1. the parent trap | secret santa 23: rob

    (Non io che domani non avrò il coraggio di guardare nessuno negli occhi.)

    Vorrei dire che non era la mia prima scelta, ma mentirei. Chiaramente è lontano anni luce da quello che poteva essere perché non sono capace e sto un po’ (tanto) morendo, ma eh. Ci ho provato. Diciamo sempre che vogliamo farlo, no?
    Quindi ecco!!!!!!!!!!!

    I tried.
    :perv pat pat:

    Spero che almeno ti faccia un po’ sorridere per la stupidità del tutto (?).

    BUON NATALE PAPÀ ROBERTA!!!


    THE PARENT TRAP


    Sara fallirà in questa impresa?
    Molto probabile, ma lo farà a cazzo duro.
    (Un po’ come Moka.)
    summary
    Javier Iglesias ha trentadue anni, è single e vedovo. Anche se ha sempre tra i piedi le sorelle Julieta e Mireia, ha bisogno di una baby-sitter che badi a sua figlia di dieci anni Aracoeli.
    Moka Telly ha diciannove anni, è single e universitario. Anche se sua madre fa di tutto per aiutarlo dalla Francia, qualche soldo in più fa sempre comodo, e le sue abilità con i bambini sono innegabili.
    Da quando Moka ha cominciato a farle da baby-sitter, Aracoeli ha notato che suo padre ha ricominciato a sorridere come non faceva da molto tempo…

    Tag: romcom, family, found family, fluff and humor, idiots in love, alternative universe – modern setting, Disney, ooc

    TW – spoiler: pwp, oral sex, age difference, dilf



    Aracoeli
    Quando un Javi un tantino esasperato le aveva fatto notare che, forse, era ora di provare a guardare un po’ un altro film, invece di far ripartire per la quarta volta, e solo quella settimana, Genitori in trappola, non aveva tutti i torti. Ma Aracoeli sapeva fin troppo bene che suo padre avrebbe fatto di tutto, per lei, compreso riguardare la consacrazione a leggenda cinematografica di Lindsay Lohan e della sua gemella (di cui, stranamente, non riusciva a trovare nulla in rete, quando convinceva Mira a lasciarle usare il suo iPad), e non si era fatta troppi problemi. Anche perché, chissà come mai, si era magicamente illuminato, scoprendo chi avrebbe fatto loro compagnia durante quella visione. Sapeva che era contento che ci fossero anche Mireia e Julieta, naturalmente, sebbene per l’ennesima volta avesse chiesto alle sorelle se non avessero il loro appartamento a cui tornare, ma le sue zie non erano capaci di scatenare, in lui, quella reazione. Persino lei non ne era capace, o comunque, non in quel modo. Lo sguardo che riservava a lei era unico e speciale, e sapeva che nessuno gliel’avrebbe mai portato via.
    Ma suo padre meritava di illuminarsi così.
    Aveva dei ricordi confusi, forse quasi più sogni, di quei giorni, tuttavia ne era certa. Gli occhi di suo padre avevano assunto quell’espressione solo guardando el amor de su vida, sua madre. Probabilmente era troppo piccola per ricordarlo davvero, ma sapeva, sentiva, che Javier si era illuminato così ogni volta che Xiomara era entrata in una stanza.
    «Anche Moka ha detto che vuole rivederlo», aveva sottolineato quella sera Aracoeli con studiata noncuranza, sfoderando un sorriso innocente mentre si godeva l’espressione di Javi. Perché ci fosse bisogno del suo baby-sitter quando lei aveva ben dieci anni (e soprattutto quando in casa c’erano suo padre e le sue zie, ma questo era solo un dettaglio) non era davvero un problema suo, mentre invece lo era fare in modo che quei due zucconi aprissero gli occhi una volta per tutte, esattamente come Nick e Lizzie in Genitori in trappola.
    *
    Anche e soprattutto perché era una bambina sveglia, Aracoeli sapeva di non poter fare tutto da sola. E sapeva anche dove avrebbe trovato delle validissime alleate, anzi, le migliori. Non aveva neanche dovuto spiegarsi davvero, perché entrambe avevano non solo già capito, ma la pensavano esattamente come lei: anche Julie e Mira si erano accorte del modo in cui Javier e il baby-sitter si guardavano. Certo, Julieta aveva provato a far notare alla sorella e alla nipote che forse l’età di Moka avrebbe potuto essere un problema, essendo l’universitario poco più di un ragazzino, ma Mireia aveva alluso a qualcosa che aveva fatto lei, a diciannove anni, e la maggiore si era trincerata dietro una delle sue occhiate truci. Aracoeli era un po’ confusa, visto che le sembravano tutti decisamente vecchi, Moka compreso, ma si era stretta nelle spalle e aveva esposto alle zie il suo piano.
    *
    Era tutto pronto, nell’appartamento delle sorelle Iglesias. Aracoeli rimirò il proprio lavoro con le mani puntellate sui fianchi, chiedendosi ancora una volta perché suo padre e il suo baby-sitter fossero tanto fissati con la Siberia. Certo, anche lei amava la neve e cercare di ricreare un paesaggio invernale nel piccolo salotto delle zie era stato divertente, ma non era meglio Porto Rico, con i suoi colori e il caldo? Sul menu, in effetti, si erano allontanate, e di molto, dal tema inverno in Siberia scelto per la serata, ma non era mai stato in discussione: la cucina di nonna Iglesias batteva all’infinito quella siberiana. Anche perché, a dirla tutta, qual era il piatto tipico della Siberia? La renna arrosto? Ew, non voleva nemmeno pensarci.
    Poi il campanello suonò, e il piano ebbe inizio.


