So can we let stars light the way
Through heavenly rain
It doesn't matter where we are
We're all looking at the same stars
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.«mi dispiace.»
mi dispiace.
Parole a perdersi in un frammento di tempo, senza che Kieran potesse afferrarne il significato. Gli occhi erano spalancati sulla barriera, i suoi amici, la sua famiglia a sparire senza che potesse fare niente – allungò una mano davanti a sé, dita a protrarsi più di quanto le fosse possibile a cercare di spezzare quella protezione, non raggiungendola mai.
Un resiro incastrato in gola a bruciare nei polmoni, il mondo a collassare attorno a lei, mentre il buio sembrava avvolgerla nel più confortante degli abbracci. Un secondo, forse mille, una vita intera, forse un battito di ciglia, finché persino lei smise di esistere.
Un primo, tremolante respiro. E poi un secondo, ed un terzo, tanto per assicurarsi che in quell’oscurità qualcosa ancora ci fosse, che almeno lei ancora sopravvivesse. Non si era mai domandata cosa la stesse aspettando dopo la Vita, se fosse come i film o qualcosa di simile al Nulla più assoluto – non aveva mai avuto bisogno di chiederselo, aveva solo diciassette anni.
Aveva solo diciassette anni.
Kieran Sargent aveva sempre sognato di diventare un’astronauta, o forse era più adatta a diventare una fumettista. Non ne aveva idea, si era detta che aveva ancora tempo per pensarci, dopotutto aveva davanti anni per scoprirlo. Se l’era sempre detto, che aveva ancora tempo. A diciassette anni si ha tutta la vita davanti, giusto?
Aveva diversi sogni nel cassetto, le sarebbe piaciuto costruire un aquilone, e perché no, persino andare a visitare la Muraglia cinese – sognava un futuro davanti a sé, uno costruito giorno dopo giorno, ritagli di un giornale incollati alla grande bacheca della Vita.
C’erano tante cose che avrebbe dovuto scoprire, cosa si provasse a poggiare le labbra contro quelle di qualcun altro, il dolore del primo cuore spezzato, il petto a esplodere di mille fuochi d’artificio alla vista di una stella cadente.
Aveva solo diciassette anni, un’intera vita davanti.
Finché, in un battito di ciglia, questa vita le si era sgretolata davanti. Solo polvere tra le dita, uno schiaffo in pieno volto. Aveva voluto sperare in una seconda occasione, Leia Skywalker, non sapendo che ormai non aveva più tempo, che non ne aveva mai avuto.
Pensava di aver perso tutto, finché altri respiri si andarono ad aggiungere al suo, mormorii incomprensibili a rompere il silenzio di quell’incubo. Avrebbe voluto che la luce delle bacchette non si fosse mai riflessa sulle targhette metalliche dai nomi famigliari, occhi affamati a divorarne ogni curva. Cosa voleva dire? Non pot- «MANI IN VISTA, ALLONTANATE LE BACCHETTE» un bagliore ad accecarla per un momento, delle manette a stringersi attorno ai suoi polsi senza che potesse più muoversi. Non capiva, la mimetica, c’era qualcosa di dannatamente sbagliato nelle loro vesti e nel luogo in cui si trovavano. Ci era già stata lì, poteva essere stata ripulita dal sangue e dall’odore del terrore a impregnare la pietra, ma era la stessa in cui Kieran aveva smesso di esistere per qualche attimo, qualche vita. «il museo è chiuso da ore, come avete fatto ad entrare?»
