so drop a bomb on all the things we dreamed about

ft. liz

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    desdemona benshaw
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    A Mona, quella situazione non piaceva.
    Affatto.
    In un primo momento aveva pensato che schierarsi con Abbadon potesse essere una scelta sufficientemente motivata e sensata, ma dopo aver visto le conseguenze che quella guerra si stava portando dietro, non ne era più così convinta.
    Gli special al potere? Ma per favore. Solo perché un egocentrico figlio di puttana si era svegliato decidendo che tutto il mondo dovesse essere il suo parcogiochi? Ma per favore.
    La Benshaw era di cattivo umore da settimane; il lockdown, e le lezioni parzialmente sospese e trasformate in didattica a distanza per tutti i poveri falliti che venivano richiamati a casa dalle proprie famiglie, non avevano aiutato; Gali che tornava dalla fottuta guerra, non aveva aiutato; il pensiero che Cherry avesse contribuito a rafforzare l’esercito di Addabdon, non aveva aiutato; Bennett che le dava contro per ogni cosa, solo perché la vedevano da due punti di vista diversi, non aveva aiutato.
    Aveva provato a distrarsi bullizzando chi era rimasto a scuola (e perché proprio Dara, affectionate) e provando a rovinare la giornata degli altri poveri studenti di Hogwarts — se le sue dovevano far schifo, era solo giusto condividere con gli altri un po’ del proprio malessere.
    C’era troppo fermento, da quelle parti.
    Troppo.
    Nemmeno i preparativi per il ballo la distraevano abbastanza, e lo studio per gli esami finali era l’unica cosa che fosse ancora in grado di farla rimanere concentrata su qualcosa per più di dieci minuti, senza che la mente vagasse ai perché e per-come la loro società sarebbe cambiata del tutto nelle prossime settimane. Lo era già; mutata, e senza possibilità di ristabilire l’ordine precedente delle cose.
    In quell’ordine, Mona c’era cresciuta e c’aveva affondato le proprie radici, le fondamenta del proprio essere; nella purezza di sangue, c’aveva creduto come una Benshaw di tutto rispetto. E ora.. Ora? Cosa rimaneva? La possibilità (non così remota) di diventare loro l’ultimo scalino della piramide sociale.
    Inaccettabile. Con quale diritto, quale fottuto diritto, pensavano di poter ribaltare l’ordine naturale delle cose e semplicemente pretendere che venissero accettate da tutti? Mona non ci stava; ma si rendeva anche tristemente conto di non avere armi a disposizione per poter combattere una guerra dopo la guerra.
    Il problema era che non riuscisse nemmeno a tenere la testa bassa e accettare il cambiamento; era troppo orgogliosa, troppo Mona, per poterlo fare; sapeva che tenere la bocca chiusa fosse la scelta più intelligente, quella da compiere, ma non era disposta a dismettere con un solo cenno le convinzioni di una vita intera. Non l’avrebbe fatto. Peccato poi che quello si traducesse inuna guerra fredda con le uniche persone che, in cinque anni, l’avessero mai sopportata. Era abituata a non essere sulla stessa lunghezza d’onda dei Ben10 — era un po’ il suo ruolo, quello di voce fuori dal coro, controcorrente, bulla. Se avevano un problema con tutto quello, sapevano dove trovarla.
    Ma la possibilità che gli sgorbi di questo mondo salissero al potere per comandarli tutti, era davvero impossibile da accettare, e avrebbe continuato a tenere alte le proprie convizioni. Se Ben, e tutti gli altri, erano così cocciuti da non vedere come quello fosse tremendamente sbagliato, non era di certo un problema di Mona.
    Avrebbe studiato da sola, non era un problema nemmeno quello! Non aveva bisogno dei loro appunti, o delle loro correzioni, o della loro compagnia.
    Con i libri sotto braccio, varcò l’enorme porta in legno della biblioteca, e scelse volontariamente di dirigersi il più lontano possibile dal tavolo dove sapeva, per abitudine, che si fossero riuniti i Ben — per lo meno, quelli a cui interessava ancora qualcosa delle lezioni e dei bei voti. Schiaffò i volumi sul primo tavolo libero, vicino ad una grande finestra che dava sui cortili; nello stesso momento, qualcun altro ebbe la brillante idea di fare lo stesso.
