;thinking out loud

( per donnie )

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    nicole rægan cooper | ravenclaw's prefect | 16 y.o. | halfblood | neutral

    Non c'era un vero e proprio criterio con cui Nicole sceglieva cosa fare o come fare ciò che faceva durante i giorni liberi dallo studio. La giovane Cooper, difatti, non era solita ad avere del tempo per sé; anche da piccola si era sempre affaccendata con cose nuove da imparare, altre con cui doversi allenare e altre, invece, da cercar di inventare dal nulla (come le regole dei giochi che non avevano regole o un nuovo modo di cucire, per esempio), ma ad Hogwarts, al sesto anno specialmente, tutto era diverso. Aveva ormai già da un pezzo preso i ritmi con i compiti che venivano assegnati e riusciva perciò a farli anche durante i giorni in cui vi erano le lezioni, non lasciando poi nulla per i fine settimana, che rimanevano sempre incompleti o troppo vuoti. Metà della biblioteca della scuola era già stata da lei spulciata a dovere, mentre l'altra metà era composta dalla sezione proibita cui era riuscita ad avvicinarsi solo poche volte senza esser scoperta e vecchi tomi che possedeva anch'ella nell'enorme dimora a Londra in cui alloggiava con il padre, in parole povere quindi: niente da leggere a meno che non volesse fare il milionesimo ripasso di qualcosa che aveva già chissà quante volte divorato (immaginate di rileggere lo stesso libro almeno un centinaio di volte in un anno e moltiplicate poi gli anni per sei. Sì, Nicole era capace anche di questo). « nicole, noi andiamo allo zoo!» « è inutile che glielo dici, tanto non viene mai con noi! » Le sue compagne di stanza ci provavano ormai da una vita a trascinarla con loro in giro quando uscivano, ma avevano praticamente avuto ogni sacrosanta volta un diniego ai loro inviti da parte della brunetta. Eppure.. « oh no, invece vengo! non sono mai stata allo zoo di hogsmeade! è lì che andate, no? » Le ragazze la guardarono incredule, non sapendo se facesse sul serio o meno. Conoscevano ormai, un pò di Nicole e sapevano che a prenderle in giro, ci metteva davvero poco. « mi vesto e sono pronta; se volete potete anche aspettarmi in cortile, farò in fretta. » Nadine ed Helena continuarono a guardarla sbigottite senza muovere un arto. Nicole le guardò di rimando facendo spallucce e quando realizzò che la loro reazione era data dalla sua ormai celebre poca credibilità, aprì l'armadio e prese il vestito blu a fiori che aveva appeso alla stampella qualche giorno prima, in vista della primavera. « visto? dico sul serio, andate! » Le due finalmente si mossero, sorridendo impacciate ed eccitate mentre uscivano dalla stanza raccomandandole di fare presto. Finalmente sola, la corvonero iniziò a prepararsi con la solita puntigliosa premura al dettaglio. Le giornate iniziavano ad essere più calde e in vista della bella stagione aveva da poco deciso di tagliar ancor di più i suoi capelli, lasciandoli così, quella volta, sciolti. Oltre la gita, dunque, anche l'abito da lei scelto e la sua acconciatura erano del tutto fuori dall'ordinario. Cosa c'è di diverso in te, Nicole? Si sentiva stranamente ottimista e per nulla in vena di fare critiche o alcunché del genere (anche se molto probabilmente presto o tardi nel corso della giornata, avrebbe fatto notare ad Helena che l'arancio della t-shirt che aveva indossato non era proprio il suo colore), non aveva chissà quali aspettative nei confronti di quella giornata e forse era proprio quello il tassello che diversificava il tutto; sempre alla ricerca di qualcosa che le desse una svolta nella propria vita, ormai Nicole sembrava quasi ossessionata in questa sua ricerca del nulla di fatto. Quel giorno invece era.. libera.tumblr_nj27z821hj1qlbmi0o1_250 Quando fu pronta ed uscì dal dormitorio sbrigò il proprio passo facendosi largo tra i compagni per poter uscire dall'ala che dava al cortile del castello ove, una volta attraversata l'uscita, oltre a coprir i propri occhi dai raggi del tiepido sole che splendeva nel cielo senza alcuna nube ad intralciarlo, cercò le sue amiche e le raggiunse. « ohmmioddio è venuta sul serio! » Le tre camminarono fianco a fianco fino ad Hogsmeade senza mai restar veramente sole; il fiume di gente che andava e veniva dalle stesse strade che stavano percorrendo loro era incessante e in piena. Nicole odiava quella folla. Perchè non stavano facendo i compiti, loro? La corvonero ci avrebbe giurato: nessuno degli individui che aveva incrociato era come lei. Tutti avevano sicuramente una pila di compiti da smaltire ad attenderli sulla propria scrivania e tutti, alla fine, avrebbero maltrattato i loro doveri finendoli in malo modo all'ultimo secondo dell'ultimo giorno del weekend, comprese le sue compagne. « avete finito i compiti, voi? » « oh nicole, che palle! puoi passare un solo giorno senza pensare allo studio? » Nicole di tutta risposta sbuffò sonoramente e iniziò a guardarsi attorno. Erano in fila fuori i cancelli dello zoo ormai già da quindici minuti e inizia a spazientirsi. Un'altra delle non abitudini di Nicole era quella di attendere. Lei non aveva mai atteso nulla. Devo forse ricordarvi il suo cognome? « ci siamo! venite! » Nadine avanzò vittoriosa al botteghino e dopo aver acquistato i biglietti per tutte, corse per prima, saltellando, all'ingresso del parco. Non ci volle molto prima che Helena imitasse il passo dell'amica, lasciando così indietro Nicole, che si ostinava a camminar normalmente. Anche a Londra c'era uno zoo, Nicole c'era stata parecchie volte da piccola, ma uno zoo con le creature magiche no, non lo aveva mai visto. Passò davanti una gabbia di Clabbert e si fermò a guardarne uno che si stava arrampicando su di un albero arrivando a una quota vertiginosamente alta. Una volta in cima, questi, si lasciò poi cadere. A Nicole scappò un gridolino sommesso mentre le mani volavano dinanzi la propria bocca spalancata. « nicole! muoviti! » La voce di Helena la riprese dallo shock e così mise a fuoco la scena dinanzi a sè; la creatura si era lasciata cadere per finire sul ramo dell'altro albero, dove aveva raggiunto una furtiva lucertola gialla per cibarsene con accidia. « maledetta.. arrivo! » Ancora una volta con le due ragazze, Nicole si ritrovò a seguirle per quasi tutto il parco, non sapendo però la meta che volevano infine raggiungere. Arrivarono a un grosso edificio bianco, entrarono e iniziarono a scendere. La luce del sotterraneo raggiunto era di un blu elettrico, quasi fosforescente, ma solo quando le scale terminarono e il corridoio pienamente illuminato si aprì dinanzi a loro, la corvonero capì perchè. « è.. » « .. meraviglioso » « .. lo sappiamo. » In quel luogo non vi erano pareti; si era totalmente circondati da vasche dove da un lato creature magiche e dall'altro babbane, nuotavano indisturbate tra la mischia di mille razze diverse. Profonde come un oceano e limpide come le acque cristalline di un'isola tropicale, le vasche illuminavano e riempivano lo sguardo lungo tutto lo stretto corridoio affollato di gente. Nicole perse nuovamente di vista le due compagne, ma non se ne curò, avvicinandosi incantata al vetro dedicato alle specie magiche, dove degli Avvincini nuotavano vorticosi come se danzassero. Solo quando le piccole creature scomparvero la corvonero si degnò di dare un occhio in giro per veder dove fossero invece Hell e Nadine, ma ciò che il suo sguardo incrociò le fece perder nuovamente interesse per la cosa.tumblr_nj27z821hj1qlbmi0o2_250Seduto su di una delle panche disposte lungo quello stesso corridoio e rivolto verso la stessa vasca che aveva guardato anche lei poco prima c'era lui. Come in molte altre occasioni in cui si era ritrovata a guardarlo, Donnie Armstrong era solo, pensieroso e.. bellissimo dallo sguardo vacuo, vitreo e perso nel nulla. Nicole neanche se ne accorse, ma guardandolo, non riuscì a trattenere un sorriso. Neanche i passanti che camminavano tra di loro riuscirono a distoglier il suo sguardo; la giovane Cooper era come una falena attratta dall'unica fonte di luce presente in una stanza buia. Miodio, se solo l'avessero vista in quel momento. Se le sue compagne si scandalizzavano al suo accettar un invito ad una gita, cosa avrebbero detto scoprendola ad arrossire guardando da lontano un babbano che non l'aveva mai neanche degnata di nota? Nicole per la barba di merlino, datti un contegno! Molte volte se l'era chiesto: chissà cos'è che pensava così assorto e assente. Il ragazzino dagli occhi blu sembrava sempre turbato da qualcosa e lei avrebbe davvero tanto voluto sapere cos'è che fosse. Va' a parlargli quanto meno! Cosa avrebbe potuto dirgli? Ma poi ve lo immaginate? Lei che parla con uno come lui. No, non c'erano chance. Molto più probabilmente sarebbe rimasta per sempre spettatrice imperturbabile del suo malinconico monologo interiore senza mai sapere la trama dello spettacolo cui assisteva; sarebbe forse per sempre rimasta la sua spettatrice più curiosa e assidua, sempre in disparte, ma sempre attenta. Che fatalità; se solo lui avesse saputo pensare ad alta voce, magari tu avresti saputo cosa dirgli. Sicura di voler diventare Obliviante, Nicole?
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    Edited by birdwoman - 19/7/2015, 23:17
     