Il museo? Non capì, la Sargent, finché i suoi occhi non si posarono sulle targhette di poco prima, scorrendo tutta la parete fino a trovare il suo nome. E quello di Murphy, di Beckah e dei tre Beaumont-Barrow. Cosa significava? Erano morti? Non era possibile, poteva ancora sentire il proprio cuore battere furioso, vedere la stessa espressione confusa riflessa sul volto di Shot. Non aveva senso, perché non erano mai morti - loro, perlomeno, non poteva dire lo stesso di Barry o Sandy. Ci sarebbe dovuto essere anche Barry lì, così come Al e Amalie, perché invece non sembravano essere da nessuna parte? Incominciò a torturarsi l’interno della guancia, il cuore ad appesantirsi al solo pensiero che potessero non avercela fatta. No, dovevano essere vivi, non accettava nessun’altra realtà. Perché non avrebbe accettato un mondo dove lei era sopravvissuta e loro no, non aveva niente in più o in meno di loro, non se lo meritava più di quando avrebbero potuto i suoi amici. «mon dieu, siete voi. siete tornati» una voce si levò dalla massa pece a circondarli, e quando si tolse l’elmetto, Kieran realizzò che non era per niente come se l’era aspettato. Fatele causa, se persino lei aveva dei pregiudizi, e immaginava sotto a quella visiera un uomo di mezz’età e con tutta probabilità senza un capello in testa - inutile dire che le era già partita la crush molesta, quella che Erin le descriveva sempre ma che fino a quel momento non aveva compreso appieno. Si sistemò una ciocca dietro ai capelli, il suo misero tentativo di rendersi presentabile, come se ciò potesse cancellare le tracce di sangue dal suo volto e gli squarci sui vestiti. Poco importava, perché quasi smise di respirare pochi attimi dopo «sono william barrow II» incominciò a tossire all’improvviso, la saliva che le era andata di traverso a impedirle di smetterle. Non riusciva neanche a pensare alla pessima figura che stesse facendo, quanto più al fatto che non potesse essere attratta da un parente di William. Che schifo, il solo associarli le metteva i brividi e certo non perché il Barrow avesse qualcosa che non andava, era più il fatto che lo considerasse come un amico e neanche lontanamente attraente. Cioè, non per lei.
Né quello, né il vedere il nome dei suoi amici su quelle lapidi, era riuscito ad abbattere il suo solito ottimismo - aveva pensato che vi fosse una spiegazione logica, in fondo, che in qualche modo si potesse aggiustare. Il colpo di grazia arrivò alla fine, quando meno se lo aspettava.
«in che anno siamo?»
«nel 2117. bentornati a casa»
R.I.P Kieran Sargent 2000-2117
Non poteva credere i propri occhi, non sarebbe essere dovuto essere possibile, eppure erano lì, davanti a lei. Sbatté le palpebre come ad accertarsi che quei gelati stessero galleggiando nell’aria per davvero, non riusciva a capire come potessero resistere alla gravità, o se il ragazzo dietro alla cassa fosse un androide o meno, sembrava tutto così reale da farle credere di essere un sogno. Il sorriso sulle sue labbra morì, per quanto quella realtà assomgliasse alle sue fantastie più irrealizzabili, non era la sua. Certo, si sarebbe abituata così come aveva fatto per la precedente, ma non era quello il punto. Aveva perso ogni persona a cui avesse voluto bene, i suoi genitori adottivi, il resto della sua famiglia, e gli unici a rimanerle erano Shot e Murphy. Almeno loro, almeno sempre. Scosse la testa, non c’era niente che potesse fare, non poteva rimodellare il tempo solo perché tutto faceva male, solo perché le sembrava di