ache it 'til you make it.

ft. renée

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    Spolliciometro
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    21/11/22
    where
    london, uk
    who
    nice cox-hill

    midnight rain
    Nice Cox-Hill era sempre stata un'instancabile lavoratrice, una ragazza che aveva messo a malincuore da parte le pergamene e lo studio fin troppo presto, per sostituirli con lavori dalla paga non sempre dignitosa, e quasi mai gratificanti a livello personale, in un mondo che non chiedeva, ma pretenda e basta.
    Aveva sempre saputo di essere il tipo di persona capace di spaccarsi la schiena pur di avere successo in ciò che faceva – era la figlia di sua mamma, dopotutto, e al carattere di Zoe Cox, Nice, aveva aggiunto l'ambizione di una fiera serpeverde e il focus degli Hill che suo padre non aveva mai avuto. Insomma, una combinazione micidiale che non le aveva mai dato via di scampo, e che aveva fatto di lei la più stacanovista tra i cugini, capace di mettersi sotto e dare il meglio di sé anche quando il lavoro non era quello dei suoi sogni, ma uno – o cinque– accettato per necessità.
    Il duro lavoro non l'aveva mai preoccupata, e anzi, in quello, aveva trovato più e più volte la maniera per estraniarsi dai problemi quotidiani: immergendosi nel lavoro, Nice evitava di pensare a tutto il resto. Lo aveva reso spesso la scusa dietro cui nascondersi, la distrazione dentro cui perdersi. Non sorprendeva affatto, dunque, che negli ultimi tre-quattro mesi, la sua resa fosse migliorata notevolmente, così come le sue prestazioni; era arrivata al punto da ottenere complimenti persino dalla Lovecraft in persona, miti cenni della testa che indicavano chiaramente un certo apprezzamento per il suo operato, e la Hillcox non avrebbe potuto esserne più fiera; quasi le faceva dimenticare che la ragione delle lunghe nottate in ufficio, e degli straordinari portati allo stremo in un laboratorio abbandonato – di cui era rimasta ultimo baluardo, in assenza di Jericho e Arci – era stata una fottuta guerra
    Erano stati mesi difficili, quelli intercorsi dalla Fiera della Primavera e l'alba del primo Giugno; mesi in cui in molti avevano abbandonato i propri lavori, le case e le famiglie, per recarsi al fronte. Tanti di loro – molti, troppi – non vi avevano fatto ritorno. Mesi in cui le città avevano bruciato, e mesi di follia e morte; mesi in cui si parlava costantemente dei caduti sul campo di battaglia, ma mesi di completo silenzio riguardo coloro che erano rimasti. Di loro, delle Nice di quel mondo, nessuno parlava: nessuno pensava mai a chi rimaneva indietro, a chi veniva lasciato a casa senza sapere se avrebbero mai rivisto i propri cari.
    Chi rimaneva non era nei pensieri di nessuno se non di coloro che li aveva abbandonati.
    Era una delle tante, e tristi, leggi non scritte di qualsiasi conflitto. Per quelli come la stilista che rimanevano a casa, il mondo e il tempo non si fermavano: tutto continuava a scorrere, seppur ad un ritmo diverso, e non era permesso incespicare o fermarsi. La quotidianità diventava il loro campo di battaglia, e arrivare a fine giornata senza soccombere al peso della vita, il fine ultimo a cui aspirare.
    Le case, vuote e troppo grandi, erano accampamenti solitari.
    Il loro era un destino doloroso tanto quanto quello di chi scendeva in campo per combattere; in qualche modo, vi erano scesi anche i lasciati indietro — partecipavano al conflitto per ogni caro andato, e che forse non sarebbe più tornato.
    Nice era a Londra, ma era anche a Parigi, a Città del Messico, in Azerbaijan, a Seoul. A Stonehenge.
    Era ovunque fosse quel disgraziato di Albert Bartholomew Cox-Bulgakov-Wood.
