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cj ft. nelia

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    cj knowles
    Una pessima idea, gli avevano detto al Quartier Generale osservandolo con schietto cinismo, quando aveva annunciato di voler lavorare al Ministero. Come se l’ex Tassorosso avesse chiesto la loro opinione, o avesse dato l’idea malsana, e sbagliata che potesse fottergliene qualcosa di quel che pensavano delle sue idee. Cristo Santo, la sua intera esistenza era una pessima idea, tanto valeva mantenere un certo canone. Non come Pavor, un mestiere troppo sottile quando dovevi farlo da doppiogiochista; lui era grezzo, e violento, e arrabbiato, e giustificato agli occhi del Ministero o chi per esso nel mostrare abiti sporchi di sangue e lividi violacei sulle braccia. Una bestia, e quello gli animali dovevano limitarsi a fare: seguire gli ordini, e masticare fino all’osso.
    Spense la sigaretta sulla suola della scarpa, soffiando il fumo dalle narici nell’ascoltare gli ordini di Akelei Beaumont. Sua suocera. Sempre meglio lavorare al fianco della donna, che a quello di suo padre. Per il proprio tirocinio, aveva chiesto a Gemes Hamilton di fargli da tutor per capire se come colleghi sarebbero sopravvissuti, e con una risposta – quasi – positiva intascata in saccoccia, aveva deciso che potesse tornare ad ignorarlo. «ricevuto, boss» Se CJ avesse voluto, avrebbe potuto dedicarsi al lavoro d’ufficio, essere un’ombra a inseguire i cattivi della loro storia. Avrebbe potuto vendere sorrisi e promesse come Aidan, studiando caso per caso e comportandosi di conseguenza. Ma non voleva. Non li avrebbe aiutati ad essere il blocco di sicurezza che si proponevano d’essere. Avrebbe svolto il proprio lavoro quando richiesto, eseguendo ordini come un cazzo di bravo soldato – combattendo una guerra tutta diversa. Diplomandosi alla veneranda età di ventun anni, aveva già dimostrato di essere poco affidabile, e stupido, per svolgere quel tipo di lavoro preciso e minuzioso. Spaccare qualcosa? Il migliore, ed a quello l’avevano relegato. Non lo chiamavano in causa per gli interrogatori con i civili, a meno che non fosse qualcuno di sacrificabile con cui potesse essere il poliziotto cattivo. Non lo chiamavano a sedare conflitti, perché non chiedevi ad un fiammifero di spegnere un incendio. La sua specialità erano i difettosi. Gli errori nel sistema. L’incastro del meccanismo. I problemi da eliminare, e non mancava di cogliere l’ironia nel rendersi conto di essere più simile a loro, che a non al resto dei cacciatori.
    Quel giorno, eccetto la compagnia, non era diverso dagli altri: gli avevano detto dove andare, cosa cercare, e come comportarsi. Gli piaceva definirle linee guida entro cui spostarsi del millimetro adatto per fingere di seguirle; alle sbavature, soprattutto nel loro campo, nessuno faceva caso.
    CJ aveva scelto i Cacciatori per giocare al loro gioco, ma secondo le proprie regole. Poteva anche essere un soldato, ma non era la pedina di un cazzo di nessuno.
    Dei propri indagati, era capitato che qualcuno l’avesse lasciato scappare. Si era fatto malmenare, per scena e scelta, ma se non presentavano un rischio per nessuno, chiudere entrambi gli occhi ed incassare non gli costava un cazzo. Di reputazione da sputtanare, non ne aveva mai avuta.
    Era capitato che uccidesse qualcuno. Si fermavano in vicoli ciechi, chiudevano i pugni lungo i fianchi, e bisbigliavano che preferissero la morte al tornare schiavi e reietti; CJ li accontentava. Era capitato che li ammazzasse perché i capi volevano li portasse al Ministero per interrogarli, e sapeva che qualunque cosa avrebbero fatto alla sede centrale, sarebbe stato peggio della fine rapida ed indolore che potesse loro offrire. Tanto a nessuno fotteva un cazzo, dell’ennesimo disadattato morto in un vicolo.
    Era capitato che facesse degli scambi. Non poteva tornare sempre a mani vuote; aveva imparato ad accettare e rispettare i sacrifici degli special messi all’angolo, barattando la loro libertà per quella di qualcun altro, non abbassando lo sguardo alle lacrime e le preghiere di prenderli entrambi.
    Era capitato che non potesse fare nessuna delle precedenti. Che li eliminasse perchè davvero un pericolo; che li trascinasse al Ministero, sorridendo fra i denti al terrore dell’individuo in manette; che offrisse un mezzo inchino ed un regalo alla Beaumont o chi per essa.
    Nessuno era perfetto, e nessuno si aspettava che CJ Knowles lo fosse.
    Si congedò dall’occhiata gelida del suo capo con un cenno alla fronte. «non la deluderò» sapevano entrambi, l’avrebbe fatto. Nato come delusione, sarebbe morto come tale e non gliene sarebbe mai fottuto un cazzo di dare spiegazioni o cercare di cambiare: se decidevano di aspettarsi qualcosa da lui, sembrava un problema loro.
    Prima l’avrebbero capito, prima avrebbero smesso di sprecare sguardi mortificati e pietosi nei suoi confronti. Tendevano a rimbalzare e colpire il mittente come fottuti boomerang. «se poi ci scappa qualche morto, succede»

    «l’hai ucciso?»
    Sibilò da un angolo della bocca, un piede sopra il tavolo del consiglio e l’altro sul pavimento a mantenerlo in instabile equilibrio su due gambe della sedia. «avrei dovuto?» domandò, lasciando che una scheggia di sorriso tagliasse l’aria. «sei sicuro non ti abbia seguito?» William Barrow non parlava dello special che il Knowles aveva scortato al Ministero. CJ si era presentato al Quartier Generale per fare rapporto, leggendo ad alta voce un inchiostro su carta che talvolta alcuni sembravano dimenticare, ovverosia che nessuno si fidasse di un cazzo di nessuno – e di certo la Beaumont non si fidava di lui. Si era sentito osservato, tutto il tempo, ed aveva agito come aveva ritenuto corretto fare, sbattendo così forte la testa dell’idrocineta contro il muro da sperare che quando avesse recuperato i sensi, i suoi gemiti soffocati sul non sapere dove fossero nascosti gli altri sarebbero stati sinceri. L’aveva lasciato ad una morte lenta ed agonizzante? Un possibile strumento nelle mani del governo? Sì. Aveva avuto scelta? , e se ne prendeva le sue cazzo di responsabilità. «sono qui, no?» biascicò lento, perché cosa pensassero di lui non era un problema di CJ. «non risponde alla mia domanda», perché era una domanda di merda. Il cacciatore si strinse nelle spalle. «di certo c’è solo la morte. A volte, manco quello» ammiccò, spostando sottili occhi verde bottiglia sul capo della Resistenza. «non è un gioco» Considerando che il capo dei Cacciatori lui se lo scopava, non trovava fosse il più adatto a giudicarlo su cosa o meno fosse un passatempo. «ok» lo osservò intensamente, crudelmente, con quel pensiero fisso che se avesse smesso di trattarli tutti come dei grandissimi coglioni, forse i numeri della resistenza non sarebbero ai minimi storici. Il Barrow mormorò qualcosa a bassa voce, lasciandosi alle spalle una stanza deserta ed un CJ Knowles ancora intento a dondolare sulla sedia. Non era il primo Barrow a liquidarlo così; sperava almeno fosse l’ultimo. Posò uno sguardo distratto sulle restanti sedie vuote della stanza, sulle pareti grigie e del tutto anonime della sala del consiglio.
    Odiava il Quartier Generale.
    E odiava gran parte delle persone che ivi mettevano piede, non solo perché perderli, qualcosa che sapeva sarebbe successo, sarebbe stato più semplice, ma perchè sì. Non condivideva tutto ciò che erano, o come lo concepivano. Sapeva che fossero diversi da lui tanto quanto i Mangiamorte del Ministero, che la sua partita non fosse allineata neanche alla loro.
    Era un anomalia nel sistema. Una falla. Qualcosa che si tendeva a guardare il meno possibile. Tollerato, nella migliore delle ipotesi. Trattato con sufficienza.
    CJ non era parte della squadra, ma sapete che c’era? Loro non lo erano della sua.


