Got used to the feeling of letting it go So give me something to believe in

[ check ft. hans ]

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    109
    Spolliciometro
    +137

    Status
    Offline
    gifs04.06.2320yocheck vibe-bigh
    currently playing
    something to believe
    weyes blood
    give me something i can see
    something bigger and
    louder than the voices in me
    something to believe

    «non hai tipo una scuola da custodire? altre priorità di cui preoccuparti»
    non gli aveva risposto.
    non quella volta.
    ricordava di essersi limitato a sollevare le spalle, check, raggiungendo il pirocineta con entrambe le mani infilate in tasca; le dita chiuse a pugno, un lieve fremito di tendini e muscoli.
    diceva sempre quello che voleva dire, check vibe — un pregio e un difetto, in base ai punti di vista. eppure non gli era uscita una parola; di fronte alla chiusura di Hans, il ventenne aveva scelto una ritirata strategica che non faceva parte del suo corredo genetico, della sua natura.
    per semicitare un saggio: hhhh fucking hans.
    e mentre tentava con ogni mezzo di convincere se stesso che in fondo no, non gli fotteva sega di come il belby pensava di rovinarsi la vita, erano passati i mesi, e un sacco di acqua sotto i ponti.
    il loro classico modus operandi.
    solo che di mezzo questa volta ci si erano messe un'overdose e una guerra.
    check aveva reagito in modo scomposto ad entrambe, disconoscendo se stesso e per questo chiudendosi ancora di più nel suo piccolo angolo di mondo incontaminato (ma lo era ancora? un dubbio lecito): un au nel quale l'idea di non aver fatto assolutamente nulla per evitare che il cuore di Hans arrivasse a fermarsi per quei due, infiniti, minuti, non aveva avuto nemmeno il tempo di formarsi nella sua mente; dove le notizie, frammentate, confuse, fottutamente reali dei morti ammazzati in quel de il Cairo non lo riguardavano neanche per il cazzo.
    eppure.
    'fanculo.
    rivolse le iridi verde acqua all'unica finestra, check, incontrando lo sguardo pallido della luna; l'ennesimo giudizio in uno spicchio appena accennato a spuntare da dietro una nuvola. non era ancora il momento giusto, ma mancava poco — e già ne sentiva gli effetti, la pelle nuda a coprirsi di brividi e calore a ondate, un continuo alternarsi di quiete e nervi tesi. odiava quel momento prima della tempesta, il vibe, fin troppo conscio di se stesso senza avere il controllo su un corpo in lenta trasformazione.
    presto avrebbe risposto solo a quel cerchio di luce bastardo, dimentico dei problemi che appartenevano solo agli esseri umani nella loro forma più banale e patetica; gli rimaneva qualche ora.
    di solitudine, introspezione, sguardo fisso nel vuoto e la mente sgombra da ogni pensiero.
    anche perché pensare, in quelle condizioni, sarebbe stato impossibile: piccoli effetti collaterali della pozione antilupo, l'irrisorio prezzo da pagare per evitare di perdere completamente il controllo e ammazzare qualcuno — (almost) been there done that.
    non si era sorpreso di essere solo alla stamberga, check. rincuorato, semmai, nel non ritrovare il solito sovraffollamento, l'ennesimo battibecco tra Francia e Italia, la ricerca spasmodica di uno spazio comodo che fosse tutto suo. avevano scelto altre sistemazioni, lollo e lilac, e il ventenne non poteva fare altro che dar loro la benedizione e ringraziare il Signore.
    prima ancora dello scricchiolio (scricchiolava tutto, lì dentro), check percepì il lieve cambiamento; quasi un tremolio, qualcosa che aveva a che fare con la pressione dell'aria ma nel suo caso riguardava solo istinto e sensi più affinati del normale. nervi e muscoli improvvisamente tesi, si mise a sedere di scatto, la coperta leggera che portava con sé durante ogni notte di luna piena ridotta ad un groviglio tenuto in grembo.
    pronto a scattare, come l'animale feroce che sarebbe diventato da li a poco: decisamente la serata più sbagliata per scegliere di passare dalla stamberga a farsi una canna; o qualunque altra cosa il soggetto in questione pensasse di concludere alla stamberga.
    contro il divano malmesso ci si appiattì, il vibe, affondando unghie e polpastrelli nella stoffa consunta del bracciolo, un ringhio basso e gutturale a nascergli dal fondo della gola; non poteva fare nulla per evitarlo, già schiavo di una condizione innaturale alla cui influenza non poteva resistere.
    troppo vicina la luna.
    troppo potente il suo richiamo.
    quella voce morbida e suadente che gli chiedeva di mordere e strappare e lacerare.
    un impulso al quale avrebbe comunque tentato di resistere, aiutato dall'effetto calmante (o, meglio, stupefacente) della pozione, ma senza promesse — un intruso, in quello che considerava il suo territorio, rappresentava quasi sempre un pericolo.
    quasi.
    «ma che cazzo ci fai qui, belby» eh già. ovvio. con tutti i cristo di momenti in cui avrebbe potuto optare per una gitarella nella casa abbandonata di turno, proprio quello doveva scegliere.
    non gli passò nemmeno per la testa (dopo tutto era un uomo [derogatory]) che il pirocineta potesse essere lì per lui; forse, in uno stato di più marcata lucidità, sarebbe anche riuscito ad ammettere a se stesso che come coincidenza sembrava un po' extreme «ti conviene andare da qualche altra parte, e alla svelta» senza nemmeno rendersene conto, aveva già appoggiato nuovamente la schiena contro il divano, l'improvvisa tensione a scemare in una più composta irritazione.
    o, almeno, sperava fosse quello il messaggio che Hans sarebbe riuscito a leggere tra le righe.
    facendo dietrofront, senza nessuna ulteriore domanda.
    decisamente non era nel mood giusto per fornire risposte, check vibe.
    sollevò le iridi verde chiaro sul ragazzo, registrando con un'occhiata superficiale i cambiamenti dall'ultima volta che si erano visti. 'ho preso una decisione', aveva annunciato, senza troppi giri di parole, senza dargli alcuna spiegazione ulteriore: dopotutto, non gliene doveva nessuna. e il ventenne non aveva chiesto, perché era una testa di cazzo dura quanto il cemento stesso, ma qualche informazione sotto banco l'aveva ottenuta comunque.
    aveva un aspetto migliore, Hans belby.
    quello di una persona libera, da pesi e costruzioni. almeno quelli che si era creato da solo «non è un buon momento Hans. dico sul serio» sollevò solo l'indice, come Strange nella scena derogatory di Endgame, indicando lo spicchio di luna piena appena visibile attraverso la finestra. presto, questione di poche ore, non avrebbe avuto più parole per convincere il ragazzo a levarsi dai piedi.
    non un suo problema, giusto?
    eh.

    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
     
    .
  2.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    202
    Spolliciometro
    +442

    Status
    Offline
    Johannes 'Hans' Belby
    I'm tryin' not to blow it,
    starin' at you starin' at me
    If I don't — uh:
    you'll slip through my fingers.