non riuscire a respirare - almeno poteva dire che non tutto ciò che aveva fatto era stato inutile. Non sarebbe stata la stessa vita di prima, non sarebbe stata buona, ma poteva accontentarsi – sarebbe stata capace di adattarsi un’altra volta, in un modo o nell’altro lo faceva sempre. «non…» non è possibile. Si sporse sul tavolo, ignorando le due persone sedute davanti a lei, portando lo sguardo su due ragazze poco distanti da lei – strizzò gli occhi, il cuore a battere più forte nel petto, c’era qualcosa di familiare in loro, nel modo in cui si curvavano le labbra e le sopracciglia di corrugavano, erano così simili a Erin e Jess da farle male. Strinse le labbra tra loro, impedendosi di alzarsi e avvicinarsi a loro, quelle, per quanto volesse crederlo, non erano le amiche che aveva lasciato indietro, ormai sotto terra da anni. Abbassò lo sguardo sul tavolo, le palpebre premute tra loro nel tentativo di trattenere quelle stupide lacrime – stava bene, lo sarebbe stata. «non è male qui, vero?» esordì, le dita a tamburellare sul bordo della coppetta di gelato, un modo come un altro per rompere il silenzio. Poteva capirli, a giudicare dalla dimensione del barattolo della madre, non doveva averla presa bene come lei, ma aveva bisogno di dirglielo. Avrebbe dovuto tenere in conto il modo in cui si sentivano, avrebbe potuto aspettare qualche anno, qualche vita di più. Kieran Sargent non era fatta per tenere un segreto del genere dentro, e ora che non c’era più nessuno con cui parlarne, sentiva che sarebbe impazzita. Doveva dirglielo, capite? Non aveva più alcun senso continuare a mentirgli, aveva già perso tutto, cos’altro le rimaneva? «sarebbe potuto capitarci di peggio, il 2043 era un vero Inferno in terra» tastò il terreno, lasciando scivolare quell’informazione con la stessa tranquillità con cui si parlava del tempo, o almeno le piaceva crederlo – era più facile ignorare il fatto che stesse tremando, la voce più acuta del solito a minacciare di ricacciare in gola ogni parola. Nessuno le aveva insegnato come infrangere le regole, mai aveva pensato avrebbe spifferato tutto ai suoi genitori, e al contrario dei Prescelti della Missione, non aveva pronto un semi discorso. Stava già sudando freddo, troppe emozioni in così poche ore. «mh, volete vedere una cosa?» frugò dentro lo zaino, il fascicolo che aveva compilato decenni prima a scivolare sul tavolo verso di loro. Era aperto su una pagina particolare, la sezione dedicata alla sua famiglia e che mai aveva mostrato a nessuno, in quel momento, tuttavia, le sembrava la cosa più giusta da fare «questi siamo io, voi due e luke» col il dito indicò le figure sulla pellicola traslucida, evidenziando i nomi che stavano sotto ogni volto e la data risalente al 2037 affianco, un mamma e papà in bella vista sulla pagina ingiallita - pensava fosse abbastanza chiaro, ma in caso si stesse sbagliando «abbiamo viaggiato cento anni nel futuro, quindi non vedo perché non dobbiate credermi. E non mi odiate, vi prego» prese un respiro, le dita a sistemare i capelli dietro le orecchie. Aspettò qualche secondo ancora, aveva bisogno di protrarre quel momento più che potesse, assaporando ogni istante in cui ancora poteva dirla di averla avuta una famiglia, prima che entrambi si alzassero dal tavolo e la abbandonassero senza neanche guardarla in faccia «vengo dal 2043, e voi siete i miei genitori» occhi color pece a riflettersi in quelli altrettanto scuri dei genitori, il cuore a batterle talmente forte da farle girare la testa.
