you know it too, you can't run from your shame

ft. raphael

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    Lisi Selwyn aveva visto molta più azione di quanto il suo giovane, e solare, volto non dimostrasse.
    C’erano tragedie ben impresse dietro le palpebre, ogni volta che chiudeva gli occhi, e sapore di sangue appiccicato al palato che macchiava qualsiasi altro gusto da fin troppo tempo; e c’erano amici persi troppo presto, vittorie e sconfitte, successi, morte, rabbia e sacrificio.
    La sua vita avrebbe potuto essere serena e senza pensieri, facile, ed invece Lisi aveva scelto di fare qualcosa della propria esistenza e dedicarla ad una causa più grande.
    Non rimpiangeva nulla.
    Tutto il sangue versato, le lacrime che avevano rigato le guance, i denti stretti e le unghie conficcate nei palmi, le ferite e le ossa rotte; la stanchezza, e il pensiero, ogni tanto, di non potercela fare — erano ciò che spingeva Lisi, giorno dopo giorno, a continuare. Perché non era da lei abbattersi, o lasciarsi scoraggiare; perché credeva in quello che la resistenza faceva e sapeva che prima o poi avrebbero avuto successo. Non le importava troppo il come, purché lo realizzassero; era persino disposta a non vederlo mai, se il destino avesse demandato un suo sacrificio, ma ovviamente avrebbe preferito esserci alla fine di tutto. Se l’era guadagnata. Con le bugie raccontate alla sua famiglia, i segreti tenuti ad amici e parenti, le notti in bianco e gli incubi; quella guerra era anche sua. Aveva sempre avuto fiducia in Jeanine, e sempre ne avrebbe avuto.
    Non le piaceva troppo la resistenza britannica, non ne sposava completamente i modi o i mezzi, ma era capace di adattarsi, Lisi, e di dare il giusto apporto a modo suo, in qualunque situazione.
    Quindi no: l’azione non la spaventava, aveva calpestato molti più campi di battaglia di quanti non riuscisse a ricordare, e ogni volta aveva potuto raccontare di esserci stata; molti commilitoni non erano stati così fortunati.
    Ma non la sceglieva mai.
    Le piaceva agire dietro le quinte, reclutare e far riflettere i cittadini, o quelli che, almeno secondo lei, potevano avere in sé una scintilla di ribellione da alimentare e sfruttare. Era brava, dopotutto, a capire le persone. A piacere, e a dimostrarsi affidabile, sicura, persuasiva. Non attraverso le menzogne (ciao mamma) né per necessità di essere buona con tutti (ciao papà); a modo suo, in una maniera che forse aveva in sé un po’ di entrambe le cose, Lisi era la reclutatrice perfetta.
    Sapeva anche essere letale in battaglia, però. Non aveva pietà dei nemici — perché loro non ne avevano nei confronti dei sovversivi. Era una lotta di sopravvivenza, la loro, e solo il più forte avrebbe trionfato: non c’era tempo per la paura, o per i sensi di colpa. E sapeva proteggere, perché non era mai la sopravvivenza del singolo, ma quella di tutto il gruppo.
    Strinse a sé la figura che aveva al suo fianco, sostenendola il più possibile con il proprio – esile – corpo, stremata ma decisa; con la mano libera bussò di nuovo sulla porta del magazzino, lasciando una scia di sangue. Suo? Era quasi certa di no. Nell’attesa, abbassò gli occhi sul compagno semi incosciente. «rimani sveglio» Cora dove sei «ci siamo quasi» spero.
    Come evocata da quei pensieri, ecco che la figura della custode fece la sua apparizione, invitandoli ad entrare nel retro dell’edificio e guidandoli poi attraverso il passaggio segreto per raggiungere il quindi piano del San Mungo, quello non così in disuso come i maghi credevano.
    «ci hanno riferito di stare pronti, cosa è successo?»
    Strinse le spalle, con meno risposte della bionda col camice. «intel sbagliato, presumo» avrebbe dovuto essere facile, o così gli avevano detto. E invece erano quasi morti tutti quanti. A poche settimane dall’incidente ad Hogsmeade, per di più; di quei tempi, non gliene andava bene una.