    Non aveva accettato i “lo faccio per tenerli d'occhio, Nice” di Jekyll, e non aveva risposto alle telefonate di Renaissance; aveva scelto di non inveire contro Mckenzie perché sapeva che avrebbe sortito solo un effetto peggiore, e aveva continuato a tenere in ordine l'atelier solo per consegnare le proprie dimissioni di persona alla prima occasione utile, quando avrebbe rivisto finalmente Jericho e Archibald. Aveva scelto di non riconoscere, anche solo vagamente, il viso di Gabe – il viso di Jane – negli articoli riguardanti la distruzione di Kyoto che erano passati sulla sua scrivania.
    Si era offerta come aiuto a zio Hugo, perché qualcuno doveva pur badare a sua sorella Florence e a se stessa, e non sarebbero stati di certo gli zomeron, o zia Milly, tutti partiti per il fronte (e su quello Nice non aveva dubbio fosse esattamente così: i suoi genitori non avrebbero mai lasciato indietro le bambine se non per una questione più grande di loro.)
    Aveva svuotato la casa di Dominic dai propri effetti personali, e ne aveva cercata un'altra tutta per sé, una stanza dove poter innalzare nuovamente tutte le barriere di cui aveva bisogno per non sentirsi mai più in quel modo. Non aveva più avuto contatti con l'ex corvonero da quando aveva deciso, per la seconda volta, di partire a combattere una guerra che avrebbe potuto lasciare ad altri.
    Aveva invece serrato la mascella, serrato i pugni, e lasciato che il ghiaccio tornasse a formarsi, piano ma inesorabilmente, fino a corazzare nuovamente il muscolo cardiaco.
    Li aveva visti tornare, certo, chi più chi meno sulle proprie gambe, ma tutti vivi; li aveva visti tornare, ma non li aveva perdonati. Tranne Renée, lui aveva dovuto farlo, era il fottuto generale del fottuto esercito; Nice gli aveva comunque tenuto il muso per giorni, e costretto a farsi perdonare portandole il caffè ogni mattina.
    Aveva saputo di Albert, ma non lo aveva contattato.
    Si era messo in mezzo; il passato non gli aveva insegnato proprio nulla, a quanto pareva, e il biondo ne aveva pagato le conseguenze. Non sapeva cosa dirgli, perché tutto quello che Nice aveva a premere contro denti e labbra, contro il petto, era una rabbia cieca. Ingiustificata, forse, e certamente egoista, ma non per questo meno reale.
    Lavorare era stato l'unico modo per rimanere a galla: circondata da pergamene, libri e giornali, Nice aveva potuto mentire persino a se stessa, affermando di non avere il tempo per pensare a tutto il resto. Non aveva funzionato sempre, e alcune notti era rimasta sveglia ad accarezzare Belladonna in silenzio; e altre aveva bussato alla porta di Hyde sperando che lui aprisse, solo per sedersi sul suo divano e non parlare; altre si era smaterializzata in posti isolati ma conosciuti e aveva urlato fino a perdere la voce.
    Il ministero non era mai stata un'oasi di pace per nessuno, ma era quantomeno divenuto il suo punto fermo, persino in un periodo di incertezza come quello.
    E quando la guerra era finita, quando tutto era cambiato, Nice aveva continuato a lavorare imperterrita e senza battere ciglio. Un nuovo mondo? Ok, poteva abituarsi, così come tre anni prima aveva scelto di abituarsi alla vita degli anni Venti. Bastava solo tenere sotto chiave il cuore, quella volta, e non rimanere vittima delle sue stesse emozioni. Poteva farcela.
    Il suo unico svago, durante le giornate, era altro lavoro; ironico, ma non proprio inaspettato, ecco.
    Quando aveva saputo del matrimonio tra il Capo dei Cacciatori e il professore di Strategia, tra Akelei e William, Nice non ci aveva pensato due volte prima di bussare alla porta della Cacciatrice e offrire il suo aiuto per confezionare un abito da sposa originale, elegante e unico come la sposa meritava. Era stata felice di sapere che neppure la guerra, e l'esito di quest'ultima, aveva messo un freno ai preparativi e all'organizzazione. Tutti avevano bisogno di uno svago, e Nice aveva bisogno di un lavoro — uno che amasse svolgere. Quel matrimonio poteva essere il suo trampolino di lancio, e fruttarle ancora di più della pubblicità di Penn Hilton; iniziava, piano piano, a farsi un nome nella società magica e vestire Akelei Beaumont per il giorno più importante della sua vita era sicuramente un'occasione che non poteva farsi sfuggire.