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    nelia hatford
    «mh, dammi un secondo» fu quello che Nelia sentì.
    Disinteresse e un pizzico di strafottezza nello sguardo scuro completamente perso dietro uno schermo digitale fu, invece, quello che Nelia vide.
    E a Nelia non piaceva quell’elemento.
    Fece schioccare la lingua contro il palato, stretta serrata intorno al bo su cui poggiava parte del suo peso e poi, con un gesto secco e preciso, colpì il tablet che Kyle aveva in mano. Il bastone passò a tanto così dal naso del pioniere, e l’espressione seria di Nelia lasciava intendere che fosse voluto e non una mera fortuna; se avesse desiderato, se lo avesse desideato davvero, avrebbe potuto far male. «No.» Il coreano doveva reputarsi fortunato che Nelia avesse scelto un arma bianca e non la bacchetta magica e un incantesimo potenzialmente letale: «se fossi stata un Mangiamorte, a quest’ora saresti morto.» Loro non gli avrebbero “dato un secondo”, non vedeva perché avrebbe dovuto farlo lei. «Il fatto di essere incredibilmente fortunato,» gli occhi scuri non mollarono nemmeno per un istante l’altro ribelle, mentre continuava (con la ramanzina.) la sua lezione «non ti rende immortale. Anzi, al contrario: ti rende più stupido Alzò un dito prima che Kyle potesse ribattere, l’indice puntato contro l’altro come di solito faceva con Ben (o con i suoi amici) quando doveva riprenderli. «Non ho finito Era solo all’inizio. «Non mi interessa quanto intelligente o pieno di risorse tu sia: la testa va utilizzata nella giusta maniera, e non puoi chiedere ai nemici di aspettare Senza avvertimento alcuno, mosse velocemente il bo per cercare di colpire l’altro all’altezza del busto; lui si scansò in maniera totalmente casuale e scoordinata, ma riuscì ad evitare l’attacco. Nelia strinse le labbra in una linea dura.
    Attaccò di nuovo.
    Kyle scartò a destra all’ultimo minuto, senza nemmeno vedere il colpo, e sorrise soddisfatto.
    A quel punto, la ex Tassorosso sorrise a sua volta, ma senza calore, e, spingendolo con una sola mano e sfruttando la gamba che aveva piazzato dietro quelle di Kyle, lo atterrò. «La fortuna può aiutarti solo fino ad un certo punto.» Come se non fosse abbastanza, prese il bastone e lo piantò sul petto del ragazzo. «Sei morto. Di nuovo
    «Sì, ma -»
    Lo colpì nuovamente, stavolta sul fianco.
    «Morto.»
    «Ma-» Di nuovo, un calcio alla gamba.
    «Morto. I morti non parlano.» E lei- loro! – lo sapevano: avevano perso abbastanza compagni, perché non volevano capire che non era possibile scendere in campo senza la giusta mentalità, senza il giusto allenamento?
    Le missioni, le imboscate, le rappresaglie... non erano gite a cui potesse partecipare chiunque; e se doveva fare la guastafeste e la persona pallosa e mettere il veto sul loro essere più o meno pronti per il campo di battaglia, lo sarebbe stata. Preferiva essere “Nelia la rompipalle” che vedere l’ennesimo ribelle morire.
    «In piedi.» Se Kyle pensava che con un po’ di furbizia o con qualche incantesimo speciale e diverso, o utilizzando i suoi gadget strampalati, potesse vincere tutte le partite giocate, era decisamente più stupido di quanto Nelia immaginasse.
    Se preferiva gli onesti che, consci di non poter contribuire in battaglia, preferivano ruoli di studio e ricerca? No; Nelia sosteneva che tutti dovessero essere almeno in grado di difendere se stessi — e possibilmente anche gli altri. Avere almeno le basi, che fossero duelli magici o combattimento a mani nude. Un mago poteva essere disarmato in qualsiasi momento, e uno special reso inoffensivo e non più in grado di ricorrere al proprio potere: a quel punto cosa rimaneva, se non il proprio corpo? Nelia non poteva accettare — no, tollerare che venisse dato così poco riguardo a elementi di rilevante importanza.
    Si piazzò di fronte a Kyle, e lanciò il bo lontano dal tappetino dove si stavano allenando.
    «Cerca di mettermi ko.»
    Ancora prima di vederlo compiere il gesto, già sapeva: alzò il braccio giusto in tempo per colpire quello dell’altro con un pugno, prima che Kyle potesse afferrare la bacchetta che teneva in tasca. Il colpo procurò una smorfia di dolore al pioniere e gli fece mollare la presa dal catalizzatore, che Nelia calciò via.
    Inclinò la testa verso la spalla, braccia larghe e palmi verso l’alto. «Sto aspettando.»
    Ancora una volta, intuì la mossa prima ancora che il Kang l’attuasse, e quando lui cercò di caricarla rugbista style lei lo attese con calma e pazienza: solo quando Kyle la afferrò in vita, passò al contrattacco, prendendo il mago dai fianchi e gettandosi all’indietro sul tappetino, portando Kyle con sé. Veloce come aveva agito, si mosse per prendere nuovamente posizione e fermare Kyle sul pavimento, un ginocchio sullo sterno e un braccio schiacciato contro la gola. «Decisamente morto
    Lo tenne così qualche istante in più del necessario, giusto per lo sfizio di poterlo fare, poi con due buffetti sulla guancia lo lasciò andare. «Sei prevedibile, riuscivo a capire le tue mosse ancora prima che tu le pensassi. Devi bilanciare istinto e mente, Kyle. Il fatto che tu sappia usare la testa è un’ottima cosa, ma devi sapere come farlo sul campo. Una riflessione di troppo, in battaglia, può costare caro; una distrazione può risultare fatale. Non devo essere di certo io a ricordartelo.» Dopotutto, JD si stava ancora riprendendo e forse non sarebbe mai più tornato lo stesso — e lo sapevano entrambi. Ma per lo meno, il Kim poteva raccontarlo.
    «Non fraintendere: la tua bravura negli incantesimi è notevole e può rivelarsi preziosa,» raccolse il bo da terra, facendolo roteare un paio di volte, «ma ti manca la disciplina. Il saper stare nella mischia. Non scherzavo quando dicevo che troppa fortuna può giocare a tuo sfavore: ti rende incosciente. Pensi che possa bastare a salvarti la pelle, ma non è così. Bisogna imparare a contrastare i nemici, a prevederli — a sfruttare il secondo per difendersi e non riflettere su come farlo.» Non pretendeva che si gettassero nelle missioni no thoughts head empty, animali pronti a caricare senza il minimo giudizio, e anzi, era una delle prime cose che insegnava anche ai suoi studenti: essere presenti con la testa ma non perdere mai di vista né l’obiettivo, né l’ambiente circostante.
    Lucidi. Acuti. Letali.
    Vivi: quello era il suo goal, la sua missione.
    «Ci rivediamo qui la settimana prossima, Kyle.» Un sorriso, finalmente, piegò verso l’alto le labbra di Nelia: doveva mostrarsi dura, inflessibile, quando si trattava di allenare i compagni perché su di lei ricadevano troppe responsabilità, non poteva permettersi di essere meno che perfetta. Ma nel cuore, e a fine lezione, rimaneva pur sempre Nelia. «Mi raccomando.» E, proprio perché Nelia, lasciò cadere così quell’ammonimento ominous prima di uscire dalla sala d’addestramento e dirigersi verso quella delle riunioni, dove sperava di poter beccare William per fare un piccolo briefing sulle sessioni tenute quel pomeriggio.
    E invece: niente Will.
    «Non dondolarti sulla sedia, altrimenti cadi e ti fai male.» cit. una qualunque maestra @ pandi. Diede le spalle al Knowles, versandosi un bicchiere d’acqua con estrema calma.
    Ecco, CJ? CJ le piaceva — che è forse un’affermazione peculiare per una Nelia, ma era la verità. Poco collaborativo, certo, ma determinato. Aveva uno stile di combattimento che non necessariamente soddisfaceva la professoressa ma quanto meno sapeva fare il suo: era innegabilmente un combattente nato. O cresciuto, probabilmente, vista la ruvidità nei gesti e le espressioni feroci che spesso scorgeva sul suo volto giovane.
    Era allo stesso tempo una preoccupazione e una certezza.
    «Vuoi dell’acqua?» Perché ammonirlo di “non fare quell’espressione”, voltata di spalle, sarebbe stato un po’ troppo da bigSister!Nelia e poco da collegaRibelle!Nelia e poteva risparmiarselo.

