i'm gonna draw my future like picasso

sorta ft. mona | pre-quest#11

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    più comunemente conosciuti come flank, i sanguinari si occupano di indebolire il nemico con attacchi rapidi così da poter sferrare gli ultimi colpi fatali con facilità.
    «sono un cazzo di principe azzurro in calzamaglia» Beh, non letteralmente, al momento era la cosa più lontana da un principe in calzamaglia ma rise da sola all'idea. In realtà se ci pensava più attentamente era contemporaneamente il principe e Cenerentola, il che era ancora più ironico. Sorta aveva un problema. Sorta aveva un grande, grandissimo problema e si chiamava Bertie. Il suo scheletro nell'armadio. Perchè sì, "costretta" a passare molto più tempo con Bertie, o almeno, la sua controparte femminile, aveva nuovamente provato... cose. Cose che non erano solamente platoniche, cose che non riusciva ancora ad ammettere a se stessa perchè non riusciva a dar loro un senso, cose che aveva rilegato in un anfratto della sua mente, chiuse a chiave e lasciate affondare. Quel vaso di Pandora però continuava a essere riaperto, era diventato impossibile ricacciare dentro tutti quei problemi. Perchè non erano altro che problemi. Era diventato estenuante. Quello doveva essere stato sicuramente il karma. Ogni volta che chiudeva gli occhi, riviveva la bionda e voleva rubarle ben più di un bacio. Aveva chiaramente bisogno di una vacanza e quale occasione migliore di una missione suicida dove avrebbe dovuto pensare solamente a sopravvivere e dove avrebbe potuto sfogarsi prendendo a calci qualche nemico? Era proprio quello di cui aveva bisogno in quel momento. Una vacanza suicida. Forse era solamente quello a mancarle, un po' di adrenalina, forse era in astinenza da emozioni che l'avrebbero lasciata devastata. Forse era per questo che aveva baciato Bertie: perchè sapeva che non sarebbe mai potuto esserci qualcosa e quella tensione la attraeva irrimediabilmente verso l'ignoto. Eccitante, era solamene eccitante e non aveva nulla a che vedere con sentimenti di amore puro. E ora che Bertie non era nelle vicinanze, lo vedeva più chiaramente: Bertie aveva ragione, lei lo stava usando. Sì, chiaro, perchè non c'era altra spiegazione logica. Dopotutto non era nemmeno stata la prima volta, no? Era successo al ballo di fine anno quando Bertie si era presentato per la prima volta sotto sembianze femminili e quella era stata la prima volta, poi lui dopo la guerra era rimasto intrappolato in quel corpo e lei ne aveva approfittato. Era qualcosa di puramente fisico. Le donne le avevano sempre dato alla testa. Ora che era tornato in sé, lei non avrebbe più avuto dubbi a riguardo. Sicuro non stava andando a salvare coloro che erano spariti perché si sentiva in colpa. «okay okay» prese il braccio di chiunque fosse nelle sue vicinanze e decise di trascinarli verso il bancone dove fece versare del Whisky Incendiario e dopo aver portato il bicchiere in alto urlò «ALLE SCELTE SBAGLIATE WOOOOOOO» e buttò giù il primo drink della giornata. «MONA !!» esultò rendendosi solo in quel momento che una delle persone che aveva trascinato era proprio lei. Si avvicinò a lei, alzandosi sulle punte dei piedi per raggiungere la sua frante e lasciarle un bacio ma il suo attuale equilibrio non era abbastanza stabile da tenerla ferma sulla punta delle dita e finì per caderle addosso e a sfiorarle le labbra. «scusa, puntavo alla fronte» giurin giurello. «a meno che non ti sia dispiaciuto, in quel caso puntavo al 100% alle labbra» sorrise facendole l'occhiolino e accompagnando il tutto con un finger gun. Posò infine il bicchierino sul bancone, poi si girò nuovamente verso la ragazza. «andiamo a ballare» le prese entrambe le mani e la trascinò verso la pista.
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    più comunemente conosciuti come flank, i sanguinari si occupano di indebolire il nemico con attacchi rapidi così da poter sferrare gli ultimi colpi fatali con facilità.
    Era un periodo strano, quello: i Ben10 sembravano più uniti e in simbiosi che mai, e allo stesso tempo era chiaro che stessero marciando ciascuno al proprio ritmo, ognuno con i propri pensieri ad affollare la testa. Si riunivano costantemente nella Bencarverna, senza aver bisogno di accordarsi, e lasciandosi semplicemente guidare dall'istinto e dal neurone che, dopo sei anni, aveva iniziato a rimbalzare tra di loro; ma così come passavano del tempo insieme, come avevano sempre fatto sin dal momento della loro formazione, non era troppo raro che si prendessero ciascuno un momento per sé.
    I più ovvi, nonché i più emotivi, erano sicuramente Balt e Paride, ciascuno con i propri demoni da affrontare (qualcuno più letterale di altri), e sebbene non fosse nelle sue corde empatizzare con altri esseri umani (no, nemmeno se quegli esseri umani erano i ben) non poteva negare, almeno in quell'occasione, di capirli almeno un po': anche Mona non ci avrebbe pensato due volte se al posto del pasticcere che aveva adottato di cuore il loro Caso Umano spagnolo ci fosse stata Cherry, o se al posto del primate grifondoro con una nocciolina nel cervello per cui Paris aveva preso chiaramente una sbandata, ci fosse stata Bennett.
    Ma sia Bennett che Cherry erano troppo intelligenti per farsi rapire e sparire due mesi, per questo Mona non aveva mai dovuto davvero preoccuparsi del benessere delle due ragazze.
    Non poteva dirsi la stessa cosa degli uomini, a quanto pareva, cosa che la più piccola di casa Benshaw aveva sempre sostenuto d'altronde — e infatti.
