mr. rager, can we tag along? can we take the journey?

@avis, mis ft. tu? | libera

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    Potevano cancellargli la memoria. Potevano spazzare via con un panno tutto ciò che l’aveva reso Mise-Theo, riformare un’identità ed un’esistenza dal nulla. Potevano rimbalzarlo dall’altra, fottuta, parte del mondo ad arrangiarsi con quello che aveva e tutto ciò che non sapeva. Quello che nessun incantesimo poteva fare, però, era rimuovere l’istinto: Mis Jacksson era tutto, impulsi e stomaco.
    Quando il suo istinto gli aveva suggerito di scappare, l’aveva fatto. Senza doverci pensare due volte. Aveva guardato i cancelli di Hogwarts, spostando poi vacui ed offuscati occhi color muschio sul paio di compagne al proprio fianco; aveva stretto i pugni lungo i fianchi, serrando ritmato la mascella.
    Si era trasformato, e se n’era fottutamente andato. Non aveva un solo pensiero coerente, figurarsi una meta. Si sentiva instabile, accartocciato ed in attesa di lisciarsi sotto il peso del cielo stellato. Si sentiva senza controllo, e non sul proprio potere – mai, sul proprio potere – come se fosse stato intrappolato tutta la vita, e di quella libertà non sapesse che farsene.
    il problema sei tu.
    Quando aveva finito di correre, ebbro di adrenalina e stanchezza, si era fermato. Si era guardato attorno, il cane - Mis - con occhi intelligenti e densi come resina. Smarrito. Aveva un senso dell’orientamento eccellente, e non sapeva comunque cosa farsene. Aveva guardato i passanti, muovendo incoerenti passi verso l’uno o l’altro. Strizzando i denti in ringhi bassi e poco raccomandabili. Metaforicamente parlando, aveva un collare. Perfino un guinzaglio, Mis – qualcuno da cui tornare sempre, scattando come un maledetto elastico.
    Ma dov’era.
    Tornò Mis, lasciando da parte pelo e zanne. Era un pensiero troppo umano per la forma canina, quello lì; non sapeva come contenerlo. A stringere le dita sul palo del bus, fu un ragazzino di sedici anni con il collo ustionato ed inquieti occhi verdi, pressanti occhiaie blu e labbra imbronciate. Spalle più magre rispetto a quand’era partito per ...per costruire case ai bambini poveri, sì. Lenny gli aveva detto gli avrebbe fatto bene, anche se era stato vago sul come. A sfogare la rabbia in modo costruttivo, probabilmente. Il Jacksson credeva fosse stato solo un modo come un altro per levarselo dal cazzo almeno per un po’: considerando il maggiore non avesse amici, deduceva di essere la sua unica fonte di preoccupazione, furia, ed ansia perenne. Saperlo in Bangladesh, doveva avergli dato almeno un paio di mesi di sonni quieti. Lenny! Lenny. Si accigliò, masticando pigro l’interno della guancia. Non era la faccia giusta, in primis; come seconda cosa, non aveva un cazzo di voglia di tornare all’Istituto. La sola idea, gli faceva venire la nausea. Si sentiva febbricitante. Frenetico.
    Tornare a Londra non gli aveva fatto bene. Magari poteva concludere l’anno in Bangladesh. Magari poteva non finirla, quella scuola del cazzo - qual era il punto? Un diploma non avrebbe salvato il mondo dal marcio e la corruzione. Posò la fronte sul metallo del bus, occhi al pavimento. In effetti… perchè rimanere? Poteva essere ovunque. Poteva fare la differenza dove contava. Poteva vedere l’alba in una nazione, ed il tramonto in quella dopo. Poteva lasciare che la Resistenza lo trasferisse come militante in itinere, e farsi mandare dove servisse – c’erano sempre nuclei esteri che necessitavano di una mano.
    Poteva sbattersene il cazzo. Della Resistenza, e di Lenny. Poteva scegliere una carriera in solo, erigersi a giudice, giuria e boia. Poteva vivere da eremita sul cucuzzolo di una fottuta montagna, dimenticando d’essere umano per trecento giorni l’anno. Di possibilità, Mis, ne aveva un milione, e nessuna includeva completare il ciclo d’istruzione. Aveva anche già compiuto sedici anni, non era a quell’età che decadeva l’obbligo scolastico?
    il problema sei tu.
    Incerto. In bilico.
    Non poteva saperlo, ma di scelte, in realtà, ne aveva solo un paio. C’erano due modi in cui la sua vita avrebbe potuto dare un senso all’arto fantasma, arrangiandosi in una sequenza funzionale.
    La prima era il problema sei tu, a giustificare una vita di solitudine. Un costante vuoto allo stomaco. Il guinzaglio a pendere dal collare in attesa che qualcuno lo afferrasse, e di lui ne facesse qualcosa - gli desse un motivo, uno scopo. Il Nord del suo magnete.
