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    [laboratori] L'ultima cosa che ricordi, pinterest, è la serata con gli amici di ieri sera. Sai di aver bevuto, ma non ti pareva di aver bevuto /così tanto/ da scordarti come sei arrivato in questa stanza di ospedale. A svegliarti è stato orologioanalogico, che indossa un camice da dottore. Quando il tuo occhio cade sul tesserino di riconoscimento sul camice, capisci subito che la persona nella foto e quella che ti ha svegliato non sono la stessa. orologioanalogico spiega rapido: vi hanno rapito e dovete scappare da lì.
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    E quindi.
    Friday De Thirteenth, seduta sul linoleum bianco ed impolverato di una stanza grigia, puntellò la lingua sulla guancia, schioccandola poi contro il palato. Non aveva una giustificazione per trovarsi lì, non stava indagando su nulla, e non aveva colpe, nessun eccesso di alcool o droghe, quindi… perchè. Come, soprattutto. Aveva ricordi troppo vaghi per riuscire a formare un quadro completo dell’accaduto, e non aveva ancora assunto caffeina, quindi anche se avesse avuto tutti i pezzi del puzzle, non sarebbe stata in grado di incastrarli.
    Sospirò. Era una cosa così da lei che non poteva neanche stupirsi troppo, anche se il non trovarsi al proprio fianco Wendy, era effettivamente una novità. Abbassò lo sguardo sui vestiti, le dita a scivolare sulla targhetta plastificata che la identificava come Dory,
    Ma perché. Un appuntamento su Tinder finito molto male? Non si era ancora accertata che l’altra persona presente nella stanza fosse maggiorenne – aveva altre priorità al momento – quindi poteva essere, ma un camice da dottoressa? Davvero? Friday @ Friday della sera prima: basic….bitch.
    Forse… forse era andata ad una festa. In maschera. D’altronde, era il periodo di Halloween, certamente le celebrazioni non mancavano. Come fosse arrivata lì, continuava a restare un mistero. Si decise ad alzarsi, facendo meno rumore possibile – si era palpata, constatando di non avere più la bacchetta; dang – e quatta quatta si avvicinò all’ammasso di vestiti che respirava poco distante. Come tutta quella stoffa fosse finita su quella persona, era un altro mistero – ma forse uno a cui poteva dare una risposta in breve.
    Sempre che fosse una persona, e non un ammasso di vestiti che respirava. Sarebbe stato inquietante da morire, e Friday era una persona fragile. Che gli alieni l’avessero finalmente? Rapita? E PORTATA SU UNA NAVICELLA? Una possibilità che ancora non si sentiva di escludere, perché la speranza era sempre l’ultima a morire. «ehi. Pssst. Ehi….» si sforzò di non pensare assolutamente e per nessuno motivo a Saw, o alla scena specifica in cui il cadavere al centro della stanza si alzò rivelandosi, a fine pellicola, l’enigmista; si obbligò così tanto a non immaginarsi l’addormentatx come uno zombie putrefatto, che ovviamente pensò solo a quello. «bro. Sis. Amigo. principessa» quello includeva tutti i generi, perché LE PRINCIPESSE NON AVEVANO SESSO. Non le sue, e non ai suoi occhi. «se sei morto, tossisci» lasciate fare, aveva tutto senso.
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    Sono poche le certezze della vita, ma ci sono: la pioggia subito dopo che hai lavato la macchina, il ciclo che arriva quando vai in ferie, la caldaia che va in blocco appena hai finito di insaponarti i capelli sotto la doccia, e tante altre sciagure simili.
    Poi ci sono le cose belle: il sole che fa capolino quando devi andare al mare, quelle scarpe di cui è rimasto solo il tuo numero, l'ultima confezione di Pringles classice al supermercato — e la più bella ed nevitabile di tutte: le sandi accoppiate a qualche evento.
    L'unica vera costante del multiverso.
    Non facciamo noi le regole, ma il destino.
    Così come il destino ha deciso che Reese abbia, a quanto pare, problemi di alcol di cui non sapevo nulla: e prima il prompt con l'amaretto, e ora questo.
    Sapete che c'è? Capodanno, un po' ti temo; citazione doverosamente rivisitata.

    Il Withpotatoes, ritornando pian piano cosciente e prendendo nota di tutto quello sterile bianco intorno a lui, per un brevissimo attimo sentì il cuore perdere svariati battiti: “non di nuovo”, si ritrovò a pensare, la morsa al petto a stringere un po' più forte quando realizzò di non ricordare minimamente come fosse arrivato fin lì. Annaspò in cerca di aria, azione che si rivelò più difficile del previsto, sepolto vivo sotto strati di stoffa.
    Si costrinse a rispondere alle domande più banali: chi sono, che giorno è, il nome del ministro in carica. Aveva poco altro che fosse abbastanza inconfutabile da poter servire in quel preciso momento, ma il fatto che fosse riuscito a dare almeno quelle semplici risposte era qualcosa. E, per quanto lo tediasse doverlo ammettere, immaginare le facce dei fratelli e riuscire subito ad associare i nomi ai volti servì per farlo calmare ulteriormente: non aveva dimenticato nulla.
    O meglio, riformulo: ricordava tutto tranne cosa l'avesse portato a morire soffocato sotto. . abiti? Lenzuola? Cos'era, di preciso, che lo stava avvolgendo come un bozzolo? Qualsiasi cosa fosse, avrebbe dovuto muoversi per uscire da lì sotto ma gli arti pesanti e le tempie che pulsavano tremendamente (chiarissimo segno di sbronza, ormai li riconosceva alla perfezione, che volesse ammetterlo o meno) rendevano complicato qualsiasi gesto, anche il più banale.
    A galvanizzarlo definitivamente fu una voce provenire dall'altra parte della cortina di stoffa. Con grande, estrema!, fatica, Reese riuscì a scoprire almeno il volto e se ne pentì immediatamente: troppo luminoso. L'intento era stato quello di rivolgere all'altro individuo uno sguardo glaciale e 100% done per la stronzata appena detta, ma riuscì solo a strizzare gli occhi nel tentativo (fallimentare) di proteggerli dalla luce e borbottare un «s'no 'ivo» che puzzava di rum e rimpianti. Tanti. Troppi.
    Si corresse, dire “vivo” sembrava un'esagerazione al momento. «sv'glio» Beh che anche quello... «dove sono» l'ultima domanda era uscita bene, ma a quale prezzo: era tornato indietro di cinque anni e odiava tutto.
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    E pur si muove. Ritrasse la mano con cui aveva scosso il fagotto, indietreggiando quanto bastava a poter osservare il lento disfarsi dell’ammasso di stoffa da una distanza di sicurezza che le permettesse, se non di fuggire, almeno di afferrare qualcosa con cui colpirlo.
    Un volto fece capolino oltre il Tutto, capelli arruffati e l’occhiata di una creatura notturna che non avesse visto alcuna luce del sole negli ultimi ventotto anni (e perché proprio Sara). Fray corrugò le sopracciglia, chinandosi leggermente in avanti per osservarlo: era indubbiamente familiare (Piz) (Penn), ma la De Thirteenth non era mai stata particolarmente fisionomista. Sapeva di qualcosa di brutto e poco piacevole, e non era riferito all’olezzo di alcool che sentiva dalla sua posizione. Ministero, dedusse l’agente, perché perlomeno le sue :eye: :eye: :eye: intuizioni, solitamente erano corrette e sensate. «s'no 'ivo» quello era quanto dicesse. Fray inarcò un sopracciglio, allungando la mano per dargli una pacchetta laddove immaginava esserci la spalla. «allora comportati come tale» perché non sembrava, né vivo né particolarmente sveglio. «dove sono» Che egocentrico, neanche un dove siamo. Duh! Dov’era lo spirito di squadra? Lo studiò un paio di secondi, schioccando poi la lingua sul palato e sedendosi a terra al suo fianco. «ti posso dire dove non siamo: a casa mia» e sua, probabilmente, ma chi poteva saperlo? I poveri avevano modi affascinanti per tirare avanti. «un resort a parigi. Un’isola caraibica» Arricciò il naso, spostando gli occhi verdi su quelle che, a tutti gli effetti, sembravano le pareti di una cella. «immagino non sia un motel» a meno che non l’avessero arredato particolarmente bene per Halloween, in quel caso chapeu. «se ti va di unirti alla classe, magari lo scopriamo insieme?» gli indicò il rimanente del bozzolo, ed il resto dell’ambiente da esplorare con un ironico sorriso a fior di labbra.
    Aveva davvero una brutta sensazione, e Fray si fidava del proprio stomaco.