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    Ancora, la sentiva ancora. Come una cantilena costante, sottofondo di ogni momento della sua vita. Gli bastava chiudere gli occhi, distrarsi cinque minuti, e quella si ripresentava, strappandolo dalla realtà a cui così strettamente cercava di aggrapparsi. “Soggetto X, prima prova”. E rivedeva la ragazza nella stanza, il suo corpo scosso da tremiti incontrollabili, che si dibatteva nel letto, obbligandolo a denti stretti ad andare avanti. Perfino dopo mesi poteva percepire sotto i polpastrelli i segni di bruciatura delle scosse elettriche dei braccialetti, linee rugose su una pelle altrimenti intaccata. Guardandolo da lontano, Donald Armstrong poteva sembrare il ritratto della salute, ragazzo da cartolina di qualche college di seconda classe in periferia di Londra: la pelle quasi madreperlacea, gli occhi azzurri e limpidi, i capelli sempre perfettamente pettinati (non che li curasse particolarmente, bastava la forza di gravità tanto erano sottili), un fisico magro ma non troppo, senza alcuna muscolatura particolarmente definita; quello che guardavi e speravi fosse almeno intelligente, perché di certo non attirava l’attenzione per la sua bellezza. Ma quando si toglieva la maglia e rimaneva a torso nudo davanti allo specchio, quello che ricambiava il suo sguardo era un Donnie diverso: non il nerd fissato con le spade laser, o la madre di un cacciavite giallo. Non lo svitato del liceo, l’hacker. Non un soldato, o un eroe: riflesso nello specchio intravedeva un sopravvissuto. Le cicatrici leggere erano particolarmente rilevanti all’altezza del petto, laddove, poggiando la mano, era possibile sentire il battito. Ma non era solo il battito a farsi notare: era freddo, Donnie, e percepiva sotto le dita qualcosa di innaturale. Avevano detto di averlo fatto per il suo bene, ed i medimagici –o magimedici, quella roba insomma- al San Mango non se l’erano sentita di metterlo in dubbio. Un maledetto pezzo di metallo che impediva al suo cuore di andare in corto circuito. La sua vita era appesa a quel filo sottilissimo, creato dalle persone che l’avevano fatto diventare un baraccone da circo. Che gli avevano rubato l’unica normalità che Donnie avesse mai conosciuto.
    Quel mondo non era suo, ed i maghi non smettevano di farglielo notare, come se di suo non se ne fosse reso conto. Per loro era un mostro, e nonostante dal punto di vista di Donnie la situazione avesse dovuto essere capovolta, non riusciva a vederli come tali: erano strani, particolari, ma non mostri. Non li avrebbe giudicati dai Dottori, o dai Mangiamorte contro cui aveva combattuto in Irlanda. Non aveva mai capito chi faceva di tutta l’erba un fascio, a lui le etichette andavano strette. Che poi non comprendesse nemmeno un solo essere vivente, era secondario: maghi, babbani, speciali, adulti, ribelli, mangiamorte, gelataio con l’ape anziché con il camioncino. Per Armstrong erano tutti strani, ma non per quello cattivi. Gesù, se ogni cosa che non avesse capito fosse stata malvagia, la lavatrice l’avrebbe ucciso da un pezzo.
    I babbani a New Hovel godevano di più libertà di quanta necessitassero. Perlomeno era il caso di Donald, che di tutto quel libero arbitrio non sapeva che farsene. Fosse stato a casa, avrebbe fatto i salti di gioia: avrebbe giocato a D&D, a WoW, avrebbe letto qualche fumetto, fatto una maratona di Star Wars per la millesima volta, riso di Sheldon Cooper nonostante tutti a scuola gli dicessero quanto ci somigliasse, avrebbe riunito i suoi compagni della NPA, organizzato una battaglia a spade laser. A Diagonale non aveva nemmeno la connessione. Non era mai stato il tipo di ragazzo che prende e va a fare due passi per il puro desiderio di levarsi da casa, ma stare in quell’insulso appartamentino gli faceva venir voglia di esserlo. Peccato che in tutti quegli anni avesse coltivato una paranoia alla stregua di un disturbo mentale, fosse indipendente come Polgy su una moto da cross, e non avesse imparato a stringere rapporti interpersonali con persone al di fuori di uno schermo. Palettina da Spiaggia, era il perfetto aspirante sociopatico. “Devi uscire, Donnie. Vedere il mondo” Un urlo terrorizzato uscì dalle labbra socchiuse, mentre Armstrong scivolava dalla sedia e si trascinava fino alla parete più vicina. Fino ad un attimo prima, ci avrebbe giurato, in quella casa non c’era nessuno. Ma santo Padre, perché Bart doveva aver stretto amicizia con l’hippie della casa accanto? Era un personaggio dall’età indefinita, che in vita sua doveva aver fumato abbastanza marijuana da aver più THC in corpo che emoglobina, ed aveva preso la brutta abitudine di entrare nel loro appartamento nei momenti meno opportuni. Come quello, ad esempio. “Per tutti gli hard disk, Ganjino!” Esatto, quello era il nome con il quale si era presentato. “Non potevi bussare?” Domandò rialzandosi, mentre gli occhi correvano sulla familiare figura cilindrica di Polgy: il cacciavite sedeva –paroloni, dato che non aveva le gambe: diciamo che era allacciato- al suo posto con fiero orgoglio, mentre gli occhiettini da maniaco arrossati fissavano un punto imprecisato dell’universo –quelli dovevano ancora essere gli effetti collaterali del fumo passivo di Ganjino, maledetto!- . Sembrava stare bene. Era già capitato che quel cleptomane di Ganji cercasse di rubarlo, e fu una delle rarissime volte in cui Bart dovette tenere Donnie per impedirgli di effettuare un esecuzione sulla sedia elettrica senza sedia. “La porta era aperta…” Ripose l’intruso, con un cenno che avrebbe potuto star indicando tranquillamente una qualsiasi cosa in quella stanza. Donnie soffiò l’aria dal naso, conscio che non avrebbe mai potuto lasciare la porta aperta: si chiudeva a chiave in bagno perfino quand’era da solo a casa, per paura che qualcuno lo sorprendesse nei suoi momenti intimi. Se avesse potuto, avrebbe vissuto dentro una gabbia, diamine! Si affrettò ad afferrare il cacciavite, infilandolo prontamente nella tasca interna della giacca a vento. Non riusciva a stare in pace nemmeno in quella che avrebbe dovuto chiamare casa, tanto valeva rischiare la vita all’esterno. Era un grande traguardo per lui, anche se nessuno ne era rimasto impressionato. “Sto uscendo” Disse, come se il solo pronunciare ad alta voce quell’intento potesse far smammare Ganjino da casa sua. Lui si limitò a sorridere, puntando lo sguardo malefico sulla punta a stella che ancora fuoriusciva dalla giacca, salutandolo con la mano. Si obbligò a fare un respiro profondo e a chiudere la zip: quell’uomo guardava con un po’ troppa insistenza il suo cacciavite. Che, detto così, suonava proprio male.
    Non che in altre circostanze avesse potuto suonare bene.
    Bart era di nuovo sparito, senza lasciare traccia di sé al suo coinquilino. Il Doctor Who Biondo prendeva e spariva per ore, lasciando Donnie a torturarsi le mani con il terrore che l’amico fosse morto… o peggio, espulso. Ebbene, quel giorno toccava a lui sparire senza lasciare traccia. Sarebbe uscito dal quartiere, e sarebbe andato in un luogo dove probabilmente qualcuno l’avrebbe rapito, beandosi del fatto che proprio quel giorno Donnie avesse fatto lo spaccone, e… Rapidamente rientrò in casa, scribacchiando qualche parola su un blocco note lì vicino: se non torno, vieni a cercarci allo zoo. NON LASCIARCI MORIRE. Donnie&Polgy.

    Lasciò che le dita si aggrappassero con forza alla panca, mentre gli occhi azzurri scivolavano su tutto senza realmente guardare niente. Non era esattamente un esploratore, Donald Armstrong, motivo per cui aveva finito per recarsi nell’unico posto in cui realmente si sentiva a casa: lo zoo. Sì, ha, ridete pure, ma era un posto meraviglioso. Vi erano sia animali a lui noti, comuni nel mondo babbano, che creature magiche dalle forme più disparate e dai colori più vivaci. Vi era una scimmia, una scimmia, che diventava invisibile. Aveva perso giornate intere davanti alla vetrata del Dequalcosa. Qualche settimana prima vi era rimasto dell’ore, scrutando con attenzione ogni punto della gabbia: voleva dimostrare che, nonostante fosse un babbano, era in grado di trovare una creatura invisibile. Le foglie doveva calpestarle pur anche la scimmia, no? Alla fine aveva scoperto che quel giorno, la gabbia era vuota per manutenzione. Si era sentito idiota, ma allo stesso tempo sollevato: ecco perché non l’aveva trovato! Ma il posto che preferiva in assoluto, era la zona acquatica. La luce azzurra e tenue lo calmava, e le persone là sotto sussurravano, quasi avessero paura di disturbare gli animali al di là del vetro. Armstrong si sedeva sulle panche, possibilmente in zona centrale, osservando silenziosamente il lento muoversi di quelle buffe creature: gli esseri umani. Ma sì, di tanto in tanto guardava anche quelli al di là del vetro. #ilsimpatico
    E pensava. Nessun posto nel Mondo Magico riusciva a rappresentare la sua vita quanto quell’acquario: metà gli ricordava il suo vecchio mondo, il futuro del passato che non aveva più; l’altro lato gli mostrava quello che avrebbe dovuto essere il futuro del suo presente, sbattendogli in faccia la consapevolezza che mai ne sarebbe stato realmente parte. Così eccezionale, il mondo magico. Così crudele. Si morse il labbro, battendo le palpebre per tornare alla normalità. Di solito, almeno allo zoo, riusciva a passare inosservato: invisibile, così come aveva vissuto i diciannove anni precedenti. Quando alzò lo sguardo, però, vide una ragazza. Lo stava guardando? Impossibile. La fissò per qualche secondo, convinto che lei non stesse prestando attenzione. La luce azzurrognola sfiorava leggera la sue pelle chiara, facendola sembrare parte stessa dell’acquario. In quel momento desiderò di essersi portato la macchina fotografica: c’era qualcosa di affascinante in quella giovane dal sorriso appena accennato sulle labbra, con il vestito primaverile che dondolava lento attorno alle gambe, e… Corrugò le sopracciglia, dando le spalle alla ragazza per controllare chi potesse aver attirato il suo sguardo. Guardò a destra ed a sinistra, ma … non ci contare Donnie, non sta guardando te. Alzò gli occhi azzurri di nuovo su di lei, mentre le guance si coloravano di un tenue rosa pastello. Sembrava Heidi, dannazione, solo che anziché avere Fiocco di Neve, aveva Polgy. Non sapeva interagire con le persone, Donnie. Non sapeva interagire punto. Alzò impercettibilmente la mano, in quello che poteva sembrare un saluto o, in caso ella davvero non stesse guardando nella sua direzione, avrebbe potuto tranquillamente diventare un fastidioso prurito al collo. E sorrise, o almeno, voleva sorridere: la smorfia che le rivolse fu così plastica da far desiderare al ragazzo di fondersi con la panca. Affondò nuovamente le mani nella giacca a vento azzurra, allungando le gambe fasciate nei jeans sdruciti davanti a sé. Le scarpe da ginnastica bianche avevano visto giorni migliori, ma sperò che con la luce quel particolare non fosse visibile. Ma andiamo, chi avrebbe guardato le sue scarpe? Probabilmente la ragazza non solo non stava guardando lui, ma era pure cieca: magari i maghi non erano soliti portare gli occhiali da sole, o un bastone, in casi del genere. Quella sì che sarebbe stata una gaffe.
    the heart is deceitful above all things,