Non era così che l’aveva programmato, ma era tutto ciò che aveva.WHERE WE'RE FROM THERE'S NO SUN
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Edited by cookie monster - 9/5/2018, 20:54. -
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.Era ipnotizzata da quel cibo così strano e familiare al tempo stesso, che alla fine dei conti era sempre lo stesso ma il fatto che provenisse dal futuro lo rendesse speciale – era un po’ come se avesse preso un gelato in Brasile, uguale ma super bello perché uau è esotiko!!11! Girava il cucchiaino nella pasta e si sorprendeva ogni volta di come un nuovo arcobaleno partisse dalla punta, chissà se poi poteva mangiare anche quello, lei sperava di sì. C’erano un bilione di cose che la Sargent avrebbe potuto fare e invece era lì a emozionarsi sopra del cibo, era così tipico di lei da farla ridacchiare sommessamente come gli psycho; pregava che Murphy e Shot non l’avessero sentita perché era davvero imbarazzante. Si era imposta di fare bella figura davanti ai suoi genitori, anche se a quel punto non era sicura importasse così tanto: dopo tutto quello che avevano passato in quest dubitava che conservassero ancora un pudore. Beh, lei e la Skywalker non ce l’avevano mai avuto, era di Shot che stava parlando. Sapete, il Deadman le aveva incusso paura sin dal primo momento in cui l’aveva visto, lui e i suoi modi da ottantenne bisbetico, e mai in quella vita avrebbe pensato di riuscire a superare quell'ancestrale terrore. Era un po’ fiera di se stessa, anche se le ci era voluta una situazione di vita o di morte per farlo. «willie mi ha dato un aggeggio per navigare su internet. Una specie di tablet. Sono andata a curiosare.. Sin ha aperto un orfanotrofio, nel 2021, con uno spazio per gli animali. Si chiama Murphy's» Kieran alzò lo sguardo sulla donna, sorridendole morbidamente, non aveva idea di quello che doveva star passando la Skywalker ma poteva immaginarlo: lontana dalla sua famiglia, senza possibilità di contattarli. L’unica cosa che le rimaneva era quel tablet e un paio di articoli di giornale, a cui si aggrappava disperatamente – glielo leggeva negli occhi, non poteva negarlo. «spero che abbia allargato la sua collezione di piccioni» così, a caso, dato che non era in grado di reggere quelle situazioni delicate. E cosa avrebbe dovuto dire? L’aveva a malapena conosciuto, non si trovava nella posizione di spendere tante belle parola. Da quello che aveva potuto vedere sembrava una brava persona, forse un po’ eccentrica, e voleva bene ai suoi animali, tanto le bastava perché lo accettasse nel suo kwore. «ti avevo detto di non fare ricerche» severo, ma giusto. C’erano volte in cui ringraziava la rudezza di Shot, tra quelle di disagiate dagli occhi troppo grandi, qualcuno come lui serviva. Kieran si domandava se anche Caleb fosse come loro padre, o se invece avesse preso da Murphy, peccato che non avrebbe mai potuto scoprirlo. Il suo volto si rabbuiò per un momento, il cuore a stringersi nel petto al pensiero che non avrebbe mai potuto conoscerlo. «scusa, kier. il 2043?» annuì piano, lo sguardo ad alzarsi sulla madre mentre tirava fuori il fascicolo che aveva conservato con tanta cura fino a quel momento «avevi una so-» scosse la testa, incapace di proferire parola, la lingua annodata all’interno del palato. Quello che lesse negli occhi della madre non fu ciò che si aspettava, sebbene avrebbe dovuto aspettarselo: non poteva sganciare una bomba del genere e aspettarsi che tutti ne fossero entusiasti. Osservò il volto di Shot, un misto di confusione e sospetto nei suoi lineamenti, mentre Murphy sembrò superare la diffidenza iniziale avvicinandosi alla foto «chi è luke?» «è mio fratello» rispose, quella parola a scivolare sconosciuta dalle sue labbra, lei che un fratello non l’aveva neanche mai avuto. Finse di non vedere la mano di sua madre a stringere quella del Deadman, il suo cuore da psycho!shipper e figlia non poteva sopportare tutte quelle emozioni. «quindi siamo stati a letto insieme. quanto vorrei poterlo dire a run.» preferiva non pensare a quella parte, era troppo anche per lei «mmh già, bello» abbassò gli occhi sul gelato, mormorando quell’ultima parte.