    «ci conosciamo? shento di sì, ma non riesco a...» assottigliò labbra e palpebre, unendo pollice ed indice ed osservando intensamente Fu Bozzolo – e non ancora meravigliosa farfalla, ma il post sbronza faceva quell’effetto.
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    Il mal di testa con cui si era svegliato, e che minacciava già di rimanere lì al suo posto come una presenza ingombrante per tutto il resto della giornata (nottata? Che diamine di ore erano?!) era destinato a peggiorare. Lo capì prima ancora di averne la certezza, prima ancora che l’altra tirasse via la moltitudine di strati che lo ricopriva e iniziasse a sputare fuori fiumi di parole che Reese non aveva alcuna intenzione di ascoltare. Ebbe l’infantile istinto di afferrare l’estremità delle coperte improvvisate e ritirarsele su, fino alla fronte, ma rimase stoico nella poco convincente espressione seria che era riuscito a partorire date le pietose condizioni in cui verteva. Aveva deciso di considerarlo comunque una vittoria; da lì poteva solo migliorare. Sperava.
    SI massaggiò le tempie con due dita, ancora sdraiato su quel letto sconosciuto e schiacciato dalle chiacchiere della rossa; un sospiro pesante sfuggì dalle labbra serrate, e Reese pensò che, tutto sommato, non si stava poi così male privo di sensi e beato nel limbo del nulla.
    «se ti va di unirti alla classe, magari lo scopriamo insieme?» Non era una persona particolarmente collaborativa, e lavorare in team gli procurava sempre un certo fastidio (e mal di testa.) perché reputava di essere molto meglio della stragrande maggioranza dei suoi colleghi — quindi no, non voleva unirsi alla classe se quello era il livello degli studenti. Cercò di infondere quella presa di posizione nella nuova occhiata che riservò all’altra, mentre a fatica si metteva seduto e si scrollava via una volta per tutte le stoffe da dosso. Nell’osservarle cadere verso terra, le studiò: sembravano lenzuola, e abiti di vario genere, e forse c’era anche qualche vera coperta lì in mezzo. Con un certo imbarazzo, abbassò lo sguardo su di sé per assicurarsi di non essere nudo: una cosa che avrebbe dovuto fare prima di scoprirsi del tutto ma eh, quanto meno la sua audacia era stata ripagata dal fato poiché scoprì con gioia di non essere nudo, ma di avere addosso una tuta grigia che non ricordava di aver messo la sera prima. Né di possedere, se per questo. La felpa era chiaramente di una taglia sbagliata, e le maniche troppo lunghe. Strano forte, ma poteva andargli molto peggio.
    L’unica cosa nuda erano i suoi piedi. «Hai visto in giro le mie scarpe?» Col cazzo che avrebbe camminato scalzo in quel luogo sconosciuto, chissà quante malattie rischiava di prendersi.
    Alzò lo sguardo, porgendo quella domanda, e cercò di mettere a fuoco i lineamenti della donna che aveva di fronte. «ci conosciamo? shento di sì, ma non riesco a...» «lavoro al ministero» appuntò anche quell’informazione tra le cose che ancora ricordava, una lista che più prendeva forma, più aiutava a far tornare regolare il respiro. Si portava dietro certi traumi, era giustificato.
    Ora che la guardava meglio, in effetti pareva un visto familiare anche a lui. «Reese,» si presentò, allungando una mano e solo dopo un secondo di esitazione aggiunse: «Withpotatoes» Magari non conosceva lui, ma qualcuno dei suoi famigliari. Che gioia. «Potremmo esserci visti lì? Al ministero, intendo.» O magari si erano conosciuti prima e Reese l’aveva dimenticato; in quel caso avrebbe finto con nonchalance di non saperne nulla, tanto lei non gli pareva una tipa molto centrata con la testa.
    «Quel camice l’hai rubato?» Perché, un’altra cosa che aveva notato, nonostante stesse ancora combattendo col post-sbronza, era che la foto sul cartellino e la faccia che indossava l’abito da lavoro non si somigliavano nemmeno un po’. Forse, magari, era il caso che si desse una svegliata e iniziasse davvero a far lavorare le sinapsi: non era la situazione adatta per comportarsi da Isaac. Non sapeva né dove fosse, né con chi si trovasse; le possibilità che Darden avesse ingaggiato qualcuno per farlo sparire erano alte.
    No, anzi, decise un istante dopo: sua sorella non c'entrava nulla perché piuttosto l'avrebbe ucciso lei stessa.
    Se solo avesse avuto le scarpe ai piedi, sarebbe andato a provare la maniglia della porta. «Hai già provato a vedere se si apre?» Tanto valeva chiedere.
    Reese
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    Non era una donna violenta, ma capitava che provasse l’istinto irrefrenabile di tiare una testata nei denti a qualcuno, soprattutto quando quel qualcuno la osservava come avesse domandato che forma di palloncino avrebbe chiesto se un pagliaccio avesse fatto irruzione nella stanza in quel momento. Ricambiò l’occhiata dell’altro con un lento battito di ciglia, perché non sprizzava proprio euforia da tutti i pori neanche lei all’idea di essere lì, ma fare l’indispettito al riguardo non li avrebbe fatti uscire prima, né dato spiegazioni in merito al perchè si fossero svegliati dentro quella stanza.
    Quando vi chiederete ma perché nel mondo magico va tutto a puttane, ricordatevi chi siede fra gli strateghi.
    Dopo essere emerso dagli stracci come un bagnino di Baywatch puzzando come l’after party di un teen party, poi, non era neanche nella posizione di giudicarla.
    «Hai visto in giro le mie scarpe?» Gli rivolse un’occhiata intensa ed allusiva. Decise di essere matura, e non dirgli di guardare nel proprio c-«no.» Che poi, gli chiedeva delle scarpe, e non della bacchetta? Scelse di avere abbastanza riguardo per lo sconosciuto da credere si fosse già accorto di non possederla, e lui, dal canto suo, non credesse lei l’avesse rubata – più onorevole per entrambi. «lavoro al ministero» Più ci pensava, più era ovvio. Lo studiò un altro paio di secondi, decidendo che anche se ne avesse tutta l’aria – e l’attitudine – non fosse un magistrato: dai, avrebbero lavorato allo stesso piano, l’avrebbe saputo! Conosceva i suoi colleghi! Tipo… quel… cosino con gli occhiali. Tondi. Stan? Aveva il cognome di un animale… Stan Fox, sì! (Scott Chipmunks. Almost there) Insomma. «piani alti, uh» suggerì, squadrandolo dalla testa ai piedi.
    Non le piacevano i piani alti. Pensavano di avere un ruolo più importante rispetto al loro solo perché avevano voce in capitolo nella storia, ma sapete chi la portava avanti quella storia? GLI OPERAI. «Reese,» Come cento altri – sembrano tanti perché sono chicchi. «Withpotatoes» AH! UN WITHPOTATOES! Conosceva i Withpotatoes! Di nome, perlomeno. Sapeva avessero la tendenza a sparire e riapparire, erano una specie di leggenda come il triangolo delle Bermuda. Il sorriso di Fray si fece più sincero ed aperto, gli occhi a illuminarsi di affabile curiosità Ricambiò la stretta, scuotendo vigorosamente la mano di Reese. «bella la presentazione. Faceva molto bond. James, bond» ritrasse le dita, portandole alla fronte in un saluto militare. «friday de thirteenth» un nome che non aveva bisogno di molte presentazioni, fosse per la sua famiglia o per il suo lavoro. Avrebbe preferito essere riconosciuta per i suoi articoli? Sì. Accadeva spesso? Non abbastanza. «obliviante» lo disse con orgoglio, sfidandolo a dire qualcosa per cui sarebbe stata giustificata ad aiutarlo nella ricerca delle scarpe, solo per lanciargliele addosso.
    «Quel camice l’hai rubato?» Come, prego? Portò una mano al cuore, lo sguardo a scivolare dal camice incriminato, al volto imperturbabile di “Reese, Withpotatoes”. «il furto è stata la tua prima opzione?» Davvero? A chi – cosa – DUH?! «cioè. Con tutti i centinaia di migliaia di motivi per cui dovrei avere il camice di dory... Il furto? Ti sembro una criminale La era, un pochino, ma non in quel frangente! Alzò un’oltraggiata mano verso l’altro, curvando le labbra verso il basso e strizzando le palpebre. «no, reese, withpotatoes, non l’ho rubato. Ce l’avevo già addosso» chissà se si era infiltrata come tal Dory per salvare il culo di un ubriacone, e poi l’avevano fregata imprigionandola con lui e togliendone ogni memoria. Sarebbe stato DAVVERO MALEDUCATO E davvero da lei in effetti. Maledizione!
    «Hai già provato a vedere se si apre?»