    Edited by the w a t t guy - 21/11/2015, 21:15
     
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    nicole rægan cooper | ravenclaw's prefect | 16 y.o. | halfblood | neutral

    Ho avuto la mia prima cotta a quattordici anni, non ho timore di ammetterlo. C'è chi si innamora dei propri vicini di casa, magari coetanei, dei propri compagni di classe, dei figli degli amici di famiglia e d'infanzia e poi c'è chi, come me, aspetta finché qualcuno non le rivolge un semplice "è libero questo posto?" e bem! sei bella che cotta. No, non ho davvero timore ad ammetterlo: la mia prima cotta è stata a quattordici anni e prima di allora mai nessuno aveva suscitato la mia attenzione sotto quel fronte, mai. Nemmeno il giardiniere muscoloso che veniva ogni lunedì alle 11.00 di mattina in punto per potare le siepi dei giardini della villa in Francia e che indossava, puntualmente, una salopette di jeans con sotto una canotta bianca smanicata. No, nemmeno lui. Bhè si, forse lui un pò, ma comunque non fu mai rilevante. Isaac, lui è stato il primo. Non so come funzionino questo genere di cose, ma fatto sta che così andò: lui mi chiese se il posto vicino al mio era libero e io ne rimasi ammaliata. Non pensate che sia un'idiota però, non è esattamente alla prima parola rivoltami che capii di esserne invaghita, ma va'.. magari alla seconda, probabilmente alla terza, giù di lì. Io, poi, ad essere onesti non so nemmeno bene cos'è che significhi cotta; al tempo feci un pò di ricerche, chiesi in giro, ma nessuno dei sintomi che mi descrivono le altre sembrano affini ai miei. Molto discretamente, con la mia solita nonchalances da 'te lo chiedo, ma in realtà chissene' ho raccolto informazioni di ogni tipo a riguardo e continuo a trovare discrepanze con quelle che sono le mie sensazioni e quelle che, molto probabilmente, dovrebbero esser state. Oh, ma a chi importa? Un sentimento è una cosa così personale che bisognerebbe aver anche il sacrosanto diritto di chiamarlo come più ci pare, no? Ecco, in realtà no, ma io lo faccio. Ad oggi, comunque, ho ben sedici anni e quella che mi ostino a chiamar cotta nei riguardi di Isaac Lovecraft è passata ormai da un pezzo. Oh sì, sembra una vita fa ormai. Alla fine stemmo insieme anche per qualche tempo; fu una cosa così puerile ed innocente che credo di non poterla neanche ritener davvero un'esperienza fatta e finita in ambito amoroso. Quello che riguarda i sentimenti, dunque o l'amore - volendo esser oltremodo smielati - continua ad essermi del tutto ignoto. Le mie ricerche accumulano informazioni, ma a conti pratici e personali queste non hanno alcuna rilevanza. Ognuno esprime pareri fin troppo personali per poterne trarre una definizione oggettiva con cui capire se ciò che provano loro è, di fatto, ciò che provo io. Una cosa, solo una piccola improbabile assurdità, sembra accumunare le più disparate confessioni ed esperienze; le chiamano "le farfalle nello stomaco". Ho letto più tomi di anatomia umana di quanti potrei elencarvi e credetemi, nessuno parla di tale anomalia. Dicono sia una sensazione, ma non riuscivo a comprenderla; insomma, come puoi sentire delle farfalle che ti svolazzano nello stomaco? Che sensazione è? Ero arrivata a definire quest'espressione patetica, proibendo alle mie compagne di enunciarla in mia presenza. Ero convinta che dare adito a simili bazzecole nuocesse gravemente al raziocinio e non volevo saperne nulla. Poi però lui mi saluta. Lui, a me. In un anno che lo guardo da lontano penso che mai una volta abbia alzato lo sguardo verso la mia direzione ed ora, invece, lui mi saluta. Quel semplice gesto della mano con quell'aria tonta e spaesata mi fa sentire.. le farfalle. Ecco. Ora so. E' come avere il solletico nello stomaco, come se le ali di quelle piccole creaturine, sbattendo in un moto circolare all'interno del tuo stomaco lo solletichino mentre questi risponde allo spasmo con delle fusa. Cielo, so quanto artefatto può sembrarvi, ma è davvero così! La cosa mi lascia basita quanto probabilmente potrebbe lasciar basito il più razionale di voi: com'è possibile? Endorfine o ormoni di qualsiasi genere che fanno sudare le mani, tremare le gambe e render lucidi gli occhi posso comprenderli, ma le farfalle?

    tumblr_navj12QpMf1ry3tn5o6_250Nicole aveva tenuto lo sguardo fisso sul ragazzo solo finchè egli non ebbe alzato il proprio; a quel punto, una volta che l'ebbe salutata con un semplice gesto della mano, la Corvonero abbassò di colpo il capo e lo sguardo per così rivolgerlo alla punta dei propri piedi. Un gesto stupido e irrazionale, ma dettato dall'emozione incontrollata che quella svolta in quello scambio di sguardi sino ad allora solo suoi, ora stava subendo. Donnie Armstrong non aveva mai dato l'impressione di essersi accorto dell'attenzione che gli veniva rivolta dalla giovane Cooper da ben più tempo di allora, eppure ora, senza troppi se, forse e ma, senza che ella ebbe nemmeno accennato a un saluto egli glielo ebbe rivolto ugualmente. Non se lo aspettava, Nicole, e la sua reazione istintiva fu tra le più infantili e probabilmente stupide contenute nel suo repertorio. A capo chino, mentre fissava la punta delle proprie scarpe e la mente sgombera che con il cuore che continuava a pulsarle in gola, alla fine cedette. A capo chino, con la mente sgombera men che dell'immagine di Donnie Armstrong che la salutava con un cenno timido della mano, Nicole alla fine cedette e gli rivolse nuovamente, fugacevemente e con intimorita prudenza, lo sguardo. Lui era ancora lì a guardarla e ora lei non sapeva che fare. Fingere che non fosse successo nulla? Sprezzante girarsi e fargli credere d'aver frainteso la sua occhiata? Lasciarsi tutto alle spalle oppure.. cogliere l'occasione. Quanto tempo era ormai? Troppo, decisamente troppo. Anche solo rivolgergli la parola, magari solo quello, sarebbe stata una svolta seppur minima, di grande impatto in questa storia a senso unico che si ostinava a non morire mai seppur non alimentata. Magari cogliendo l'occasione, approcciando con il babbano, si sarebbe accorta che aveva un accento strano che non gli piaceva e tutto quel mondo farlocco di farfalle e sguardi smielati si sarebbe stroncata. Magari lui quando parlava sputacchiava. Sarebbe stato sgradevole e sarebbe bastato a porre fine a tutto. Magari aveva la forfora. Nicole non gli si era mai avvicinata abbastanza per constatarlo. Magari era pazzo e portava con sé un amico immaginario - magari un oggetto, magari - con cui parlava e glielo avrebbe pure presentato. Lo immaginate? Sarebbe bastato un niente e tutto sarebbe potuto finir lì, quel giorno, veloce così com'era iniziata. Magari, ma magari no. Magari non sputacchiava, non aveva la forfora e il suo amico immaginario era adorabile persino per il cuore più ostile. Magari avrebbe incentivato altre storie, altri giorni a torturarsi mentre lo guardava da lontano con l'impossibilità morale di accettare di volevo conoscere davvero. Magari sarebbe andata peggio di quanto già non fosse. E allora che fare? No, davvero, che fare? Non sarebbero rimasti lì in eterno, Nicole doveva decidere e farlo in fretta. Nicole, davvero in fretta, si sta alzando. « dannazione. » Un lieve sbuffo trapelò dalle labbra carnose della Corvonero prima che ella, a spalle dritte e petto in fuori, senza ulteriore indugio mosse con decisione dei passi in direzione del babbano. Era dunque giunto il momento. Era ora. A ormai un passo da lui però, qualcosa andò storto, o meglio: il suo piede andò storto. Convinta di poter non esser goffa almeno una volta in vita sua, Nicole non ebbe nemmeno pensato che nella realtà dei fatti lei lo fosse eccome. Ovviamente, inevitabilmente alla fine inciampò e no, non pensate neanche lontanamente che la cosa potesse finire con lei che graziosamente finiva proprio tra le braccia di lui, come di consueto accade nei più pittoreschi romanzi o nelle fiabe dei più romantici sognatori, no, perchè non andò affatto così. Nicole finì per schiantarsi al suolo con un brutale tonfo, in un tuffo che la fece apparire come se volesse abbracciarne la moquette mentre, addirittura, immergeva il proprio volto tra i pelucchi lerci di quella tappezzeria logora. Mi chiedo proprio cosa avrebbe potuto dir Jane Austen assistendo a quella epica svolta. Magari avrebbe azzardato ed ipotizzato che forse, un canto d'uccelli in sottofondo avrebbe resto tutto più gradevole, voi che dite? No, credetemi, no, neanche quello potè. Un canto d'uccelli vi fu, ma nulla di ciò che disgraziatamente continuò a venire poteva ritenersi in alcun verso o modo gradevole. « annuncio di servizio per i gentili signori: i Jobberknoll sono uccelli innocui e non vi faranno alcun male, vi preghiamo di non creare disordini e mantenere la calma se doveste incontrare lo stormo che si è liberato in volo nel nostro parco; gli operatori addetti sono già all'opera per ricatturarli tutti. » La voce che fuoriuscì dagli altoparlanti si mischiò al verso del centinaio di uccellini azzurrognoli che fece irruzione con surreale e sciagurata tempestività proprio nell'aria dedicata all'acquario mentre buona parte dei presenti - se non addirittura tutti - non ascoltavano la benché minima parola dell'annuncio appena effettuato per allontanarsi da quella marea di becchi appuntiti che si facevano largo tra la gente come spade appuntite. Tutti, ma proprio tutti, iniziarono a correr via spaventati in uno scenario Hitchcockiano degno di nota, ma anche infinitamente pietoso considerato che i Jobberknoll che ebbero fatto irruzione sembravano realmente pacifici com'era stato loro detto. Erano solo.. « ..tantissimi! sono tantissimi, vogliono mangiarci! » Sì, forse un pò troppi. « Oh, che assurdità! » Nicole si rivolse alla donna che aveva urlato mentre faceva per rimettersi in piedi, ma questa, indispettita ed evidentemente ancora realmente scossa, la urtò per scappare facendola capitolare ancora una volta nell'esatto punto che l'ebbe accolta poco prima. « per la barba di merlino, SE LA MANGIANO SONO CONTENTA! » Il panico che gli stolti ebbero instaurato al principio di quel folle scenario con le loro stupide ansie si diramò come una scarica elettrica in una vasca: iniziarono tutti a cercar una via d'uscita continuando ad urlare in un caotico ed irrazionale violento spintonarsi per arrivar prima ad una via fuga. Più di una volta Nicole venne calpestata o malamente scalciata non riuscendo così mai a rimettersi davvero in piedi, ma continuando ugualmente ad inveire contro chi che fosse. « SONO SOLO UCCELLI, DIAMINE! » Nessuno ascoltava però e i Jobberknoll continuavano a svolazzare in quel corridoio ormai divenuto un angusta trappola, forse attratti dai colori così simili ai loro che emanavano le vasche e li illudevano di trovarsi in un luogo familiare e sicuro, mentre gli umani, invece, più continuava quella permanenza forzata, più si sentivano privati proprio di quest'utlima e scalpitavano per uscire di lì e ritrovarla. Come se non bastasse, iniziarono gli incanti. « Stupeficium! » « NO! NON FATEGLI DEL MALE! » Se fino a quel momento la Corvonero non era riuscita a trovare la forza di rialzarsi, l'uomo che puntava la bacchetta contro lo stormo gliene diede di necessaria per arrampicarsi sull'ultimo disperato che le passò davanti per poi iniziare a correre, facendosi largo tra la gente, proprio verso di lui. Questi però, attirato dalle urla che Nicole continuava a rivolgergli mentre lo raggiungeva, la intercettò ancor prima che potesse arrivargli a una giusta distanza per poterlo strattonare via nel tentativo di levargli di mano la bacchetta e la schiantò com'ebbe fatto poco prima con i Jobberknoll sopra di lui. Nicole Cooper finì dunque nuovamente a terra e questa volta, dopo aver battuto la testa contro il piede di una delle panche disposte per far godere con agio la vista sugli animali marini, rimase priva di sensi. Non c'è niente di tutto questo nei romanzetti di voi romanticoni, eh? E pensate che se Nicole non avesse deciso di andare a parlare con Donnie Armstrong probabilmente non sarebbe inciampata e forse ora, con ogni probabilità sarebbe anche già stata trascinata fuori. E pensate pure che magari forse lui aveva anche la forfora e che quindi sarebbe pure stato tutto vano. Dico, ci pensate?
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    Edited by birdwoman - 19/7/2015, 23:34
     