    19 | 2004 ✧ pyro | sober
    in this moment,
    I'm tryin' not to fuck this up;
    I'm broken,
    starin' at you starin' at me.
    If I go in headfirst,
    ain't no goin' backwards;
    there's, there's no turnin' 'round
    La sobrietà aveva rimesso in prospettiva un sacco di cose, ma Hans non era ancora sicuro se fossero risolte tutte per il meglio o meno; di certo, ritrovarsi costretto a tornare al castello più volte durante l'arco della stessa settimana, era una novità poco piacevole nella routine del pirocineta.
    Una che aveva dovuto accettare suo malgrado: senza rendersene davvero conto, in quei mesi, aveva scambiato dipendenza per un'altra, pur di acquietare quel maledetto potere, ma non poteva continuare a sfruttare Twat come interruttore di accensione e spegnimento — non era giusto nei confronti dell'emocineta, e non era salutare per nessuno dei due.
    Rendersene conto, però, non significava che accettarlo fosse altrettanto semplice, o che Hans fosse disposto a farlo: se fosse dipeso interamente da lui, avrebbe continuato con quella nuova soluzione piuttosto che accettare di aver bisogno di aiuto e rivolgersi a Nathaniel Henderson.
    Ma non dipendeva da lui; non più, non da quando l'aveva fatto diventare un problema di guaritore, legionari e del ministero.
    Poteva dire di averci provato, però, seppur non abbastanza, nonostante avesse addirittura accettato le ore di lezioni extra al castello, in un periodo in cui persino quelle ordinarie avevano subìto variazioni ed interruzioni — forse era meglio così, meno studenti in giro a testimoniare i suoi fallimenti, o di cui doversi preoccupare che non finissero con l'essere danni collaterali dei suoi (pessimi) tentativi.
    Non sapeva dire quanto fossero state utili quelle lezioni, fino a quel momento, specialmente poi all'indomani della fine della guerra, in un mondo completamente diverso, ma contrariamente a quanto gli suggeriva una vocina subdola e bastarda, era disposto ad andare fino in fondo e scoprirlo.
    Si lasciò sfuggire un sospiro pesante, appena fuori dall'ufficio dell'Henderson, e socchiuse gli occhi: nonostante non lo volesse più, quel potere, nonostante non l'avesse mai voluto, sapeva anche che non avesse altra opzione se non continuare su quella strada; non aveva nessuna alternativa se non quella di provarci. Era il minimo che potesse fare; se non per se stesso, almeno per coloro che non l'avevano lasciato da solo in quegli ultimi due mesi e mezzo; lo doveva a coloro che l'avevano guardato negli occhi, ad Aprile, e avevano deciso di non gettare la spugna con lui; e lo doveva anche un po' a se stesso.
    Con un altro sospiro aprì gli occhi, e solo per un attimo si lasciò distrarre da una figura che attraversava il corridoio in lontananza.
    Non aveva più pensato a Check da febbraio, perlomeno non volontariamente e mai da quando era tornato sobrio. C'era da dire anche che non ne avesse avuto il tempo, tra una fottuta cosa e l'altra; la sua vita era deragliata all'improvviso, e nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo (o rendersi effettivamente conto che il suo cuore si fosse fermato, quella mattina di marzo) o di capire chi fosse Hans Belby senza la droga, ed ecco che era scoppiata la terza guerra mondiale e, a quel punto, era stato il mondo a deragliare intorno a lui.
    Perciò sì, il pensiero del custode era sempre stato lontano e inafferrabile, forse anche un po' volutamente confinato in recessi della mente dove era difficile per Hans arrivare; come per molti altri momenti della sua vita, anche quelli che coinvolgevano il custode risultavano confusi e distorti, impossibili da riordinare e da ricordare con coerenza. C'erano immagini un po' più forti delle altre, che erano rimaste anche quando tutto il resto era scivolato via, affogato nel torpore delle sostanze chimiche, ed erano le immagini, per certi versi, peggiori; Hans non sapeva se fossero vere o se fossero proiezioni di una mente messa duramente alla prova da anni di abusi di sostanze stupefacenti.
    Non lo salutò, l'altro non lo stava guardando, ma, anche da quella distanza, Hans non ci mise molto a capire che qualcosa non andava; il Belby lo sapeva che settimana fosse, quella.
    Un altro battito di ciglia, e il Vibe sparì oltre l'angolo. Hans bussò all'ufficio del professore, e si lasciò qualsiasi altro pensiero alle spalle.

    Solo che non era andata proprio come si era aspettato: per tutta la durata della lezione era stato distratto e con la mente altrove, nonostante si fosse ripetuto più e più volte che non fosse un problema suo.
    Non aveva fatto progressi, quel giorno, e anzi aveva incenerito ben due sedie e quasi mandato a fuoco gli abiti dell'Henderson; purtroppo per lui, lo sapeva benissimo che l'unico modo di smetterla di ossessionarsi su qualcosa era cedere — aveva imparato quella lezione a sue spese, negli ultimi mesi.
    E durante l'infanzia.
    Poteva negarlo, e convincere persino se stesso che non fosse vero, ma quello era Hans Belby, e non la versione che per anni aveva lasciato credere al mondo.
    Una volta uscito dall'ufficio del docente, quindi, aveva rifiutato il passaggio tramite metropolvere (dai...come ci tornano gli special a NH, da Hogwarts?! è troppo distante) con la scusa di avere commissioni da sbrigare ad Hogsmeade – non che all'Henderson servissero davvero le sue giustificazioni, ma ultimamente si sentiva sempre in dovere di darne, anche per i più stupidi degli spostamenti – e si era incamminato verso il villaggio.
    Nel cielo, il sole non era ancora del tutto tramontato, ma la notte non era troppo lontana; aveva scritto un messaggio a Twat (era parte delle nuove regole della casa, informarlo di eventuali cambi di programma sulla serratissima routine giornaliera) e aveva deviato dal viale principale senza nemmeno pensarci due volte.
    Aveva scelto la strada più lunga, immaginando che così avrebbe avuto sufficientemente tempo per cambiare idea e non fare la cazzata, e invece aveva proseguito oltre, testardo e incosciente — apparentemente, Hans Belby era anche quello.
    Solo fuori dalla Stamberga, alzando gli occhi sulla catapecchia tremolante, si rese conto dell'effettivo pericolo in cui stava decidendo di cacciarsi; continuavano a non essere problemi suoi, vero, ma non riusciva più a zittire quella parte di sé che sussurrava insistentemente affinché cedesse per farli diventare tali.
    Non aveva alcuna spiegazione logica per giustificarla, tanto valeva assecondarla.
    E anche se si era aspettato di trovarlo nella catapecchia, riuscì comunque a sorprendersi quando trovò Check effettivamente lì.
    «ma che cazzo ci fai qui, belby» eh... Eh. Gran bella domanda. Idiozia? Sembrava una buona scusate. Sulla soglia della stanza, cercando di rimanere immobile, se lo domandava anche Hans. E non aveva risposte che fosse disposto ad accettare.
    «ti conviene andare da qualche altra parte, e alla svelta»
    E, poiché era una testa di cazzo e arrivati a quel punto il custode avrebbe dovuto saperlo, Hans fece un passo in avanti, lentamente, e tenendo lo sguardo fisso sul maggiore: non aveva ancora capito che fare ciò che gli veniva detto non era la sua specialità, nemmeno quando veniva detto in suo favore?
    «non è un buon momento Hans. dico sul serio» Si strinse appena nelle spalle, lo special, le braccia ancora lungo i fianchi e le mani bene in vista: non aveva mai avuto a che fare direttamente con un licantropo durante la notte di luna piena, ma aveva visto un sacco di documentari (una cosa che, a quanto pareva, ora che era sobrio tendeva a fare spesso) su come approcciare un animale pericoloso e aggressivo, ed era uno che imparava velocemente, il Belby.
    Magari sarebbe bastato.
    C'era da dire che, schiacciato contro i cuscini lerci del divano e con lo sguardo confuso e l'aria stremata, Check sembrava a malapena in grado di stare sulle proprie gambe, figurarsi presentare una minaccia; ma Hans non era uno stupido – contrariamente a quanto le sue azioni in quel momento potessero suggerire – e sapeva che di lì a breve avrebbe potuto diventarlo.
    Lo osservò in silenzio, appena un passo oltre l'uscio della stanza, e lo colpì solo in quel momento la consapevolezza di aver violato la privacy del maggiore nel momento peggiore per lui; che avesse scelto la Stamberga anziché le celle di Hogwarts per stare da solo, che l'ultima cosa che volesse era avere un testimone nell'attimo in cui perdeva anche l'ultima briciola di controllo e lasciava vincere la bestia.
    Il passo in avanti divenne un passo indietro, ma non per paura: era vergogna, quella che Hans provava. Non avrebbe dovuto. Non perché Check l'avesse invitato ad andarsene, ma perché non l'aveva invitato ad entrare.
    Poteva scusarsi con il maggiore, girare i tacchi e andarsene, ma era una creatura troppo curiosa e poco devota al benessere altrui, e il desiderio di sapere cosa sarebbe successo di lì a poco vinceva sul senso di colpa per aver interrotto un momento delicato e personale.
    Al maggiore rivolse un cenno indecifrabile del capo, stringendosi nelle spalle, lo sguardo fisso sulla sua figura stremata, e immobile, e i piedi ben saldi sull'uscio della struttura fatiscente.
    «Me ne vado,» eppure non si mosse: l'avrebbe fatto, ma non aveva specificato il quando; si sentiva combattuto tra il bisogno di vederlo con i propri occhi e quello di lasciargli lo spazio che, fosse stato al posto del Vibe, lui stesso avrebbe voluto.
    E allo stesso tempo, c'era una parte di lui che gli sussurrava di non lasciarlo solo; non che avrebbe potuto fare nulla, nel caso in cui il lupo avesse deciso di impazzire e sbranare chiunque gli capitasse a tiro, ma poteva almeno fargli sentire che non dovesse per forza rimanere solo — che nessuno dei due dovesse.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©


    ho cambiato codice perché non avevo due gif per l'altro:c
     
    .
  3.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    109
    Spolliciometro
    +137