    Lo guardò.
    Ancora. E ancora. E ancora. Senza battere ciglio, con gli enormi ed alieni occhi verdi ad asciugarsi sul quesito genuino, e piatto dell’altro. «La porta. L’assolutamente ovvia porta della nostra cella. Come ho fatto a non pensarci prima. Ci hai salvati. Che occhio. Che intuito. Che...» ingrato, la credeva davvero così stupida? a scanso di equivoci, poggiò – di nuovo. - la mano sulla maniglia, e la abbassò.
    Non successe niente. Sospirò drammatica, scuotendo il capo greve.
    «sconvolta. Stupita. scioccata» il tutto nel tono più monocorde che possedesse, e senza mai distogliere lo sguardo da piedino pulito.

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    Facile per lei pretendere che Reese si rivelasse utile alla causa quando non aveva ancora controllo sul proprio corpo o, peggio ancora, suoi propri pensieri. Nella testa dello stratega c'era rumore statico e le immagini, i ricordi e persino le parole che avrebbe voluto dire arrivavano ovattate e, in molti casi, sconclusionate e prive di senso.
    Qualunque cosa fosse successa la sera prima, dubitava che centrasse solo l'alcol: non era la prima volta che si prendeva sbronze di un certo livello, e nessuna l'aveva mai lasciato così rincoglionito rintronato.
    Un riflesso involontario lo portò nuovamente a massaggiare la fronte, poi fece scivolare la mano all'indietro, verso la nuca, e la lasciò riposare lì alcuni secondi mentre osservava con calma piatta negli occhi azzurri la rossa.
    Ok. Se non aveva visto le sue scarpe, almeno: «hai visto la mia bacchetta?» Si rese conto, ponendo quella domanda, che avrebbe dovuto essere la sua priorità, la prima cosa da cercare non appena aperti gli occhi. Di solito dormiva con il catalizzatore sotto il cuscino, ma svegliarsi in quella stanza sterile e senza ricordi di come ci fosse arrivato l'aveva chiaramente scosso a tal punto da farlo diventare stupido. E distratto, e poco vigile.
    Doveva proprio darsi una svegliata.
    Non importava quanto fosse difficile, doveva sforzarsi di ricordare e iniziare a formulare ipotesi che spiegassero a) dove erano finiti; b) come ci fossero finiti. Non c'era molto da osservare nella stanza, ammobiliata in maniera minimalista: Reese riusciva a vedere solo il letto con struttura in ferro - quello dove era seduto lui -, un comodino di legno vuoto e senza cassetti, l'ammasso informe di stoffa a terra, una scrivania appoggiata alla parete, senza sedia, e la rossa.
    Avrebbe iniziato da lei.
    La squadrò di rimando, scegliendo di non rispondere al commento su James Bond e ritraendo la mano dalla stressa shackerata.
    «friday de thirteenth»
    «La giornalista?»
    «obliviante»
    Ah, okay.
    Si trovava davanti ad un caso di omonimia, o la donna aveva un doppio lavoro? Scelse di dare per buona la seconda: era più interessato a capire perché fosse lì con una obliviante e non ricordasse nulla. Era una coincidenza un po' troppo comoda. Le chiese dunque del camice e non si scompose alla sua risposta.
    «il furto è stata la tua prima opzione?»
    Onestamente «sì.» Non era famoso per essere ben disposto nei confronti degli altri, o di credere nella loro bontà di cuore e innocenza: nessuno lo era.
    «cioè. Con tutti i centinaia di migliaia di motivi per cui dovrei avere il camice di dory... Il furto? Ti sembro una criminale?» Lasciò che fossero le iridi azzurre e lo sguardo impassibile a risponderle per lui: fino a prova contraria, poteva esserlo.
    «Allora come mai hai il camice di “Dory”?» Ma poi chi diamine era Dory? Una Guaritrice del San Mungo? Una psicomaga? Sperava fosse scritto sul cartellino, ma dalla sua posizione non riusciva a leggerlo. «Quale delle “centinaia di migliaia di motivi” ti ha portata ad indossare un camice non tuo?» Non le stava dando il beneficio del dubbio: cercava solo di farla parlare abbastanza da sperare si tradisse da sola tra un commento e l'altro. Avrebbe dovuto fare un doppio lavoro per cercare di cogliere la verità nelle sue risposte, dopotutto era una giornalista e con le parole si guadagnava da vivere.
    Ma Reese non poteva escludere che ci fosse Friday dietro tutto quello; una delle domande che più gli premevano era cosa volesse da lui, ma non l'avrebbe chiesto ad alta voce.
    «no, reese, withpotatoes, non l’ho rubato. Ce l’avevo già addosso» Mh, conveniente. Assottigliò lo sguardo e la studiò intensamente, cercando di immagazzinare quelle informazioni e classificandole in un modo che avesse senso anche per la sua mente ancora inebriata.
    «Quindi immagino non abbia nemmeno tu la bacchetta.» Inutile.
    Una conversazione fatta di sarcasmo e occhiate imperturbabili, la loro. Ottimo.
    Reese non si dimostrò assolutamente smosso dal tono monocorde di Friday; come se fosse un errore dare per scontato non avesse controllato la porta. Fece schioccare la lingua contro il palato, e decise che forse qualche malattia o fungo era il prezzo da pagare per la libertà. Scese dal letto (non senza qualche difficoltà, trovando complicato raggiungere una certa stabilità sulle proprie gambe) e affiancò Friday alla porta, tenendo lo sguardo incollato al suo: se era una sfida di sguardi che voleva, Reese avrebbe potuto farlo tutto il giorno.
    Senza fare un fiato, tentò a sua volta di aprire la porta.
    «Ok. È chiusa.»
    Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
    «Hai detto di averlo avuto addosso, il camice. Quindi non ricordi di averlo indossato?» Troppo comodo, magari stava solo facendo finta. «Ricordi come sei finita qui?» Si guardò intorno: ovunque qui fosse.
    Gli sembrava una stanza di ospedale, e fino a lì.
    Cercò di ascoltare se tante volte, da dietro la porta, provenissero rumori o voci, ma niente. Non c'erano pareti a specchio, o a vetri, né gli pareva di aver visto telecamere in giro, quindi dubitava che qualcuno li stesse osservando — ma non poteva escluderlo. Magari era Friday che lo stava studiando, fingendosi vittima come lui.
    A Reese non piaceva fidarsi delle persone, e per rimanere coerente con se stesso, non l'avrebbe fatto nemmeno quella volta.
    Reese
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    Edited by reset me - 8/10/2022, 13:11
     
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    Non era paziente. Friday De Thirteenth non era mai stata paziente, e non avrebbe di certo cominciato quel giorno, in debito di caffè ed in una situazione così drammatica con un imperfetto sconosciuto. «hai visto la mia bacchetta?» Roteò gli occhi su di lui, stringendoli in due fessure. «ti sembro forse tua madre?» e dov’erano le scarpe, e dov’era la sua bacchetta, era proprio un uomo - e non era un complimento neanche alla lontana. Che poi, anche l’avesse trovata, se la sarebbe tenuta per principio, visto che la sua mancava, e non si fidava affatto di quel tipo. Era così… sospettoso. Perchè era così sospettoso? Solo le persone colpevoli diffidavano sempre degli altri. Drizzò le spalle, scuotendo i capelli ramati con stizza, passando le dita fra i capelli e solo per puro caso lasciando che il medio indugiasse sulle lunghezze. «anche giornalista» si morse la lingua prima di inveire su una polemica che non li avrebbe portati da nessuna parte, e di cui – perlomeno in quel frangente. - Reese non sembrava colpevole. Non bastò ad ammorbidirla il fatto che la conoscesse di nomea (...un pochino sì.) e più lui la osservava come un non particolarmente caso scientifico, più si sentiva ribollire di tutti gli impulsi per i quali sgridava sempre la sua sorellina, tipo ringhiare e mostrare i denti. Cioè. Sapeva che a probabilità, e statistiche matematiche!, avrebbe dovuto essere lei quella guardinga nei suoi confronti? Non sarebbe stata né la prima né l’ultima donna tramortita da uno psicopatico qualunque, portata in un seminterrato, e indotta ad una sindrome di Stoccolma che avrebbe rovinato tutta la sua vita anche se, ed era un grande se, fosse uscita da lì fisicamente illesa. Incrociò le braccia sul petto, allontanandosi di un passo. «Quale delle “centinaia di migliaia di motivi” ti ha portata ad indossare un camice non tuo?» Respira, Fray. Respira. Chiuse gli occhi, le dita a massaggiare la radice del naso. Inspirò profondamente, espirando ed agitando vaga una mano nell’aria. «non so, te la butto lì. halloween?» non sapeva se fosse la verità, ma sicuro un’opzione più probabile rispetto ad un furto. «tu normalmente ti svegli in celle con donne sconosciute? Perché per questo non ci sono centinaia di migliaia di motivi» gli offrì il palmo, invitandolo a consegnare le sue scuse. «ma poi cos’è, un interrogatorio? se è tutto parte di qualche gioco di ruolo – non giudico – sappi che non do il mio consenso» specificò, strizzando gli occhi e poggiando i pugni sui fianchi. Sapeva non fosse il caso; a quel punto, voleva solo dargli fastidio. Prima o poi avrebbe capito che doveva accettare di collaborare, anziché trattarla come il nemico. ...Oppure no, perché era solo un alcolizzato, ma tentare non poteva nuocere.