    «Monrique,» uno sguardo veloce in direzione della cheerleader verde-argento, e un sorriso tirato. «Nuovo look?» Cos’è, voleva entrare anche lei nel club delle lesbians queens with pink hair? Bastava chiedere: Sorta aveva le t-shirt. «C’ero prima io.» Nel caso in cui non avesse capito che quel posto era ormai occupato.
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    lissette monrique
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    lo spettro di Liz Monrique vagava per quei corridoi che, come prima, puzzavano di muffa.
    Non sembrava essere cambiato nulla.
    e invece era cambiato tutto.
    Di scelte sbagliate Liz, no Lissette, ne aveva fatte molte, troppe, durante la sua giovane vita: affidare la sua esistenza a delle pillole, assumerne troppe tutte insieme, probabilmente anche la sua nascita era stata un errore la primogenita di una famiglia purosangue donna, un fulmine a ciel sereno una delusione totale.
    Ma era sicura che l’errore più grande l’avesse commesso quando aveva deciso di combattere tra le schiere di Abbandon, lo aveva capito quando quasi priva di sensi lo aveva osservato risucchiare la magia nei suoi avversari, avversari che erano compagni di scuola, conoscenti, amici, lo aveva capito quando aveva visto il corpo di Wren, perché non era lui quello, troppo buono e sensibile per quel mondo in cui si ritrovavano, lievitare verso colui che aveva idolatrato, che aveva idealizzato.
    si era comportata esattamente come i suoi genitori, coloro che tanto odiava, aveva creduto che i suoi ideali fossero giusti, peccando di superficialità e credendo che quello che le era stato inculcato fin da bambina fosse assolutamente giusto, senza chiedersi come o perché, aveva sperato in una vita migliore per i compagni special, e loro l’avevano avuta ma a quale costo.
    Si strinse nella felpa rosa pallido, come se quel colore rispecchiasse il suo umore da quando era tornata dai campi di battaglia, ed alzò il volume della ,canzone che stava ascoltando tramite quelle enormi cuffie che sembravano macarons giganti, vagava senza meta, e spesso per evitare di incontrare qualsiasi forma di vita che potesse anche solo parlarle, si recava in biblioteca dove per la maggiore sfogliava riviste o libri di favole, per distrarsi dall’orrore che aveva visto, che aveva sentito sulla propria pelle, lo stesso motivo per cui si era tinta i capelli di rosa, abbandonando quel biondo che l’accompagnava da anni, ma senza alcun risultato; quando entrò in quel luogo non fece nemmeno caso a chi fosse seduto, continuò a masticare il suo chewing-gum alla fragola e si andò a sedere al primo tavolo libero senza guardare chi o cosa le stesse intorno, lanciò sul tavolo l’ultimo volume di Vogue accompagnato dal volume di rune antiche, una mera copertura, ma qualcuno fece lo stesso «Monrique» riuscì a capire dal labiale, e dopo poco scostò le cuffie dalle orecchie «Benshaw», un’amica di suo fratello, almeno lei non la odiava come lui però, «Nuovo look?» Lissette sollevo le spalle, si era quasi dimenticata di aver tinto i capelli, il fatto era che non aveva manco ripreso la tinta, ed ora quelli erano di un rosa sbiadito come quello della felpa «Diciamo così, si.» si poggiò al tavolo incrociando le gambe, cosa doveva chiederle? di aiutarla a riappacificarsi con suo fratello, probabilmente aveva beccato la ben sbagliata per quella missione, avrebbe dovuto accaparrarsi uno dei due spilungoni, forse quello che stava con la byrne… «C’ero prima io.» Liz guardò Mona, dicendosi decisamente che non era la persona adatta a fare da mediatrice con Balt, sollevò le mani in segno di resa esclamando un «tutto tuo.» ed avvicinandosi alla sedia di fronte, che dava sulla finestra «non ti disturbo, sono silenziosa» un’altro tratto che non le apparteneva, il silenzio, si sedette accavallando le gambe e poggiando la guancia sul palmo della mano, osservando cosa c’era fuori dalla finestra, forse in quel modo non avrebbe ripensato alle cose che non le facevano chiudere occhio di notte.