    Abbandonò la figura sempre meno coerente di Shelby su uno dei lettini quando la guaritrice gli mostrò dove, e poi si accasciò a sua volta contro la parete. Quando Cora, preoccupata, fece per avvicinarsi, Lisi alzò prontamente la mano. «sto bene, pensa a lui» Il guerrigliere si era beccato gli attacchi peggiori, troppo impegnato a pensare all’attacco per concentrarsi sulle difese, mentre lei era stata abbastanza furba da evitare gli incantesimi dei pavor; si era beccata giusto qualche graffio, nulla a cui non fosse abituata.
    «vado a prendermi un caffè» in che senso non avevano almeno un thermos di caffé caldo su quel piano, impossibile.
    Non guardò Cora, mentre si alzava e si allontanava da medico e paziente, trascinandosi lungo il corridoio con passo pesante e aria stremata. Si passò una mano tra i capelli, togliendo la maschera alzata sulla fronte, senza preoccuparsi del sangue a macchiare le ciocche bionde: voleva il suo appartamento, un bel bagno caldo e una confezione intera di gelato.
    «la tua giornata non può essere peggiore della mia, courage» a quanto pareva, l’ospedale era affollato quella sera. «qualsiasi cosa sia, ricorda che ci si può sempre bere su.» Avvicinò l’altro ribelle, e dopo aver preso una tazza di caffè, prese posto su una delle sediole di plastica, testa reclinata all’indietro contro il muro. «ti racconto il mio se mi racconti il tuo,» il sorriso che rivolse al Vaughan era sincero, seppur velano da una leggera tristezza mista a stanchezza. Tutto sommato, l’americano le piaceva — e non lo stava affatto tenendo d’occhio perché le era giunta voce avesse approcciato (o fosse stato approcciato da) suo fratello minore al matrimonio di Barrow, no. Assolutamente.
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    Edited by (re)belle - 16/3/2024, 18:41
     
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    Raphael era stremato, ogni parte del corpo a dolere e a pregare di potersi finalmente riposare, ma l'adrenalina a pompare ancora nel sangue glielo negava. Si trovava in uno stato di perpetua guardia, in cui non riusciva a rilassare i muscoli contratti e a concedere a se stesso l’illusione che quello fosse uno spazio sicuro. Ma era ancora tutto d’un pezzo, aveva ancora gli arti attaccati al corpo e nessun organo interno perforato– stava una favola, davvero. Il fatto che fosse accasciato su una sedia di plastica, gambe distese davanti a lui e il capo abbandonato sul muro, con il palmo che premeva testardo al fianco era di poca conseguenza. Non era stato ferito troppo gravemente durante, giusto un incantesimo che l’aveva appena sfiorato, aprendo un taglio superficiale. Lo sapeva bene, Raphael, perché era stato abbastanza accorto da controllarlo lui stesso una volta che aveva consegnato Johnston al personale competente. Vaffanculo Johnston, come se Raphael fosse tenuto a fargli da babysitter ogni volta che il suo senso di giustizia lo faceva agire prima del suo cervello, contro un fottuto cacciatore. E vaffanculo Johnston perché sapeva benissimo che Raphael lo avrebbe fatto. Non solo perché non voleva un amico sulla coscienza, ma perché Tyler era una testa calda, e la sua giovane età non aiutava. Been there done that and all. E in ogni caso, le ferite del Vaughan erano di poco conto, specie quando negli ultimi minuti aveva visto un flusso di persone ferite farsi strada tra i corridoi del quinto piano. Alcuni sulle proprie gambe, altri su una barella. Aveva distolto lo sguardo al vedere più di un telo bianco. «la tua giornata non può essere peggiore della mia, courage» anche se avesse voluto, l’uomo non avrebbe potuto ignorare la presenza di Lisi Selwyn. Non quando ogni senso era all’erta, e la bionda non aveva fatto nulla per