    Status
    Offline
    gifs04.06.2320yocheck vibe-bigh
    currently playing
    something to believe
    weyes blood
    give me something i can see
    something bigger and
    louder than the voices in me
    something to believe
    quando si era trovato con le spalle al muro, letteralmente e non, check aveva inconsciamente preso la strada per arrivare alla finestra di Hans. avrebbe potuto chiedere aiuto a qualcun altro — un numero di persone comunque limitato alle dita di una mano; invece sembrava essersi impegnato per coinvolgere nei suoi casini l'unico soggetto che non sapeva assolutamente niente di lui.
    e non era forse questo il punto?
    facile, finché facile non lo era più stato.
    quando avesse iniziato a diventare personale, questo check non se lo ricordava: si fossero visti tutti i giorni, forse la presenza di Hans nella sua vita avrebbe fatto meno danno.
    al contrario, non vederlo per lunghi intervalli di tempo aveva dato al vibe la terribile opportunità di riflettere, esperienza che personalmente non consigliava a nessuno.
    strinse le palpebre nella penombra, osservando il minore da sotto le ciglia scure, mentre l'altro compiva prima un passo avanti [sospiro] e poi nuovamente uno in direzione della porta [bestemmia] «Me ne vado,» le condizioni peculiari nelle quali si trovava check non gli permettevano di esercitare il solito controllo su se stesso, ma non era l'unico problema: ai cinque sensi già più affinati del normale si aggiungeva una percezione al limite del trip mistico sotto LSD, apertura del quinto chakra e sfondamento della quarta parete annesso.
    avvertì la presenza della virgola, chiuse gli occhi, attese.
    e attese.
    e attese.
    «hai dimenticato cosa volevi dire?» chiese, la testa a piegarsi leggermente verso una spalla. avrebbe potuto insistere perché se ne andasse, ripetendo per l'ennesima volta quanto fosse pericoloso (ma lo era davvero?), eppure quelle parole dalla sua bocca non uscirono. le aveva lì, sulla punta della lingua, bloccate — perché fossero cazzi di Hans se ci rimaneva secco, o perché non volesse davvero vederlo fare dietro front, questo andava bene rimanesse un mistero «basta che poi non ti lamenti» concluse, senza aspettare una risposta.
    ci mise tutto l'impegno possibile (quello che il suo stato attuale gli permetteva) per suonare indifferente, mentre abbandonava la posizione per tornare a sdraiarsi sul divano consunto: sicuramente più comodo del letto in cemento delle sarob. supino, poteva concedersi di tenere le iridi verdi incastrate al soffitto, entrambe le mani ad intrecciarsi sul torace; sembrava più fattibile, rivolgere la parola al belby senza dover per forza incrociare il suo sguardo.
    ma quando mai si era fatto questi problemi, il vibe?
    eh.
    «perchè sei venuto qui proprio stanotte? non è la serata migliore per riflettere in solitudine» non aveva ancora capito? non aveva ancora capito; era un concetto troppo estraneo, per check. così abituato a dissociarsi dal mondo esterno da non pensare che qualcuno potesse effettivamente volergli stare vicino. a parte mood, ma il loro era un rapporto che trascendeva le normali leggi delle relazioni interpersonali: si cercavano per dare il peggio di sé, prima di tornare in un mondo reale che non avrebbe mai accettato la loro natura nuda e cruda.
    magari quella del maggiore si, ma sulla piccola bestia qualche dubbio in più veniva.
    e chissà se Hans lo aveva già notato, il repentino cambio di tono nella voce del custode, o il modo in cui la tensione sembrava essere scivolata via del suo corpo quando aveva capito non se ne sarebbe andato. perché avrebbe potuto, il pirocineta, girare i tacchi e mollarlo lì come da gentile richiesta, e invece non l'aveva fatto.
    ancora.
    una voce relegata nell'angolino più remoto del suo cervello gli suggerì di fare posto al minore, magari anche invitarlo a sedersi; perché no, in fondo. cosa c'era di male. potevano mantenere le distanze ed essere comunque vicini, perché era questo che facevano le persone normali, no? quelle abituate ad accettare la presenza di altri oltre a loro stesse, capaci di interpretare i propri sentimenti senza andare nel panico al punto da nasconderli sotto un tappeto e che non era previsto si trasformassero in licantropi da lì a poche ore. forse non era il caso.
    «come ti sembra?» una domanda che non c'entrava niente con il resto, ma i collegamenti erano troppo complicati da fare. testa piegata all'indietro sul bracciolo, ebbe comunque l'accortezza di indicare con il braccio teso lo spicchio di luna pallida a spuntare all'angolo dell'unica finestra, incapace suo malgrado di distogliere lo sguardo; o di sentirne i sussurri all'orecchio, un bisbiglio così suadente da far accapponare la pelle «bella? magnetica e irresistibile?» non era così che la vedevano le persone normali? quelli con il naso all'insù, il cuore colmo di emozioni che non sapevano spiegarsi, minuscoli di fronte ad una luce così grande e perfetta «se potessi, la farei a pezzi» espirò piano, uno sbuffo a scivolare fuori dalle labbra socchiuse.
    si poteva essere assuefatti a qualcosa al punto da diventarne schiavi e volerla comunque distruggere, questo check lo sapeva bene — come lo sapeva hans.
    una dipendenza valeva l'altra, alla fine.
    e solo allora riportò le iridi chiare sulla figura del ragazzo, le labbra a stringersi tra loro in una riga sottile. perché avrebbe voluto chiedere, ma non sapeva come.
    o perché.
    non erano cazzi suoi.
    e questo valeva sempre come giustificazione, esatto?

    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.


    Edited by checkmate™ - 14/8/2023, 13:04
     
    .
  4.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    202
    Spolliciometro
    +442

    Status
    Offline
    Johannes 'Hans' Belby
    I'm tryin' not to blow it,
    starin' at you starin' at me
    If I don't — uh:
    you'll slip through my fingers.