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    desdemona benshaw
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    Lo sguardo turchese della corvonero era di pietra, impassibile mentre passava sulla figura sbiadita della ex bionda di fronte a lei: era chiaro che qualsiasi cosa avesse visto sul campo di battaglia, avesse lasciato il segno sulla Monrique, e non riusciva a trovare in lei compassione o empatia per offrirle parole di supporto — dopotutto anche Liz, come tutti gli altri, se l’era cercata. Avrebbe potuto decidere di rimanere al castello, concentrarsi sugli esami e sul diploma, pensare a suo fratello, e invece aveva fatto l’egoista e aveva scelto di prendere parte ad una guerra che non le apparteneva, come tantissimi altri insieme a lei.
    Quindi no, non addolcì lo sguardo Mona, semmai tutto il contrario: si fece più duro, sprezzante, e la piega delle labbra si incurvò verso il basso.
    E pensare che, prima di quella guerra, Lissette Monrique le era anche quasi piaciuta; se non altro, con il conflitto aveva avuto modo di rivalutare molte priorità, a partire dalla sua stessa cerchia di amici…
    «Benshaw»
    Solo per mera curiosità, abbassò lo sguardo sul volume di Rune Antiche e sulla rivista gettata al suo fianco, e allora sollevò appena un sopracciglio. «vedo che hai preso molto sul serio il diploma» la prese in giro, mentre si metteva comoda su una delle sedie dallo schienale alto e i cuscini soffici. «ora capisco balt da chi ha ripreso» il QI basso doveva essere una cosa di famiglia, così come la scarsa predisposizione allo studio.
    Quando commentò il nuovo look della serpeverde, lo fece solo con l’intento di stuzzicare — non le interessava una vera risposta; ma riceverla, e riceverla così spenta, un po’ la incuriosì.
    «Diciamo così, si.»
    «beh, non ti dona.» Qualcuno lì dentro doveva pur farsi carico del gravoso compito di essere sincera, e perché proprio Mona. «questo colore zucchero filato non sta bene con il tuo colorito, e non fa risaltare gli occhi.» non alzò lo sguardo dal tomo di pozioni che aveva preso a sfogliare, perché non aveva bisogno di guardare ancora per sapere di cosa stava parlando: aveva l’immagine già bene impressa nella mente, per sua sfortuna. «avresti dovuto azzardare con qualcosa di più acceso», infondo non era lei quella che vestiva come una luce stroboscopica, e abbinando capi di dubbia origine (e di scarso gusto estetico, tra l’altro)?
    La Benshaw sapeva molto bene che quel look misero e piatto fosse solo un riflesso di come doveva sentirsi dentro la serpeverde (solo Morgana sapeva quando Balt avesse tenuto il muso per tutta la situazione “guerra” e il coinvolgimento di sua sorella, con annesso ritorno non così glorioso della Monrique senior…) ma onestamente non riusciva ad empatizzare nemmeno con quello, la cheerleader: l’aveva sempre scelto Liz, di partire, nessuno l’aveva obbligata ad andare in guerra. Trovava molto indecente, da parte sua, costringere tutto il castello al suo muso lungo, trascinandosi dietro quell’aura di tristezza e avvilimento.
    «non ti disturbo, sono silenziosa»
    A quel punto, ancora senza guardarla, sollevò un sopracciglio e commento caustica «ah sì? e da quando» una dj silenziosa era davvero qualcosa che Mona non aveva mai sentito prima.
    Una volta trovata la pagina che stava cercando, mise un segnalibro per non perderla nuovamente e alzò finalmente lo sguardo gelido sull’altra cheerleader. «la tua depressione mi sta rovinando il mood, monrique. perché non vai ad autocommiserarti altrove?» non aveva davvero tempo per pensare anche a lei, e alla sua aria sconsolata. «la biblioteca è molto grande. il castello lo è ancora di più.» just take a hint, monrique, e vattene, uff.
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