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    cj knowles
    Puntellò la lingua contro il palato, lo sguardo verde abbandonato da qualche parte sulla superficie del tavolo. Presente, cosciente, ed allo stesso tempo distante e distratto. Intoccabile, così che nulla potesse lasciare la propria impronta. Non si era unito alla Resistenza per fare gruppo, e non l’aveva fatto per essere capito. CJ Knowles si sarebbe trascinato il corpo moribondo del ragazzo disadattato ch’era stato ovunque fosse andato, chiunque avrebbe finto di essere – quindi perché provarci? L’avrebbero sempre visto come quello poco attento, quello un po’ troppo arrabbiato, che quando mostrava i denti lo faceva con già brandelli di carne a penzolare sulla lingua.
    Non avrebbero neanche avuto del tutto torto. Era, quella persona.
    Ed era anche la stessa di cui avevano bisogno, quindi non vedeva perché avrebbe dovuto sforzarsi a darsi un altro senso, quando una logica personale già la possedeva e rispettava.
    Non si voltò quando sentì qualcuno entrare nella stanza. Non era interessato all’ennesimo ribelle passato ad assistere allo spettacolo, o a raccoglierne i pezzi per rimettere in piedi la scenografia. «Non dondolarti sulla sedia, altrimenti cadi e ti fai male.» Rimase in placido equilibrio sulle due gambe incriminate, spezzando le labbra in un sorriso sardonico. Quello, gli avrebbe fatto male? «l’infermeria è libera» Non smise, né dondolò più forzatamente. Rimase in stasi, un dito a mantenere l’equilibrio dalla superficie di fronte a sé. «bisogna tenerli occupati, o si dimenticano come rimontarci» Era uno sporco lavoro, ma qualcuno doveva pur farlo. Si strinse appena nelle spalle, senza guardare la Hatford al limitare della stanza. Non aveva avuto una madre a redarguirlo per (più anni di quanti avesse memoria) una vita, non avrebbe cominciato in quel momento. «e se mi faccio male, meglio: non è così che impartite le lezioni, da queste parti?» parole polemiche, ma un tono di voce piatto e non impressionato, alleggerito appena da una nota di tossico divertimento.
    CJ non credeva che i Ribelli fossero diversi dal Regime che l’aveva cresciuto; pensava solo che ne valessero più la pena.
    «Vuoi dell’acqua?»
    Dell’acqua… Rise piano, grezzo ed affilato, lasciando cadere con un tonfo sordo le gambe della sedia sul pavimento. «nah» come...facevi a sapere che sono io. «qualcosa di più forte, magari» ruotò gli occhi sulla donna, assottigliandoli fino a lasciarne solamente una scheggia giada. Il sorriso che le rivolse, era feroce e domato – si teneva al guinzaglio, il Knowles; mordere tutti rovinava le gengive. La assestò un paio di secondi in silenzio, arcuando entrambe le sopracciglia con una punta di scherno. Non dava l’idea di essere il tipo di persona in grado di sciogliere i nervi con del buon whisky; le offrì l’opzione estrema e spericolata che l’espressione seria di lei meritava. «tipo un tè caldo»

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    nelia hatford
    Nelia aveva affinato con gli anni la sottile arte del non darlo a vedere, imparando a nascondere emozioni che un tempo sarebbero apparse senza alcun preavviso su un viso troppo espressivo, troppo onesto. Crescendo aveva fatto propria quella tecnica di finto distacco — e spesso se ne era servita per dimostrarsi distaccata o insensibile al mondo, specialmente quando il mondo decideva che non aveva sofferto abbastanza e che meritava di più. Serrare la mascella, tenere lo sguardo serio ma imperturbabile, non lasciare che alcunché trapelasse sulla piega delle labbra o nel luccichio degli occhi; era così che era diventata brava a (mentire) omettere la verità, anche davanti a coloro che amava.
    Dentro, un tumulto di emozioni tenuta a stento in controllo, che si aggrovigliavano le une sulle altre e minacciavano di esplosione; fuori, una maschera di calma e serietà che avrebbe messo a disagio chiunque.
    Era così che era sopravvissuta fino ai trent'anni.
    Così che era andata avanti.
    Perciò non reagì alle parole di CJ, limitandosi a versare altra acqua nel bicchiere e prendendosi del tempo prima di voltarsi nuovamente in direzione del ragazzo.
    Non era d'accordo; per un motivo o per un altro, i loro guaritori lavoravano fin troppo per i gusti di Nelia. In un mondo ideale, i loro numeri e i loro mezzi non sarebbero stati così esigui, e ogni azione non avrebbe comportato perdite ingenti, né brutti incidenti. Ma, ancora una volta, se si fosse vissuti nel suo mondo ideale, non ci sarebbe stato affatto bisogno di un'infermieria ribelle per rimettere insieme i loro pezzi.
    Tenne lo sguardo scuro fisso sul Knowles, labbra strette intorno al bordo del bicchiere e l'accenno di un sorriso cordiale a scaldare appena l'espressione seria; uscita dalla sala di allenamento, tornava ad essere una versione di sé abbastanza fedele all'originale — non del tutto, ma ci provava. Non avrebbe potuto mai perdere la dolcezza nello sguardo, o il calore della piega sorridente; rimanevano una delle pochissime armi con cui poteva far guerra al mondo intero.
    «e se mi faccio male, meglio: non è così che impartite le lezioni, da queste parti?» Solo a quel punto mise da parte il bicchiere, fianchi poggiati contro il mobile alle sue spalle e braccia incrociate al petto. «anche, ma non sempre. dipende.» c'erano persone che, per necessità, bisognava piegare fino a portarli al punto di rottura per dimostrargli (e fargli capire) quanto potessero sopportare; altri ci arrivavano da soli, ed erano disposti a testare i propri limiti senza bisogno di interventi esterni. Nelia preferiva di gran lunga i secondi e non si tirava mai indietro quando c'era da aiutare, ma non si tratteneva nemmeno nei confronti dei primi: le piaceva spingerli a tanto e vederli soffrire prima di stare meglio? No, assolutamente no; ma certe volte era inevitabile. Si strinse nelle spalle, lasciando cadere lì l'argomento. Cj poteva vederla nel modo che preferiva: lo facevano tutti.
    Alcuni di loro, persino i più dediti alla causa, spesso storcevano il naso nell'udire certe strategie, e non sempre condonavano i mezzi grazie ai quali i ribelli ottenevano risultati. Quello che non tutti comprendeva era che i Mangiamorte tessevano un gioco le cui regole erano in continuo cambiamento, e loro non potevano permettersi di rimanere indietro — c'era troppo in ballo.
    Nelia aveva accettato da un pezzo il prezzo da pagare per cercare di garantire alle generazioni future un mondo migliore; nessun Cj della situazione avrebbe potuto farla sentire in colpa per quello.
    Rendere più forti i ribelli era anche un suo compito, e non lo avrebbe preso alla leggera; avrebbe fatto tutto il necessario per raggiungere l'obiettivo. «ma farsi male cadendo dalla sedia è da stupidi, e non insegna nulla.» solo a non rifarlo, ma Cj non le sembrava il genere di persona che imparava da quel genere di errori; anzi, tutt'al più, avrebbe scommesso galeoni su galeoni che sarebbe tornato a dondolarsi ancora e ancora solo per il gusto di farlo.
    E di cadere di nuovo.
    Non avevi quel sorriso affilato a vent'anni senza essere caduto svariate volte.
    L'importante era rialzarsi, diceva sempre lei — ma anche evitare di perdere brandelli di se stessi nel processo era uguale significativo.
    «qualcosa di più forte, magari» ricambiò lo sguardo, invitandolo a continuate: non era sua madre, non era sua sorella, non era nemmeno il suo capo — non gli avrebbe impedito si sbronzarsi se avesse voluto. Ma era Nelia, e avrebbe frowned upon un comportamento del genere perché non risolveva nulla. Lei lo sapeva. Fare la spia a William sarebbe stato divertente, ma non avrebbe portato a granché.
    Soffiò via un alito leggero dalle labbra appena dischiuse, poi sorrise a quel «tipo un tè caldo» che aveva tutta l'aria di essere un ripiego, una provocazione alla quale la Harford non avrebbe abboccato. La lingua schioccò contro il palato, e Nelia staccò i fianchi dal mobile per dare nuovamente le spalle al ragazzo. «perché no» aprì le ante della piccola dispensa, dove sapeva fossero stipate scatole e contenitori piene di infusi ed erbe, «non manca si certo la scelta» un colpo di bacchetta e svariate bustine svolazzarono verso il tavolo, disponendosi in bella mostra davanti a Cj. «da quando Wren è qui, non mancano mai» non tutti erano caldamente consigliati dalla professoressa, ma avrebbe lasciato l'ex tassorosso formulare le proprie preferenze o meno.
    «aspettavi qualcuno? io ho tempo per una tisana, e non mi dispiacerebbe po' di compagnia» Nelia non era brava come Nicole o Akelei a far parlare le persone, né in un modo né nell'altro, ma sapeva stare anche nei silenzi — a dire la verità, erano forse la parte delle conversazioni che, crescendo, aveva scoperto di adorare di più.
    I silenzi dicevano tutto, ancor più delle parole.