celare le sue tracce. E perché avrebbe dovuto? Non erano in pericolo. Non più. Alzò finalmente lo sguardo su di lei, e prese nota del suo stato, decisamente più trasandato del suo. Ed era dire tutto, davvero. «qualsiasi cosa sia, ricorda che ci si può sempre bere su» e su quello non poteva sindacare, i texani era conosciuti per bere sopra alle cose e non parlare di sentimenti «per un attimo ho sperato che mi stessi offrendo qualcosa di più forte» accettò comunque il caffè con un ringraziamento, perché Martha l’aveva cresciuto bene, mantenendo l'altra mano sul fianco. Non che nascondesse molto, nel modo in cui la camicia era macchiata. «dubito che la mia giornata sia stata peggio della tua. se non conti l’essere circondati da adolescenti» l’occhiata che lanciò sui vestiti insanguinati era significativa, ma non era nella condizione di dire niente, perché sarebbe stato molto ipocrita da parte sua «sai johnston, il ragazzino?» ragazzino, insomma, aveva ben più di vent'anni nonostante fosse incapace di farsi crescere una barba e il viso traesse in inganno «ha attaccato briga con un cacciatore fuori dal pub, non so perché o cosa gli sia passato per la testa, non sono arrivato fino a dopo. ma so che la situazione è sfuggita di mano in fretta, abbastanza da tirare fuori le bacchette» scosse il capo, il Vaughan, la fronte ad incresparsi a ricordare il sangue che aveva macchiato l'asfalto «puoi immaginare come sia andato il resto» indicò con un cenno del capo i loro dintorni, la voce a prendere una piega umoristica che non trovava per niente divertente. Dio santo, odiava tutto. «è il tuo turno» meglio cambiare la conversazione, prima che il Vaughan si scaldasse.
    And when the
    lights all went out
    We watched our
    lives on the screen
    I hate the ending myself
    But it started with
    an alright scene
    (m)emo
     
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    Non le sembravano le circostanze più adatte per farlo, ma si ritrovò comunque ad alzare un angolo delle labbra verso l’alto al «per un attimo ho sperato che mi stessi offrendo qualcosa di più forte» di Raph, e porgendogli il caffé rispose mestamente «tengo la fiaschetta tascabile nell’altra mise» che era una bugia solo in parte: si era davvero abituata a portare con sé una discreta dose di rifornimenti alcolici per i momenti peggiori, che fosse per berci su o per offrirla come anestetizzante di fortuna nei casi più tragici.
    Prese posto accanto all’uomo, imitandone la posizione — la testa reclinata all’indietro, un braccio stretto attorno alla propria vita, più per conforto che dolore, e l’altra mano a stringere il bicchiere di carta contenente il caffè. Rimase per un attimo a fissare un punto imprecisato sulla parete opposta, con solo la voce del professore a riempire la stanza, e la poca distanza tra loro. Quella fisica, perlomeno; con la testa, sembravano entrambi su due pianeti completamente diversi.
    «dubito che la mia giornata sia stata peggio della tua. se non conti l’essere circondati da adolescenti»
    Sempre fissando la parete, Lisi sollevò appena il sopracciglio e portò il bicchiere alle labbra, soffiando sul caffé. «quando ti stufi, al carrow’s district c’è sempre bisogno di personale.» gli ricordò, per l’ennesima volta. «farebbe comodo uno con la tua esperienza in quanto a bestie.» che fossero quelle animali, o gli studenti, Lisi lo lasciò volutamente imprecisato. Non le sarebbe dispiaciuto averlo ancora più sott’occhio, sempre per quella cosa che doveva controllarlo eccetera eccetera.
    Ruotò appena il capo, senza staccarlo dalla parete, e sussurrò un «pensaci.» direttamente nella bevanda bollente, prima di affogarci dentro i problemi, e ascoltare intanto quelli dell’uomo.