    Così, quando non era intenta a censurare l'informazione pubblica, Nice sgobbava per rendere quell'ammasso di tulle e pizzo un abito da sposa da sogni. Ogni lustrino applicato, ogni ricamo cucito, ogni piega plissettata e stirata, era un pensiero in meno rivolto alle persone che le avevano fatto male, inconsapevolmente o meno, e che era decisa a tenere fuori dalla sua vita ancora per un po'.
    Inutile a dirsi, con quella caparbietà a fare da movente e da spinta, Nice aveva lavorato notte e giorno per creare una delle opere di cui andava più fiera in assoluto; persino l'abito che aveva indossato al suo ultimo prom impallidiva in confronto a quello confezionato per Akelei.
    Non c'era posto per la stanchezza, nella vita di Nice Hillcox, e qualsiasi colorito smunto o occhiaie pesanti poteva essere nascosto con un trucco ben applicato.
    Avrebbe tirato avanti ancora a lungo, sapeva di poterlo fare, fintantoché dalla sua parte avesse avuto ambizione, forza di volontà, e un sacco di caffeina.
    Per l'ultima, in quel preciso momento, doveva ringraziare il «generale Calloway» derogatory, sempre; non poteva mica chiamarlo Renaissance Beaumont-Barrow davanti a tutti i loro colleghi.
    Accettò il caffè doppio offerto dal BB, e gli indicò la sedia libera di fronte a sé. Alle occhiate curiose dei colleghi di piano, Nice non badò; era un problema loro se ancora si stupivano di vedere il Generale Zelda Calloway scendere fin da loro e prendere un caffè con una umile impiegata dell'ufficio Censura. Preferiva di gran lunga uscire, o vedersi in reparto più neutrali, ma quel giorno non era disposta a cedere alle malelingue o ai pettegolezzi, e soprattutto aveva bisogno del suo caffè seduta stante.
    Sorseggiando suddetto nettare divino, puntò lo sguardo ghiaccio in quello dell'altro vigilante, accennando appena un sorriso oltre il bordo del bicchiere. «pensa cosa diranno quando ci vedranno andare al matrimonio insieme parlò a voce bassa, per farsi sentire solo da Renée, ma avrebbe voluto testare la reazione altrui già in quel momento. «scandaloso» si finse profondamente sconvolta, mano sul cuore e occhi spalancati. «avremmo potuto persino diventare lo scoop del secolo, e rubare la scena, ma avranno occhi solo per Akelei» com'era giusto che fosse; la Hillcox aveva preparato anche un bel completo per William solo per non fargli fare brutta figura e non farlo sfigurare accanto alla Beaumont, ma lo sapevano entrambi – lo sapevano tutti – che le attenzioni per quel giorno erano destinate ad essere tutte per la sposa, e Nice non vedeva l'ora di raccogliere i frutti del suo lungo lavoro. «un peccato, avremmo potuto avere tutto.» quando, infondo, non avevano nulla nessuno dei due; non in quel preciso momento storico, comunque. Nice, di sicuro, aveva perso tutto: aveva giocato, aveva scommesso, e aveva perso. La vita andava così, di solito; non la sua, e non per due volte di seguito, e si odiava profondamente per quello. A quanto pareva, certe lezioni non le imparava nemmeno lei. «nei prossimi giorni ti farò avere il fazzoletto da taschino,» abbinato al suo vestito, mi pare ovvio, «o il papillon, non ho ancora deciso quale dei due farti abbinare.» E Zelda muto, o Nice gli avrebbe tolto per sempre il saluto.
    berenice
    hillcox
    so I peered through a window,
    a deep portal, time travel;
    all the love we unravel
    && the life I gave away.
    gif: teendramas.tumblr.com
    i panic! at (a lot of places besides) the disco
    i see it, i like it, i want it, i got it
     
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