    Moka
    Non si era fatto domande, quando Julieta, con il suo tono professionale e un po’ autoritario, gli aveva chiesto di recuperare Aracoeli all’appartamento che condivideva con Mireia e di portarla a casa. Anche perché, in fondo, non era nemmeno la prima volta.
    *
    All’inizio si era sentito un po’ sopraffatto da tutto il calore, e soprattutto il caos, di quella famiglia, ma prima di rendersene davvero conto, aveva cominciato a sentirsene parte. Un po’ si sentiva in colpa nei confronti della sua, di famiglia, ma da quando suo padre era morto e sua madre era tornata in Francia aveva cominciato a dimenticare cosa volesse dire avere una famiglia. L’università, poi, aveva ulteriormente peggiorato le cose. Una città nuova significava infinite possibilità, ma anche infinita solitudine. Specie poi se i soldi scarseggiavano. Per questo, e anche un po’ per scherzo, aveva messo quell’annuncio. Forse era stato subdolo da parte sua mantenere tutto così neutrale, ma conosceva il boomer medio: un baby-sitter con il pene? Neanche morto.
    E in effetti il primo sguardo che si era scambiato con Javier Iglesias aveva confermato i suoi sospetti. Aveva un pene e si era offerto come baby-sitter di sua figlia. Ma era bastata qualche ora in compagnia di Aracoeli per rendere il tutto ufficiale, sancendolo persino nero su bianco, con il primo, vero contratto di lavoro della vita di Moka. Quella bambina lo adorava e lui adorava lei.
    Certo, più e più volte si era chiesto se davvero gli Iglesias avessero bisogno di lui, dal momento che, spesso e volentieri, arrivavano a casa non una, ma ben due zie, Julieta e Mireia, più che disposte a occuparsi di ogni necessità della nipote. Ma le settimane erano diventate mesi e lui era ancora lì e, anzi, con il passare del tempo le ore che trascorreva a prendersi cura di Aracoeli (e, a dirla tutta, dell’intera famiglia), non avevano fatto che aumentare, così come, di conseguenza, il suo stipendio. I suoi coinquilini avevano persino cominciato a chiedergli se non dormisse con il suo datore di lavoro, visto che trascorreva buona parte della sua giornata, e spesso anche della serata, a casa Iglesias.
    Sinceramente, Moka l’avrebbe fatto più che volentieri. Per un breve, brevissimo periodo aveva soffocato quel pensiero tra le braccia di chi gli capitava, etichettandolo come semplice esigenza fisica. Ma poi aveva cominciato a vedere i suoi occhi tristi ovunque, a sentire nelle orecchie il suono della sua voce, a chiedersi che sapore avessero le sue labbra. E alla fine era stata Cherry, da vera signora come suo solito, a svelare l’arcano. Non era stata una domanda, la sua, ma una semplice affermazione: «Te lo vuoi scopare, Moka».
    Vero.
    Verissimo, anzi.
    Stavolta era stato più consistente, e costante, nella sua convinzione. Era un cliché vivente, se ne rendeva conto, l’amato baby-sitter e il genitore vedovo!, ma non è che gli importasse più di tanto. Prima di tutto perché non voleva perdere il lavoro, quindi non avrebbe mai e poi mai fatto nulla, e in secondo luogo perché era semplice esigenza fisica, la sua. Certo, Javier era un uomo affascinante, e la malinconia che trasudava, per non parlare del suo essere una figura così paterna, anche letteralmente parlando, non facevano che aumentare il suo sex appeal, ma, appunto, si trattava solo di questo. Era fisicamente attratto da lui e si sarebbe più che volentieri infilato nel suo letto. Tutto qui.
    Per mesi si era ripetuto che si trattava di pura e semplice chimica animale. Non poteva essere altro. Intanto, era il suo capo. Ed era vecchio. Non avevano nulla in comune, davvero niente. Le sue sorelle un po’ (tanto) pazze e soprattutto la sua adorabile figlia lo avevano fatto sentire parte della famiglia sin dal primo giorno, e persino lui, con quei suoi modi un po’ burberi, lo aveva accolto a braccia aperte. Gli faceva semplicemente ribollire il sangue, specie tra le gambe.