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    così a sentimento direi che non ha né capo né coda ma mi ami lo stesso lo so............ non rileggo nemmeno — per oggi .
     
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    «ma farsi male cadendo dalla sedia è da stupidi, e non insegna nulla.» Guardò Nelia arcuando entrambe le sopracciglia, senza sottolineare un ovvio già implicito nella sua frase. Era un comportamento stupido ed incurante, e farsi male in quel modo, insegnava ben più che non commettere lo stesso errore: conseguenze. Azione e reazione. Uno di quei meccanismi che venivano assorbiti naturalmente in giovane età, applicabili a tutti i campi nella vita. «siamo d’accordo sul non essere d’accordo» concesse, strizzando i denti in un ghigno, aprendo entrambi i palmi sul tavolo del Quartier Generale. Pensava in grande, CJ Knowles - pensava tanto, pur dimostrandolo poco.
    E non aveva mai avuto nessuno che gli insegnasse un cazzo di niente, da bambino. Nessuno gli aveva mai detto di non correre tenendo in mano le forbici, o non dondolare sulla sedia, o non camminare all’indietro. Competenze acquisite tramite osservazione e bendaggi.
    Pur essendo stata una sua proposta, non voleva davvero del tè caldo. Non era mai stato abbastanza inglese per apprezzare la bevanda fumante.
    (Non aveva mai avuto tempo per fermarsi, e farsi una cazzo di tazza di tè caldo.)
    «grazie wren» apatico, con sempre l’ombra del sorriso a torcere un angolo delle labbra. Con tutte le cose interessanti che avrebbe potuto portare l’Hastings, aveva scelto il tè: che mestizia. «aspettavi qualcuno? io ho tempo per una tisana, e non mi dispiacerebbe po' di compagnia» Roteò gli occhi versi sulla donna, osservandola senza battere ciglio. Dopo un paio di secondi di allusivo silenzio, offrì la parodia di una risata rauca e ruvida. «ho smesso di aspettare» piegò il capo sulla spalla, tirando il sorriso sulla bocca fino a formare una fossetta sulla guancia che tutto faceva eccetto farlo sembrare più innocuo. Una vita prima, aveva smesso di farlo – di credere che qualcuno sarebbe arrivato. Avrebbe potuto dirle che no, aveva finito il proprio report e doveva solo andarsene (a fanculo), ma le risposte dirette alle autorità non rientravano nelle sue capacità. Ci girava attorno come un gatto attorno al topo, alludendo a mondi interi sputati fra sangue e veleno senza mai completarne le pennellate. «non sono molto di compagnia» Che era il suo modo per dirle che sarebbe rimasto, malgrado non comprendesse perchè mai fosse stato invitato a farlo. Non era certo famoso per essere il compagno più piacevole in circolazione; avevano il fu comatoso Kim per quello, no? O Wren. Idem. Perfino Hunter riempiva più silenzi del Knowles, ed era tutto dire. «devi annoiarti davvero molto. Mai pensato di prendere un cane?» suggerimenti sempre verdi: CJ Knowles per le adozioni e lo svuotamento dei canili 2k22.

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    Sapete cosa? Sentire un ventenne ammettere così placidamente «ho smesso di aspettare» le faceva stringere il cuore. Sapeva bene di dover concedere a CJ quella schiettezza nata da un passato in cui Nelia non poteva (e non voleva) nemmeno pensare di addentrarsi, fatti suoi che non competevano all’addestratrice; ma avere ancora una conferma del fatto che il mondo in cui vivevano, il mondo per cui lottavano, uccidesse le speranze e le attese e le aspettative dei giovani, le faceva male.
    Era un continuo ricordarle che allora stavano sbagliando qualcosa; non potevano cambiare il passato, era inutile provarci, ma combattevano tutti i giorni per migliorare il futuro.
    Non bastava mai.
    Si soffermò ad osservare il Knowles con quello che, lo sapeva benissimo, Ben avrebbe descritto come un “broncio riflessivo ma calmo: significa che sta pensando a qualcosa” nel proprio manuale su come leggere le microespressioni della Meisner maggiore. Il cipiglio tipico di Nelia, quello che rivolgeva sempre alle cause perse che avrebbe voluto tanto non fossero tali. Non rientrava nelle sue competenze, ma non poteva comunque negare a se stessa che avrebbe voluto poter fare di più per i CJ di quel mondo. Se quello faceva di lei un’ottimista stupida e sognatice, beh, allora chiamatela anche Pollyanna.
    Tuttavia, negli anni aveva imparato a stare al suo posto: e se la Cornelia di un tempo avrebbe pungolato CJ e piggiato ogni tasto per trovare nervi scoperti, pur di fare qualcosa, la Nelia che se ne stava in piedi nella sala riunioni era un’altra. Più pacata, più riservata. Meno impetuosa.
    Strinse le spalle al commento laconico dell’ex concasato, continuando con calma a preparare le tisante. «ho visto di peggio.» un piccolo sorriso piegò l’angolo delle labbra della Hatford. «vivo con un’adolescente» solo tre mesi l’anno, ma bastava, «e sono rimasta chiusa in armeria con kyle, una volta.» il pioniere era un tipo diverso di non compagnia del Knowles, ma a Nelia non importava: era abituata a fronteggiare sfide di ogni tipo.
    Indicò la tazza ancora vuota, poi gli infusi. «vuoi?» Fino a che fosse rimasto seduto, a dondolarsi sulla sedia, Nelia avrebbe continuato a parlare con CJ, a fargli domande e portare avanti una conversazione — anche a senso unico. Si imparava sempre comunque qualcosa dai silenzi degli altri. «devi annoiarti davvero molto. Mai pensato di prendere un cane?» A quel punto, soffiando sulla tazza fumante, alzò lo sguardo scuro fino ad incontrare le iridi giada del minore. «in realtà, sì.» tornò a poggiare i fianchi contro il mobile alle sue spalle, la tazza stretta in entrambe le mani. «ma preferisco di no. ho avuto già un cane, un bellissimo pinscher austriaco di nome Dalì. E un gattino, Micio il sorriso si fece più dolce e più malinconino nel ricordare entrambi gli animali, perduti ormai da anni. «non sopporterei l’idea di affezionarmi di nuovo.» che valeva per gli animali, tanto quanto per il resto dei ribelli.
    Si sentiva incredibilmente sola, nell’appartamento un tempo condiviso con Justin, ma era per quello che esistevano le brandine nelle aule in disuso del castello, o i letti del QG. Se poteva, evitava di tornare a casa: passava il suo tempo divisa tra Hogwarts e la base ribelle. In entrambi i posti aveva tutta la compagnia che le serviva.
    «tu sei più team gatti o team cani?» a dire la verità, lo faceva più team lupi, o qualsiasi altra creatura in grado di affondare i denti nella pelle morbida degli altri e tirare, fino a strappare via brandelli di carne; a suo modo, lo faceva già a parole. Ma era brava a fingere di non notare le cose, e lo era ancora di più a mantenere le conversazioni su argomenti completamente neutrali e disinteressati. Non era lì per fare il terzo grado a CJ Knowles.

