the more I grow, the less I seem to know.

ft. Seattle | @ londra | 2030ish

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    Dionysius Caine aveva sempre seguito una filosofia molto basilare nella vita: stai al posto tuo, e non cacciarti nei guai.
    Sembrava una cosa semplice, tendente quasi al banale, detta così — ma non lo era. Non in quel mondo; non quando l'universo faceva letteralmente qualsiasi cosa in suo possesso per mettere i bastoni tra le ruote dei buoni cristiani che cercavano solo ed esclusivamente di sopravvivere, senza troppe richieste particolari, e senza troppe pretese.
    Dion aveva smesso di tenere il conto di tutto quello che succedeva, preferendo tenere la testa bassa e il naso nascosto tra i petali profumati del suo modestissimo, ma pittoresco, negozio. Quando aveva esordito, anni prima, esternando la sua volontà di aprire un negozio di fiori, la sua idea era stata accolta con lo stesso cipiglio confuso e perplesso che veniva solitamente riservato ai pazzi. “Un negozio di fiori. In questa economia? Chi ha bisogno di fiori? Perché piuttosto non apri un negozio di armi?!” Per quelle persone, Dion aveva una sola risposta: “e rischiare di spararmi da solo? Tutti hanno bisogno di fiori, specialmente in questa economia.”
    Una risposta semplice, e onesta, ma non necessariamente vera; gli affari non erano andati così bene come aveva sperato, e il suo progetto di aprire il più grande franchising di fiorai dell'Inghilterra era naufragato ancora prima di salpare. Ma sapete cosa? A Dion Caine piaceva il suo negozio, e gli piaceva il suo lavoro, e avrebbe tenuto alzata la saracinesca di quel posto fin tanto che fosse riuscito a permetterselo (arrotondando con i lavori di garden designer per quello o quell'altro eccentrico mago inglese fissato con i boquet di fiori esotici e di rose dai colori impossibili). Non solo non avrebbe chiuso perché era (troppo testardo per darla vinta ai suoi haters nonché) troppo orgoglioso del suo Giardino Segreto (ok, non un nome originale ma!! a chi importava); non avrebbe chiuso soprattutto perché dalla parte opposta della strada, non troppo tempo prima, aveva aperto un negozio di tatuaggi gestito dal ragazzo più bello e meno raccomandabile su cui Dion avesse avuto la (s)fortuna di posare gli occhi nel corso dei suoi venti (e qualcosa — ma chi teneva più il conto) anni.
    Ragazzo che (aveva un nome: Seattle, e Dion l'aveva imparato esattamente due giorni dopo l'inaugurazione del tattoo shop, grazie ad una delle sue clienti più giovani e sfacciate) si ostinava ad arrivare tutte le mattine in sella alla sua moto e mettere in mostra il fisico asciutto e muscoloso anche quando non era assolutamente necessario (flexare) indossare abiti così leggeri e aperti, non con le temperature rigide dell'Inghilterra.
    Non che a Dion dispiacesse, figurarsi.
    Guardare Seattle arrivare, scendere dalla moto e chinarsi per alzare la serranda del negozio era letteralmente la parte più emozionante della sua giornata. Oh, non è che succedessero grandi ed entusiasmanti cose in quella via, come si poteva biasimare un giovane uomo come Dion, se finiva con l'accontentarsi delle distrazioni che gli venivano offerte?!
    Ma no, se ve lo state chiedendo, Dion non aveva mai attraversato la strada per andare a bussare alla vetrina di Seattle, offrirgli un caffè come ogni altro negoziante della via aveva fatto nei primi periodi, e ingaggiare una conversazione. Piuttosto sarebbe morto. Il suo modo di lanciare hints al tatuatore era quello di esporre in vetrina dei fiori che avessero messaggi ben precisi nella speranza che l'altro li cogliesse e si convincesse a fare la prima mossa.
    Fino a quel momento, dopo un sacco di patetici mesi di tentativi, non era mai successo. Dion temeva anche di stargli leggermente antipatico. Una tragedia!
    Ok, forse non così tragedia — la vera tragedia la stavano per sfiorare proprio quel giorno, e a causa di una rissa improvvisa nata nel bel mezzo della via, proprio di fronte ai negozi di Dion e Seattle.
    Il Caine, che in quel momento stava sistemando le esposizioni dei fiori, innaffiando i vasi e rimuovendo le piantine più rovinate, ebbe un attimo di esitazione prima di convincersi a correre verso la rissa anziché dalla parte opposta, e per la sorpresa di nessuno, vide Seattle fare esattamente lo stesso.
    Aveva proprio l'aria di chi, in uno scontro del genere, ci passava intere giornate.
    (Dion pensò distrattamente che avrebbe voluto tantissimo essere il famoso "the other guy".)
    Scacciò via quel pensiero prima di essere brutalmente picchiato da uno degli sconosciuti che stava cercando di fermare, ma si beccò lo stesso una gomitata sul naso, alla quale rispose con un poco virile e adulto «accipicchia!» prima di portare il dorso della mano al viso e fare un veloce assestamento dei danni.
    Ugh, c'era del sangue. Aveva macchiato la camicia nuova?!
    Seattle l'avrebbe trovato più interessante così? Tumefatto, e sporco di liquido cremisi (purtroppo) suo?
    Scosse ancora la testa, perché quei pensieri intrusivi erano decisamente l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel frangente, e fece per afferrare uno dei litiganti — ma questo gli sfuggì tra le dita, proprio mentre una voce sconosciuta fendeva l'aria dietro di loro con un comando che Dion, per dei riflessi assolutamente involontari, ascoltò.
    «alt! Fermi! Mani in alto!»