    A meno che quel tentare non fosse cercare di aprire nuovamente la porta che Fray aveva appena dimostrato non si aprisse, in quel caso nuoceva e di brutto.
    «Ok. È chiusa.» Lo guardò truce, i denti stretti e le unghie conficcate nei palmi per evitarsi di fare qualcosa di stupido tipo tirargli uno schiaffo. «insieme alle scarpe e alla bacchetta, devo cercarti anche il buon senso? chiedo. Chissà se è li da qualche parte… soffocato da tutta questa mascolinità tossica…. » allargò le braccia indicando la piccola stanza nella quale si trovavano. Non c’erano molti posti dove cercare; non c’era neanche un bagno, e dire che il cesso sarebbe stata la sua prima scelta come inizio delle ricerche.
    Umettò le labbra, stringendo il labbro superiore fra i denti, occhi piantati testardamente sul soffitto. «non...lo so, ok? Non ricordo. Ma è strano. non è la mancanza di memorie da alcool, o il vuoto di un incantesimo. Sembra più… sfocato» distolse lo sguardo dall’alto per posarlo sulle pareti, che sfiorò delicatamente con l’indice. Chissà, magari possedevano i Poteri TM dei 7 ed i puri di cuore avrebbero avuto fantastiche visioni sul futuro e la morte imminente! «penso sia questo posto» conosceva abbastanza dei Laboratori da sapere non fosse un’ipotesi così azzardata. Anzi, aveva perfettamente senso che le pareti fossero intrise di magia, risultando in quei buchi neri, perché LEI, al contrario di QUALCUN ALTRO, contribuiva davvero alla risoluzione del caso. «chi hai fatto arrabbiare per finire qui? Immagino sia una lista lunga, ma abbiamo tempo» era indubbio che fosse colpa di Risotto, Fray era una patata e nessuno voleva farle del male. «spero.»
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    «ti sembro forse tua madre?» Fece un favore ad entrambi e non sottolineò l'ovvio, ovvero che sembrasse fin troppo giovane per poterlo essere.
    (Che ne sapeva, lui, che suo padre - quello biologico - avesse la stessa età di Friday.)
    Dove stava il favore? Beh, non avrebbero perso ulteriore tempo a parlare del nulla e sarebbero potuti andare avanti. Solo per rimanere impatanati in un altro battibecco, ma okay.
    Per rimanere in tema età: «non so, te la butto lì. halloween?» Alla sua età andava ancora in giro a fare “dolcetto o scherzetto” indossando una maschera? Okay I guess. A ciascuno i propri hobby — in effetti non era nella posizione di poter giudicare, anche se si sentiva in dovere di farlo. Non ammorbidì l'espressione rivolta alla anche giornalista, ma inarcò un sopracciglio che diceva tutto.
    «tu normalmente ti svegli in celle con donne sconosciute?» Beh. Non “in celle” ma, come disse il saggio: “if I had a nickel for every time mi sono svegliato in una stanza senza memoria e con donne sconosciute, I'd have two nickels — which isn't a lot, but it's weird that it happened twice”. Aveva voglia di condividere tutto ciò con Friday? No, bravi, esattamente. Perciò: rimase in silenzio ed incrociò le braccia al petto, fermo nella sua posizione; le loro situazioni non erano nemmeno lontanamente comparabili, e non gli servivano “centinaia di motivi” per giustificarsi! Era chiaramente lui quello nel posto sbagliato al momento sbagliato!
    Ed era innocente.
    Non che potesse avere la certezza nemmeno di quello, ma voleva crederci.
    Reese abbassò lo sguardo sul palmo aperto di Friday, poi lo alzò lentamente e con apatia fino ad incrociare gli occhi verdi della giornalista. E quindi? Che voleva da lui? Non aveva soldi per farle la carità, e se lei aveva problemi economici era un suo problema. E di sicuro non le avrebbe battuto il cinque come avrebbero fatto almeno due dei suoi fratelli.
    «ma poi cos’è, un interrogatorio?» Uno sbuffo - che non somigliava nemmeno lontanamente ad una risata - soffiò via tra i denti del Withpotatoes. Un interrogatorio? No, per carità: per quello c'erano i suoi colleghi. «Sono uno stratega Come servirle battute su un piatto d’argento, un po’ come con Sara e i “title of your sex tape”.
    Poteva non essere chiaro a Reese, o Friday per quanto ne sapeva, ma era chiaro a pandi: non sarebbero mai usciti da quella stanza perché avrebbero passato il tempo a infastidirsi e mettersi i bastoni tra le ruote a vicenda. Bene ma non benissimo.
    Escape Room: un’esperienza da non rifare.
    «insieme alle scarpe e alla bacchetta, devo cercarti anche il buon senso? chiedo.» Roteò fortissimo gli occhi al cielo, Reese, ignorando il mal di testa che quel gesto - e il fatto di dover combattere con Rossa Malpelo - comportava. Donne. Le diede le spalle, ascoltando quanto ancora aveva da dire (troppo) ma nel frattempo guardandosi intorno con attenzione — per quanto riuscisse. Non c’era veramente nulla degno di nota in quel dannato posto. La porta rimaneva la loro unica opzione: magari potevano tentare di forzarla? Ma nessuno dei due sembrava adatto a rimedi così estremi. Dov’era il loro Paladino Armadio quando serviva.
    «non è la mancanza di memorie da alcool, o il vuoto di un incantesimo. Sembra più… sfocato» Solo a quel punto ruotò appena la testa, osservando Friday da sopra la spalla. Se un obliviante, per quanto chiaramente poco centrata di testa, gli diceva che non si sentiva vittima di qualche incantesimo per la memoria, Reese poteva decidere di crederci. Non era ancora sicuro di potersi fidare di lei, e nessuno gli assicurava che le cose non stessero esattamente come aveva sospettato in precedenza, ma annuì comunque in sua direzione, arricciando le labbra.
    «penso sia questo posto» La mano di lei stava sfiorando delicatamente la parete della stanza, e Reese fece schioccare la lingua contro il palato. Oltre al Kaegan della situazione, ci voleva un tiro di Percezione per capirci qualcosa. «Qualche barriera magica innalzata per confondere le nostre menti?» Che poi, tra tutti e due, non è che ne avessero tanto bisogno eh... ce la facevano benissimo da soli. «Credi -» non voleva dirlo ad alta voce perché sapeva di aver ragione e, una volta nella sua vita, voleva sbagliarsi. «Siamo nei laboratori?» Beh, per lo meno non si sentiva diverso dal giorno prima —quindi dubitava che, chiunque l’avesse rapito e portato lì dentro, avesse avuto il tempo di sperimentare su di lui o privarlo della magia.
    O almeno sperava.
    Si grattò la nuca, pensieroso. «chi hai fatto arrabbiare per finire qui? Immagino sia una lista lunga, ma abbiamo tempo» «Chi ti dice non sia per colpa tua che siamo finiti qui? Potrei essere vittima di qualche tuo gesto folle, per quel che ne so, Dory e le diede di nuovo le spalle, inchinandosi davanti all'ammasso di stoffa per separarne i pezzi: magari avrebbe trovato qualcosa di utile o in grado di dare una scossa ai suoi ricordi, anche se ne dubitava fortemente.
    «Hai niente nelle tasche di quel camice non tuo Magari non era una maschera, magari aveva rubato l’uniforme di qualche dottore per intrufolarsi lì dentro, chi poteva dirlo.
    O magari no, ed era davvero lei la sua aguzzina, Reese ancora non se la sentiva di scartare del tutto l’ipotesi, ma doveva fingere di far buon viso a cattivo gioco e collaborare con lei se voleva uscire di lì.