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    «vuoi?» Inglesi. Strinse le labbra fra loro, lo sguardo a saettare dalla tazza alla docente di corpo a corpo. Non sembrava ci fosse alcuna richiesta nascosta dietro quella domanda, nessun intrigo di corte, e non pareva neanche l’usuale gentilezza forzata che costringeva le persone a trattarlo in modo diverso perché loro non erano come gli altri. Era una domanda semplice.
    Decise di darle una risposta altrettanto basica. «no,» e credeva difficile che mai nella vita avrebbe voluto volontariamente una tisana. «ma la bevo comunque» così, per principio. Sorrise, conscio che fosse un capriccio ed uno che nel loro piccolo, nel suo piccolo, potesse permettersi. La curva delle labbra aveva sempre il retrogusto malevolo di sangue e violenza e rabbia, ma in maniera meno accentuata e più infantile. Più divertita. Nelia poteva anche non saperlo, ma era uno spettacolo raro sulla bocca crudele di CJ Knowles. La Hatford comunque, chapeu, replicò anche seriamente alla domanda del fu Tassorosso. Sapeva per esperienza non fosse un genere di dedizione figlio della docenza, doveva essere eredità del crescere con un adolescente. Una parte di lui avrebbe voluto spingere di più quei limiti, capire quando la mora avrebbe mostrato i denti in un ringhio, ma l’altra era… stanca. Abbastanza da accettare quei muri per quel che erano. Non era il tipo da iniziare battaglie contro tutti, CJ – solo con chi le accoglieva.
    Non era colpa sua se era abituato ad essere accolto a spada già sguainata.
    «ma preferisco di no. ho avuto già un cane, un bellissimo pinscher austriaco di nome Dalì. E un gattino, Micio. non sopporterei l’idea di affezionarmi di nuovo.» e ce n’era di storia, in quelle parole. Lo sapeva CJ, lo sapeva Nelia, e lo sapevano i fottuti muri del quartier generale. Ma storia che il Knowles volesse indagare? No: che fottuto incoerente sarebbe stato, se avesse demandato silenzio senza offrirne in cambio. Tutti avevano capitoli iniziati o chiusi; il Cacciatore, si faceva i cazzi propri. Non offrì conforto, o frasi comuni. Si limitò a guardarla, lasciando che la bocca si crepasse nel ghigno sbilenco di chi quei libri li aveva letti e sfogliati, di chi sapesse come andasse a finire, e non volesse riprendere dal punto di partenza.
    «tu sei più team gatti o team cani?» Scrocchiò distrattamente le dita, un sopracciglio a scattare verso l’alto. Quando sorrise, lo fece con molta più leggerezza di quanto non avesse fatto fino a quel momento, perché quello era uno dei suoi argomenti preferiti. Poteva sottolineare quanto bestia fosse, e quanto il mondo animale fosse sempre stato più aperto nei confronti dei CJ del mondo, ma non lo fece. «cani» strisciò la sedia sul pavimento, infilando le mani in tasca per recuperare il cellulare. Ignorò, come di consueto, la sfilza di messaggi in anteprima - un giorno avrebbe risposto, si ripeteva – e l’unico cenno di averli visti, e di aver riconosciuto il mittente, fu un’occhiata un poco più torbida. «ho due bulldog francesi» alzò gli occhi su Nelia, schegge verdi come vetri su cemento. Non c’era nulla di levigato, negli sguardi del Knowles.
    Fanculo ho finito il tempo. IN VENTIDUE MINUTI CE L’AVREI FATTA PERò UFF. edit: non è vero ho postato ai 04. a mio favore nel mentre è anche tornata marita. mannaggia «cocaine» le mostrò la foto di un cane nero chiaramente disadattato, lo sguardo sbercio e assente. C’era qualcosa che non andava, in Cocaine, e non era l’età: erano i danni neurologici a seguito dell’essere stato un cazzo di cane da battaglia. L’aveva recuperato, entrambi sanguinanti e spezzati. Si era fatto più piccolo per far posto alla bestia fratturata nella propria vita. Si erano guariti a vicenda, esistendo l’un per l’altro anche quando il mondo li dimenticava. «e heroine» mostrò l’altro bulldog francese, bianco. Quello l’aveva recuperato andando a Bodie, e si era fatto tutto il ritorno – fatto di sangue e carne maciullata – dentro la sua giacca.
    Bei momenti.
    «ucciderei per loro» d’altronde, l’aveva già fatto.
    E nel ghigno che rivolse a Nelia, c’era il silente ma anche per molto meno.

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    nelia hatford
    Se era una sfida di ripicche e dispetti, che CJ stava cercando, non l’avrebbe trovata in Nelia; la donna era – ed era stata – troppo diversa dall’ex Tassorosso che le sedeva di fronte per poter abboccare a provocazioni di qualsiasi genere; lei, piuttosto, se le faceva scivolare addosso o le sezionava fino a ridurle in parti più piccole e maneggevoli, più facili da gestire, processare e decifrare; più semplice scivolare tra le parole, infilandosi negli spazi che valeva la pena occupare e capire, e ignorare quelli per cui non c’era esito che non fosse negativo o pessimista.
    Insomma: leggeva fra le righe, Nelia, e poi decideva su quale parte del discorso, su quale sfumatura, concentrarsi.
    A CJ, dunque, rivolse solo un sorriso quando la informò che avrebbe bevuto lo stesso, forse per dispetto o forse per cortesia (la donna era più propensa a credere fosse per il primo motivo) e, quando l’acqua fu calda abbastanza, riempì una tazza e la avvicinò al ragazzo. Una parte di lei avrebbe voluto dirgli che non doveva farlo per forza, ma si rendeva conto che, con i CJ della situazione, sarebbero state solo parole al vento e un invito a farlo comunque. Perciò rimase in silenzio, tenendo quel commento per sé — in barba a tutti quelli che la criticavano, dicendole che ci provasse troppo; Nelia sapeva perfettamente riconoscere i momenti propizi in cui far emergere il suo lato “mom-friend”, e quando invece rimanere al suo posto, vestendo comunque dei panni comodi in cui aveva ormai trovato il proprio equilibrio.
    Avrebbe mentito dicendo che non morisse dalla voglia di sedersi e parlare con CJ, non perché fosse una donna impicciona o curiosa, ma semplicemente perché credeva sinceramente e fermamente che il dialogo, e l’apertura, fosse uno dei pochi modi che c’erano per superare i problemi; voleva che il Knowles sapesse che c’erano altre possibilità, altre vie, che non comprendessero solo la rabbia cieca o i pugni duri.
    Ma sapeva anche che quelli come lui, con un carattere così forte e impermeabile, erano difficili da persuadere o convincere; e lei non era né un’amica, né una psicomaga.
    Il massimo che poteva fare era offrirgli il suo aiuto silenzioso e una tazza di té che CJ non voleva.
    E due chiacchiere vuote ma importanti sui compagni a quattro zampe — almeno con quello non si poteva sbagliare mai.
    Lei gli offrì un piccolo scorcio sul suo passato, parole vere ma vaghe l'esperienza traumatica di perdere sia Dalì che Micio, ma il ragazzo non accolse l’invito, limitandosi a rispondere alla domanda; Nelia poteva accettarlo.
    «ho due bulldog francesi»
    Allungò il collo per osservare meglio le foto che CJ le stava mostrando, di due cani che, sotto molti aspetti, le ricordavano lo stesso Knowles: malconci e ammaccati, denti aguzzi ed espressioni affilate come lame di coltelli. La sua teoria che i cani rispecchiassero sempre i padroni (e anche, molto spesso, il contrario) si era dimostrata vera ancora una volta.
    «cocaine e heroine» Sorrise, alzando lo sguardo scuro sul profilo di CJ; due nomi così da lui che era impossibile non trovarli perfetti. Non gli disse che fossero bellissimi, nonostante lo pensasse davvero, in un modo totalmente non convenzionale: erano dei sopravvissuti, quel tanto era chiaro, e proprio per quello avevano subito conquistato il cuore di una Nelia che, seppur in modo diverso e meno violento, sentiva di poterli comprendere su più livelli.
    Lo sguardo rivolto al giovane si ammorbidì — poteva comprendere persino lui, che CJ volesse accettarlo o meno. Erano solo due risultati diversi di due sofferenze diverse, in tempi diversi; in un mondo migliore, CJ avrebbe avuto il supporto e il sostegno di una famiglia amorevole così come lo aveva avuto Nelia, e la sua vita sarebbe stata diversa. Forse lui non l'avrebbe voluto, ma sperare era un po' il tratto distintivo della professoressa.
    Nelia Hatford combatteva tutti i giorni proprio per quello; voleva cambiare il mondo, per quanto difficile e utopico fosse quel pensiero.
    «ucciderei per loro»
    L’addestratrice pensò che avrebbe ucciso anche per molto meno, ma non lo disse. Si limitò a sorridere morbida, comprensiva. «Non lo metto in dubbio,» aveva inquadrato il tipo, e soprattutto, l’aveva visto in azione. «Non ne vado fiera,» annunciò, portando la tazza alle labbra e soffiando sul liquido ambrato, «ma anche io farei di tutto per coloro che ho a cuore.»
    Non stava cercando espiazione o conforto nel Knowles, né glielo stava riferendo per cercare un punto di contatto o per fargli sentire di essere meno solo, meno sbagliato, meno esagerato — no, nulla di tutto quello. C’era lealtà cieca e incondizionata nello sguardo duro del giovane, nelle sue parole, e nella convinzione con cui aveva espresso quel parere; e Nelia poteva rivedercisi. Magari non nello stesso modo furente e impulsivo, ma ugualmente fiero, e testardo.
    Erano molto diversi, Nelia e CJ, ma solo per il modo in cui avevano scelto di osservare il, e rivolgersi al, mondo.
    «E va bene così.» Tutti avevano un punto di rottura, di non ritorno, superato il quale non c'era verso di tornare indietro e cancellare quanto fatto; per Nelia era la sua famiglia, era Benny ed erano i suoi amici, i ribelli, e tutte le persone che in trent'anni di vita aveva amato incondizionatamente e senza filtri, senza limitazioni. E lo accettava.