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    Donnie era un ragazzo particolare, ma senza dubbio semplice. Era trasparente, un libro stampato a caratteri cubitali e con sottotitoli in braille per i non vedenti, ben visibile tranne che ai ciechi in ogni sua pagina. Non aveva mai avuto la necessità di nascondersi dietro qualcuno, o qualcos’altro. La sua vita era stata ordinaria fino al giorno in cui, casualmente, non si era ritrovato invischiato nella vita dei maghi. E se era cambiato in tante piccole cose, quella parte di sé era rimasta intatta: non riusciva a fingere, Donald. Non era nelle sue corde. Così, quando aveva alzato la mano in un timido saluto in direzione della ragazza, non riuscì a mascherare la delusione mentre gli occhi di lei fuggivano lontano. Era una sensazione che aveva provato fin troppo spesso al liceo, qualcosa a cui era abituato ma che, ogni volta, riusciva a ferirlo. Era l’occhiata distratta lanciata più per curiosità riguardo alla sua persona che per interesse: ricordava quando, al terzo anno, si era offerto per dare ripetizioni al capitano della squadra di pallanuoto. Era successo per caso: lui era una capra in matematica, Donnie era un genio. Li avevano messi insieme per uno stupido progetto di fine anno, e Armstrong si era accorto delle evidenti lacune del giovane. Avevano passato diversi pomeriggi fianco a fianco, e, fra una funzione e l’altra, Donald si era accorto che Tiny, quello il suo nome, non era così male. E Tiny pareva pensare lo stesso di lui. “Non sei così strambo, Armstrong”. Al che, un più giovane Donnie, aveva risposto con un impacciato mezzo sorriso lusingato. Aveva sempre avuto un solo amico nella sua vita, Jayden. Il fatto che qualcuno fosse riuscito a superare la naturale avversione nei suoi confronti, a reputarlo un personaggio e non un pagliaccio, era un progresso nel quale non avrebbe nemmeno mai sperato. Fu così, con un insulso progetto, che Tiny e Donnie divennero amici. Fuori da scuola, lontano dalle partite. Donald non ci aveva nemmeno fatto caso, ingenuo come solo lui riusciva ad essere. Pranzo fuori, e non in mensa? Certo. Studiare sul tetto, e non in biblioteca? Perché no. Erano amici, e seguendo quest’ottica, Donald non si era posto alcuna domanda al riguardo. Era così che funzionava per lui. Un pomeriggio, per caso, lo vide a scuola nei corridoi. Voleva presentarlo a Jay, che si era mostrato un po’ troppo sorpreso dal fatto che avesse trovato un altro amico. Voleva invitarlo al bowling insieme a loro quella sera. Cogliendo gli occhi di Tiny su di sé, l’aveva salutato con il puerile entusiasmo che Donald riservava a quella ristretta cerchia di persone a cui aveva donato la sua fiducia. Ma Tiny aveva distolto lo sguardo imbarazzato, volgendosi verso gli armadietti azzurri. Perché era così che funzionava con Donald Armstrong, si era reso conto il giovane babbano: poteva essere un aiuto per i compiti, ma non poteva essere un amico. Rovinava reputazioni, perché era quello strano e sfigato. Era stato sciocco pensare che potesse essere diverso.
    Ed era stato sciocco pensare che la ragazza stesse guardando lui. Perché avrebbe voluto essere salutata da uno sconosciuto, giusto? Forse, si disse, ce l’aveva scritto in faccia che era un babbano, e non un semplice mago. Doveva essere solo il morboso interesse di vedere un esemplare della sua razza da vicino: un esperimento, uno scherzo, un errore. Aveva pensato che almeno nel mondo dei maghi potesse essere diverso, ed in parte così era stato: a New Hovel c’erano tanti ragazzi e ragazze come lui, sperduti come i bambini sull’Isola che non C’è, e lui era riuscito a non essere più lo strambo. C’era gente messa peggio di lui, da quelle parti. Eppure. Eppure, quando metteva piede fuori casa, ritrovava ciò che l’aveva perseguitato in quei diciannove anni: sospetto. La strisciante sensazione che lui fosse diverso da ogni altro, e che le persone lo percepissero con un semplice sguardo. Era stato davvero stupido. Ma, cosa ci volete fare: era pur sempre Donald Armstrong, e per quanto poteva essere preparato ad un apocalisse zombie, era ancora del tutto estraneo ai meccanismi dell’interazione umana.
    Si portò una mano a grattare la nuca, come se il gesto del saluto fosse stato assolutamente casuale. E distolse lo sguardo, Donnie, riportandolo al mondo acquatico nel quale così testardamente riusciva ad identificarsi: metà babbano, metà magico, e nessuno dei due. Nonostante tutto, a discapito di quanto sembrasse, il ragazzo coltivava ancora in cuor suo la speranza che non tutto fosse perduto. Che forse, in fondo, l’umanità meritasse ancora un briciolo di fiducia. Era una luce così tenue che era quasi un affronto credere che esistesse, ma c’era; e forse, forse, fu per quel motivo che Donald rialzò lo sguardo verso la ragazza. Perché non sembrava quel genere di persona, capite? Non pareva il genere di ragazza che volgeva gli occhi altrove, pur di non farsi beccare a guardarlo, colta in flagrante mentre lo studiava in modo accademico. Magari era solo lui che non voleva crederlo. Fatto sta che, con lo sguardo chino, continuò a studiarla da lontano. Doveva essere per quello che Donald Armstrong non girava mai da solo: quando lo faceva, diventava socialmente imbarazzante. Avrebbe voluto avere Bart, lui avrebbe saputo cosa fare. Gli avrebbe suggerito di ignorarla. Ed avrebbe avuto ragione. Quando la vide muovere qualche passo nella sua direzione, si irrigidì. Ovviamente la prima cosa a cui pensò, come ogni bravo nerd bullizzato, fu che voleva picchiarlo. Qualcosa tipo “Cos’hai da guardare, idiota?” E non avrebbe avuto nemmeno torto, perché… beh, perché era Donnie, e di natura era leggermente creepy. Non lo faceva nemmeno apposta, giuro: lui era curioso, e la sua curiosità lo spingeva a rincorrere pensieri che quasi non gli appartenevano, facendo però rimanere lo sguardo fisso sull’oggetto, o sulla persona, da cui era iniziato tutto. Abbassò la testa e cominciò a torturarsi le dita con le unghie corte delle mani, pronto ad alzarle in segno di resa. “Io non ho fatto niente. Guardavo solo i pesci, davvero” Avrebbe detto facendo spallucce, ma con gli occhi un po’ troppo spalancati perché non suonasse sospetto. Riusciva ad immaginarsi l’intera conversazione, con lui che alla fine si alzava e se ne andava, probabilmente per sedersi su un’altra panchina e ripetere quell’assurda e sfortunata serie di eventi. Ma poteva essersi sbagliato, non era davvero certo che la ragazza stesse andando verso di lui. Assottigliò le palpebre, cercando di guardare senza essere visto. Ma lei era ancora lì, e lo stava scrutando, ed era sempre più vicina. Merda. Guardò di nuovo alle sue spalle, certo di poter trovare una soluzione a quella situazione così estranea per lui; ovviamente nessuno gli suggerì cosa fare, cosa dire, o cosa pensare. E lui era… era Donnie. Lui non pensava alle persone, non per davvero. Ciò che non si poteva smontare, non rientrava nelle competenze dell’elettrocineta. E, come di consueto, percepì la prima scossa data dal nervosismo. Invisibile, la sentì scorrere dal petto, o così gli parve, ai suoi polpastrelli, dove si dileguò nella panchina su cui poggiava il sedere. Respira, per amor di Polgy. Respira. Era grande e vaccinato, ormai, poteva tenere testa ad una ragazzina. Quando si decise ad inspirare profondamente, gonfiando il petto di una vana sicurezza che non possedeva, la fanciulla non era più lì. E poi la vide, a terra. Si morse il labbro inferiore, lanciando occhiate intorno a sé per vedere se qualcuno stesse andando ad aiutarla. La sua fantomatica indole dell’eroe –non impavido, ma pur sempre eroe- lo spingeva ad alzarsi per andare ad aiutarla, assicurarsi che non si fosse fatta niente… ma se lei non avesse voluto? Quello era un problema da non sottovalutare. Ma non poteva certo lasciarla lì senza far niente. Si alzò, azzardando un passo cauto verso di lei, ma un voce eruppe a interrompere il raro momento d’eroismo, accompagnata da uno sbattere d’ali infuriato. Si abbassò repentinamente, cercando di proteggersi il capo da qualunque cosa stesse attentando alla sua vita. Cos’era. Cosa stava succedendo. Lo sapeva che sarebbe morto, ma perché si era intestardito ad andare al carrow’s district? “annuncio di servizio per i gentili signori: i Jobberknoll sono uccelli innocui e non vi faranno alcun male, vi preghiamo di non creare disordini e mantenere la calma se dovesse incontrare lo stormo che si è librato in volo nel nostro parco; gli operatori addetti sono già all'opera per riacciuffarli tutti” Che COSA? Jobberche? Ma … oh, dei del cacciavite, perché a me. Altro che innocui, sicuramente erano dei sanguinari assassini piumati, e la ragazza era ancora accasciata a terra. Rischiava pure di venire schiacciata, perché l’attacco dei volatili aveva –con giusta causa- scatenato il panico. Non andava mai a finire bene quando c’erano troppi uccelli in una maledetta stanza a meno che tu non sia al cinema a vedere Magic Mike, o comunque in uno strip club riservato al pubblico femminile. Gattonando sulla moquette, tentò di avvicinare una mano verso la mora, ma quella già si era rialzata. Non durò molto, perché cadde di nuovo a terra. Maledizione. E ‘mo? Si portò le mani al viso, accarezzandolo fino ad allacciarle dietro la nuca. E, nuovamente, evitò l’attacco di SatanaVolante, che sapeva sapeva voleva accecarlo, o fare qualunque cosa facciano gli uccelli del male. Erano pure creature magiche, quindi come minimo sputavano fuoco. Polgy, perdonami per averti portato a morire. Ti vorrò sempre bene. Imprecando fra sé in una lingua comprensibile solo ai babbani, strisciò su quel maledetto pavimento, cercando un riparo. Perfino la ragazza era sparita: come minimo, più fortunata di lui, era riuscita a mettersi in salvo. Sperava non fosse morta, Gesù dell’Ethernet: quello sarebbe stato inquietante, ed avrebbe seriamente firmato a vita la condanna del mainagioia di Donnie. Alzò un braccio, in un istintivo e primordiale gesto disperato… e fu lì che accadde il peggio. Una scarica partì dal palmo aperto sul soffitto, colpendo uno degli uccelli che si libravano nell’aria. E questi cadde ai suoi piedi, il petto di pollo bruciacchiato all’aria ed un fantastico odore di barbecue. No, dai. Non è possibile. Inspirò, toccando con la punta del piede il piumaggio azzurro dell’animale. Oh, per carità. Aveva ucciso un Jobbercoso. L’aveva ucciso! Era morto. Mortissimo. Andato. L’aveva grigliato. Un uccello. Un piccione blu. L’avrebbero giustiziato? Era una specie protetta? Oh. Avrebbe avuto per sempre quel peso sullo stomaco. Non avrebbe più guardato Biancaneve allo stesso modo. Merda! Non l’aveva fatto apposta. E ora? Donnie non uccideva nemmeno le zanzare, quello era un uccello magico! Rimase a guardarlo con la bocca spalancata per quelli che parvero minuti eterni, mentre intorno a lui continuava ad impazzare il caos. Era strano: in una situazione normale, lui sarebbe stato il primo a fuggire, potete giocarci le chiappe. Ma in una situazione normale non ci sarebbe stata una ragazza a terra, minacciata da quelle decine di gambe che infuriavano alla ricerca di una via di fuga. E com’era andata a finire? La ragazza era scappata, e lui aveva commesso un uccellocidio. Avvicinò il viso al corpo della creatura, sfiorandolo piano con un polpastrello.
    Manco Lazzaro, ve lo dico io. TRAPPOLA. Infido trabocchetto! Il Jobbercoso si rialzò fiondandosi sul volto di Donnie. Lo beccò sul sopracciglio, e lo graffiò sugli avambracci mentre lui tentava, inutilmente, di liberarsi. MALVAGIO. Eretico! Estrasse Polgy e cominciò a brandirlo come arma contundente, mulinandolo nell’aria per impedire ad altri di giocargli quel brutto scherzo. Non si faceva fottere due volte, eh no signori miei. Un tonfo vicino a sé. Con la coda dell’occhio notò che qualcuno era caduto al suo fianco, ed aveva smesso di muoversi. Era uno scherzo anche quello? Il gioco dell’opossum cominciava a non piacergli più. Poi riconobbe la chioma scura, la pelle chiara, il vestito floreale. Si fermò con un braccio ancora a mezz’aria, convinto che Polgy l’avrebbe protetto da un qualsivoglia attacco terroristico nei suoi confronti. Le persone cominciarono a scemare, lasciando il tunnel carico solamente dei bassi versi dei Jobbercosi, e del loro sbattere quelle insulse ali nell’aria. La cosa positiva è che nessuna di loro sembrava più interessata a lui. Ripose Polgy nel taschino, e senza mai perdere d’occhio le creature, si avvicinò alla donzella in pericolo. La volse delicatamente, in modo che il viso non fosse più a contatto con la moquette. Fortunatamente per lei, Donald Armstrong era informato sul primo soccorso (aveva fatto tutti i corsi possibili ed immaginabili: la paranoia ed i suoi risvolti positivi): avvicinò l’orecchio alle sue labbra e, spostandole piano i capelli dal collo, poggiò due dita laddove sapeva esserci la carotide. Respirava, ed il battito c’era. Oh, almeno non era morta. Quando si ritrasse, i polpastrelli che ancora saggiavano il collo di lei, si accorse che era sveglia. E lo stava guardando. “Io… Ahm… Non è come pensi?” La voce si concluse interrogativamente, nonostante non fosse una domanda. Strinse le labbra fra loro, accorgendosi con qualche secondo di ritardo che la mano non era ancora al suo posto. La ritrasse, premendola con forza contro l’altra. “Non sono un maniaco. So che lo dicono tutti ma è davvero così” Le rivolse l’accenno di un sorriso impacciato, sperando di suonare più confortante di quanto non fosse alle sue stesse orecchie. Aveva seriamente bisogno di qualcuno che lo trascinasse via da lì, perché stava diventando sempre più inquietante e imbarazzante. Di certo quello non era uno di quei salvataggi che sarebbe passato alla storia…Almeno non in senso positivo. Sospirò piano, allontanandosi di qualche centimetro. “Stai..mmh… bene?”
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    Edited by the w a t t guy - 21/11/2015, 21:15
     