    19 | 2004 ✧ pyro | sober
    in this moment,
    I'm tryin' not to fuck this up;
    I'm broken,
    starin' at you starin' at me.
    If I go in headfirst,
    ain't no goin' backwards;
    there's, there's no turnin' 'round
    Quando aveva serrato le labbra, Hans l'aveva fatto con l'intenzione di non riaprirle per completare quella frase lasciata a metà — tanto più che non lo sapeva cos’è che avesse voluto dire.
    Non l'aveva dimenticato, c'era una differenza. Al Vibe, però, non lo disse.
    Anzi, a dire il vero, non disse proprio nulla, temendo di aver detto già troppo – per i suoi gusti ma anche per il quieto vivere di entrambi –, non necessariamente solo a parole: la sua presenza fisica in quel della Stamberga era una testimonianza più che sufficiente di tutto quello che non riusciva a mettere a voce, che volesse rendersene conto (e accettarlo) o meno. Il minimo che potesse fare, come favore personale a se stesso e a Check, era rimanere in stoico silenzio ed evitare ulteriori problemi.
    E, bravo com'era ad ignorare (a modo suo) i problemi, mise velocemente da parte anche quello.
    «basta che poi non ti lamenti» Non lo avrebbe fatto, e glielo lasciò intendere con una scrollata appena accennata delle spalle sottili, e un altro passo avanti in direzione dell’altro.
    Per qualche ragione, volle leggere nelle parole del custode un invito a restare: si poteva dire che Check parlasse tanto, se il termine di paragone era un Hans Belby, ma ciò non significava che dicesse molto; e quel poco che Hans voleva intendere, doveva estrapolarlo dai silenzi tra una parola e l'altra lasciata scivolare con apparente noncuranza dal maggiore, e capirlo a modo suo. Infondo, era sempre stato così tra loro; e se prima era stato troppo distratto – o vuoto, o disinteressato. –, adesso poteva cogliere nel non detto di Check il vero significato delle sue parole; e quello era l'invito a rimanere più onesto che avrebbe potuto ricevere, lo sapeva.
    Spiegarsi perché avesse deciso di ascoltarlo, però, sarebbe rimasto un problema per il pirocineta del futuro, grazie tante. C’erano già troppe cose che richiedevano la sua completa attenzione, quello doveva mettersi in fila dietro tutto il resto.
    «perchè sei venuto qui proprio stanotte? non è la serata migliore per riflettere in solitudine»
    Ah, di nuovo con le domande scomode, maledetto Check.
    Arricciò le labbra, valutando quanto della verità fosse disposto ad ammettere (in primis a se stesso) e decretando di non averne processato ancora nemmeno lontanamente la percentuale giusta per poterlo spiegare al maggiore, decise saggiamente di evitare. “Perché ti ho visto passare nei corridoi, sapevo fosse notte di luna piena ed ero certo che ti avrei trovato qui” suonava un po’ troppo troppo per i suoi gusti. E poi — da quando sapeva che quello fosse il luogo in cui il custode se ne andava durante i pleniluni? Doveva averglielo detto in uno dei loro rari e bizzarri incontri, e l’informazione doveva essere rimasta incastrata nella mente del pirocineta insieme a tante altre di cui non aveva la benché minima idea: nozioni che, di punto in bianco, facevano capolino nella sua memoria e lo lasciavano basito tanto quanto sorprendevano gli altri.
    Al Vibe disse: «non sono venuto qui per riflettere», se avesse voluto farlo, avrebbe trovato un altro posto, no? Poi — ah, mega sospiro, potevano essere più ottusi, tra tutti e due? Il fatto che Check fosse tornato a rilassarsi contro il divano, a quel punto, avrebbe dovuto far risuonare le sirene intorno a loro e sventolare cento bandiere rosse, e invece erano entrambi troppo impegnati a cercare di dare una spiegazione a quella situazione, per rendersene conto.
    Forse, dopotutto, Hans avrebbe dovuto davvero riflettere.
    Possibilmente lontano da lì, ma eh, troppo tardi?
    Tutto quello che nei mesi (anno?) precedente aveva ignorato, grazie all’aiuto prezioso della droga, e che era riuscito a tenere fuori con caparbietà anche dopo, con la lontananza, l’aveva appena investito con la forza di un tir.
    Bene ma non benissimo.
    Testardo, però, Hans Belby lo era sempre stato; perciò con la solita caponaggine, continuò a lasciare che fosse solo una voce fastidiosa a bisbigliare nel suo orecchi, petulante e viziata, che chiedeva attenzioni che Hans non era disposto a concedere.
    Non per il momento, comunque.
    Quelle poche che riusciva a mantenere senza sentirsi schiacciato dalla gravità (as in: atmosferica, ma anche: della situazione — che grave lo era su un sacco di livelli) le stava tenendo fisse sul maggiore, e sulla sua risolutezza nel non volerlo guardare. Ok, ok, okay.
    «come ti sembra?»
    Mh, come gli sembrava cosa, la situazione? Tragica.
    La luna? Eh.
    Seguendo ciò che Check indicava, Hans cercò lo spicchio argentato nascosto dalle nuvole, e vi puntò gli occhi chiari, trattenendo a stento un sospiro. Che gli astri e i corpi celesti lo avessero sempre affascinato, non era di certo una novità — o forse sì, dipendeva sempre dal grado di conoscenza che si aveva del Belby, infondo.
    Con un filo di fiato, sussurrò «ingannevole», dopotutto mostrava sempre e solo un lato di sé, no? Quello più bello, affascinante, ipnotico: come avrebbero potuto non trovarla ammaliante? «Bugiarda.» La perfezione non esisteva, e la luna era illusoria tanto quanto una promessa o una speranza. E sì, proprio per quello era anche irresistibile come suggeriva il Vibe, anche se immaginava che nel suo caso fosse per motivi ben diversi.
    «se potessi, la farei a pezzi» Onesto, fottutamente onesto.
    Hans non aveva visto The Umbrella Academy, altrimenti avrebbe fatto presente all'altro che non era proprio un'idea geniale distruggere la luna poiché tendeva a portare conseguenze un tantino catastrofiche; ma era anche vero che Hans non avesse senso dell'umorismo, perciò rimase in silenzio per un po', soppesando le sue opzioni e valutando il da farsi. Alla fine decise che, già che c'era dentro fino al colon (cit.), in più modi di uno, tanto valeva andare fino in fondo.
    Fece un passo in avanti, due— tre. Quelli necessari a raggiungere quel che rimaneva di una poltrona che aveva visto decisamente giorni migliori, e prima di sedersi ai piedi di quest'ultima, con la schiena contro la struttura, le diede un calcio leggero, per assicurarsi che non cadesse a pezzi – il legno marcescente e bucato dai tarli non gli dava proprio un'aria rassicurante enon sarebbe stata la prima volta, ciao Tottington –, poi si accucciò sul pavimento, con le ginocchia strette al petto per occupare meno spazio possibile.
    Ci mise un po' prima di ricambiare lo sguardo del Vibe, pur sentendolo ora pizzicare sulla pelle, perché ogni volta che lo incontrava gli sembrava sempre che dicesse un po' troppo. Più del solito. O forse aveva sempre detto di più e Hans non era stato in grado di coglierle.
    Huh, possibile.
    Rimase in silenzio ancora un po', osservando la linea stretta delle labbra del maggiore e il modo in cui lo osservava cercando di non mostrarsi troppo attento, nonostante le palpebre pesanti e lo sguardo distratto dall'Antilupo e dal richiamo della luna; quella risolutezza avrebbe fatto crollare chiunque e Hans Belby un essere umano e, in quanto tale, imperfetto
    Non sospirò, forse a malapena respirò, e quando parlò lo fece con un filo di voce così debole che per un attimo si domandò se sarebbe davvero giunta alle orecchie del Vibe — ma lo fece, e già solo quello doveva contare qualcosa, no?
    «Puoi chiedere se vuoi.» Non ricordava a chi spettasse fare domande, o se quel gioco di concedere una verità per un'altra lo avesse portato avanti Hans in maniera solitaria, fatto sta che gli sembrava un buon compresso, anche in quel momento, offrire una risposta sincera in cambio della sua presenza lì; almeno quello glielo poteva concedere, al Vibe. E poi, comunque, sarebbe stato certamente meno molesto di tanti altri che erano piombati in casa sua, negli ultimi mesi, con le scuse più disparate, solo per accertarsi che fosse ancora lì, e fosse ancora vivo e, soprattutto, che fosse ancora sobrio.
    Lanciò uno sguardo distratto alla luna, che lentamente iniziava a scivolare da dietro le nuvole, e si domandò quanto tempo avrebbero avuto, ancora — e cosa avrebbe dovuto fare dopo, come comportarsi e, ancora più importante, cosa non fare. Ma immaginava che anche quelle sarebbero state preoccupazioni per l'Hans del futuro, huh?
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
     
    .
  5.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    109
    Spolliciometro
    +137

    Status
    Offline
    gifs04.06.2320yocheck vibe-bigh
    currently playing
    something to believe
    weyes blood
    give me something i can see
    something bigger and
    louder than the voices in me
    something to believe