«oh, andiamo murphy, non vorrai dirmi che ci credi davvero» la Sargent finse di non aver appena ricevuto una stilettata nel ventre, come se quelle parole non l’avessero neanche sfiorata - ma sappiamo tutti quanto Kieran fosse pessima a fingere, quindi si limitò ad affondare nelle sedia. Il seguito della conversazione fu anche peggio di quello che immaginava, incredibile. «dimmi la verità, kieran» stava già sudando freddo, anche se sapeva che era quella la verità. Il ragazzo si sporse sul tavolo, e Kieran si sentì morire cento volte, immaginandosi già in un interrogatorio della CIA. «ti sei per caso messa d’accordo con qualcuno per organizzare questo scherzo?» quando prese la foto tra le mani ebbe una paura folle che stesse per strappargliela, il cuore a smettere di battere nel petto per qualche momento «sembra fatta così bene, chi l’ha ritoccata deve essere un vero mago su photoshop» okay, quello era offensivo. La sua espressione da cucciolo bastonato mutò immediatamente in una oltraggiata, ma come si permetteva? Okay che aveva messo in conto quel tipo di reazione, non voleva certo dire che fosse preparata ad affrontarla. Era naturale che non le credesse, da lui se l’era aspettato, aveva solo bisogno di mostrargli qualche prova in più e fare leva su Murphy.
Chiuse per un attimo gli occhi prendendo un respiro profondo, sentiva già di star per svenire. «okay, ci sta che tu non mi creda e pensi sia uno scherzo» glielo concedeva, sarebbe stato strano il contrario «immagino che abbia bisogno più prove per credermi, giusto?» non aveva idea del perché gli sembrasse così assurdo che avesse creato una famiglia con Murphy, da quel che aveva visto non sembravano aver problemi?? Riprese il fascicolo nelle sue mani, scorrendo le varie pagine in cerca di qualcosa che potesse convincere entrambi, trovandosi in discreta difficoltà. Poteva sentirle il sudore scorrere sulla fronte e l’orologio ticchettare dall’altra parte della stanza, quella era peggio di un’interrogazione per la quale non aveva studiato o uccidere un tipo con un abbraccio. «ho una lettera dal futuro, che immagino sia carta straccia opp- ah, ci sono! Posso dirvi qualcosa su voi stessi che solo una persona vicino a voi saprebbe» quella strategia l’aveva presa da un telefilm, doveva ammetterlo, però avevo funzionato alla fine quindi tanto valeva provare. «vediamo un po’…te, Murphy, sei stata rapita da bambina e portata nei Laboratori dove entrambi lavorate/vate e in realtà zan zan zan sei una Quinn» lo sapeva che la madre non aveva bisogno di chissà quale convincimento, però voleva includere anche lei nel discorso #wat. Spostò poi lo sguardo sul Deadman, concentrandosi per trovare qualcosa nella sua mente che lo convincesse «anche te Shot sei stato rapito da bambino - uau kuante kose in komune che avete - e….quando mangi le m&m’s scarti sempre quelle verdi perché ti fanno senso» terminò fiera di se stessa, incrociando le braccia al petto e attendendo una riposta dai due. Ovviamente c’era scritto tutto sulla lettera - la quale poteva benissimo essere falsa - ma quelli erano dettagli.WHERE WE'RE FROM THERE'S NO SUN
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.healerextremist: allurershotwe could be immortalschariton deadman1996's | 22.12.2117neutral mercenaryIl tatto non era propriamente la caratteristica migliore di Chariton Deadman, e tantomeno il senso di colpa che sarebbe potuto derivare dalla palese assenza di un tale umano attributo di fronte ad un’altra persona: parlava ancora prima di pensare, privo di un qualche filtro che gli permettesse di selezionare cosa fosse giusto o meno dire affinché qualcun altro non ne risentisse. Sia perché, sinceramente, non gliene era mai importato più di tanto del fatto che qualcuno potesse non apprezzare ciò che aveva da dire - quando e se, lo aveva da dire; preferiva di gran lunga restare in silenzio e giudicare da lontano, piuttosto che sprecare il proprio fiato se poteva scegliere -, sia perché gli era stato insegnato sin dalla tenera età che non aveva il tempo di riflettere prima di sparare: una dottrina, quest’ultima, che aveva adattato sia alla praticità del proprio lavoro che alla mondanità di tutti i giorni.