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    CJ, team cani, lo era come preferenza e come stile di vita. Uno di quelli abbandonati tutta la loro vita che avevano imparato dove morire e dove non farlo sulla propria pelle, e ne portavano i segni in cicatrici e orecchie mozzate. Di quelli che mostravano i denti facendoli scattare fra loro, pelo rizzo sulla schiena e sguardo cattivo ad ammonire di non avvicinarsi; non cazzo avvicinarsi, perché se costretti a mordere, lo facevano con l’intento di uccidere. Sbranare e scrollare impregnandosi il muso di sangue, le ossa a scricchiolare sotto la pressione. Preservazione, nulla di personale. Leale nel tornare dov’era stato bene, e quando qualcuno guadagnava la sua fiducia – e si parlava di anni; maledetti anni di dita offerte innocue ed a palmo in su, o di zanne ad affettarsi fino ad una tregua – capace perfino di accucciarsi, ed aprire la bocca solo per respirare.
    Nelia Hatford era stata troppo ottimista ad approcciare CJ. Non sapeva cosa vedesse in lui, se fosse una proiezione o un pensiero particolarmente ottimista, ma non era la realtà. Forse aveva anche ragione, ad essersene fatta quell’idea lì; forse CJ Knowles era davvero più simile a quell’immagine di quanto credesse, qualcuno che non era stato salvato in tempo, ma aveva sottovalutato quanto potesse essere istintivamente crudele, portato a chiudere i ranghi ed alzare barriere nell’unico modo che conoscesse. C’erano tanti tipi di violenza al mondo, e l’ex Tassorosso li conosceva tutti. L’indolenza lo obbligava a mordersi la lingua facendo scivolare sangue fra i sorrisi e farselo bastare, ma quando gli veniva offerto un osso, non poteva fare a meno di stringere e scuotere. Reclinò il capo. Avrebbe potuto andarsene e basta, ma non sarebbe stato d’esempio. Avrebbe potuto dirle, semplicemente, che non avesse voglia e basta - di parlare, esistere fra le persone – e sapeva che lei l’avrebbe capito e l’avrebbe lasciato stare.
    Ma per quanto? Tanto, probabilmente. Gli sembrava una brava persona, in grado di rispettare i confini altrui, ma il margine d’incertezza rendeva quel tipo di rendezvous una possibilità sempre concreta, ed il Knowles non voleva che al QG credessero fossero amici. Ne aveva già troppi per i suoi gusti.
    «Non ne vado fiera, ma anche io farei di tutto per coloro che ho a cuore.»
    La osservò in silenzio qualche secondo, ignorando la tazza calda a pochi centimetri dalle dita. Ora che l’aveva, non sapeva cosa farsene, e non era quello forse un fottutamente ironico riassunto della sua vita? Ah, la tragedia d’esistere. «perché no?» Si guardò platealmente attorno, curvando le labbra verso il basso. «la resistenza è anche uccidere. Non ne vai fiera?» Tamburellò le dita fra loro, premendo appena. «dovresti, altrimenti che cazzo di senso ha farlo» resistere, proteggere. «te ne vergogni?» e sorrise, allora. Labbra sottili tirate tutte a mostrare i denti, occhi verde bottiglia a spezzarsi e tagliare e tagliare. Aveva lo sguardo felino della madre, CJ Knowles, ma non la delicatezza associata all’animale.
    Niente tatto ed eleganza, per lui. Niente superfici instabili su cui camminare in punta.
    «non hai un opinione in merito? qualcosa che va fatto, uh» si strinse nelle spalle, la lingua premuta fra i molari. Quella era forse l’alternativa peggiore, perché uccidere per qualcuno a cuore non poteva essere da ignavi; a farsi i cazzi propri, allora, si faceva più bella figura. Chiuse gli occhi un istante, tornando poi a guardare la docente con pesanti palpebre a metà. «e la vendetta dove la mettiamo? prof» non era stata una sua insegnante, ma non importava. Intinse il termine di sarcasmo, passandolo su caramello e specchi rotti. Uno spicchio di quel che rappresentava nel suo mondo, quello che erano stati nella sua storia, ed in migliaia di altri CJ. La vendetta, credeva il Knowles, Nelia più di altri avrebbe dovuto volerla. CJ pensò se la fosse guadagnata, e pensò anche che se non volesse esserlo lei, sarebbe stato fiero lui al suo posto – ma quello non lo disse, perché sembrava un po’ troppo vicino ad una mano offerta che non schiaffata sul tavolo. «è un lusso che non tutti possono permettersi» Poggiò drammatico una mano sul petto, allargando le dita a tastare tutte le costole. Un sospiro lieve ad indicare che qualcuno dovesse farlo, e quel qualcuno fosse stato lui più volte. Ed avrebbe continuato, perché «ne vado particolarmente fiero» Un ghigno violento e selvaggio, perché brutalmente onesto: non rimpiangeva un cazzo, CJ. La loro morte significava che fosse sopravvissuto abbastanza a lungo da prendersela, e vaffanculo a loro che gli avevano scavato mille e cento fosse – le stesse che ogni anno riempiva di milkshake, una tradizione a tutti i CJ che era stato e mai smesso d’essere. Cognomi che si portava in ogni taglio della pelle e del sorriso. «non dovrei?» Una provocazione, e già un’accusa.