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    Perdere i sensi non è esattamente come dormire, eppure Nicole era sempre stata convinta nel contrario. Prendere alla lettera quel "perdere" le sembrava sciocco e banale, e poi credeva sul serio che fosse solo un semplice modo di dire. Invece no. Si usava il termine perdere proprio perché ogni senso veniva letteralmente perso. Quando dormi invece, seppur distratto e assente, puoi sempre ridestarti grazie ad un rumore o ad uno scossone. Da svenuta invece niente, caput. Bello, bellissimo, rilassante, davvero. Peccato che quello era praticamente l'unico momento, nella sua patetica esistenza, in cui Nicole - arginando per un secondo il problema degli uccelli e focalizzandoci solo sul giovinastro dagli occhi cerulei - avrebbe voluto poter sentire, udire e vedere tutto. Sai che bello. Se ci pensava, Nicole, non ricordava nemmeno di aver mai sentito realmente la voce di Donnie Armstrong. Forse si, forse da lontano come un sussurro mentre parlava con altri, ma davvero davvero mai. E se i suoi occhi non fossero realmente azzurri? E se fosse stato tutto solo un gioco di luci che l'aveva illusa per tanto tempo sul colore delle iridi del giovane? Non lo sapeva, perché a parte guardarlo da lontano, Nicole, dinanzi a Donnie Armatrong per osservarlo a quattr'occhi non c'era mai arrivata. E ci era andata così vicina, così infinitesimalmente vicina. Ma doveva proteggere gli uccelli, oh sì, gli uccelli avevano indubbiamente la priorità. Tanto un'occasione come quella di rincontrare il giovane babbano capitava tutti i giorni e il coraggio di andarci a parlare a Nicole mica mancava. Certo, come no. Di coraggio per fare cose folli e stupide ne aveva da vendere, ma in tanto tempo quello per azzardarsi a dire semplicemente un "ciao" al brunetto, manco per idea. Le dodici fatiche di Ercole? Pff, quelle erano un baffo a confronto, ma che dico, un pelo di barba di un quattordicenne fresco fresco di tempesta ormonale. Bazzecole. Ma quel saluto.. quel saluto era paragonabile all'intera barba di merlino invece. Una roba pazzesca, degna di eroi lodabili per decenni, millenni, eoni. E ci era andata così vicina, così tanto vicina. Poi puff, aveva perso tutto. Sensi e occasione, gloria e fama, soddisfazione e desiderio. Era caduta a terra come una pera cotta, la peggio figuraccia della sua vita e in un inciampo si era giocata l'occasione di una vita. Che vita grama. C'è da non crederci. Probabilmente una volta sveglia anche Nicole non c'avrebbe creduto. Mica c'è da biasimarla; la delusione l'avrebbe uccisa, il rimpianto logorata. Ma ci pensate? Ci era andata così vicina.