Osservò Kieran inabissarsi nella propria seduta senza battere ciglio; la vide risentirsi, offendersi delle accuse che le erano appena state mosse contro, incapace di rammaricarsi a sua volta della scarsa attenzione e premura con cui l’aveva trattata. Di certo, non era sua reale intenzione ferirla in quel modo: voleva soltanto capire dove volesse andare a parare, cosa ci fosse dietro; quello raccontato dalla giovane era un idillio fin troppo utopico agli occhi di Shot, nonché esageratamente assurdo e fuori luogo. Chinò appena lo sguardo su Murphy, stringendo le labbra tra di loro e chiedendosi come potesse non trovarlo maledettamente ironico. Non riteneva utile domandarsi come potesse credere ciecamente alla confessione della Sargent, conoscendo talmente bene la migliore amica da sapere ch’ella, di storie fantascientifiche simili, ci si abbuffava quasi fossero un buffet gratuito alla sagra della ciambella – ma che fosse irrazionale, almeno un po’, doveva pensarlo.
Forse sbagliava lui, a prenderla in quel modo: certo l’aveva messo in preventivo sin dal momento in cui gli si era creato un groppo in gola alla vista dell’istantanea della sua presunta figlia, ma aveva le sue buone ragioni per non voler credere a quella storia. Sospirò appena, distogliendo le iridi scure dal profilo della Skywalker per riportarle sul viso di Kieran: la somiglianza indiscutibile che legava le due non aiutava a mantenere salda la propria posizione in quella faccenda. Era destabilizzante, come ogni minimo movimento della più piccola paresse essere un’emulazione perfetta ed adattata di quelli che, per vent’anni, aveva notato in se stesso e nella geocineta – e respirò ancora soltanto per avere altro da fare, mentre la caparbietà ed esplosività della sua presunta figlia venivano a galla rendeva tutto più complicato.
Più passavano i secondi, più Chariton sapeva di credere a quella storia; al contempo, sempre maggiormente si convinceva di non essere disposto a farlo.
Si sentiva esattamente come Run e Murphy durante lo scatto finale nella maratona della loro serie preferita: avevano percorso tanto, mancava loro soltanto lo sprint esaustivo che avrebbe portato a compimento la stagione – e poi arrivava Sin, che innocentemente se ne usciva dicendo di aver letto da qualche parte che nel prossimo episodio tal tizio sarebbe morto, rovinando loro la scena clou di tutto il telefilm. Sapeva che loro avrebbero continuato a vederlo, sperando non fosse come detto dal Dottore spaccagioie pur consce che non poteva essere altrimenti, che tutti gli indizi portavano inevitabilmente a quella conclusione - consapevoli, che una volta giunte a quel punto l’avrebbero goduto un po’ meno, perché non c’erano arrivate da sole.
«immagino che abbia bisogno più prove per credermi, giusto?» si spinse contro lo schienale della sedia, le braccia incrociate senza proferir parola. Sì e no, avrebbe voluto sinceramente dirle, ma non lo fece unicamente perché non era più certo di cosa pensasse. Fece cadere la coda dell’occhio nuovamente sulla propria vicina, mentre Kieran parlava di lettere dal futuro e metodi alternativi per guadagnarsi la loro fiducia; lui d’altro canto non poteva che chiedersi se per lei, la ragazza per cui aveva una cotta da sempre e che ancora non era riuscito a conquistare con le proprie forze, sarebbe cambiato qualcosa tra di loro solo per il fatto che così doveva essere.