    «non sono venuto qui per riflettere»
    oh, com'era stato bravo il vibe ad ignorare quella semplice risposta. che diceva tutto, e non diceva niente, a meno di non volerci ricamare sopra un significato che nella realtà probabilmente nemmeno esisteva.
    non era il tipo, check.
    preferiva tenere i piedi ben piantati a terra, piuttosto che fantasticare; era un estimatore della verità, per quanto spesso dolorosa, perché a quella ci si poteva preparare — farsi trascinare in un au delulu voleva dire essere colti alla sprovvista dal dolore, non avere nemmeno il tempo di pensare a reazione e contromossa.
    ma non era un giorno come gli altri, quello.
    non una sera come le altre.
    e, per quanto ammetterlo anche solo con se stesso gli creasse un fastidioso peso proprio al centro della cassa toracica, nemmeno Hans era una persona come le altre.
    tenne le iridi verde acqua fisse sullo spicchio di luna appena visibile, così pallida e brillante da imprimersi come a fuoco nella retina: se avesse chiuso gli occhi, di questo ne era certo, avrebbe continuato a vederla attraverso le palpebre, un miraggio nel deserto che in realtà era la peggiore delle trappole. «ingannevole, bugiarda.» aveva solo iniziato a raschiare la superficie, Hans. abbastanza perché il vibe tornasse a dedicargli la propria attenzione, distogliendo lo sguardo dalla finestra — era ancora in grado di farlo, ma non per molto «a modo suo racconta la verità. una che nessuno vorrebbe sentire» fu tentato di aggiungere altro, ma qualunque pensiero fosse riuscito a formulare gli morì sulla punta della lingua. non era facile mettere insieme le parole giuste, quando ogni rumore si faceva ovattato, i suoni e gli odori più acuti e pungenti, la testa svuotata da tutti i cazzo di pesi del mondo. registrò l'avvicinarsi del belby, check, e reagì istintivamente raddrizzando la schiena, le gambe ad incrociarsi sotto la coperta che teneva ancora stretta in grembo.
    allerta.
    guardingo, come solo un animale selvatico e ferito poteva essere, privato delle sue abituali difese e per questo esposto, vulnerabile; pericoloso.
    si erano già trovati in una situazione simile, check e hans, schegge di vetro infranto a fare da contorno al loro secondo incontro, ma la disperazione del ventenne in quel caso non aveva intaccato il suo autocontrollo. ora, la possibilità di fare del male al minore era concreta e reale — ma valeva anche il fottuto contrario: se solo hans avesse voluto, avrebbe potuto affondare il coltello nella ferita e rigirare la lama. non esistevano filtri che il custode fosse in grado di sfruttare, ora che l'influenza della luna piena e della pozione antilupo stava raggiungendo il culmine.
    si chiese, distrattamente, se il belby si fosse reso conto di quanto ogni sua reazione sarebbe stata lenta, inutile, un tentativo nemmeno troppo ostinato di proteggere se stesso «Puoi chiedere se vuoi.» ed eccola li, la risposta. non aveva nemmeno estratto il coltello, hans, come check era convinto chiunque altro avrebbe fatto.
    batté lentamente le palpebre, registrando solo in modo inconscio quanto fosse faticoso tenere aperti gli occhi e le mani ferme: si sentiva spinto in avanti, il vibe, compresso e tirato dal desiderio di sporgersi e farsi più vicino. perché non sentiva un cazzo di quello che diceva il pirocineta (ma check, e i sensi ipersviluppati? eh), MICA PER ALTRO «credo che nessuna delle mie domande avrebbe senso, a questo punto» era passato troppo tempo, non erano affari suoi, e una in particolare non avrebbe trovato ragione d'essere nemmeno se l'avesse posta il giorno stesso in cui hans era andato in overdose: perchè non sei venuto da me.
    ma che cristo di domanda era.
    scosse leggermente la testa, rivolto al ragazzo ma anche a se stesso, scacciando quel pensiero che per mesi gli aveva bussato nella scatola cranica come un tarlo; non abbastanza forte da costringerlo a fare qualcosa in proposito, però. si era informato sulle condizioni del pirocineta, quando quei due minuti di battito assente erano diventati di dominio quasi pubblico (dai figurati se mood non l'ha saputo in qualche modo.), ma il coraggio si tornare di fronte alla loro finestra mica lo aveva trovato. era un grande estimatore della verità, check vibe, ma evidentemente non quando questa riguardava loro due «ma puoi sempre dirmi come ti senti ora» lo osservò da sotto le ciglia corvine, la testa leggermente reclinata di lato per ovviare alla differenza di altezza. sentì ancora una volta l'invito a sedersi sul divano malmesso risalirgli su per la gola, e come pochi minuti prima lo ricacciò indietro inghiottendo aria che sembrava non bastare mai.
    «perchè sei venuto qui, hans?» questa volta si sporse davvero, i gomiti a premere contro le ginocchia, entrambi i pugni chiusi sotto il mento «avrei potuto—» il pensiero prese forma nella testa di check, ma le labbra rimasero sigillate.
    capirlo
    fermarti
    aiutarti
    .
    neanche quello aveva senso.
    conosceva una sola modalità, check vibe, e a quella si era attenuto quando, dopo San valentino, aveva bussato alla porta di Dustin con l'unica richiesta (civile, discreta, con nessun sottointeso di minaccia da leggere tra le righe) di non procurare più la roba al belby. non sapeva funzionare altrimenti, e i risultati si vedevano «manca poco» una lieve stretta nelle spalle, le iridi verdi incapaci di abbandonare la figura del pirocineta: preferiva concentrarsi su di lui, a quel punto, piuttosto che ascoltare tutto il resto: la luna, a baciargli la schiena nuda, una voce orribilmente familiare dal profondo della foresta, i propri intrusive thoughts da strafatto.
    hhh.

    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
     
    .
  6.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    202
    Spolliciometro
    +442

    Status
    Offline
    Johannes 'Hans' Belby
    I'm tryin' not to blow it,
    starin' at you starin' at me
    If I don't — uh:
    you'll slip through my fingers.