    «sai johnston, il ragazzino?» Annuì, senza parlare: la testa calda che prima o poi si sarebbe fatto saltare per aria, portando con sé altri ribelli? Mais oui, chi non conosceva Johnston? Era quasi più imprevedibile di Wyatt Holland — e quello diceva tutto. «ha attaccato briga con un cacciatore fuori dal pub, non so perché o cosa gli sia passato per la testa» Per come la vedeva Lisi, nulla: nulla gli era passato per la testa, praticamente un martedì qualsiasi della sua vita. Non lo disse a Raph, comunque, perché sapeva riconoscere una domanda retorica quando ne sentiva una, Lisi Selwyn.
    «e la situazione è sfuggita di mano in fretta, abbastanza da tirare fuori le bacchette» La cosa non la sorprendeva affatto, non quando coinvolto c’era Tyler Johnston, e dei cacciatori. «puoi immaginare come sia andato il resto»
    Sì, non faceva fatica a concludere da sé quella storia.
    «non mi serve immaginarlo» indicò con il mento la macchia cremisi sulla camicia dell’uomo, e il modo in cui premeva la mano contro il fianco. Non gli domandò se stesse bene perché era a) un uomo adulto in grado di giudicare da sé le proprie condizioni e prendere le dovute precauzioni; b) erano in un ospedale, se non fosse stato bene avrebbe dovuto chiedere a qualcuno di farsi vedere; c) non avrebbe voluto che qualcuno lo chiedesse a lei; d) erano sopravvissuti a molto peggio, un taglio superficiale sul fianco non lo avrebbe ucciso. «e johnston?» chissà se qualcuno aveva finalmente insegnato al ragazzino una lezione, e se quello l’avesse spinto a maturare una volta per tutte. Lisi ne dubitava, ma poteva essere abbastanza ingenua e ottimista da sperarci. Ah, la visione rosea del mondo ereditata da papi, sempre una certezza.
    Non aggiunse che sperava fosse vivo, anche se lo sperava davvero; era sempre terribile perdere un compagno, giovane o meno che fosse, perché significava avere una persona in meno a combattere la loro battaglia, pure se quella persona era un ragazzino irresponsabile e impulsiva.
    «è il tuo turno»
    Eh già, un patto era un patto.
    Mandò giù un altro sorso di caffé, tirando le labbra in una linea tesa, prima di condividere il suo incredibile pomeriggio con il Vaughan. «siamo stati inviati a newham per aiutare un gruppo tenuto sotto scacco dai pavor da ore,» l’incipit di uno di moltissimi interventi attuati nel corso degli anni: raddoppia le forze, aiuta i ribelli messi alle strette, sparpaglia e rompi i ranghi dei pavor, crea abbastanza disordine da coinvolgere i babbani della zona e fanculo le conseguenze, e riporta a casa i commilitoni. Sulla carta, nulla che Lisi non avesse già fatto e rifatto dozzine di volte. Le labbra curvarono verso il basso, però, al ricordo di com’era andata a finire. «i pavor sapevano che saremmo arrivati. Era un’imboscata, putain strinse involontariamente la presa intorno al bicchiere, accartocciandolo. «è stato un bagno di sangue. io e Shelby–» quello stupido, sempre così dannatamente poco attento alla difesa, preoccupato più ad attaccare che a riflettere, «ci siamo salvati per pura fortuna. e perché sono dannatamente brava a schiantare mangiamorte.» aggiunse, con un mezzo sorriso che non raggiungeva però gli occhi. «il sangue è suo,» si indicò, dai capelli impiastricciati agli abiti impregnati del sangue dell’altro ribelle. «ora è con Cora, ma quando l’ho lasciato non era vigile.» improvvisamente, guardare il soffitto sembrava la sua ancora di salvezza per non tornare in quella via di Newham con il pensiero, in mezzo ai corpi dei compagni che non erano stati altrettanto fortunati da scappare, come aveva fatto lei. «te l’ho detto,» non avrebbe pianto, Lisi; non piangeva da moltissimo tempo. «il mio pomeriggio è stato peggiore del tuo.» avrebbe vinto qualcosa, per quello? Probabilmente no, solo altri incubi a tenerla sveglia la notte.
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