«anche te Shot sei stato rapito da bambino - uau kuante kose in komune che avete - e….quando mangi le m&m’s scarti sempre quelle verdi perché ti fanno senso» okay, quella delle m&m’s era un colpo basso – probabilmente nemmeno i suoi amici al Laboratorio sapevano di quel suo… problema. Lo disturbavano, un po’ come i cetrioli facevano ai gatti; una cosa impulsiva ed irrazionale che non avrebbe saputo spiegare ma che comunque non era importante ai fini della trama. «mh.» mugugnò, senza né dissentire né confermare: potevano essere nel ventiduesimo secolo, ma non era del tutto sicuro che professare la propria appartenenza ad un (ex?) gruppo estremista potesse essere una buona idea; d’altronde, omettere la realtà sarebbe stato stupido, e Blue lo avrebbe contraddetto al volo. «tu sei una mimetica,» commentò piatto, senza muoversi di un centimetro. «e per quanto ci è dato saperne potrebbe esserci un telepata qui nei dintorni, del quale ti sei approfittata per entrarci nella testa ed estrapolare queste non-così-semplici informazioni.» si piegò in avanti, poggiando i gomiti sul tavolo e guardando fisso negli occhi la ragazza. «oppure potresti averle lette in qualche libro che narra le fantastiche vite degli eroi di beauxbatons» enfatizzò le ultime parole con un cipiglio stanco ed un sospiro a mezza bocca, roteando brevemente gli occhi al cielo: uno dei pochi motivi per cui non avrebbe potuto vivere per sempre in quell’epoca – sempre che fosse concesso tornare a casa prima o poi -, era quel continuo essere etichettati come Leggende. Era… snervante, e sbagliato. «se vuoi che io creda davvero a questa storia,» Sapeva di mettere a disagio le persone con la propria, semplice presenza, ed a volte era un bene. «devi fare meglio di così, kier. stupiscimi.»
Come? Chi lo sa: evidentemente, non Chariton Shot Deadman.They say we are what we are, But we don't have to be
I'm bad behavior but I do it in the best way. -
.Forse era stato sbagliato da parte sua, ma Kieran non aveva potuto fare a meno di riempirsi la testa di aspettative sui suoi genitori. Era fatta così, non era capace a affrontare le situazioni come le persone normali e si lasciava prendere dall’entusiasmo, quindi era /normale/ che si fosse già fatta mille viaggi su di loro – e se per Murphy aveva avuto ragione, boi quanto si era sbagliata su Chariton. Dire che fosse riuscito a metterla a disagio in una manciata di secondi era riduttivo, persino la sua giacca di pelle mandava ondate di morte e disperazione, ma come si faceva. La mimetica ancora stava cercando di nascondersi sotto il tavolo, probabilmente in cerca della seconda entrata per Narnia, qualsiasi cosa per sfuggire allo sguardo indagatore dello special; stava incominciando a provare una sensazione terribile, la stessa che le prendeva allo stomaco quando si rendeva conto di essere piombata ad una festa alla quale non era stata invitata, sapeva di non essere gradita e quella consapevolezza la faceva sentire come una cacca. «tu sei una mimetica, e per quanto ci è dato saperne potrebbe esserci un telepata qui nei dintorni, del quale ti sei approfittata per entrarci nella testa ed estrapolare queste non-così-semplici informazioni» beh dai, simpatico, chissà se anche Luke era uscito così male. Si ritrovò con lo sguardo del padre fisso nei suoi occhi, una tattica d’intimidazione usata con i cani, e forse furono le sue accuse, il suo poco tatto, ma finalmente qualcosa dentro di lei le diede la forza di reagire: basta subire. «oppure potresti averle lette in qualche libro che narra le fantastiche vite degli eroi di beauxbatons» la ragazzina scosse piano la testa, il piccolo sorriso sulle labbra non prometteva nulla di buono – forse un abbraccio a Shot? Il Deadman poteva anche essere suo padre, ma non avrebbe continuato a put up con le sue cavolate, le dispiaceva solo per Murphy che – ancora una volta – non aveva fatto niente. Beh, avrebbe chiarito le cose il giorno seguente con la loro maratona Netlix. «puoi stupirti da solo con questo gelato» non era brava a rispondere a tono alla gente, non sapeva neanche quanto fosse riuscita nell’intento? Sperava solo che non si mettessero a ridere, si sentiva già una merdina così. «ci si becca. Prima o poi» qnt era stata kattiva, si era davvero superata quella volta. Prese la sua coppetta di gelato, che nel frattempo si era mezza sciolta, e con un ultimo saluto alla Skywalker si alzò dal tavolo.kie
ran
sargent22.12.211717 y.o. + mugglekeeper + mimesis.