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    «Sono uno stratega.» Friday De Thirteenth fu abbastanza matura da non fargli il verso, e solo per quello si sarebbe meritata un premio. Strinse le labbra fra loro, scrutandolo a palpebre socchiuse. Strizzò i denti per impedirsi un’ingente mole di cattiverie che il Withpotatoes meritava, ma non in quel preciso momento. Alla fine, si risolse per un diplomatico «si vede» gonfio di piatta ironia, occhi ruotati al soffitto e posati allusivamente sulla stanza. Non aveva neanche le scarpe, e s’impettiva pure a rispondere su quale fosse il suo lavoro.
    Come se Fray gliel’avesse chiesto, poi.
    Infilò le mani nelle tasche del camice per impedirsi di scuoterlo come una pignatta, perché sentiva di essere ad un passo dall’usare le maniere forti. Di nuovo, era abbastanza in sé da rendersi conto che solo una parte di quella frustrazione fosse causata dal suo spiacevole compagno di gattabuia; non era il tipo di persona da sfogare la propria irritazione sugli altri, LEI. CAPITO REESE? DUH. Abbassò il capo, poggiando le dita giunte fra loro sulla fronte, cercando un modo – un’idea, un qualcosa - per uscire da lì. Non poteva rimanere a lungo lontana da casa, proprio perché sapeva che sarebbero andati a cercarla, e le probabilità che si perdessero anche loro, erano altissime.
    Fray era la badger di casa. Dovrebbe già dirvi tante cose.
    Era brava a risolvere i problemi. Non era il supporto emotivo che si necessitava in determinate circostanze, ma aveva sempre un piano. Funzionavano? Raramente, ma non era schizzinosa. «Qualche barriera magica innalzata per confondere le nostre menti?» Mordicchiò distrattamente l’angolo delle labbra, posando distanti occhi verdi sul pavimento. Scosse appena il capo, iniziando a misurare l’ambiente in grandi falcate. «non proprio? Non mi sento confusa» Una pausa. Lo guardò, anticipandolo prima che potesse dire qualcosa di estremamente offensivo. «non più del solito. non è… uno sbilanciamento. Penso sia una barriera, sì, ma penso anche che abbia un’altra funzione» Annuì alla domanda del Withpotatoes, sopracciglia corrugate. «penso di sì? O un posto simile. Potrebbe essere un luogo di stallo prima del trasferimento vero e proprio» Oppure un contrabbando di organi. In effetti, che ne sapeva Friday. Aveva sempre vissuto una vita privilegiata, così lontana da quel genere di realtà, che era difficile dare un contesto concreto. Era anche uno dei pochi pg di Sara a non essere mai stati rapiti! «è come se non riuscissi a collocare temporalmente come sia arrivata qui, quasi qualcuno non volesse far sapere come arrivarci. è...» si strinse nelle spalle, senza sapere come continuare. «Chi ti dice non sia per colpa tua che siamo finiti qui? Potrei essere vittima di qualche tuo gesto folle, per quel che ne so, Dory.» Oh, signore – signora, signori, chiunque ci fosse a darle la forza. Umettò le labbra, pronta ad una risposta piccata ed oltraggiata, quando …
    beh.
    Sapete che c’era.
    In effetti, non era così assurdo. Se fosse stata da sola, non avrebbe avuto mezzo dubbio, perché quella era esattamente il genere di situazione nella quale tendeva a cacciarsi, ma «con te? Non penso proprio» senza offesa, ma non vedeva neanche un quarto di motivo per il quale avrebbe dovuto includere qualcuno in uno dei suoi piani, perfino inavvertitamente. A meno che, certo, non avesse visto qualcosa che non doveva vedere. «non è vero. Potrebbe essere. In quel caso, sono certa avessi avuto un ottimo motivo» allargò le braccia lungo i fianchi, perché era vero. «Hai niente nelle tasche di quel camice non tuo?» Schioccò le labbra fra loro, svuotando le tasche verso l’esterno. Sapeva già non ci fosse niente, grazie tante, ma le sembrava il modo migliore di dimostrarlo, visti i precedenti. Ci mancava solo che la perquisisse come una delinquente qualsiasi. «no, non ho nient-» abbassò lo sguardo sul proprio petto.
    Guardò la porta.
    Guardò la mascherina plastificata con il nome di Dory.
    Battè le palpebre.
    Tolse il tesserino, sentendone gli angoli con le dita. Era abbastanza resistente? «hai qualcosa di lungo» title of your sextape «e sottile? Possiamo provare a scassinare la porta alla vecchia maniera» Gli occhi le brillarono di pura euforia. Sandy – pace all’anima sua – le aveva insegnato a farlo! Non aveva mai avuto occasione di metterlo in pratica!! TRIGGER
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    Il caso (as in: pandi che tenta di dare inizio a questo post) volle che Reese si girasse appena in tempo per vedere Fray inclinare il capo e iniziare pregare.
    Okay.
    Chi era lui per giudicare?
    Reese, è vero: dunque giudicare fu proprio quello che fece, con tanto di sopracciglia arcuate e labbra serrate in una smorfia di disappunto. «non proprio? Non mi sento confusa» il judgement palese nell’epressione decisamente poco convinta dello stratega — se lo diceva lei.
    (Reese non era convinto.)
    «non più del solito.»
    (Non era convinto nemmeno di quello.)
    «non è… uno sbilanciamento. Penso sia una barriera, sì, ma penso anche che abbia un’altra funzione» evitò di chiedere “ma in che senso” come un Linguini (o una pandi) qualsiasi perché era Reese - e non un Linguini (o una pandi) qualsiasi - annuendo e valutando attentamente quelle parole.
    Una barriera magica che non solo li teneva intrappolati lì dentro, ma che potenzialmente serviva a impedire loro di avere una percezione concreta di dove fossero nello spazio – e forse anche nel tempo. Reese ricordava vagamente quello che era accaduto la sera prima, ma poteva davvero essere sicuro che fosse successo davvero poche ore prima? No, appunto.
    Non era chiaro né quello, né dove fossero, anche se entrambi sembravano concordare (finalmente!) su una cosa: i laboratori.
    «Potrebbe essere un luogo di stallo prima del trasferimento vero e proprio» grandioso, perché no. Pensò a Idem, pensò a Gemes e Darden; pensò persino a Poor.
    No, decisamente no: non voleva diventare come loro.
    Reese Withpotatoes non era il supporter numero uno degli special e si sarebbe odiato con tutto se stesso se fosse capitato a lui.
    Sentì crescere la frustrazione, il sangue a ribollire di una rabbia immotivata e che lui per primo non riusciva a spiegare se non con il “è contro natura” del manifesto ministeriale — eppure era così. Quello era un argomento che da sempre (o meglio, negli ultimi cinque anni) lo rendeva sempre un po' più nervoso nel dovuto.
    Scagliò via un pezzo di stoffa inutile, come inutili erano stati tutti gli altri prima di quello. Niente e nessuno che si rivelasse utile, quel giorno!
    «è come se non riuscissi a collocare temporalmente come sia arrivata qui, quasi qualcuno non volesse far sapere come arrivarci. è...» alzò lo sguardo verso Friday, pensieroso: per qualche ragione, il fatto che fossero nuovamente d’accordo non lo tranquillizzava; significava che fossero anche sulla strada giusta e quello gli piaceva anche meno dell’atteggiamento della rossa.
    Dopo qualche secondo di riflessione, però, annuì con aria solenne.
    Aveva senso: anche lui, fosse stato un ribelle estremista che praticava sperimentazioni su maghi e babbani, non avrebbe voluto farsi trovare, né lasciare il modo alle vittime - quelle poche che fossero riuscire a scappare, comunque - di tornare indietro con i rinforzi. Era uno dei motivi per cui al ministero avevano avuto (e continuavano ad avere, ma non era quello il momento o il luogo per ammettere dettagli del genere) difficoltà nel rintracciarli e smantellarli. «Dobbiamo trovare il modo di uscire di qui.» Perché ogni tanto sottolineare l’ovvio aiutava a farlo realizzare, parola di una pandi ormai esperta di escape room dopo ben una (1) sessione.
    Ma i Freese erano nuovamente tornati al loro hobby preferito: battibeccare.
    Okay.
    Sandi be like: you guys, you are not even trying
    «Potrebbe essere. In quel caso, sono certa avessi avuto un ottimo motivo» Lo stratega era molto curioso di conoscere quali “ottimi motivi” poteva mai aver avuro la deThirtheenth — ma era una persona matura e diplomatica quindi scelse saggiamente di andare avanti e non commentare perché di tempo non ne avevano così tanto.
    Avrebbe voluto, però.
    MA NON LO FECE! MH MH.
    «hai qualcosa di lungo e sottile? Possiamo provare a scassinare la porta alla vecchia maniera» Friday lo rendeva davvero, davvero difficile
    Voleva mettersi a fare la James Bond in quel momento? Reese aveva seri dubbi che avrebbe funzionato, e rimase un attimo a fissarla in maniera indecifrabile.