    Ed ecco come in una qualsiasi giornata dell'anno, una iniziata come tante altre, Dionysius Caine si era ritrovato, sanguinante e con i capelli arruffati, seduto sulla panchina scomoda di una cella di contenimento in una centrale di polizia babbana.
    Perché viveva una dannata stupida commedia (sperava romantica.) e ovviamente i tipi che avevano innescato la rissa se l'erano data a gambe levate nel momento in cui era arrivata la polizia, lasciando lì un Dion in preda al panico e un Seattle su tutte le furie.
    «e… quindi.»
    Un Seattle che ora se ne stava seduto di fronte a lui, dalla parte opposta della cella, con la più omicida delle espressioni che Dion avesse mai cisto — e che sperava vivamente non fosse rivolta a lui. Aveva sinceramente paura della possibilità di essere aggredito dall'altro, e non nella maniera in cui aveva sperato a lungo.
    «quindi…»
    Considerava un progresso il fatto che il tatuatore si fosse seduto dopo quelle che erano parte a Dion come interminabili ore di avanti-indietro nella minuscola cella. Ma il silenzio non lo aveva mai messo a suo agio, e sentiva il bisogno di romperlo in letteralmente qualsiasi modo riuscisse.
    Fin'ora, non aveva trovato nulla di intelligente da dire.
    «uhm… quanto a lungo pensi ci terranno qui?»
    Non sarebbe stato di certo lui a dire che quella fosse la prima volta che finiva in manette, ma dal modo in cui aveva pregato (quasi supplicando) le forze dell'ordine di non arrestarlo, doveva esser sembrato piuttosto chiaro anche al biondo.
    Non fraintendetelo: l'idea di rimanere chiuso lì (anche tutta la notte.) insieme a Seattle lo stuzzicava non poco, ma era una creatura delicata Dion Caine, e non fatta di certo per la vita difficile del carcere.
    E poi, il negozio era ancora aperto?! Non aveva mica avuto la possibilità di chiuderlo, tra la rissa e l'arresto, cosa ne sarebbe stato dei suoi fiori, e dell'incasso? Per sua fortuna il tutto era successo appena in tarda mattinata, de non c'erano stati così tanti clienti fino a quel momento da rischiare di avere nelle casse più denaro di quanto non ne avesse effettivamente, ma rimaneva comunque un problema, e uno dei mille pensieri ad affollare la mente del fioraio in quel momento.
    Onestamente? Anche l'unico su cui si sentisse di poter indugiare, perché nove sui dieci rimanenti riguardavano il ragazzo dall'altra parte della cella e Dion non aveva ancora del tutto escluso la possibilità che Seattle lo odiasse.
    oh, how we worship the things
    that we don't quite understand
    (oh, it's more dangerous
    than you know)
    dionysius
    dion caine
     
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