    Il batticuore che provava anche solo pensandolo era una normale, e naturale, reazione fisica.
    Non poteva essersi innamorato di Javier Iglesias.
    *
    «C’è nessuno?» Si guardò di nuovo intorno, Moka, un po’ confuso. L’atmosfera era molto bella, lì dentro, sembrava quasi di essere in una foresta innevata. Ma dov’erano tutte? «Ara? Tutto bene?», provò di nuovo, senza ottenere risposta. Si chiuse la porta alle spalle e tirò fuori il cellulare, non sapendo bene come muoversi. Forse aveva capito male? Magari non doveva andare a prendere Aracoeli dalle zie, ma raggiungerla già a casa. Però qualcuno doveva avergli aperto la porta…
    E comunque quella sala aveva tutta l’aria di essere stata addobbata per un appuntamento.
    Sorrise divertito, domandandosi quale delle sorelle aspettasse visite. Tuttavia, ecco di nuovo la confusione: né Mireia né Julieta erano grandi fan dell’inverno e della neve. Entrambe, se mai, preferivano sfoggiare le proprie radici latine, come anche l’appartamento stesso dimostrava in ogni dettaglio. Evidentemente, quindi, la persona per cui era stato preparato il tutto doveva piacere molto alla sorella in questione, ed essere altrettanto fortunata…
    «Ay, Moka, eccoti!!» La voce trillante di Mira arrivò dall’ingresso delle camere, per poi essere seguita dalla sua proprietaria. «Mi amor sta finendo di prepararsi per andare a casa, ora arriva! Io devo uscire un attimo a prendere una cosa per stasera…» Gli fece l’occhiolino e, senza aspettare davvero la risposta, lo strinse in un abbraccio e infilò la porta d’entrata. Moka sospirò, per nulla sorpreso, e si avvicinò al tavolo ben apparecchiato, spiando senza toccare le varie pietanze già disposte lì sopra. Aveva tutto un profumino molto invitante… Forse poteva assaggiare giusto qualcosina, non se ne sarebbe accorto nessuno… Specie poi Mireia, visto quanto aveva la testa tra le nuvole!
    Andò in cucina, si lavò le mani e prese un piattino. Quanto ci stava mettendo Aracoeli, però? Le zie la stavano proprio istruendo bene… Il gorgoglio del suo stomaco lo riportò alle prelibatezze sul tavolo apparecchiato, quindi vi si riavvicinò per prendere uno stuzzichino.
    Aveva appena addentato una buonissima empanada quando la serratura scattò, facendolo sobbalzare.
    «Cielita, mi amor, va todo bien? Tu tía me dijo que...»
    Moka si leccò via dalle labbra le briciole di empanada fissando Javier Iglesias nel rettangolo della porta d’ingresso.
    No, non era decisamente Mireia. E neanche il suo date misterioso. Qualcosa cominciava a puzzargli…
    Dal vecchio stereo vintage che Julieta si rifiutava di buttare via, perché le ricordava la sua infanzia, cominciarono a risuonare note decisamente famigliari. Non l’avevano guardato tante volte quante avevano visto il film con la finta gemella di Lindsay Lohan, ma era comunque nella top five di Aracoeli. E poi la voce di Elton John era inconfondibile. Can You Feel the Love Tonight era indubbiamente un capolavoro, al pari di Simba, in grado di scatenare in lui (e in chiunque avesse gli occhi) domande importanti sui propri gusti.
    Qualcosa, o meglio, qualcuno gli sfrecciò accanto, stringendolo per un attimo prima di ripartire e fare lo stesso con Javier. «HolapapiholaMokaiovadodivertitevibesosssss!!!», squittì una figurina dai lunghi capelli neri, per poi infilare la porta e chiudersela alle spalle dopo aver soffiato a entrambi dei baci. Nello spiraglio intravide Mireia con espressione ammiccante e Julieta con il pollice in su e uno sguardo tutt’altro che rassicurante.
    «Ricordami di metterla in punizione, domani.» Javi sospirò, passandosi le mani sul viso, ma a Moka non sfuggì il sorrisetto che stava nascondendo tra le dita.