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    nelia hatford
    «perché no? la resistenza è anche uccidere. Non ne vai fiera?» Soppesò per un attimo la constatazione del Knowles, osservandolo con sguardo impassibile.
    Sapere di star facendo la cosa giusta – e non la più facile – non lo rendeva le sfumature di quel complesso bivio morale meno grigie.
    «credere nella causa, agire sulla base di questa perché è l'unico modo non rende più facile la consapevolezza di aver strappato madri e padri– figli, a qualcun altro. hanno la stessa colpa che abbiamo noi: essere nati in questa società, una che prende tutto e non da in cambio nulla, una che chiude gli occhi e riempie la testa di ideologie false e costruite da qualcuno che vuole solo potere e controllo» osservò CJ da dietro palpebre sottili, con intensità: non serviva che facesse quel particolare discorso con l’altro, ne era ben consapevole, ma Nelia non aveva paura di dimostrare il perché delle sue posizioni, anche quando erano voci fuori dal coro e in disaccordo con l’opinione generale. Era, per certi versi, ancora troppo fiduciosa che le cose potessero prima o poi risolversi nel migliore dei modi; lo sapeva, ma non poteva farci nulla. «se ci fossero altri modi, lo farei e credimi, li ho cercati» la prima volta che aveva strappato una vita, in una rappresaglia, Cornelia aveva avuto l'impressione di aver ormai venduto la propria anima al diavolo: si era sentita vuota, e sporca, e sbagliata — ma l'aveva fatto comunque, e si era ripetuta che fosse stato necessario, che le persone di fronte a lei non avrebbero esitato (e non l'avevano fatto) e che era solo una questione di sopravvivenza, la sua o la loro.
    Non lo rendeva meno facile da mandare giù; poteva doverlo fare, ma il suo dovere non l’avrebbe resa meno umana, non avrebbe strappato via il senso di giustizia né lavato via il senso di colpa, purtroppo.
    L'aveva saputo, sin dal primo momento in cui aveva accettato di rimanere al fianco di William in quella battaglia che le sarebbe costato ben più di quanto fosse disposta a dare, in termini di sacrificio, più che di tempo, ma saperlo e riconoscerlo non era stato necessariamente semplice. Né la Hatford poteva dire di averlo accettato ad occhi chiusi, senza prima provare a fare qualcosa di diverso; non funzionava mai nulla, le sue parole o le sue speranze non salvavano la vita ai colleghi guerriglieri, né risolvevano la questione, ma valeva la pena dire di averci provato; e finché avesse avuto fiato, l’avrebbe fatto. Prima o poi, avrebbero trovato un altro modo.
    Nel frattempo, si sarebbe fatta andare bene quelli attuali, certo, ma non voleva dire che andasse fiera di quello che facevano; lo sopportava, lo rinforzava, lo aveva sposato come unico pensiero cardine e come realtà assoluta, e sapeva che fosse necessario — ma non c'era giorno in cui non si guardasse allo specchio e non riconoscesse il viso di tutte quelle vite che era stata costretta a togliere.
    Nessuno di loro era innocente. Nessuno.
    Non ne era fiera, ma l’avrebbe continuato a fare se significava impedire che le Bennett del mondo dovessero fare lo stesso.
    «te ne vergogni?»
    Sapeva riconoscere la provocazione quando ne sentiva una, perciò non si lasciò coinvolgere dalle parole del Knowles, rimanendo invece in apparenza serena e tranquilla. «mai» credeva in quella causa, credeva nei ribelli e credeva in William Barrow — ma non era nella morte che avrebbe voluto trovare orgoglio o soddisfazione personale. «lo faccio, e continuerò a farlo, perché è quello che bisogna fare, ma non significa che debba necessariamente stare in pace con me stessa, o che non porti ognuna di quelle croci sul cuore.» che lui volesse capirlo o meno, non erano problemi di Nelia. «questo non vuol dire che creda meno nella causa.»
    «e la vendetta dove la mettiamo?» Lo sguardo della donna si fece impercettibilmente più severo, schegge ebano a piantare in quelle verdi del minore, al pensiero che stesse facendo leva su questioni personali per farla abboccare alle sue provocazioni. «farlo solo per vendetta vuol dire non aver capito a fondo la resistenza» iniziavano tutti in quel modo, per un motivo o per un altro, ma una volta dentro scoprivano che fosse molto di più che un mezzo per raggiungere la giustizia personale. «“prima di intraprendere la strada della vendetta, scava due fosse”» citò, con naturalezza e voce bassa, ben lontana dal voler impartire una lezione (di vita, o meno) a CJ, ma con la sola volontà di ricordargli dove l'avrebbe portato la sua “vendetta”.
    Il fatto che lui andasse “particolarmente fiero” dei suoi modi, era la dimostrazione che avessero sbagliato tutto con le nuove generazioni. Si lasciò sfuggire un sospiro, mettendosi finalmente seduta al capo opposto di CJ. «quindi è per questo che ti sei unito? per cercare vendetta? quella avresti potuto inseguirla anche fuori da qui. vuoi sapere la mia opinione?» forse no, e glielo aveva chiesto solo per sfidarla, ma a Nelia piaceva parlare. «quello che facciamo, è la cosa giusta con i mezzi sbagliati; siamo costretti a farlo, e continueremo a farlo finché avremo fiato in corpo e sangue a scorrere nelle vene. lo faremo, perché se non lo facciamo noi non lo farà nessuno, ma “occhio per occhio” lascerà il mondo cieco, CJ.» e in quello, Nelia ci credeva con tutta se stessa. «se ci fossero stati altri modi, stai pur certo che avrei spinto per renderli effettivi. ma non ci sono, perciò—» si strinse nelle spalle, realisticamente parlando la sua visione delle cose era un po’ troppo rosea e romanzata, ma serviva anche quello per tenere la ribellione in check; altrimenti nulla li avrebbe distinti dai mangiamorte. «non me ne vergogno, ma non ne vado nemmeno fiera. vorrei poter non dovere uccidere per ottenere un mondo migliore, fine.» semplice così. «ciò non vuol dire che non continuerò a farlo, per qualcosa in cui credo.» quel punto era bene che lo tenesse in mente, perché dietro lo sguardo dolce e il sorriso morbido c’era una donna che aveva passato metà della sua vita a stringere i denti e portare avanti quella causa, con tutto ciò che le era costato, e il suo “avere una morale” non l’avrebbe resa una ribelle meno valida.