    L'oblio tutto sommato non è niente male. Non c'è niente, letteralmente, quindi figuriamoci se ci si può trovare qualcosa di male. Tu stai lì, galleggi nel vuoto e nemmeno lo sai. Una roba interessante, probabilmente, chi lo sa. Di solito non molti sono in grado di raccontare quello che hanno vissuto dopo esser tramortiti a terra per una défaillance. I più suggerivano che tanto l'importante era ciò che trovavi al tuo risveglio. Le cause di uno svenimento spesso non sono proprio belle robe, sapete com'è, ma se ti svegli con una bella sorpresa magari non ci pensi, magari ti passa. C'è il rischio poi che uno voglia svenire di continuo perché pure le cose belle sono rare e difficili da trovare e a servirle così, su un piatto d'argento, senza che uno faccia niente è una ghiottoneria non da poco, ma che volete farci. Infondo è solo quello che dicono, poi vai a vedere se davvero puoi svegliarti con qualcosa di bello che ti attende. Forse è solo una bufala, come tante, per non instaurare il timore nei poveri svenitori - termine che sono certa non esista, ma tanto siamo nell'oblio, chissenefrega - di turno, ma insomma, chi lo sa. Bisogna provare per credere. Ecco, ora magari se ti svegli, cara Nicole, possiamo anche sfatare un bel mito. Oppure possiamo festeggiare per i prossimi dieci anni perché finalmente c'è una gioia nella tua vita da mai una gloria.

    Nicole aprì prima un occhio, poi lo richiuse e apri l'altro, poi chiuse anche quello e riaprì l'altro ancora. Sembravano bolle. Un talento eccezionale. Il punto era che il primo aveva captato la sagoma di un testone parata proprio lì davanti a sé, il secondo occhio aveva captato chi fosse e poi così l'altro voleva averne conferma e si era riaperto, ma non poteva crederci quindi si riaprì anche l'altro e così via. Sisi, proprio un talento. L'individuo, il testone, era roba da non credere, questo è il punto. Troppi punti, lo so, un quadro di Seurat. “Io… Ahm… Non è come pensi?
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    OHMMIODDIO STA SUCCEDENDO SUL SERIO? STO SOGNANDO? UN SOGNO, UN SOGNO, UN SOGNO. Aspetta, ma che significava 'sta storia che non era come pensava? Cioè non era reale? ERA DAVVERO UN SOGNO? Mamma che bello l'oblio, doveva svenire più spesso allora. “Non sono un maniaco. So che lo dicono tutti ma è davvero cosìOHMMIODDIO HA PARLATO ANCORA, E' UN MIRAGGIO ALLORA! Robe tipo di quando sei nel deserto e ti manca il pane, poi cammini cammini e trovi una brasserie e si scatena il panico, perchè finalmente puoi avere tutto il glutine che vuoi. Sisi, proprio così, giuro. “Stai..mmh… bene?Ma allora sono viva? E' tutto vero? Ohccielo. Non mi ricordo più chi sono. Chi sono? « c..credo di si.. si? » Non lo so, sentirsi morire equivale a stare bene? non capisco, non capisco più niente. I suoi occhi sono azzurri! Vi rendete conto? Sono davvero azzurri! Era a un palmo di naso, ohmmioddio era a un palmo di naso da me, ora so che odore ha! « noi.. tu.. io.. ci siamo.. per caso.. tu mi hai.. ? » ti prego fa che non ci siamo baciati, ti prego fa che non mi abbia baciata. Nicole si alzò facendo leva sui propri gomiti, ma il movimento fu troppo veloce e la testa iniziò a girararle freneticamente a mo' di frullatore. Era tutto un frullatore in quel momento; shaker di emozioni gioie e dolori. ti prego fa che non ci siamo baciati, ti prego fa che non mi abbia baciata. Se era successo davvero e lei se l'era perso per la sua allegra scampagnata fuori programma nell'oblio non se lo sarebbe mai perdonata, MAI. E poi per cosa? PER DEGLI UCCELLI! Tutta colpa degli uccelli, si, quant'è vero che chi dorme non piglia uccelli. O era pesci? Bho. Comunque sia: Nicole che dorme non piglia Donnie, proprio così, sisi ora ricordo, testuale, cito il detto. Anche se poi in realtà pensandoci Donnie potrebbe anche essere visto come un pesc.. no vabè, niente. Maledetti malpensanti. Per tutti i peli merlino, quant'è bello. Essì, c'era da ammetterlo: in alta risoluzione Donnie Armstrong era proprio il top.
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    Donnie cominciava a sentirsi un po’ deficiente. Non che fosse una novità per lui in effetti, e voi direte: ormai ci avrai fatto il callo, giusto? E invece no, era sempre stupito in egual modo dal suo tasso di disadattato cronico. Ogni volta si convinceva di aver toccato il fondo, ed ogni volta si rendeva conto che no, era solo l’inizio. Lui aveva seriamente fatto corsi per il pronto ed il primo soccorso, non era mica una barzelletta. Aveva trascinato con sé Jay –sia mai che l’indipendenza di Donnie raggiunga livelli di indipendenza-, fatto la manovra di heimlich e la respirazione bocca a bocca ad una bambola gonfiabile, aveva imparato come accertarsi che una persona fosse viva, a bloccare emorragie. Cose che mai gli erano servite nella vita reale, dove in tutta la sua nerdaggine al massimo si beccava un crampo alla mano ed un taglio con la carta, ma che aveva messo in pratica fin troppo spesso in quella sua nuova esistenza. Ma lui non era un infermiere, ed ogni volta si dimenticava dove mettere le mani, come metterle, Gesù ma almeno poteva metterle? Come se quella situazione non fosse stata strana di per sé, con l’orda di uccelli malvagi e la fuga dell’intero reparto dello zoo. Senza dimenticare il Lazzaro dei poveracci, ed il cacciavite usato come arma contundente –robina mica da poco. La ragazza svenuta pareva così tranquilla fra le sue braccia, così beata, e così apparentemente morta. Che avrebbe dovuto fare, un aitante giovane come Armstrong? Mica poteva andarsene e lasciarla lì da sola. Donnie poi, che da bravo soldato (nel suo cuore e nella sua anima, molto meno nel fisico) non avrebbe mai lasciato indietro nemmeno il vecchio bastardo e drogato di New Hovel. Aveva una pelle morbida, e profumava un sacco. Davvero, riusciva a sentire il suo profumo delicato permeargli i vestiti, e gli era stato vicino sì e no due minuti. A sfiorarla mentre era priva di sensi, nonostante fosse per il suo bene, si sentiva un pervertito. Perché non era mai come nei film, o nei fumetti, dove l’eroe salvava la bella donzella in pericolo e poi vivevano per sempre felici e contenti? Perché loro non sembravano mai dei maniaci potenziali stupratori, e lui invece sì? Quand’ella aprì gli occhi, di un profondo ed irriverente verde cristallino, Donnie ebbe una mezza sincope. La sua idea iniziale era quella di assicurarsi che fosse viva, portarla in un luogo sicuro e attendere da lontano che riprendesse i sensi, per poi fuggire una volta che si fosse accertato che stesse bene. Ma quello, quello rovinava tutto. Lui non era un eroe, in un fumetto non gli avrebbero fatto fare nemmeno la comparsa. Lui era… beh, era tante cose, ma nessuna di quelle utile in quel momento. Lentamente e con cautela allontanò le mani dalla sua pelle morbida, guardandola con gli occhi forse leggermente spalancati per la sorpresa. Sì, avrebbe dovuto essere lei quella sorpresa, ma yolo. Lui non si aspettava che lo cogliesse in flagrante. E se fosse fuggita lanciandogli cose con quella sua bacchetta magica? E se l’avesse ucciso? Non sembrava quel genere di persona, ma nessuno lo pareva mai. “c..credo di si.. si?” .. Era una domanda a lui? Pensava che fosse competente? No, perché lui non ne aveva la più pallida idea. Magari aveva una commozione cerebrale, e quelli erano i suoi ultimi istanti di vita (?). Inclinò il capo, decidendosi ad allontanarsi di qualche altro centimetro. Non era credibile se continuava a dire di non essere un maniaco e poi le rimaneva appiccicato. “I-io.. Io lo spero?” Imitò il suo stesso tono interrogativo, aggrottando leggermente le sopracciglia. Non sapendo che fare rimase seduto vicino a lei, le mani strette fra loro appoggiate sulle ginocchia. “noi.. tu.. io.. ci siamo.. per caso.. tu mi hai.. ?” Donald Armstrong avvampò, cominciando a scuotere il capo con foga. Ma come le era venuta in mente una cosa del genere? Lui… loro… cioè, perché, avrebbe dovuto? No, che lui sapesse non era una cosa che avrebbe dovuto fare, anzi. Era una domanda trabocchetto? “No ma cosa… non sono… giuro non ti ho toccata. Cioè, ti ho toccata per vedere se eri viva, ma… quello è concesso, no? Non volevo… anzi, scusami” Fermò la testa, mordendosi il labbro inferiore e distogliendo lo sguardo da quegli occhi troppo chiari. Complimenti Donald, ecco cosa succede quando cerchi di fare l’eroe. Povera ragazza, oltre ad essere svenuta pensa di essere stata violata. E dire che sembrava tanto un bravo ragazzo di solito, Armstrong. Com’era che in quel mondo riuscivano solo a vedere il peggio di lui? Automaticamente però allungò le braccia, cercando di farlo da sostegno per evitare che cadesse di nuovo. Voleva aiutarla a sedersi, ma le mani rimasero ad un soffio da lei. Non voleva che avesse paura di lui. Sospirò, allontanando le braccia ma rimanendo comunque pronto all’azione. Se doveva passare per maniaco, amen. “Pensavo… non volevo essere, mh, cioè” Dai Donnie, formulare una frase, giuro, non è così difficile. Si schiarì la voce, alzando le mani in segno di resa. “Credevo di aver ucciso un uccello. Dovevo compensare, sai come funziona la storia del karmaDonald Armstrong –quella era la voce di Jayden, senza alcun dubbio. E sembrava anche arrabbiato. Perché la sua coscienza parlava come Jay?- ma che cazzo stai dicendo? “Mi chiamo Donnie?” Ed il tono interrogativo che diede alla frase, accompagnato da un mezzo sorriso impacciato, non era dovuto all’insicurezza sul suo nome –almeno di quello era certo. Semplicemente non credeva che alla ragazza potesse interessare, ma allo stesso tempo gli sembrava doveroso presentarsi. Come se uno di nome Donnie fosse necessariamente affidabile: sapete, si chiama Donnie!
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    Edited by the w a t t guy - 21/11/2015, 21:14
     