    «Ma se dici sempre che non credi in questo genere di cose…», gli fece notare scherzoso, non riuscendo, e forse non volendo nemmeno, ricacciare indietro una punta di malizia.
    «No, infatti, ma forse dovrei semplicemente punire qualcun altro. Per essersi fatto ingannare, sai. Tipo te
    Cosa?
    Cosa.
    Per fortuna aveva già mandato giù il boccone di empanada, altrimenti gli sarebbe andato di traverso. Ma il suo cuore, traditore, reagì prepotentemente, agitandoglisi nel petto. E non solo lui, in effetti.
    «Mi pare che qui, a essere stati ingannati, siamo in due.» Si mise in bocca con noncuranza quello che rimaneva dell’empanada, lasciando vagare lo sguardo per la stanza per evitare incidenti, puntandolo come invece avrebbe voluto sull’Iglesias. Aveva la solita aria stanca e un po’ sfatta da troppe ore di lavoro sulle spalle, che avrebbe volentieri voluto far distendere con un bel massaggino. Non era bravo come Lelepgvero, ma per lui avrebbe volentieri imparato. «Certo, peccato non essere davvero sul ponte di uno…»»
    «… yatch, già.» Incapaci di resistere, i suoi occhi trovarono quelli scuri ed espressivi di Javi, fissandosi per un istante. Poi entrambi scoppiarono a ridere. «Pensa se fossero davvero due…»
    «Un incubo!»
    «Oi chico, stai pur sempre parlando di mia hija!»
    Sì, vederlo e sentirlo fare il daddy TM quale era gli faceva decisamente effetto. Che si trattasse di pura attrazione fisica o anche di altro, Moka sapeva benissimo di desiderare solo una cosa, in quel momento. E non era mangiare tutto quello che c’era su quel tavolo, per quanto buonissimo. Aveva fame d’altro. Una fame che lo divorava dentro da mesi, e che non faceva che acuirsi ogni volta che passava con Javier più di due secondi. «Forse dovrei davvero pun-»
    Una parte di lui fu contenta che Iglesias si schiarì la voce e dichiarò: «Non sprecheremo tutta questa bondad de Dios», ma d’altro canto, la sua successiva richiesta non fece che peggiorare la situazione: «Vai a lavarti le mani, su».
    Maledetto daddy Javi.
    «Me le sono già lavate. E comunque non sono tua figlia.»
    «Oh, lo so benissimo. Lei è molto più intelligente di te.»
    Avrebbe dovuto sentirsi offeso, non fosse stato per il modo in cui Javier lo stava guardando. Forse, anzi, sicuramente era tutto nella sua testa, ma gli parve che lo stesse spogliando con gli occhi. Se solo l’avesse fatto anche con le mani…
    «Che cosa hai detto?»
    «Io? Niente, perché?»
    Javier si era avvicinato. Anzi, era così vicino che, adesso, poteva percepire anche il suo odore. E poteva guardare i muscoli tesi delle braccia sotto la camicia, ora che le aveva incrociate davanti al petto, il cappotto abbandonato sul divano poco distante. Un sopracciglio inarcato, l’uomo lo fissava con fare serio.
    «Oi papi, cominci già con la demenza senile…», lo canzonò incrociando a sua volta le braccia, scimmiottandolo. Era il suo capo e non avrebbe dovuto prenderlo in giro, ma Aracoeli l’aveva portato sulla cattiva strada, e le sorelle Iglesias non avevano fatto che istigarlo, dicendo che il fratello meritava di essere un po’ sfottuto. Per Moka, in realtà, meritava anche varie altre cose, ma questo non lo poteva dire.
    «L’unica demenza che vedo qui è la tua…» Gli si avvicinò ancora di più, Javier, gli occhi fissi nei suoi. In quell’oceano onice distingueva nettamente qualcosa agitarsi, qualcosa che lo avviluppava e sembrava volerlo trascinare giù, sempre più giù… «Per cui concentrati, e dimmi: cos’è che dovrei fare con le mani
    E, in effetti, le mani dell’Iglesias l’avevano già trovato. E lo stringevano. Non c’era delicatezza, non c’era grazia in quella stretta. C’erano solo le dita forti dell’uomo che combattevano contro la durezza del cavallo dei suoi jeans, che nonostante questo non riuscivano del tutto a celare quello che stava succedendo sotto.
    «Dillo, Moka.»