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    CJ l’aveva saputo al primo sorriso affilato, che la discussione sarebbe giunta a quello. Non fu sorpreso dalla risposta della Hatford, una replica che seppur in modi diversi, il Knowles aveva sentito altre cento volte da altri cento ribelli differenti. Non era impressionato, lo sguardo giada dell’ex Tassorosso, quanto più annoiato dalla solfa con cui la Resistenza giustificava il comportamento degli altri. Non sono loro, è la società. La stessa società che aveva masticato il culo di tutti coloro che erano passati sotto il tetto del QG, allo stesso fottuto modo: faceva pensare. Faceva riflettere, tanto che si ritrovò a sollevare gli occhi al soffitto, osservando un punto imprecisato della parete mentre si domandava, non per la prima volta, quale fosse il punto di tutto quello.
    Era stanco di mettere le mani avanti. Di infilarsi nei loro panni, quando quegli stessi abiti li aveva indossati e strappati con i denti. Perchè non potevano semplicemente dire che non fossero le ideologie sbagliati ad ancorarli alla parte sbagliata della barricata, ma la stracazzo di pigrizia? Era comodo, vivere nel loro mondo. Era la scelta più facile, lasciare che ci pensasse qualcun altro. Strappare madri, padri, e figli che ogni giorno, ogni stra fottuto giorno, sceglievano di non guardare e camminare sulle loro ossa, non gli sembrava un reato.
    Era il cazzo di karma.
    Come avrebbero detto i twentyone pilots, nobody think what i think.
    CJ Knowles, con i Ribelli, non c’entrava proprio un cazzo.
    Un suo posto nel mondo, non ce l’aveva. Era fatto per lavorare da solo, seguendo leggi e costumi propri. Un anarchico, un cazzo di vigilante che non dovesse rispondere a nessuno, e potesse essere crudele e brutale il giusto - un giusto molto diverso da quello dei suoi colleghi. «scelte» commentò nel silenzio, a denti stretti. Morse la parola fra i canini, sputandola in un sorriso insensibile. La società non chiudeva i loro occhi, sceglievano di tenerli sigillati; biasimare il sistema era la scusa più vecchia del mondo per non fare un cazzo di niente.
    Croci sul cuore.
    Anche CJ ne aveva, ed erano tutte sue - nomi, identità, vite che non aveva avuto la possibilità di vivere. Il resto erano effetti collaterali, e farlo perché andasse fatto toglieva la patina del rimorso come un soffio d’aria fredda sui vetri appannati. Capiva da dove arrivassero le spalle dritte e fiere dei suoi colleghi in merito al discorso morte, ma non lo condivideva: esistere non era per tutti. Certamente non lo era per il Knowles, che le parole di Nelia poteva arrotolare nel palmo della mano, e flettere il polso cercando di far canestro nel cestino più lontano.
    Nulla di personale.
    Davvero. CJ non provava rabbia per quel filo di pensieri che intercorreva al QG, a ognuno il proprio, lo trovava semplicemente inefficiente. Era un pragmatico, e pure uno del cazzo. Se qualcosa non funzionava, sbranava la carne fino all’osso togliendo il marcio così che potesse funzionare di nuovo – ma non poteva, con loro. Poteva solo guardarli distruggersi; fare la propria parte, e con essa una grande, enorme, barcata di cazzi propri.
    Un sorriso sfuggì alle labbra del Knowles. Scappato dalla stretta in cui le aveva forzate, strizzato fra i denti di un’ironia che Nelia Hatford non sembrava in grado di cogliere, perché erano troppo diversi. Poteva apprezzare, almeno marginalmente, che non stesse cercando di fargli cambiare idea in merito: era già qualcosa. Perfino gentile nello spiegare il proprio punto di vista, esponendolo semplicemente come fatti. Solo che più parlava, più CJ si allontanava - moralmente, emotivamente; nella realtà, era seduto esattamente dove quella conversazione era cominciata – perché era quello che gli veniva meglio. Distanziarsi, morire solo come i gatti, eccetera eccetera. Non era fatto per la comunità.
    Soprattutto non per quel tipo di comunità, ancora legato al concetto primitivo che per una vendetta si dovessero scavare due fosse: si era allenato, CJ Knowles. Di fosse ne aveva scavate almeno cinquanta, ed ancora ne contava – ma nessuna era per lui.
    Era quello vivo. Nonostante tutto, e tutti, avessero provato a metterlo in una bara, era ancora in piedi, al contrario dei figli di puttana su cui aveva sputato prima di far scivolare un pugno di terra sul feretro: fanculo.
    Di motivi per i quali CJ si trovava dalla loro parte, ce n’erano cento e più. La vendetta rientrava fra quelle; non era l’unica, ma non corresse Nelia Hatford. Non gli importava abbastanza. CJ nasceva come solitario, e farsi conoscere - capire - non rientrava affatto nella sua lista priorità.
    Sorrise, dunque. Denti aguzzi, pelle sporca di lividi e sangue, e sorrise, palmi piatti contro il tavolo per alzarsi in piedi. «ok» Non disse rifacciamolo qualche volta, perché pensava di aver già dato. Non c’era stizza, rabbia, disappunto, o quel cazzo che vi pare nell’espressione di CJ Knowles, solo – quello.
    Solo ok. Non aveva nulla da aggiungere; non aveva senso ribattere, perché al contrario di Nelia, non voleva capisse il suo punto di vista. E andava bene uguale. Alzò le sopracciglia, guardando prima la tazza e poi la donna. «se hai finito il tè» perché era un ragazzo galante, in fondo.
    Molto in fondo.
    Le aveva tenuto compagnia dopotutto, no? «io andrei» un condizionale solo per gentilezza.

    Think that you know me
    but you're all wrong
    I learnt to play by my own rules
    You'll only see

    What I let you
     
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    nelia hatford
    «ok»
    Nelia abbassò lo sguardo, riconoscendo in quella singola sillaba la conclusione di quella chiacchierata. Ok. Deciso, estraneo, diretto. Nelia aveva il sospetto che nella testa dell’ex tassorosso, quella finalità era giunta già molto prima — le aveva fatto comunque la cortesia di rimanere ad ascoltarla. O, per meglio dire, di rimanere fisicamente lì mentre lei continuava con il suo rant, ma la donna dubitava avesse davvero ascoltato qualcosa, specialmente sul finire.
    Strinse le labbra, annuendo tra sé e sé conscia di aver perso una battaglia che non s’era neppure resa conto di aver intrapreso: di far cambiare idea al Knowles, Nelia non ne aveva mai avuto voglia o interesse, ma in quanto ribelle, in quanto donna con qualche anno di esperienza alle spalle, aveva inconsciamente desiderato che anche lui si rendesse conto del potenziale della resistenza se solo avessero avuto i modi e i mezzi per fare davvero qualcosa di concreto che non fosse solo resistere e uccidere per non essere uccisi.
    Con un sospiro, portò le iridi ebano sulla figura del minore studiandolo.
    Era un anarchico, CJ Knowles. Non rientrava negli schemi del governo, ma neppure in quelli della ribellione. Era uno che la giustizia se la cercava – e guadagnava – a modo suo, con le sue mani e con i suoi mezzi. Non era fatto per il lavoro di squadra, e non era fatto per il quieto vivere; era la pietra che creava onde e disturbi nella superficie calma del lago, lo spillo che pungeva sul vivo non per fare reality check, ma solo per il desiderio di spillare sangue fresco; era l’animale selvaggio messo alle strette una volta di troppo e che ora era capace solo di mordere e strappare la carne, senza fare domande o senza sperare in finali diversi. Cosa lo avesse spinto, in primo luogo, ad unirsi a loro, rimaneva un mistero per la donna.
    «se hai finito il tè, io andrei»
    «non ho finito,» gli rispose semplicemente, portando la tazza alle labbra senza bere il té, «ma non ti tratterrò oltre. Ho già detto tutto quello che c’era da dire,» e forse anche troppo, «credo che rimarrò ancora un po’.» Sperava di non aver serrato troppo la stretta intorno al giovane, non era sua intenzione, ma lo leggeva nello sguardo giada del minore che gli ingranaggi fossero all’opera, e che stesse riflettendo su qualcosa.
    No, anzi, che avesse già deciso.
    Così come aveva deciso già da un pezzo che la conversazione fosse terminata.
    Lo osservò muoversi per la stanza, rimanendo ferma al suo posto e in silenzio, spezzandolo solo alla fine, prima che l’altro potesse effettivamente andare via. «cj,» lo chiamò, abbassando le mani e la tazza, ed incrociando le braccia al petto, «hai ragione, sono scelte Tutti ne avevano da compiere, quotidianamente, volente o nolente: solo alcuni erano in grado di sopportare le conseguenze delle decisioni prese. «ognuno ha fatto la sua. prima di entrare, e soprattutto dopo Potevano non essere d’accordo su molte cose, i ribelli, ma li accomunava almeno un’ideale e tanto bastava a tenerli . «io rifletto ogni mattina sulla mia, e non me ne pento.» Tenne lo sguardo sul minore, fregandosene del fatto che l’altro lo stesse o meno sorreggendo; non c’era incertezza nella sua voce, né dolcezza o morbidezza. Erano in guerra, era necessario che ognuno rivedesse le proprie priorità e ne comprendesse l’importanza.
    Non gli disse che avrebbe dovuto rifletterci anche lui, ma non serviva metterlo a voce: avevano capito entrambi, e tanto bastava.
    «grazie della compagnia, comunque. e delle foto di Heroine e Cocaine!»

    I took the starts rom my eyes,
    and then I made a map
    And knew that somehow
    I could find

    my way back


    cj: *fa una role con nelia* mh what if dicessi go fuck yoursel alla ribellione
    nelia, che in passato è stata scout per i ribelli: eye mouth eye
     
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