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    Non era nuova a situazioni assurde e ambigue; nicole in quel genere di disagi ci navigava in vece di capitano esperto ormai da anni. Pff, figurarsi. Roba da pivelli. Riusciva ad arginare l'imbarazzo e a ripristinare una situazione paradossalmente sfortunata in un eccelso incontro tra lord. Ma non quella volta, proprio no, non era quello il caso. Insomma, come avrebbe potuto esserlo? Stava letteralmente parlando con Donnie armstrog!. Lo stava facendo davvero, cioè, davvero davvero. "No ma cosa… non sono… giuro non ti ho toccata. Cioè, ti ho toccata per vedere se eri viva, ma… quello è concesso, no? Non volevo… anzi, scusami”" se solo svenire ancora una volta non fosse stata una mossa proprio da decerebrati anzichè da semplici disagiati, Nicole era certa che avrebbe perso nuovamente i sensi. Quanto c'era voluto perché un fortuito movente portasse il babbano e lei a, finalmente, scambiarsi una parola? Un anno, due mesi e dodici giorni esatti. Ecco, appunto. "Pensavo… non volevo essere, mh, cioè.. Credevo di aver ucciso un uccello. Dovevo compensare, sai come funziona la storia del karma" Nicole annuiva senza riuscir a dir nulla, annuendo confusa ad ogni parola che trapelava dalle tenere e sottili labbra del giovane dagli occhi di ghiaccio. Donnie Armstrong poteva di certo non risultare l'aitante adone delle più epiche e romantiche storie d'amore, ma era il suo Paride e Nicole.. Nicole era la sua Regina di Troia; volubile, ma pronta a lasciare il suo impero per scappar con lui e iniziare una guerra. Ti prego smettila. Facendo leva sulle proprie braccia la Corvonero si mise meglio a sedere sul posto, drizzando la schiena ed inspirando lentamente. Non voleva fare movimenti troppo bruschi per paura che quel momento potesse essere rovinato e sfuggirle via di mano, ora che era riuscita ad avere un intimo momento di colloquiale - seppur assurdo - sereno confronto con la sua cotta secolare, niente avrebbe potuto portarglielo via. Nemmeno un uccello più grande moltopiùgrande di un Joberknoll. "Mi chiamo Donnie?" Lo stava chiedendo a lei? Sapeva che Nicole probabilmente lo conosceva meglio di quanto non si conoscesse lui stesso? Sapeva che lo aveva spiato per.. quanto? Un anno, due mesi e dodici giorni esatti. Giusto. Lo sapeva? Quel singolo punto di domanda riportò Nicole in stato di agitazione e più si agitava, più si sentiva confusa. « perchè me lo chiedi? cosa vuoi che ne sappia io? cioè.. » Più era confusa, più era stronza diffidente. Aveva intrinseco nel suo pessimo carattere la cattiva nota dolente dell'aggressività nei momenti di panico. Una sorta di autodifesa, che però la metteva più alle strette, anziché liberarla. Meccanismi automatici di una masochista qualunque; più mi sento male, più male mi infliggo. « .. sì? tu sei.. bhè, tu sei Donnie, Donnie Armstrong. » BAM, sgamata. Brava Nicole, brava. Se prima poteva passare lui per il maniaco ora lo era senza alcun dubbio lei. Non si erano mai parlati, non avevano appartenenze di alcun tipo in comune e, in teoria, non dovevano nemmeno aver avuto troppe occasioni per incontrarsi in circostanze in cui poter conoscere il nome l'uno dell'alta. Eppure lei lo sapeva. Da brava stalker. « almeno credo. Dovresti. Cioè, perchè no? Armstrong è un cognome abbastanza comune.. tra voi babbani. » Nicole ti prego smettila, taci. Avete presente le sabbie mobili? Era esattamente finita in una pozza di quel genere; più si agitava, più il fango delle sue stesse conoscenze imbarazzanti pareva farla sprofondare nell'imbarazzo e nell'inadeguato. Ci mancava solo che dichiarasse di sapere dove abitava e perchè ed il gioco era fatto. Azkaban aveva una cella pronta solo per lei. Le avrebbero dedicato una rubrica alla Gazzetta del Profeta intitolata "giovani stalker, sono tra di noi: come scoprirli e denunciarli" in cui venivano narrate le sue epiche imbarazzanti vicende come segugio di poveri malcapitati finiti tra nella sua rosa dei piacenti piaciuti e le avrebbero persino dato un nome per vezzeggiarla al meglio e mantener celata - mica troppo - la sua identità per non essere assaliti dai legali Cooper, troppo costosi per essere battuti in tribunale: la birdwatcher. « ma che hai fatto? » Nicole aveva abbassato lo sguardo dopo la catena di pessime figure che stava inanellando in quella discussione sbagliata già al principio. Nel farlo, il suo sguardo aveva incrociato un pennuto volto a pancia in sù, come lo era stata lei fino a pochi attimi prima, con le ali aperte e distese a terra e il becco rivolto d'un lato. Era inerme, immobile, immolato. « hai ucciso un uccello? » Non poteva crederci, tanto sbatti per nulla. « ma non lo sai che non si plagia un Avada Kedavra senza prima aver bevuto vinoooooooh!? » Essì, lo sapevano tutti, proprio così, sì. Non ne eravate a conoscenza? Male, molto male. Si alzò da terra come una furia, la corvonero, per poi piegarsi sulle ginocchia in prossimità di un pennuto.
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    « non si ammazza un pennuto se non sei ubriaco come una zucchina, c'è, è .. è.. è.. paradossale. » Anche questo è risaputo. Portando il volto più vicino possibile al becco del Jobberknoll Nicole tentò di udire il suo respiro. Perchè provare a toccarlo per vedere se muovesse ancora il petto laccato di piume blu era troppo mainstream per una come lei; lei che la vita la ascoltava, letteralmente. Roba da altri filosofi. « come hai potuto uccidere questa povera bestia? Ma che ti credi che qui siamo tutti burattini nelle mani di un sadico burattinaio? Che puoi metterci in un labirinto plagiarci il cervello e Kedavrizzarci tutti? CHE TI DICE LA TESTA? » La tua, cara birdwatcher, sicuramente niente. Sei un pò confusa Nicole, perchè non ti sdrai un attimo?