    Sbuffò, sostenendo il suo sguardo. Non era uno che arrossiva, Moka Telly, né che si piegava al volere altrui. Persino se questo altrui era l’uomo a cui desiderava saltare addosso da mesi. E che ora lo stava quasi letteralmente tenendo per le palle.
    La morsa della mano di Javier si intensificò, costringendolo a mordersi una guancia per trattenere un gemito.
    «Dillo
    Stava per cedere, l’avrebbe fatto davvero, ma successe. Dapprima percepì il pizzicore della barba folta e ispida, poi la contrastante morbidezza delle sue labbra. E il suo corpo reagì di conseguenza, per quanto costretto nella stoffa rigida dei jeans. Aveva immaginato quel momento infinite volte, e in altrettanto infinite situazioni. Ma mai nel salotto delle sorelle Iglesias, immersi in una fiaba invernale che, chissà come mai, gli faceva pensare alla Siberia.
    La sua lingua cercò quella di Javier, mentre le mani correvano a sfilargli la camicia da dentro i pantaloni, insinuandosi a saggiare la pelle calda della schiena. Eppure quel contatto non bastava, sentiva il bisogno di intensificare ancora di più quel bacio… Ma con uno strattone si ritrovò a cercare l’aria, e a fissare nuovamente gli occhi neri e ardenti dell’Iglesias.
    «Sto ancora aspettando.»
    Moka grugnì, alzando gli occhi al cielo, le mani strette ai fianchi dell’altro. «Sei un cazzo di boomer, lo sai vero?» Sbuffò e rise, anche se la stretta di lui sul suo cavallo gli fece venire ben presto voglia di fare tutt’altro. «Bene.» Chiuse gli occhi e si inumidì le labbra, percependo ancora benissimo il sapore di lui. «Spogliami
    Anche se aveva gli occhi chiusi, Moka capì di aver vinto. O forse a vincere era stato Javi, ma cosa importava? Come se non aspettasse altro lo sentì trafficare con il bottone e la zip dei suoi jeans, provocandogli un sospiro sollevato non appena cominciò a percepirsi un po’ meno costretto. Aveva visto decisamente tanti film cominciare così, ma era impaziente di vedere il seguito.
    E di sentirlo, soprattutto.
    Strusciandosi contro le sue mani riaprì gli occhi quel tanto che bastava per lanciargli un’occhiata, compiacendosi del suo viso e della sua espressione. Un attimo dopo aveva già trovato le sue labbra, mentre le mani si spostavano a cercare di slacciargli i bottoni della camicia. Non era molto facile, però, visto l’immensa distrazione del tocco di Javier sopra i suoi slip. E quando lo sentì infilarsi all’interno, pelle contro pelle, finì per mordergli un labbro, scatenando in lui una risata gutturale, quasi un ringhio, che subito volò ad acuire la tensione tra le sue gambe.
    Javier lo strinse ancora, stavolta direttamente, facendogli quasi girare la testa. Non era un ragazzino alle prime armi, non avrebbe dovuto reagire così tanto… Eppure, era più forte di lui. L’Iglesias era intossicante. Lo desiderava dal primo giorno, quando l’aveva accolto sulla porta dell’appartamento dove viveva con la figlia. Lo baciò ancora, intensamente, dopo aver ripreso fiato solo per una manciata di istanti, maledicendosi mentalmente per aver aspettato tanto. Era quasi riuscito a slacciare tutti i bottoni, quando l’altro gli strappò uno sbuffo, facendo scivolare via la mano da dentro i suoi slip.
    «Impaziente, chico?», lo rimbeccò Javi malizioso, dopo avergli preso il mento con la mano con cui fino a poco prima stringeva tutt’altra parte di lui. Poi corse a sfilargli la maglietta, e Moka ringraziò mentalmente per le ore passate in palestra ad allenarsi. Non solo non sembrava affatto un diciannovenne, ma il suo corpo era capace di scatenare l’invidia di parecchie persone. Sorrise, trionfante, sentendo lo sguardo dell’Iglesias scivolargli addosso.
