto da qualche parte che nel prossimo episodio tal tizio sarebbe morto, rovinando loro la scena clou di tutto il telefilm. Sapeva che loro avrebbero continuato a vederlo, sperando non fosse come detto dal Dottore spaccagioie pur consce che non poteva essere altrimenti, che tutti gli indizi portavano inevitabilmente a quella conclusione - consapevoli, che una volta giunte a quel punto l’avrebbero goduto un po’ meno, perché non c’erano arrivate da sole.
    «immagino che abbia bisogno più prove per credermi, giusto?» si spinse contro lo schienale della sedia, le braccia incrociate senza proferir parola. Sì e no, avrebbe voluto sinceramente dirle, ma non lo fece unicamente perché non era più certo di cosa pensasse. Fece cadere la coda dell’occhio nuovamente sulla propria vicina, mentre Kieran parlava di lettere dal futuro e metodi alternativi per guadagnarsi la loro fiducia; lui d’altro canto non poteva che chiedersi se per lei, la ragazza per cui aveva una cotta da sempre e che ancora non era riuscito a conquistare con le proprie forze, sarebbe cambiato qualcosa tra di loro solo per il fatto che così doveva essere.
    «anche te Shot sei stato rapito da bambino - uau kuante kose in komune che avete - e….quando mangi le m&m’s scarti sempre quelle verdi perché ti fanno senso» okay, quella delle m&m’s era un colpo basso – probabilmente nemmeno i suoi amici al Laboratorio sapevano di quel suo… problema. Lo disturbavano, un po’ come i cetrioli facevano ai gatti; una cosa impulsiva ed irrazionale che non avrebbe saputo spiegare ma che comunque non era importante ai fini della trama. «mh.» mugugnò, senza né dissentire né confermare: potevano essere nel ventiduesimo secolo, ma non era del tutto sicuro che professare la propria appartenenza ad un (ex?) gruppo estremista potesse essere una buona idea; d’altronde, omettere la realtà sarebbe stato stupido, e Blue lo avrebbe contraddetto al volo. «tu sei una mimetica,» commentò piatto, senza muoversi di un centimetro. «e per quanto ci è dato saperne potrebbe esserci un telepata qui nei dintorni, del quale ti sei approfittata per entrarci nella testa ed estrapolare queste non-così-semplici informazioni.» si piegò in avanti, poggiando i gomiti sul tavolo e guardando fisso negli occhi la ragazza. «oppure potresti averle lette in qualche libro che narra le fantastiche vite degli eroi di beauxbatons» enfatizzò le ultime parole con un cipiglio stanco ed un sospiro a mezza bocca, roteando brevemente gli occhi al cielo: uno dei pochi motivi per cui non avrebbe potuto vivere per sempre in quell’epoca – sempre che fosse concesso tornare a casa prima o poi -, era quel continuo essere etichettati come Leggende. Era… snervante, e sbagliato. «se vuoi che io creda davvero a questa storia,» Sapeva di mettere a disagio le persone con la propria, semplice presenza, ed a volte era un bene. «devi fare meglio di così, kier. stupiscimi
    Come? Chi lo sa: evidentemente, non Chariton Shot Deadman.
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    Forse era stato sbagliato da parte sua, ma Kieran non aveva potuto fare a meno di riempirsi la testa di aspettative sui suoi genitori. Era fatta così, non era capace a affrontare le situazioni come le persone normali e si lasciava prendere dall’entusiasmo, quindi era /normale/ che si fosse già fatta mille viaggi su di loro – e se per Murphy aveva avuto ragione, boi quanto si era sbagliata su Chariton. Dire che fosse riuscito a metterla a disagio in una manciata di secondi era riduttivo, persino la sua giacca di pelle mandava ondate di morte e disperazione, ma come si faceva. La mimetica ancora stava cercando di nascondersi sotto il tavolo, probabilmente in cerca della seconda entrata per Narnia, qualsiasi cosa per sfuggire allo sguardo indagatore dello special; stava incominciando a provare una sensazione terribile, la stessa che le prendeva allo stomaco quando si rendeva conto di essere piombata ad una festa alla quale non era stata invitata, sapeva di non essere gradita e quella consapevolezza la faceva sentire come una cacca. «tu sei una mimetica, e per quanto ci è dato saperne potrebbe esserci un telepata qui nei dintorni, del quale ti sei approfittata per entrarci nella testa ed estrapolare queste non-così-semplici informazioni» beh dai, simpatico, chissà se anche Luke era uscito così male. Si ritrovò con lo sguardo del padre fisso nei suoi occhi, una tattica d’intimidazione usata con i cani, e forse furono le sue accuse, il suo poco tatto, ma finalmente qualcosa dentro di lei le diede la forza di reagire: basta subire. «oppure potresti averle lette in qualche libro che narra le fantastiche vite degli eroi di beauxbatons» la ragazzina scosse piano la testa, il piccolo sorriso sulle labbra non prometteva nulla di buono – forse un abbraccio a Shot? Il Deadman poteva anche essere suo padre, ma non avrebbe continuato a put up con le sue cavolate, le dispiaceva solo per Murphy che – ancora una volta – non aveva fatto niente. Beh, avrebbe chiarito le cose il giorno seguente con la loro maratona Netlix. «puoi stupirti da solo con questo gelato» non era brava a rispondere a tono alla gente, non sapeva neanche quanto fosse riuscita nell’intento? Sperava solo che non si mettessero a ridere, si sentiva già una merdina così. «ci si becca. Prima o poi» qnt era stata kattiva, si era davvero superata quella volta. Prese la sua coppetta di gelato, che nel frattempo si era mezza sciolta, e con un ultimo saluto alla Skywalker si alzò dal tavolo.
    kie
    ran
    sargent

    22.12.2117
    17 y.o. + muggle
    keeper + mimesis
    So can we let stars light the way
    Through heavenly rain
    It doesn't matter where we are
    We're all looking at the same stars

     
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5 replies since 3/12/2017, 09:20   417 views
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