    Poi sospirò.
    «No, non ho nulla, ma fammi cercare...» qualcosa. Cosa? Non ne aveva idea, ma nel tragitto dal letto alla scrivania sperò forte forte di trovare una graffetta o qualcosa di simile, anche una forcina persa da qualche precedente ospite non sarebbe stata male, qualsiasi cosa da poter utilizzare come grimaldello improvvisato.
    Anche se sperare che funzionasse contro la magia era davvero estremo.
    Sapete che c’è?
    Che sto scrivendo io, e io decido che, osservando bene prima il piano di appoggio della scrivania, e poi a terra, Reese notò *rullo di tamburi* una graffetta!! *rumore di applausi in sottofondo*
    Tornò da Friday senza sprizzare gioia o entusiasmo, perché non era detto che sarebbe servito a qualcosa.
    «Può andare bene?»
    Più di questo non posso fare, io pandi as a person.
    Reese, lo stratega: im doomed.
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    La prima role random Sandi, sono stati Mac e Turo. Così simili da essere in parte terrificante, e di conseguenza perfetti per ufficializzare l’unione delle player. Perfetti.
    Poi c’è stato il caos.
    Troy e Kyle.
    Melvin e Grey.
    Hyde e (Hart.) Maddox.
    Ora questo.
    Il loro tempo di armonia e comprensione, chiaramente, aveva avuto un biglietto di andata e ritorno, apertosi e conclusosi con quella prima role, dando spazio al famigerato gli opposti si attraggono di cui, chiaramente, le due fanciulle si sono rese testimonial.
    Alla fine dei fatti, però, hanno funzionato tutti; ce l’avrebbero fatta anche i #freese, malgrado Goku avrebbe detto il contrario.
    ...Probabilmente. Se Friday non avesse ceduto all’istinto primordiale di urlare e lanciargli addosso qualunque oggetto contundente a portata di mano e non, partendo dal letto.
    «Dobbiamo trovare il modo di uscire di qui.» Non poteva credere di aver sentito quelle parole. Non poteva – non aveva - MA DAVVERO? Lentamente, molto lentamente, si voltò verso di lui, guardandolo come non avessero passato l’ultimo quarto d’ora a conversare pacificamente e non l’avesse mai visto prima. Dopo un minuto intero, battè le ciglia, ingoiando lo strillo acutissimo che premeva sulla lingua, e la marea di ingiurie che sentiva ribollire fra i denti. «te lo meriti proprio il tuo stipendio» sancì secca, in un filo di voce. Una nota più alta, e sapeva non avrebbe potuto contenere l’immigrant song dentro di sé. Ricambiò impassibile, e non impressionata, la scettica occhiata alla richiesta di qualcosa di utile, perché evidentemente capitava di rado che dovesse FARE UN FUCKIN QUALCOSA, e si vedeva. Lo guardò anche mentre cercava in giro, rimbalzando gli occhi verdi dal tesserino fra le mani, allo stratega che vagava per la piccola stanza. Era stata entusiasta per tre secondi, all’idea di poter fare qualcosa; era durata poco, ed il suo compagno non alimentava per nulla quelle fiamme. «Può andare bene?» Abbassò lo sguardo sulla graffetta. Decise che non meritava risposta (cosa poteva dirgli? perchè, c’è di meglio qua intorno?), e si limitò a strappargliela dalle mani, ed aprirla fino a che non divenne un (deforme) laccetto di metallo.
    Poi si mise all’opera.
    Si inginocchiò di fronte alla porta, armeggiando con la tessera sull’ingranaggio di chiusura, e con la fu graffetta nella serratura. Strinse gli occhi in concentrazione, cercando di ricordare gli insegnamenti di Sandy, ma non era facile - soprattutto non quando qualcuno la osservava come La Morte personificata attendendo solo il momento propizio per sospirare e dire te l’avevo detto. Digrignò i denti, impegnandosi un po’ di più, quando -
    un rumore.
    E non era stata lei.
    Si volse allarmata verso Reese, occhi spalancati e labbra dischiuse.
    PENSA FRIDAY, PENSA.
    «fingiti morto» sibilò, alzandosi in piedi e guardandosi freneticamente attorno, il cuore a battere allo stesso ritmo dei passi in avvicinamento. Spinse l’altro con entrambe le mani, bisbigliando furiosa «fInGiTi mOrTO» mentre cercava di capire – di pensare – di
    ok.
    OK!
    Oddio. Ok.
    Non sapevano ancora (chi) quanti fossero, o dove fossero, ma … iniziava ad avere un piano. «no solo addormentato, solo addormentato» lo spinse dall’altra parte, iniziando a lanciargli addosso (finalmente) tutti gli stracci con cui era coperto inizialmente, e si coricò nell’esatta posizione in cui si era svegliata poco tempo addietro.
    Si volse abbastanza da portare un dito alle labbra, intimando al Withpotatoes di tacere.
    Magari avrebbero origliato qualcosa di utile.
    Sempre che non li avessero uccisi proprio in quel momento. Haha! Haha……...
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    Fray: *parla*
    Reese: 😑🥱😒

    A summary.

    Ma lo stratega era un signore, ed era educato, ed era civile; per tanto, a quel commento secco - e per nulla affatto sarcastico. -, scelse di rispondere con un finto sorriso cordiale che a malapena coinvolgeva le labbra tirate in una linea stretta, figurarsi gli occhi e lo sguardo gelido.
    Certo che se lo meritava lo stipendio, avrebbe dato del filo da torcere a chiunque avesse avuto dubbi in merito — non fosse stato un mio pg, certo. Ma lo è, per sua sfortuna, perciò off game converremo che Fray aveva ragione e che Reese sia il peggiore degli strateghi (vorrei dire che ha margine di miglioramento, ma mi conosco, sarebbe una bugia); on game, invece, daremo la colpa al suo inesistente interesse e all'atteggiamento tutto fuorché collaborativo.
    Con le braccia incrociate al petto, e gli occhi fissi su quanto Fray stava cercando di fare, Reese si limitava ad osservare l'evolversi di quella scena senza muovere un dito per aiutare la giornalista, poiché lo sapeva, come una certezza impossibile da ignorare, che non avrebbe funzionato. Ma la lasciò fare, perché tanto avevano un sacco di tempo da perdere, EH FRIDAY? FAI PURE CON CALMA MI RACCOMANDO.......... Se fosse stato il vecchio se stesso, quel Reese che aveva dimenticato già da tempo, probabilmente avrebbe approfittato di quei momenti di silenzio per mettere a dura prova la concentrazione della de13th, con un fiume di parole più o meno utile e tanti commenti non richiesti borbottati a mezza bocca — ma non lo era, e quella nuova versione di sé preferiva lasciare che fosse il silenzio carico di significato a parlare per lui.
    Poi, il rumore.
    Non sembrava lo scatto di una serratura che veniva magicamente aperta da abili dita di scassinatrice, perché non lo era. Reese aggrottò le sopracciglia, uno sguardo interrogativo rivolto a Fray e, per un attimo, un breve ma intensissimo attimo, sperò di essersi sbagliato e che quel piano avesse davvero, miracolosamente, funzionato.
    Ma no.
    Bastò l'espressione allarmata che lesse sul viso della sua compagna di cella a fargli cambiare idea, e a riportare il pessimismo cronico nelle vane speranze dello stratega. Ovviamente.
    I passi in avvicinamento fecero tutto il resto.
    «fInGiTi mOrTO»
    Reese era una persona pragmatica, che ragionava prima di agire, ma in quel momento si sentì pervadere da un istinto che non credeva potesse appartenergli, uno che gli suggeriva di mantenere la posizione e non cedere terreno, di farsi trovare pronto — di attaccare prima di essere attaccato. Lezioni che il suo corpo aveva preso in un tempo, e in una vita, di cui lui non aveva più memoria, ma che a quanto pareva erano rimasti marchiati a fuoco in qualche parte della sua natura che l'ex corvonero non conosceva.
    Convincere il suo corpo che non fosse una buona idea, costringere i nervi a rilassarsi e fare come suggeriva Fray, fu estremamente difficile: doveva voleva andare senza nemmeno una bacchetta? Non era quel genere di soldato, lui; quello che poteva affrontare i problemi col fisico piuttosto che con la mente, anche se a vederlo in molti avrebbero potuto crederci, vista la sua fisicità.
    Ma no, Reese non era così; nemmeno in un'altra vita, quando quell'istinto primordiale gli aveva salvato la vita in più occasioni di quante potesse ricordare, aveva mai fatto affidamento solo sul suo corpo rinunciando alla magia: non avrebbe iniziato di certo quel giorno, in una situazione di chiaro svantaggio e senza armi per difendersi. E ancora un po' in hangover, non dimentichiamolo.