    19 | 2004 ✧ pyro | sober
    in this moment,
    I'm tryin' not to fuck this up;
    I'm broken,
    starin' at you starin' at me.
    If I go in headfirst,
    ain't no goin' backwards;
    there's, there's no turnin' 'round
    Hans aveva ancora lo sguardo fisso sulla luna alta nel cielo, sempre più pallida e sempre più vicina, magnetica nella sua forza, irresistibile persino per lui, ma lo portò comunque sul maggiore a quel «a modo suo racconta la verità. una che nessuno vorrebbe sentire» e sollevò appena un sopracciglio; nulla di plateale, un gesto banale e semplice, ma decisamente nuovo su dei lineamenti come quelli di Hans, fin troppo a lungo rimasti scolpiti in una maschera impassibile.
    «e tu sei un sostenitore della verità, no?» dopotutto, non era stato proprio il Vibe a costringere lo special a vuotare il sacco su questioni fin troppo personali, non molto tempo prima? Non gli chiese quale fosse la verità che non era disposto ad ascoltare – tutti ne avevano una – perché temeva di saperlo, era piuttosto evidente, perciò scrollò appena le spalle, rivolgendo un'ultima occhiata distante alla luna — rimaneva della sua idea e, anche se bugiarda, se Hans avesse potuto farlo ne avrebbe studiato ogni cratere e ogni lato, anche quello che teneva nascosto a chiunque altro.
    Ma non era quello il momento di perdersi con il naso all'insù, come spesso gli accadeva; e lo sapevano entrambi che quell'argomento, per quanto interessante alle orecchie del Belby, rimaneva solo un modo come un altro per prendere tempo. Per trovare, ciascuno a modo proprio, un senso a quello che stava succedendo in quel momento. Nessuno dei due era mai stato bravo ad affrontare di petto le questioni, non quelle che toccavano troppo vicino casa — nemmeno Check.
    Hans offrì comunque quello che poteva, l'occasione per il custode di fare quello in cui sembrava bravissimo, perfettamente a suo agio: fare domande.
    Per una volta nella vita, era persino disposto a dare delle risposte.
    Perciò strinse involontariamente la linea delle labbra, non deluso ma di certo sorpreso all'opportunità volutamente mancata dal maggiore.
    «credo che nessuna delle mie domande avrebbe senso, a questo punto»
    Senso o meno, Hans avrebbe voluto sentirle.
    Poteva incolpare l'influenza della luna, e fingere di non aver visto Check farsi leggermente avanti, o il modo in cui aveva scosso la testa come a volerla cacciare via, qualche domanda; era fin troppo attento ora, suo malgrado, anche al minimo cambiamento nella posa o espressioni altrui — dopo averli ignorati così a lungo, gli veniva quasi spontaneo domandarsi cosa potesse suscitarli. E la curiosità era sempre stata il suo pregio e difetto più grande, crescendo; era stata persino l'unica cosa in grado di perforare la spessa cortina di intorpidimento dovuta alla droga, e lasciare l'impressione di un sentimento in un involucro altrimenti vuoto.
    Si morse l'interno della guancia, però, rimanendo in silenzio perché non era forse quello che facevano, loro? Ignorare l'istinto di allungare la mano ed offrire, o accettare, qualcosa di cui l'altro sembrava aver bisogno pur senza rendersene conto, e chiudersi invece a riccio nei propri problemi.
    Era un gioco che avevano fatto già svariate volte, perché quella sera avrebbe dovuto essere diversa?
    «ma puoi sempre dirmi come ti senti ora»
    Per un attimo rimase in silenzio, ricambiando lo sguardo di Check e cercando di smontare quella manciata di parole nella propria testa, e dargli una forma diversa; non era una domanda nuova, lo psicomago che lo aveva in cura da Aprile glielo chiedeva quasi ad ogni seduta, e la risposta di Hans non era mai cambiata — sempre quella linea tirata delle labbra, lo sguardo impenetrabile, la posa guardinga.
    Dicevano più di mille parole.
    Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, le dita a stringere un filo della felpa sfilacciato, riflettendo su quello che, invece, avrebbe voluto dire al maggiore — non lo sapeva ancora, però, perciò immaginava che l'avrebbero scoperto insieme, una volta aperta bocca. Non ci aveva mai riflettuto, non si era mai fermato a chiedersi come si sentisse, perché la risposta che sapeva per certo avrebbe trovato lo spaventava: vuoto, uno sconosciuto nella propria pelle, debole — perché l'istinto di cedere e risolvere tutti i suoi problemi alla vecchia maniera era sempre troppo forte.
    Non ebbe comunque il tempo di provarci, a formulare una risposta, perché Check parlò di nuovo richiamando Hans all'attenzione e costringendolo a risollevare lo sguardo e portarlo sull'altro.
    «perchè sei venuto qui, hans? avrei potuto—»
    Ci fu un altro momento di silenzio, fra loro, l'ennesimo, un momento che entrambi sfruttarono per confrontarsi con le proprie crisi esistenziali, poco ma sicuro.
    Solo dopo interminabili secondi, proprio mentre Check lo informava che mancava ormai poco, allora Hans parlò. Lo fece portando di nuovo gli occhi verso la luna, ormai quasi completamente visibile dietro le nuvole, cercando di non pensare al modo in cui invece Check sembrava non riuscire a guardare da nessuna altra parte se non verso di lui. L'insistenza con cui provava a resistere all'influenza del plenilunio era fin troppo ostinata persino per lui; si sentiva forse a disagio, con Hans lì presente? Stava rendendo più difficile quel momento, già delicato per Check?
    Chiuse piano gli occhi, pronto ad andare via per evitare ulteriori disagi a discapito del Vibe. Ma prima aveva delle risposte da dare.
    «No, non avresti potuto.» Lo disse con semplicità, senza accennare alla minima emozione, quasi approcciando quella consapevolezza con sterilità. Non aveva dubbi, Hans, che l'altro si riferisse al giorno dell'incidente, e non a ciò che avrebbe potuto fare in quel momento, magari attaccandolo perché sentitosi in pericolo dall'improvvisa apparizione di qualcuno di estraneo nel suo spazio sicuro. C'erano un sacco di elefanti nella stanza, ma Hans non aveva difficoltà a capire quale fosse in esame in quel momento.
    «Era inevitabile.»
    No, non lo era, ripeteva la voce del suo psicomago, ricordandogli che una scelta, lo special, l'avesse avuta in più occasioni, e che avesse sempre scelto la via più facile, quella più dannosa per se stesso. «Non sai in quanti hanno provato –» la mano destra mosse con disattenzione l'aria intorno a lui, mentre lo special, a corto di parole, tornava a guardare il licantropo testardo. «Non credevo potesse importarti.» E non c'era cattiveria, o peggio malizia, nel suo tono di voce; solo la solita, irritante, neutralità nel dare voce ad un pensiero che, si rendeva conto solo in quel momento, aveva pesato sul suo petto più del necessario, per tutto quel tempo. Era una constatazione naturale, fatta da chi sapeva che al Vibe interessasse la salute di una sola persona al mondo, e Hans era abbastanza sicuro di non essere lo studente serpeverde in questione.
    Inclinò la testa, studiando il viso dell'altro.
    «Mi hai chiesto come mi sento ora, e–» eh, bella domanda, «–sento. Tutto. Troppo.» E non era ancora nulla, se paragonato a ciò che sarebbe arrivato nei mesi successivi, sorpresa! «Non rimanevo sobrio per più di una manciata di giorni consecutivi da… anni.» Troppi per tenerne il conto. «È stato terrificante. Non il.. non il momento.» Di quello, per fortuna, ricordava poco e nulla; ma il dopo era stato devastante e aveva persino minacciato di romperlo definitivamente. «La riabilitazione è la parte più difficile. E la cosa peggiore è che–» rivolse lo sguardo al soffitto marcescente della stamberga, mandando giù il nodo che si era formato improvvisamente in gola. «Almeno una volta al giorno mi domando se ne sia valsa la pena, o se sia in grado di resistere.» Era difficile cedere sotto lo sguardo attento di Twat o dei medici, persino dei legionari, ma non impossibile; e negli anni Hans aveva trovato un sacco di modi fantasiosi (e disperati) per farsi, persino quando tutte le probabilità di riuscita sembravano andargli contro.
    Non voleva perdere di nuovo il controllo.
    «Quindi, in sostanza,» battè le mani tra loro una volta, incastrandole poi tra le ginocchia (per nasconderne il tremolio) «mi sento sempre ad un passo dal baratro.» Stanco.
    Emotivamente parlando, era distrutto.
    «Un sacco di informazioni, eh?» distolse lo sguardo, mordendosi la lingua per non aggiungere quel ma sei stato tu a chiedere che minacciava di rovinare le cose — e Hans 2.0 ci stava provando davvero forte a non sabotare ogni cosa, a quel giro.
    Quando parlò, fu per rispondere ad un'altra domanda tenuta in sospeso per un po'.
    «Non lo so perché sono qui,» ammise infine, «stavo tornando al villaggio e mi sono ritrovato sulle scale della Stamberga» Se Check aveva una spiegazione da dare ad entrambi, Hans era tutto orecchie.
    Una spiegazione logica, possibilmente.
    «Ma forse dovrei andare.» Lo disse, ma non fece nulla per muoversi dalla sua posizione rannicchiata contro la poltrona. «Non ho paura,» aggiunse, invece, non riuscendo a trattenersi. «Mi fido.» Per qualche fottuta ragione, era così: si fidava di Check, ed era sicuro che anche sotto il totale controllo della luna, non gli avrebbe fatto nulla. Infondo, aveva avuto un sacco di occasioni, perché Hans le ricordava le sagome intraviste negli alberi nei mesi successivi al ritorno dalla fottuta Tottington — per un po' aveva creduto di star immaginando, ma non più. Eppure non aveva mai confrontato il maggiore al riguardo.
    Aggrottò le sopracciglia, finalmente come risvegliato dal torpore e rendendosi conto di dover fare qualcosa – tipo non lo so, muoversi – se davvero era intenzionato ad andare via di lì.
    Voleva?
    «Scusa se ho… invaso il tuo territorio?» Suonava troppo razzista, come frase? «Spero di non averlo reso più complicato.» La trasformazione; per tutto il resto non c'era più speranza. Troppo tardi.
    Di accennare ad alzarsi e andarsene, comunque, nemmeno l'ombra di un'intenzione, eh.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©


    in this essay I will explain perché mi ritrovo sempre a scrivere hans a questi orari disumani —
     
    .
  7.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    109
    Spolliciometro
    +137

    Status
    Offline
    gifs04.06.2320yocheck vibe-bigh
    currently playing
    something to believe
    weyes blood
    give me something i can see
    something bigger and
    louder than the voices in me
    something to believe