    Ma ce n’era un’altra, di strada. Una peggiore. Una terribile, anche solo da prendere in considerazione: che il problema non fosse mai stato lui. Tragico, vero? Pensare che una vita di stenti potesse ridursi a quello: un amore malato e frenante. Una famiglia tossica, perché avevano dovuto imparare ad esserlo. Mordere, prima di mangiare; graffiare, prima di stringere la mano.
    Senza Theo di cui preoccuparsi. Senza Theo da controllare. Senza Theo a cui fare ritorno. Senza Theo ad ascoltare solo il cuore e mai la testa. Era stato l’opposto del suo gemello, perché se non si compensavano si annullavano, e quello non potevano permetterselo. Si era adattato, Mis Jacksson, seguendo il principio della natura. Ma come poteva giustificare se stesso a se stesso, con l’assenza di ciò che l’aveva reso responsabile, ed affidabile, ed un riflessivo, leale, selvatico bastardo?
    Il problema non era mai stato Mis. Il problema era che Theo avesse preso troppo spazio, senza mai concedere. Senza farlo apposta, senza rendersene conto. Il problema era che non fosse mai stato un problema, perché al Jacksson era sempre andata bene così. Potendo scegliere? Gli sarebbe sempre andata bene così, perché preferiva una vita nell’ombra che la possibilità dei riflettori, se significava perdere suo fratello. Ma non poteva, vero? Scegliere, s’intendeva. L’aveva fatto Theo, per lui.
    Il cuore a quietarsi, lentamente. Più stabile. Il ragazzo che scese dal bus, non era lo stesso che ci era salito: perché il guinzaglio, anziché lasciarlo appeso, Mis l’aveva stretto fra i denti, e reso solo suo. Indipendente, e senza nulla da perdere: una miscela che prometteva poco di buono, e tanto di tutto il resto. Equilibrato, a suo modo.
    Rivolse un cenno con il capo all’autista, saltando giù dal mezzo prima che gli chiudesse le porte sul collo. Ma dove cazzo era. Inspirò l’aria del parco, distinguendolo dall’Aetas per sfumature e colori.
    Doveva tornare ad Hogwarts. Ugh. Tastò le tasche alla ricerca del telefono, rendendosi conto di non avere nulla con sé: non i documenti, non i soldi, non il cellulare o le sigarette. Schioccò la lingua sul palato, valutando di chiedere ai passanti di prestargli il telefono. Fu scandagliando il parchetto, che vide (lo spaccino? Magari, ne aveva bisogno.) il furgoncino. No, non quello che rapiva i bambini, e neanche quello che usava il prof Jackson per portarli a morire nei posti più assurdi del globo.
    Il paninaro. L’immancabile paninaro di ogni parco. Portò pollice ed indice alle labbra, fischiando. Forte. Li sentiva zampettare nei cespugli e dentro i tombini, sotto le altalene e nei cestini della spazzatura. Li richiamò tutti, quei topi lì. Il suo esercito di ratti. Il sogno proibito di Giadina Glabra. Rimase a guardare a debita distanza mentre assalivano il proprietario, invadendo ogni spazio del furgoncino. Lo sentì strillare; strinse le spalle al nulla, Mis, attento al fatto che non toccassero il cibo, perché non era un mostro. Il Signore dei Panini aveva lavorato a lungo per aprire il suo banchetto. Voleva solo un telefono, una birra (o cinque) e magari un panino con pomodoro e mozzarella. Sigarette, se era fortunato. Un po’ di contanti, e non si sarebbe offeso. Allontanò i topi, lanciando loro una (1) forma di prosciutto in ringraziamento. Raccolse il cappellino del Paninaro, spolverandolo ed infilandolo sulla testa, ed iniziò a frugare alla ricerca di un cellulare – che trovò, incastrato quasi sotto il lavandino.
    Digitare pin.
    1234?
    Digitare pin.
    4321?
    Digitare pin.
    In maniera molto (Theo?) matura, lanciò il telefono oltre il pannello del furgoncino, ringhiando basso e feroce. Vide qualcuno passare sotto il lampione adiacente, ed agitò una mano per attirarne l’attenzione. «ehi. EHI! tu» e visto che non era un millennial (ho i brividi. Sinceri, i brividi) aprì il palmo, usando l’indice per digitarci sopra, e mimare uno smartphone al passante. «mi presti mica il telefono?»
    You might hear the birds singing flying around
    You never see them too long on the ground
    You wanna be one of them, yeah


    non è una post quest, perchè boh... mis non era in quest. ma è appena dopo la quest, quindi? non so cosa io abbia scritto, dovevo solo iniziare a riflettere ad ala voce su cosa tutto significasse per (me. sara.) lui. sta chiedendo un telefono, sentitevi liberi di (non darglielo) aiutare-!!
     
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