    Quindi, alla fine, tornò verso il letto nel quale si era svegliato e lasciò che Friday lo ricoprisse con gli strati di stoffa che l'avevano già quasi soffocato una volta.
    Era una posizione ottimale? No, assolutamente no: si sarebbe trovato in difficoltà e avrebbe avuto poco tempo e spazio per liberarsi della stoffa e attaccare, nel caso fosse stato necessario, ma rimase lì, sdraiato e il volto scoperto quel tanto che bastava per tenere un occhio sulla stanza — e su Fray: chi glielo diceva che non fosse tutto un suo piano? Reese non era ancora disposto a crederle ciecamente.
    Annuì lentamente, stando al piano (quale piano?) poi aprì bene le orecchie per ascoltare, per quanto possibile, eventuali conversazioni (o stralci di esse) provenienti da fuori la porta. Avrebbe voluto affacciarsi alle sbarre che davano sul corridoio, ma non era quello il momento (e prima non avevamo ancora parlato di come immaginassimo 'ste porte. Sandi be like.)
    Con un occhio mezzo aperto, e uno chiuso, guardò Fray (solo perché da quella posizione non poteva vedere altro) (e forse perché era anche un po' fissato e sospettoso, ok, avete ragione) mentre al di là della porta succedevano cose.
    Cosa? Non ne era certo.
    Sentì rumore di chiavi (molte, stando alla sinfonia fastidiosa che provocavano sbattendo le une contro le altre — Reese immaginò ci fossero altre stanze lungo quello, e probabilmente altri corridoi; il cigolio di una porta che veniva aperta e un “quello lì” ordinato da una voce maschile, adulta; il rumore di qualcosa che veniva trascinato brevemente, poi di nuovo la porta che si chiudeva. Reese lanciò uno sguardo interrogativo a Friday, occhiata che si fece allerta quando i passi si interruppero di nuovo — proprio davanti la loro porta. Chiuse gli occhi e serrò i pugni, nascosti sotto stoffa e lenzuola, ascoltando le figure parlare.
    «No,» sempre la stessa voce di prima — doveva essere qualcuno con una certa autorità, fosse anche solo il più anziano del gruppo sconosciuto, «non ancora. Verrà organizzato un altro trasferimento.» una riposta a voce più bassa, che Reese non colse; poi i passi ripresero e la prima voce commentò qualcosa su “ordini e sistemazioni e posti e organizzazione e mal di testa" che si fecero sempre più lontani, fino a che Reese smise del tutto di sentirli.
    Solo dopo qualche secondo di totale silenzio, rotto solo dai respiri dei due inquilini della cella, lo stratega si decise ad emergere dalla tomba di stoffa e sedere sul letto.
    «Spero tu sappia che non funzionerà di nuovo.» quel genere di piani avevano la stessa vita si fiammiferi e farfalle. «Non dovevano essere più di due o tre,» stando alle voci e ai passi che aveva udito, «ma non sappiamo quanti saranno quando torneranno.» Puntellò la lingua contro il palato, riflettendo. «Pensare di coglierli di sorpresa è una follia» e, chissà perché, temeva fosse proprio il piano di (sara) Fray, «saremmo in svantaggio, e disarmati» era bene sottolinearlo, lui non avrebbe preso a testate nessuno, non era una bestia.
    (Forse non l'avrebbe fatto; quel momento di esitazione di poco prima lo aveva lasciato perplesso, preoccupandolo in una maniera che non riusciva a spiegare.)
    «E poi, anche se riuscissimo a scappare» ed era un grande “se”, «...cosa? Dove andremmo? Non conosciamo il posto, i corridoi; non sappiamo se ci sono altre... guardie» per qualche ragione, non credeva fossero dottori, quelli appena sentiti: gli parevano più guardie carcerarie. «rischieremmo solo di finire in qualche altro vicolo cieco, e bruciare il nostro unico vantaggio» la squadrò intensamente, cercando al contempo di formulare un piano.
    Uno diverso.
    Che forse arriverà in un altro momento, quando pandi non sarà divisa tra call, bug di progetto e sonno.
    Reese
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    “Role flash!” Disse, inaffidabile, la Sara di due mesi prima, che ora chiede umilmente perdono alla sua Pandina: it really be like that sometimes.

    Trattenne il fiato così a lungo da iniziare ad avere le vertigini. Si obbligò ad espirare piano, pianissimo, misurando ogni milligrammo d’aria in uscita, pazientando il momento in cui avrebbe potuto incamerare di nuovo ossigeno. Diciamocelo: Friday finiva spesso in situazioni scomode e desiderate, ma raramente si era sentita così vulnerabile. Il fatto che nulla, in quelle circostanze, dipendesse da lei, le faceva venire voglia di strillare e mettere fine a quella sceneggiata il prima possibile; probabilmente l’avrebbe fatto, se l’unico pericolo corso fosse stato il rapimento.
    Non voleva morire. Non quel giorno, non quello dopo, e non per almeno altri sessant’anni, quando sarebbe stata troppo vecchia per capire la differenza fra la ceramica del water e del bidet. Volevano toglierle la magia? Ok, rude, ma poteva conviverci. La vita? Uh uh, e visto che ancora non sapeva i piani dei loro malvagi adduttori, preferiva giocare sul sicuro e non fare niente di azzardato. «non ancora. Verrà organizzato un altro trasferimento.» Non sapeva se prenderla come una buona o una cattiva notizia, e si limitò a non prenderla affatto, troppo concentrata nel mantenere la posizione e tenere gli occhi chiusi per pensare ad altro.
    Aspettò.
    Aspettò.
    Ed aspettò ancora, ingoiando il battito del proprio cuore per poter sentire eventuali altri rumori. Socchiuse le palpebre solo quando sentì suoni provenire dal letto dove non aveva soffocato abbastanza efficacemente il Withpotatoes. Rimase sdraiata per terra, stremata dal calo di adrenalina, e con la guancia premuta contro il pavimento, guardò lo stratega.
    «Spero tu sappia che non funzionerà di nuovo.»
    «manca il complemento oggetto.» osservò, atona, arcuando un sopracciglio. Fingersi morti? Fingersi addormentati? Cercare di aprire la porta? COSA, REESE, COSA NON AVREBBE FUNZIONATO, DIMMI UN’ALTRA VOLTA QUANTO SIAMO FOTTUTI TI PREGO!
    «Non dovevano essere più di due o tre, ma non sappiamo quanti saranno quando torneranno.»
    «mi piace il tuo ottimismo. Dovresti lavorare per la prevenzione suicidi, quelle persone avrebbero proprio bisogno della tue spintarelle» nel vuoto, a decine di metri dal suolo, perché a parlare con l’altro sembrava l’unica alternativa possibile. Rotolò supina, intrecciando le dita sul ventre e sollevando riflessivi occhi verdi sul soffitto. Trovava sempre un modo per uscire da quelle situazioni. Sempre. Quel giorno non sarebbe stata un’eccezione.
    Potevano aspettare che tornassero, fingere un malore, approfittare dell’effetto - «Pensare di coglierli di sorpresa è una follia. saremmo in svantaggio, e disarmati» duuuude. Roteò così veloce il capo verso Risotto, che sentì il collo scricchiolare. Le leggeva nella mente? Sperava di sì, così da risparmiarle di pronunciare ad alta voce tutti i coloriti insulti che aleggiavano qua e là fra i suoi pensieri. «E poi, anche se riuscissimo a scappare..cosa? Dove andremmo? Non conosciamo il posto, i corridoi; non sappiamo se ci sono altre... guardie» Strinse i denti, socchiudendo le palpebre ed inspirando profondamente. Non poteva permettersi di perdere la pazienza. «rischieremmo solo di finire in qualche altro vicolo cieco, e bruciare il nostro unico vantaggio»
    Utile.
    Attese una manciata di secondi, il tempo di assicurarsi che non avrebbe alzato la voce o fatto qualcosa di cui (non) si sarebbe pentita, quindi si alzò a sedere. «quindi la tua alternativa è? Aspettare? Oh, non credo proprio» si alzò in piedi, tornando ad inginocchiarsi vicino alla porta. «sei uno stratega. Sai che non è possibile eliminare del tutto i rischi, solo scegliere l’alternativa meno rischiosa – che, per inciso, non è aspettare che arrivino per il trasferimento e lasciarsi portare via. Se le incognite sono tante in questa cella, figurati nel momento in cui ci spostano da un luogo all’altro. No signore.» girò la testa per poterlo guardare, schioccando la lingua sul palato.
    «ora ti dico il mio piano.
    Cerco di scassinare questa maledetta serratura.