    per quello che poteva ricordare, aveva sempre convissuto con la rabbia, check. il sentimento, non la malattia — anche se a volte sembravano esattamente la stessa cosa: un virus capace di insinuarsi sotto pelle e contaminare il sangue, attaccare le cellule e lasciarle in vita al solo scopo di nutrirsene.
    una furia non cieca, che era sempre riuscito a tenere sotto controllo.
    non ne conosceva l'origine, ma ogni elemento che si aggiungeva ad alimentarla gli era ormai familiare; poteva tenerla a bada, lasciare che si sfogasse solo all'interno di situazioni studiate e contenute: farla pagare a quelli che importunavano suo fratello, ma era solo un esempio. la verità era che lasciarla ribollire tra le costole creava meno danni che liberarsene una volta per tutte.
    ammesso fosse possibile.
    Hans, però, non gli era così familiare.
    i tasti che andava a premere, senza nemmeno rendersene conto, non li aveva mai toccati nessuno.
    «Era inevitabile.»
    in silenzio, le spalle rilassate e la schiena piegata in avanti, check si era limitato ad ascoltare. anche se diceva cazzate, il fatto stesso che stesse parlando meritava in cambio un tentativo di ascolto. e avrebbe continuato a provare, il ventenne, nonostante la sensazione di avere un palloncino al posto del cervello, e le voci a sovrapporsi sussurrandogli all'orecchio che è quasi ora. aveva preso un respiro profondo, e poi un altro, per scacciare dalla testa chi non era mai stato il benvenuto, e lasciare ad Hans quel poco che rimaneva della sua attenzione.
    ma non era bastato ad evitare quello.
    il tasto che non avrebbe dovuto premere.
    «Non credevo potesse importarti.»
    e dillo, Hans.
    dillo che vuoi essere picchiato.
    era stato lì, in quel momento preciso, che la luna aveva preso il sopravvento.
    lei, ed il ritmico pulsare malato che apparteneva a qualcos'altrofagli male, ripetevano; ancora e ancora, alternandosi come i battiti stessi del cuore, accelerando senza lasciargli scampo. era quella, la rabbia che check vibe cercava sempre di trattenere. ne riconosceva il gusto sulla punta della lingua, la sensazione di acido e bile a marchiare la gola; familiare, ma non nei tempi e nei modi. perché li, in una notte di luna piena e ad un passo dalla trasformazione, non se lo poteva permettere di sbroccare.
    eppure.
    «Mi hai chiesto come mi sento ora, e sento. Tutto. Troppo.»
    inspirò.
    inghiottendo l'aria a piccoli bocconi, le dita a stringersi così forte sulla stoffa della coperta consunta da sbiancare le nocche.
    «Almeno una volta al giorno mi domando se ne sia valsa la pena, o se sia in grado di resistere.»
    lo sapeva, in una parte che andava via via spegnendosi del cervello, che quello sarebbe stato il momento adatto per fare la persona adulta, badger™, e mettere Hans di fronte al fatto che sì, poteva farcela. forse persino offrirsi di aiutarlo a rimanere in riga, tenerlo sotto controllo. ma nella testa del vibe c'era ormai spazio per un unico pensiero: erano i denti, ed era la fame, ed era il bisogno di mordere e strappare; ed era non credevo potesse importarti.
    diede tempo ad Hans di raccontare, perché anche volendo non avrebbe potuto interromperlo. la fatica che gli stava costando non aggredire lo special, la conoscevano solo check e dio. e chissà se l' aveva notata, il belby, la tensione dei muscoli e ogni fibra del corpo ad irrigidirsi; il verde pallido delle iridi divorato inesorabilmente dalla pupilla. raddrizzò la schiena, i piedi nudi a premere sul pavimento in legno grezzo «Spero di non averlo reso più complicato.» oh, bubi hans «non ne hai idea»
    ma ci pensate? una reazione così (melodrammatica) drastica, solo per un dubbio. che persino check avrebbe trovato lecito, se solo avesse ragionato come un essere umano, invece di elaborare le emozioni nello stesso modo di un animale in trappola — ferale.
    un briciolo di lucidità in più, e delle dimenticanze del belby se ne sarebbe semplicemente fatto una ragione: erano passati mesi, dopo tutto. una frase pronunciata al vento che il minore in piena crisi di astinenza aveva avuto tutto il diritto di non ascoltare nemmeno. ma non era lucido, check. adesso, quello strafatto era lui; e quanta fatica aveva richiesto quella manciata di parole per essere formulata ad alta voce, quanta aria troppo simile a sabbia masticata e inghiottita. un solo pensiero, aggrovigliato nell'unico angolo di cervello che la pozione antilupo gli concedeva ancora di usare.
    scese dal divano rovinato, ma non rimase a lungo in piedi.
    gli si accucciò di fronte, incurante della coperta lasciata indietro: si erano già trovati in una situazione simile, troppa pelle esposta e nessun interesse ad esplorarla. anche volendo, non avrebbe potuto fare niente per togliere lo special da un possibile imbarazzo — se la sentiva bruciare addosso, il sangue a ribollire appena sotto la superficie. una febbre, malsana, che cercava in tutti i modi di spurgare, trovare la via per uscire dal suo organismo. niente coccole nella tenda come un jacob e una bella swan finta addormentata: fuoco contro fuoco, per una volta «sei un coglione» si doveva dire, e si è detto.
    così vicino, adesso, da poter notare i dettagli che, nella testarda necessità di mantenere le distanze, si era sempre perso: una manciata di lentiggini a cavallo del naso, il tocco quasi impercettibile di grigio nell'azzurro dell'iride «non volevo che buttassi via la tua vita, l'hai dimenticato?» non tentò nemmeno di trattenere il ringhio sordo a risalire dalla gola, la mano destra già sollevata ad afferrare Hans per il bavero della maglia — uno scatto convulso delle dita sulla stoffa dettato dal puro bisogno istintivo di essere violento; la disperazione, quella, check non poteva concedersi di vederla «avrei preferito che non mi importasse. sarebbe stato più semplice»
    si erano ripromessi la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità giusto?
    non che in quelle condizioni il vibe fosse in grado di inventare balle convincenti.
    mosse la testa in avanti, piegandosi leggermente di lato, la fronte bollente a trovare un piccolo spazio nell'incavo della sua spalla; con l'impulso di mordere trattenuto a stento, perché la palla ha detto 'moderati, cazzo': la bocca sulla pelle la premette solo il tempo che bastava a ricalibrare battito e respiro, l'istante necessario a capire che non sarebbe servito.
    «devi allontanarti adesso» ma la presa sulla maglia si fece più forte.
    per rendere più chiaro un messaggio che a voce poteva venire frainteso «non voglio che tu te ne vada» se rob avesse un penny per ogni volta che un suo pg si è trovato in una situazione simile, con varie sfumature di disperazione a tingerne i bordi, adesso avrebbe tre penny; che non è molto, ma è strano sia successo tre volte — sottoni del cazzo «ma ho bisogno che stai indietro» ogni parola costò a check lo sforzo infernale di pronunciarla correttamente, come un ubriaco (e perché proprio elisa) che tenta di spiegare la sua visione del mondo nel bel mezzo della notte. raddrizzò la schiena, separandosi da Hans e lasciando per ultima la stretta che ancora li teneva uniti.
    avrebbe voluto dirgli che si sbagliava.
    non poteva fidarsi di lui.
    ma non lo fece.
    aveva più di duecento ossa pronte a spezzarsi e ricomporsi, check; il sapore metallico del sangue che già gli riempiva la bocca, lì dove i denti sarebbero cresciuti spaccando le gengive. lo aspettava il dolore, quello più puro e terribile, diventato nel tempo un conforto e una sconfitta. non poteva promettere di non fargli del male, ma per qualche ragione
    assurda,
    illogica

    bastava ci credesse lui.

    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
     
    .
  8.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    202
    Spolliciometro
    +442

    Status
    Offline
    Johannes 'Hans' Belby
    I'm tryin' not to blow it,
    starin' at you starin' at me
    If I don't — uh:
    you'll slip through my fingers.