    BAMpt.2, preso alla lettera. Dopo l'ultimo urlo isterico Nicole ricadde difatti stecchita al suolo, manco avesse avuto un infarto o una sincope fulminante. Era svenuta di nuovo, accanto all'uccello, stesa con le braccia aperte adagiate sulla lercia moquette di quel luogo troppo blu. Sembrava un angelo. Lei e l'uccello. Vicini. Insieme. Due angeli. Caduti. Dal cielo. Di testa.
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    Inutile, davvero inutile; più tentava di comportarsi come un ragazzo normale, più peggiorava la situazione, perfino quando la statistica diceva fosse impossibile complicarla ulteriormente. Sfidava ogni legge, umana e non, Donald Armstrong. L’ultima volta che si era azzardato ad uscire di casa per i fatti suoi, e si era diretto al parco non troppo dei divertimenti, si era smarrito ed era anche, nuovamente, quasi morto. E dire che in quell’occasione era perfino accompagnato da una persona matura e rispettabile ma quando mai quale Aloysius. Cosa l’aveva spinto, quel giorno, a recarsi al Carrow’s? Certo, nessuno avrebbe mai potuto immaginare che nel giro di un’ora di permanenza nel luogo si sarebbe ritrovato invischiato in una lotta fra picciotti con una ragazza svenuta fra le braccia. Roba da romanzo rosa, ve lo dico io. Peccato che la situazione non fosse neanche lontanamente romantica come quelle descritte dai libri: gli uccelli continuavano a volare imbizzarriti sopra le loro teste, la ragazza lo guardava come se ne fosse terrorizzata, e Donnie… beh, era Donnie, e riusciva a risultare imbarazzo ed imbarazzante contemporaneamente. Bisogna anche comprenderlo, povera stella: quel mondo era nuovo, ed ancora non aveva ben chiara la casta dei maghi. Come un animale selvatico, potevate star certi che era molto più terrorizzato lui della mora che, con quei grandi occhi verdi, continuava a fissarlo. Quello sarebbe stato il momento della fuga in grande stile, possibilmente con un mantello a coprirne le fattezze ed un qualche, magico meccanismo che impedisse alla fanciulla di aver memoria di quello sfortunato incontro. Invece, testardo e stupido, rimase lì con le mani in grembo ed un sorriso goffo sulle labbra, le guance arrossate come la Heidi di New Hovel e gli occhi puntati su di lei, forse nella speranza che potesse, sotto quale buona stella non si sapeva, cambiare idea. Perché avrebbe dovuto, poi? Donnie era effettivamente un personaggio troppo assurdo, non sarebbe stato totalmente paradossale farsi strane idee su di lui. Deglutì, sperando che non notasse lo stato di sciocca agitazione a seguito di quella davvero memorabile presentazione.«perchè me lo chiedi? cosa vuoi che ne sappia io? cioè..» Il sorriso gelò sulle labbra sottili di Armstrong, mentre nella propria mente elaborava un piano geniale per togliersi da quella situazione senza aggravare ulteriormente la situazione. Poteva fingersi morto, come aveva fatto Lazzaro poco prima, così da evitare ulteriore imbarazzo. «no, non volevo, cioè non chiedevo conferma, forse, solo…»sono confuso, un po’ come ogni giorno della mia vita. e vorrei vedere te, nella mia situazione, fra uccelli demoniaci ed una bella donzella –lui che con le persone di sesso femminile, sconosciute per di più non parlava manco su world of warcraft- in pericolo, la quale probabilmente desiderava un eroe ed invece si è beccata un Donnie. Sospirò, abbassando gli occhi sulle proprie ginocchia ben piantate nella soffice, ma non troppo pulita, moquette del luogo. Un caso disperato, poteva chiudere baracca e baracchine e tornarsene a casa. « .. sì? tu sei.. bhè, tu sei Donnie, Donnie Armstrong. » Il balbettio incomprensibile del ragazzo, per la gioia di tutti, cessò. Le dita che prima nervosamente tamburellavano sul pavimento si fermarono, in un singolo, ma concreto, istante di perfetto equilibrio. Non era sicuro neanche di star respirando, Donnie Armstrong, mentre a labbra socchiuse ed occhi spalancati guardava la ragazza. Come faceva a saperlo? Nessuno sapeva chi fosse, Donald, sempre invisibile davanti agli occhi di tutti. Nessuno si era mai preso la briga di guardarlo, eppure lei l’aveva fatto; lui seduto alla panchina, lei in piedi poco distante, la giovane dal vestito a fiori l’aveva guardato, anche se per poco. Aveva sentito i suoi occhi su di sé, ed in quel momento l’intento dietro lo sguardo gli parve futile. Perché l’aveva fatto? E come faceva a sapere il suo nome? Se fosse stato qualcun altro, e quel qualcun altro non avesse avuto quei grandi occhi verdi, Donnie si sarebbe insospettito, pensando che l’avessero trovato. Non sapeva bene chi, non anche quella volta, ma non poteva che sentirsi braccato. Eppure… Lei non sembrava una di loro, quindi non aveva motivo di conoscerlo. Lentamente, quasi senza che Donnie se ne rendesse conto, un sorriso gli increspò le labbra. Di quelli sinceri, spontanei; di quelli che per la prima volta scoprono d’esistere anche per il resto del mondo, e non solo per sé stessi. «tu sai chi sono» semplice, lineare, e senza alcuna traccia d’ironia. Una mera constatazione che, per quanto suonasse assurda alle sue stesse orecchie, aveva invece un retrogusto legittimo. Probabilmente la giovane aveva letto casualmente il suo nome da qualche parte, o l’aveva scoperto sentendo parlare dello strano babbano; ed avrebbe avuto avere importanza, il motivo, ma Donnie non riusciva a concentrarcisi. Come già detto era un tipo piuttosto semplice, e per quanto fosse complesso superare l’iniziale ritrosia nei suoi confronti data da quel suo essere così, immancabilmente, fuori posto, era poi inevitabile guadagnarsi una fetta di quel sorriso, non poi troppo raro sul suo volto. Perché era paranoico, e di certo più fuori di zucca della maggior parte dei suoi compagni, ma era buono. Per farlo felice, ci voleva davvero poco.
    Certo, il proseguo della storia non diede adito a quei romantici sogni da dodicenne amante di Justin Bieber nei quali lui, proprio lui fra tutti, ma quando mai!, era stato riconosciuto da una ragazza come Lei, proprio una come Lei!; lui che pareva così fuori posto, e lei che il suo posto sembrava crearselo perfino quand’era priva di sensi. Ma non voglio rovinarvi la sorpresa, quindi andiamo avanti per gradi.
    « almeno credo. Dovresti. Cioè, perchè no? Armstrong è un cognome abbastanza comune.. tra voi babbani. » tra voi babbani. Di nuovo, con un sorriso questa volta mesto ed artificioso, Donnie chinò il capo. Nuovamente si era dimostrato lo sciocco, fiducioso Donald Armstrong. Come aveva potuto pensare che… babbani, continuava a rimbalzargli nella mente. Il tono sbrigativo usato dalla giovane, come se lui fosse diverso. Cosa che, effettivamente, era. Completamente un’altra razza, se proprio vogliamo essere sinceri. Annuì, stringendosi nelle spalle. «In realtà, il cognome più diffuso del Regno Unito è Smith, quindi ci sarebbero state più probabilità che mi chiamassi Smith, o Johnson. Da dove vengo io, Armstrong è solamente il novantaquattresimo cognome per appartenenza.» Perché stava parlando a raffica di nozioni così poco interessanti? Semplice, perché lui le reputava effettivamente interessanti; era sempre stato un fan delle informazioni che non interessavano a nessun altro, come se qualcuno, al mondo, dovesse pur trovarle affascinanti. Insomma, si sentiva come loro: ghettizzato, ma bello dentro wat. Non che alla ragazza cose del genere potessero piacere, ma nella peggiore delle ipotesi l’avrebbe preso per uno un po’ strambo.
    Come se già non l’avesse pensato.
    « ma che hai fatto? »
    Oltre a numerose figure di merda? Niente di che, credo. Aggrottò le sopracciglia, allarmato dall’improvviso tono accusativo della giovane, mentre seguiva la direzione del suo sguardo. Ci fu un istante di stallo, nel quale Donnie mise a fuoco il secondo Lazzaro –perché lui lo sapeva che d’altro non si trattava- mentre la mora sembrava trattenere il fiato, forse… arrabbiata? Non era bravo ad interpretare le persone, lui era da computer. «non è come sembra» si giustificò, allontanandosi d’una strusciata di ginocchia mentre alzava le mani a palmo aperto in segno di resa. Perché quella frase, malgrado il suo effettivo significato, suonava sempre così colpevole? « hai ucciso un uccello? » Prese a scuotere il capo, temendo che quella, forse aderente al magico WWF, decidesse di ucciderlo… o peggio, denunciarlo. « ma non lo sai che non si plagia un Avada Kedavra senza prima aver bevuto vinoooooooh!? non si ammazza un pennuto se non sei ubriaco come una zucchina, c'è, è .. è.. è.. paradossale. » Lui… che cosa? Aggrottò le sopracciglia, stranamente confuso dalle parole della ragazza. Ma non aveva davvero bisogno di capire, gli bastava il tono allarmato per comprendere che qualcosa, uhuh, non andava per il verso giusto. Non ebbe il tempo di rispondere a quelle accuse – «DATEMI UN AVVOCATO NON SONO STATO IO»- perché lei continuava, imperterrita, ad inveire con foga contro di lui. Avrebbe voluto dirle di non avvicinarvisi, che quell’infido stava solo fingendo di essere morto, ma non riuscì ad aprire bocca neanche per dire papaya -perché avrebbe dovuto dire papaya? Perché papaya ci stava sempre, per rompere il ghiaccio. « come hai potuto uccidere questa povera bestia? Ma che ti credi che qui siamo tutti burattini nelle mani di un sadico burattinaio? Che puoi metterci in un labirinto plagiarci il cervello e Kedavrizzarci tutti? CHE TI DICE LA TESTA? » La vide impallidire, ed un secondo dopo stava … cadendo nuovamente a terra. Immobile, ancora in ginocchio dove si era accucciato qualche istante prima, rimase a fissarla inclinando il capo verso destra. «facile.it, facile.it, facile.it» Non accadde nulla, nessun fattorino muscoloso si presentò davanti a lui pronto a portare in salvo la misteriosa ed alquanto suscettibile giovane. Un vero peccato, considerando che il massimo sforzo fisico di Donnie, nella sua intera vita, era fare sollevamento pesi con la WII. «e va bene, principessa, ce la dobbiamo cavare da soli» Un sospiro, mentre si avvicinava a lei per la seconda volta. Indeciso su dove mettere le mani, letteralmente, optò per passargli un braccio dietro al collo ed uno sotto le ginocchia, ben attento che il vestito non si sollevasse mostrando le grazie di lei al pubblico –era già passato per killer d’uccelli, anche maniaco sessuale sarebbe stato troppo perfino per lui. Quando si sollevò con la ragazza stretta a sé, maledisse ogni fuckin film dove facevano sembrare quella mossa una passeggiata, e maledisse sé stesso per non aver mai fatto sport nella sua vita. Peso proprio morto, fra l’altro. Ah, Armstrong.

    E non ci crederete mai, lui di certo ancora non riusciva a crederci, ma vinse. salì tutti gli scalini e, con delicatezza –quasi- la lasciò ricadere sulla panchina più vicina, finalmente liberi dalla nefasta presenza degli uccelli, sedendosi poi vicino a lei per massaggiarsi i muscoli indolenziti e poter tornare a respirare. No, davvero, quella parte nei film non la mostravano mai. Quando lei riprese i sensi, la prima cosa che fece fu di nuovo porgerle le mani in segno di resa. « non ho ucciso nessun uccello, non so cosa sia un avada kedavra, non ho mai bevuto quanto una zucchina, di labirinto conosco solo quello dell’oca e ohmiodio ho diritto almeno ad un Legale o un portavoce? Ho i progetti per how to get away with jobbercoso’s murder sul mio computer da anni, non puoi accusarmi di plagio. Né di omicidio, in realtà, perché ti assicuro che è ancora vivo e vegeto: i progetti sono solo fittizi wat, ma ammetto che se fosse stato necessario l'avrei ucciso davvero... era la nostra vita contro la sua» Disse tutto d’un fiato, temendo che la giovane ricominciasse ad accusarlo senza dargli, nuovamente, il tempo di spiegare. Spiegare cosa, poi, era un mistero.
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