    Se non ci riesco, mi – boh – arrampico, o nascondo dietro la porta, e nel momento in cui arrivano, li colgo di sorpresa e scappo. A caso, perché un’uscita da qualche parte dev’esserci, ed in ogni caso, nulla può essere peggio di rimanere bloccata qui dentro.
    Tu, reese withpotatoes, puoi fare quello che vuoi»
    portò una mano al cuore, scandendo lentamente, «non sei un mio problema» anche se invece un po’ lo era, ma non nel modo che li avrebbe fatti uscire entrambi da lì – anzi. «a meno che, oltre a giudicare, tu non abbia un piano infallibile. Sono tutta» posò la guancia contro la porta, cercando di sentire il meccanismo della serratura, alzando gli occhi al soffitto. «orecchie.» posò nuovamente lo sguardo sul suo compagno di avventure. «ma se devi aprire bocca per dire altre ovvietà, risparmia fiato. Non si sa mai quando potrebbe servirti» tipo quando avrebbe deciso di soffocarlo con un calzino infilato in gola .
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    Le sandi avevano studiato un piano preciso e infallibile per uscire da quel posto, ma nessuna delle due aveva preso appunti quando avrebbero dovuto. Un errore da principianti.
    Quindi, alla fine della fiera, i freese non avevano assolutamente idea di come uscire di lì; solo vaghi ricordi di qualcosa che non era nemmeno lontanamente paragonabile ad un progetto di fuga.
    Erano, di fatto, tornati al punto di partenza.
    Reese si massaggiò le tempie, stanco e messo a dura prova dalla compagna di cella, più che dalla situazione che stava vivendo — il che era tutto dire.
    Non avevano affatto that thing under control, il titolo della role era una menzogna.
    Fray, poi, era lontanissima dalla meta. «quindi la tua alternativa è? Aspettare? Oh, non credo proprio» Strinse le labbra in un'espressione di disappunto, il Withpotatoes, osservando con occhi severi la giornalista. No che non voleva aspettare, ma non vedeva altre soluzioni per il momento, non senza avere una visione più ampia della situazione, o uno stralcio di idea di dove fossero finiti.
    Non avevano nemmeno le loro bacchette, per Merlino!
    O le scarpe!
    Reese non vedeva l'utilità di tentare qualcosa che avevabo già provato — e nella quale avevano miseramente fallito.
    La lasciò fare, però, avvicinandosi a Fray e alla porta solo per affacciarsi finalmente oltre le sbarre della piccola finestrella posta sull'uscio: da lì riusciva a vedere appena una porzione di corridoio e altre stanze sul lato opposto al loro, ma immaginava che ce ne fossero altre anche laddove non arrivava il suo sguardo. Si domandò quante fossero occupate — non abbastanza, forse: non sentiva rumori né lamentele provenire da dietro le altre porte.
    Un'altra cosa che non notava da lì, era una postazione di guardia, o delle guardie e basta se per questo; potevano essere di ronda come non esserci affatto, chiederemo alla palla.
    Okay, le guardie c'erano.
    E non erano di ronda.
    Quindi dove erano?
    «Sus....» ricordate quando dicevo di volere un pg sveglio e intelligente? Beh, a quanto pare non sarà Reese il mio punto di svolta. Chi l'avrebbe mai detto.
    Il Withpotatoes immaginava, comunque, che qualcuno doveva pur esserci, da qualche parte. Si guardò intorno un'ultima volta ma non vide nessuno; prese quindi nota del resto: le pareti di roccia liscia, rovinata; la temperatura abbastanza fresca e umida da suggerire un rifugio probabilmente sotterraneo.
    O forse era solo tenuto terribilmente male.
    Ad ogni modo, posti del genere dovevano avere delle scale da qualche parte, o un portone blindato impossibile da scassinare: la fuga non sarebbe stata semplice e trovare la chiave giusta avrebbe richiesto un miracolo di Natale.
    Anche solo per andare in soccorso di una Fray destinata a fallire nuovamente. Reese rimase attaccato alle sbarre del piccolo oblò, e portò gli occhi verso il cielo. «Ti lamenti davvero ta-» Poi le diede un colpo (abbastanza, dai.) delicato con il piede per richiamare la sua attenzione: dal basso, lei non avrebbe impiegato molto a notare ciò che Reese voleva indicargli.
    «Dimmi che la vedi anche tu,» la guardia sul soffitto.
    Palla burlona.
    Si staccò lentamente dalla porta, portando con sé la rossa: quanto meno, il ninja non sembrava essersi accorto di esser stato sgamato dai due. Reese si fermò solo al centro della stanza, indice alto in direzione di Fray e un piano (folle, assurdo, decisamente non da stratega) a prendere forma nella sua mente. «Ascolta. Il corridoio è vuoto, c'è solo -» indicó verso l'alto, ancora incredulo (ma chi cazzo assumevano da quelle parti...) «quella guardia. Se creiamo abbastanza disordine potrebbe decidere di intervenire,» e la palla ha detto sì, «e una volta dentro, noi la attacchiamo.» l'ho già detto che fosse un piano folle? Beh, lo ripeto.
    Eccola di nuovo lì, quella sensazione di flight or fight di poco prima, che lo implorava di restare e combattere; non voleva ammetterlo nemmeno a se stesso ma il fervore con cui stava riflettendo sui dettagli di quell'idea, lo preoccupavano non poco. Solitamente era più calmo, più meticoloso. Non si riconosceva, ma allo stesso tempo si sentiva come se avesse già vissuto migliaia di momenti simili.
    Decise di non pensarci troppo.
    «Creiamo un diversivo...» si guardò intorno ed indicò il letto. «Ribaltiamo quello,» perché “prendiamoci a schiaffi” era troppo immaturo, «e poi ci nascondiamo. Quando entra, uno dei due gli salta al collo e lo tramortisce.» E perché proprio Fray, cit la palla. «Quando è privo di sensi, lo perquisiamo, gli rubiamo» le scarpe, «la divisa e le chiavi, e lo chiudiamo qui dentro.»
    Picchiettò con due dita sul mento, osservando Friday. «Tu hai un camice, se io mi fingo una guardia abbiamo almeno un'opportunità di tentare di arrivare all'ingresso principale. O uno laterale, mi accontento di tutto.» Proprio così. «Potremmo addirittura aprire le altre celle e creare ancora più caos... per lo meno, quello coprirebbe le nostre tracce. Forse.» Ma voleva davvero liberare chissà chi? Mh.
    Va beh, intanto potevano iniziare dalla fase uno.

    Fase uno: litigare.
    Almeno un punto non l'avrebbero sicuramente cannato.
    «Non ti sopporto più, non ti sta bene niente Guardó Fray in cagnesco, aggirando la struttura del letto. «Allora esponi la tua idea geniale, sentiamo. Adesso sono io ad essere tutto orecchie!» Stava usando un tono di voce troppo alto per i suoi gusti, sentiva già le corde vocali pizzicargli. Ma doveva farsi sentire dalla guardia, no?
    «Stronzate!» e tirò un calcio al letto, riuscendo effettivamente a spostarlo e creare abbastanza casino.

    Fase due: monitorare.
    Dopo aver calciato il letto, Reese azzardò uno sguardo verso la porta con la coda dell'occhio.
    «Bingo.»
    Fece un cenno a Fray, per indicarle l'ombra della guardia oltre le sbarre, nella speranza che ricordasse la sua parte (nascondersi dietro la porta e uscire SOLO al momento opportuno!!) e non mandasse all'aria tutto.

    Fase tre: distrarre.
    Scattò sull'attenti insieme al rumore della serratura che veniva aperta, palmi rivolti verso l'esterno e braccia alzate. «Non è colpa mia.» in effetti, era colpa di Fray che lo triggerava, a prescindere. Rivolse un sorriso sghembo alla guardia, confusa dal baccano ma ugualmente intenzionata a fare il lavoro per cui era pagata (oltre che imitare i ninja). «Le assicuro che non è a me che dovrebbe -» lasciò la frase in sospeso, mentre Fray faceva il suo e lo tramortiva da dietro. Spero. Non lo so, Sara stupiscici.

    Fase quattro: derubare.
    «Cazzo, questo qui ha solo una chiave.» Possibile che fosse così inutile?! Maledetto. La intascò comunque, Reese, prima di prendere anche la giacca dell'uomo. E le sue scarpe.

    Fase cinque: uscire.
    «Andiamo.» Dove? Non lo so, lo scopriremo insieme al prossimo post.
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    CITAZIONE
    19) [ON] una chiave che apre qualsiasi porta chiusa (purchè non sia chiusa con un incantesimo di magia superiore; funziona come un alohomora)
     
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