    «Non finisci quello che hai cominciato?» Javier tornò a fare quella risata profonda, scatenandogli l’ennesimo brivido. Certo che era impaziente! Come avrebbe potuto essere altrimenti? Desiderava, aspettava, anzi, quel momento da mesi. E il suo capo anche, a giudicare dall’aspetto dei suoi pantaloni eleganti. Gli lasciò andare il mento e lo fece sospirare attraversandogli il corpo con le mani, fino a fermarsi all’altezza dei fianchi. Senza preoccuparsi di fargli male tirò giù con uno strattone secco e deciso jeans e slip, liberandolo finalmente da ogni costrizione.
    Non era giusto, però. Adesso lui era quasi completamente nudo, mentre Javier aveva sì e no la camicia slacciata. Avrebbe voluto lamentarsene, ma l’uomo sparì dalla sua vista. Dove…? «Impaciente», tornò a ripetergli, stavolta nella sua lingua madre, il fiato caldo sulla pelle bollente della sua erezione. Javier Iglesias si era inginocchiato davanti a lui. La sua bella bocca era a pochi centimetri dalla tensione più tesa che avesse mai sperimentato in vita sua, o così gli sembrava. Gli affondò le dita nei capelli, respirando a labbra schiuse, per poi guidarlo ancora più vicino. Lo sentì, più che vederlo, ridacchiare, ma si impose di tenere gli occhi ben aperti: non voleva perdersi la scena.
    Tuttavia, fallì miseramente non appena lo accolse tra le labbra, puntandogli addosso quello sguardo indagatore, che persino adesso sembrava chiedere di spogliarlo. Ma come poteva essere più nudo di così? Non gli stava nascondendo più nulla… a parte quello che gli si agitava nel petto. Sospirando forte lo spinse maggiormente contro di sé, sentendo nella testa la sua voce che gli ripeteva di essere impaziente. Non poteva negarlo, non con la sua lingua che a ogni mossa danzava sulla sua pelle bollente, non con quello sguardo che, anche se ora non poteva vederlo, sapeva starlo scrutando accigliato ma malizioso.
    Si sforzò di riaprire gli occhi giusto il tempo di vederlo andare ancora più giù. «Cristo. Santo.» Era imbarazzante, ma si sentiva già sul punto di non ritorno. Non voleva fare la figura del ragazzino che viene dopo tre secondi, non quando Javier Iglesias gli stava facendo la migliore fellatio della sua vita. Ma naturalmente, da sadico bastardo quale era, decise di spostare le mani dai suoi fianchi per andare a solleticarlo ovunque non batteva il sole. Il tutto senza smettere di provocarlo con quella bocca che sembrava decisamente uscita da uno di quei film che aveva visto cominciare, crescere, culminare e finire.
    E, a proposito di crescere e culminare, i brividi che da tutto il corpo andavano a concentrarsi lì, in ogni millimetro della sua tensione, erano ormai quasi elettrici. Forse era egoista da parte sua, ma in fondo non gli aveva chiesto nulla: attirò la testa di Javi ancora più tra le gambe, sentendosi a un soffio dall’apice.
    «Basta così, cachorro.» Il tono ruvido di Javier non ammetteva repliche. Moka stava andando a fuoco, il fiato corto e le gambe molli. «Sediamoci e mangiamo, prima che… si freddi tutto.»
    «… Fai sul serio?» Lo stava lasciando lì, dopo averlo portato (in un lasso di tempo a dir poco imbarazzante, ma quello era solo un dettaglio di poco conto) a un passo dal baratro, come se nulla fosse?
    Javier si rassettò i pantaloni, scostò una sedia e prese posto, per poi distendersi il tovagliolo sulle gambe e servire il cibo nel piatto di entrambi. «Te l’ho già detto. Eres un maldito impaciente.»

    Maledetto daddy Javi.
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  1. 6/1/2024, 01:19      
     
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    the 'fun' in 'funeral'

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    oh saretta.mi sono dimenticata du commentare ma grazie davvero mi hai donato momenti di giggling blushing twirling my hair kicking my foot che difficilmente potrò ricordare (manifesting sia di buon auspicio ma con un finale diverso 🤞🏻🤞🏻 povero mokaccino)
     
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