    19 | 2004 ✧ pyro | sober
    in this moment,
    I'm tryin' not to fuck this up;
    I'm broken,
    starin' at you starin' at me.
    If I go in headfirst,
    ain't no goin' backwards;
    there's, there's no turnin' 'round
    Aveva avuto la sensazione, mentre parlava, di aver messo a disagio Check, considerando il modo in cui il custode si era ammutolito e irrigidito all’improvviso; non era mai stato particolarmente bravo a leggere una stanza, il Belby. O le persone. Era una delle sue tantissime pecche. Non avrebbe saputo indicare quale, delle tante (troppe) cose dette avesse fatto scattare campanelli d'allarme in Check, e non poteva dire che gli interessasse particolarmente capirlo. Creatura strana, Hans Belby.
    Aveva continuato a parlare, quindi, come poche volte (mai) nella vita aveva fatto — fermandosi solo quando sentì di non aver più nulla da aggiungere. Quando ormai il danno era fatto.
    «non ne hai idea»
    No, non ce l'aveva un'idea; erano tante le cose di cui non avesse idea in quel momento, e non ne andava fiero: trovare spiegazioni, anche quando poco lucido, era sempre stato il suo pallino. In quel caso, invece, aveva volontariamente scelto di chiudere gli occhi e fingere di non vedere, né capire.
    Lo osservò con sguardo volutamente privo di ogni emozione, nella vana speranza di indurre l’altro a spiegarsi; o, ancora meglio, a lasciar perdere. Forse non era il momento giusto, per nessuno dei due, per spiegarsi.
    Ed invece Check scese di alzarsi dal divano, e avvicinarsi a lui, incerto su gambe che, era chiaro, faticavano a reggere il peso di una trasformazione ormai imminente. Hans tenne lo sguardo incollato in quello bosco dell’altro; mai, neppure una volta, ebbe l’istinto di farlo scivolare altrove — in quella situazione, loro due, ci si erano già ritrovati, e anche a distanza di mesi (di un anno), almeno quello sembrava non essere cambiato. C’erano troppe variabili nell’equazione, al momento, e sembrava tutto già troppo senza il bisogno di aggiungere altro.
    «sei un coglione»
    Gli venne naturale aprire bocca e lasciarsi sfuggire un «dimmi qualcosa che non so già» che aveva il sapore di un flashback, un ricordo sbiadito che la droga aveva portato con sé, troppo lontano per poterlo ripercorrere correttamente, ma vicino abbastanza da rievocare almeno loro due nella cripta– Check in piedi sulla bara– Hans con quelle parole morte in gola per qualcosa che faticava a rammentare. Difficile, poi, ricordarlo ora che aveva il Vibe così vicino da poter sentire il suo respiro pesante sulla propria pelle, e ogni fibra del corpo di Hans ad urlare di allontanarsi il più veloce possibile — non per la paura, quella era l’unica certezza che lo special aveva.
    Mi fido.
    Era sincero.
    Non ne provò nemmeno quando sentì la presa di Check stringersi sulla sua felpa, e strattonarlo.Avrebbe dovuto, ma non ne provò.
    «non volevo che buttassi via la tua vita, l'hai dimenticato?»
    Erano altri i motivi per cui le sirene antiaeree risuonavano nella sua testa, in quel frangente.
    «avrei preferito che non mi importasse. sarebbe stato più semplice»
    Sì, lo aveva dimenticato; quante altre cose, scivolate addosso la spessa coltre tirata su dalle droghe, aveva dimenticato in quei mesi? In quegli anni? Metà della sua vita, Hans, non ricordava nemmeno di averla vissuta; si era trascinato fuori dal letto (quasi) tutti i giorni per inerzia e abitudine, senza mai dare un peso alle giornate; aveva fatto cose che non erano rimaste impresse, e detto o sentito altro che era stato spazzato via da una tormenta costante.
    Forse, dopotutto, non ricordare era stato un po’ una benedizione: c’erano cose di cui non andava fiero, ed era felice di non avere assolutamente idea di tutte le voci da annoverare nella lista.
    Anche in quel momento, con Check ad un palmo da sé, il pugno stretto intorno alla maglia, e i denti in bella mostra, era felice di non avere ricordi tangibili e concreti di un prima — sarebbe stato quello il primo momento a rimanere impresso a fuoco nella sua mente, allora? Chiudendo gli occhi, avrebbe immaginato di nuovo il viso di Check nascondersi nell’incavo della sua spalla, la pelle bollente a contatto con quella ancora più calda di Hans? Il tremolio febbrile provocato dalla luna, in un caso, e dall’astinenza (o forse qualcos’altro) in lui?
    Non ebbe modo di pensarci molto mentre, immobile, e troppo spiazzato per fare alcunché, lasciava a Check la possibilità di fare quello che voleva; in quel momento avrebbe persino potuto sbranarlo, e Hans non avrebbe mosso un dito per fermarlo. Ma sapeva che Check non lo avrebbe fatto — il gesto a cui, invece, si concesse di cedere, lasciò il Belby ancora più spizzato. Non aveva immaginato labbra a premere contro la carne morbida del collo, ma denti aguzzi in grado di tagliare e lacerare; c’era una dolcezza che sapeva di disperazione anche in quel gesto così irruento e dettato, ne era certo, da un istinto che in quel momento Check non riusciva a controllare.
    Quella consapevolezza non bastava comunque a rendere più funzionale il Belby.
    «devi allontanarti adesso» Non avrebbe potuto (muoversi) nemmeno volendo; e la presa di Check, salda intorno alla sua maglia, lo rendeva ancora più impossibile. «non voglio che tu te ne vada ma ho bisogno che stai indietro»
    Facendo appello ad una forza che non sapeva di possedere, riuscì infine ad annuire lentamente, incapace di dire altro, aspettando che l’altro mollasse la presa prima di alzarsi a sua volta con gesti lenti, aiutandosi con la poltrona per tenersi in piedi, instabile sulle gambe per qualche assurda ragione.
    Si allontanò senza dare le spalle al maggiore, inciampando in assi di legno gonfiate dal tempo e dall’incuria, il tutto senza smettere di guardare Check fino a che le spalle non colpirono il telaio di quella che un tempo era stata la porta di quella stanza, e lì rimase per un attimo, occhi fissi in quelli del custode, una tacita comunicazione che solo loro riuscivano (riuscivano?) a cogliere. Poi oltrepassò la porta, sempre spalle contro il muro, una mano sul collo dove la sensazione delle labbra di Check era ancora calda, l’altra passata tra i capelli già senza speranza.
    Cosa stava succedendo?
    Quanto, di tutto quello, era da incolpare alla luna? Conosceva poco Check Vibe, ma sin dal primo momento non gli era apparso qualcuno in grado di lasciarsi andare facilmente — per quanto si dimostrasse aperto e sincero, c’era un mondo che il Vibe teneva nascosto, e Hans immaginava che quello, qualsiasi cosa fosse, doveva essere costato moltissimo all’altro.
    Pensò anche che, se non fosse stato per la luna, Check non avrebbe osato mai esporsi così tanto.
    Lui, dal canto suo, non aveva un pensiero che fosse uno: mai, prima di allora, aveva sentito il cuore battere così forte e minacciare di fermarsi (di nuovo) sotto il peso di… tutto quello.
    Forse essere sbranato non era poi l’alternativa peggiore, se il resto delle opzioni cadeva in quel preciso bacino: sentimenti? Ugh, sconsigliati. Bloccati, cancellati.
    I primi rumori di ossa pronte a spezzarsi sotto il peso della maledizione, lo riportò bruscamente alla realtà, e Hans battè la testa contro la parete per costringersi a rimanere fermo, a non sbirciare, a non rubare quel momento solo di Check; strinse le braccia attorno al proprio esile busto, intimandosi di rimanere al suo posto, di lasciargli il tempo che gli serviva, e soprattutto di non fuggire, anche se una parte di lui stava urlando affinché lo facesse. Una parte che, infame, gli suggeriva anche che il lupo nell’altra stanza fosse solo l’ultimo dei problemi.
    avrei preferito che non mi importasse.
    Sarebbe stato più facile indeed.
    Scivolando lungo la parete, si accovacciò fino a stringere le ginocchia al petto, registrando ogni rumore e ogni involontario verso di sofferenza che sentiva provenire dall’altra stanza, come se quella maledizione fosse ora anche un po’ sua, come se se lo fosse meritato per aver invaso la Stamberga proprio quella notte; quando, dopo quelle che sembrarono ore, non sentì più nulla, si affacciò oltre il buco nella parete dove un tempo c’era stata la porta, e non si stupì nel non vedere più Check.
    Al suo posto, ai piedi del divano, c’era un lupo dal pelo scuro, e Hans rimase a corto di parole.
    Il lupo era accovacciato a terra, il muso basso ma le orecchie in ascolto; lo sapeva che potesse sentirlo, e che pure percependo la sua presenza Check avesse deciso volontariamente di non attaccare, di rimanere docile.
    E così lo special entrò nella stanza, piano, con passi lenti e dando tempo al lupo di rettificare la sua posizione, di mostrare i denti nel caso avesse deciso di farlo, nel caso avesse cambiato idea, nel caso volesse intimargli di andarsene — avrebbe accettato qualsiasi cosa, in quel momento. Che diritto aveva di fare diversamente?
    Un passo, due, tre.
    Cinque.
    Otto, nove, dieci.
    Era ormai così vicino a lui da poterne sentire il respiro pesante e il ringhiare sommesso a vibrare su per la gola. Stava facendo una cazzata?
    Sì, quasi certamente, ma Check gli aveva chiesto di rimanere.
    non voglio che tu te ne vada.
    Non sarebbe andato via; non voleva andare via.
    Si accovacciò davanti a Check, come il maggiore aveva fatto pochi minuti prima, e allungò una mano fino a tenerla a un paio centimetri dal pelo dell’altro. Quando fu sicuro di non rischiare di essere azzannato, leggendo negli occhi troppo espressivi del licantropo un permesso che forse, in altre situazioni, non avrebbe ricevuto, abbassò il braccio e passò delicatamente le dita sul pelo corvino del lupo, i ciuffi spessi a solleticare le dita.
    E per la prima volta in molto tempo, si lasciò sfuggire l’accenno di un sorriso, Hans, nella situazione più assurda e imprevedibile mai vissuta fino a quel momento.
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
     
    .
7 replies since 1/7/2023, 21:49   338 views
  Share  
.
Top