    C'era un patto (tacito, scritto, firmato col sangue, marchiato a fuoco nelle ossa, stretto tramite voto infrangibile: fate voi, ma comunque c'era) tra i Ben10 che dichiarava chiaramente che fosse loro dovere muoversi come unica entità in caso di cataclisma e sciagura, un po' tipo le istruzioni per evacuare un posto di lavoro o la scuola in caso di incendio; c'era un punto di ritrovo, e una serie puntata stilata da tutti loro che li obbligava moralmente a stare dalla loro parte. Sempre e comunque.
    (Memo che, chiaramente, non era arrivato a Bengali Tipton.)
    Mona era stata la prima a storcere il naso, a dodici anni, quando avevano avuto la prima bozza di quella conversazione ancora acerba, perché a detta sua c'erano troppi maschi nel gruppo, e le probabilità che il cromosoma Y li avrebbe inevitabilmente fatti finire nei guai più di quanto non avrebbe fatto quello X.
    Non si era sbagliata.
    Era perché Paris voleva riprendersi Theo che i Ben avevano valutato (e accettato) di partecipare alla missione ministeriale.
    Era perché Balt voleva riprendersi Wren che i Ben avevano valutato (e accettato) di partecipare alla missione ministeriale.
    Ed era anche perché Romolo fucking Linguini voleva riprendersi la sua famiglia, che Bennett Meisner aveva iniziato a decorare la propria lama con una moltitudine di brillantini decorati. Quell'ultima parte, più di tutto il resto, Mona non riusciva a capirla: da un anno a quella parte, la sua bff era inspiegabilmente legata all'altro primate grifondoro con una nocciolina nel cervello (funny siano due, e siano entrambi miei — if I had a nickel ecc ecc) e si vociferava che la colpa fosse della lezione avvenuta nella DA; non poteva ritrovarcisi, la Benshaw, perché lei una connessione con i suoi compagni di (dis)avventura non l'aveva instaurata, figuriamoci! Ci aveva messo anni per crearne una con i ben, come potevano pretendere facesse di meglio nei tre secondi totali in cui erano stati nella realtà virtuale?! Ma Ben lo aveva fatto. Ben! E con Romolo Linguini, fra tutti. Romolo. Era davvero terribile. Se non avesse avuto la certezza intrinseca nelle ossa che Ben avrebbe amputato l'appendice tra le gambe del grifondoro senza pensarci due volte, avrebbe potuto persino pensare che stesse rischiando di perdere un'altra corvonero per quel deficiente lì. Ma aveva fede in Bennett Meisner; di certo, molta più di quanta non ne avesse mai avuta in Erisha Byrne.
    Quindi. In sintesi: i ben10 sarebbero partiti perché, per un motivo o per un altro, qualcuno di loro aveva qualcosa da perdere — che fosse più o meno vicino al cuore, non faceva differenza. Si muovevano come una sola cosa, loro.
    (Più o meno, ciao Dara divergente.)
    Mona aveva compreso solo negli ultimi giorni che non avrebbe comunque potuto tirarsi indietro, nemmeno volendo; e, ancora più tristemente, aveva scoperto di non volerlo. Quel gruppo di babbei l'aveva resa soft e debole, e un po' li odiava per aver sempre avuto — ugh??? Ragione.
    Fece per dirigersi verso l'uscita del Fiendfyre, dopo una lunga serata passata a rimuginare sopra cose che non sarebbero cambiate, non importava quanto a lungo le avrebbe ripassate nella propria mente, quando si sentì invece trascinare per un braccio. Alzò subito gli occhi turchesi pronta a maledire, verbalmente e magicamente, il molestatore di turno, ma scoprì con sua sorpresa si trattasse, udite udite!, di Sorta Motherfucka. E che fai, a quel punto, non ti lasci portare ovunque la Lesbica per eccellenza ritenga opportuno? Mona aveva diciotto anni, gli ormoni a palla, e un desiderio di testare se le labbra della ex serpeverde fossero davvero morbide come sembravano da anni. Fatele causa!!!
    «ALLE SCELTE SBAGLIATE WOOOOOOO»
    Diamo per scontato che avessero versato un bicchiere di Whisky anche a Mona, altrimenti sarebbe stato molto maleducato da parte del barman; la cheerleader non ci pensò due volte a mandare giù il drink insieme all'altra ragazza, pur non trovandosi d'accordo con quell'affermazione: lei, per principio, non faceva mai scelte sbagliate.
    «sorta…» la salutò di rimando, sorridendole con il più morbido (e affamato) dei sorrisi. Le sembrava discutibilmente alticcia, o forse era solo l'impressione di una Mona decisamente troppo sobria per l'ambiente in cui si trovava, ma a suo favore bisogna dire che non fece assolutamente una piega quando la maggiore si alzò sulla punta dei piedi per salutarla con un bacio, ma anzi, la lasciò fare per poi rivolgerle un sopracciglio alzato e una piega divertita delle labbra truccate in maniera impeccabile.
    «scusa, puntavo alla fronte. a meno che non ti sia dispiaciuto, in quel caso puntavo al 100% alle labbra»
    Disoiacerle?! E quando mai?! L'unica cosa che le era dispiaciuta, se proprio, era stata la fugacità di quel bacio ricevuto per errore, e il fatto che non fosse bastato a decretare davvero la morbidezza delle labbra di Sorta.
    «cento percento» le rispose, lasciando che la maggiore le prendesse le mani e la trascinasse ancora — in pista, a fare un altro shot, nei bagni; davvero, a Mona andava bene tutto.
    «andiamo a ballare»
    Come poteva rifiutare l'invito da una Sorta Motherfucka? Ben l'avrebbe perdonata.
    La seguì ondeggiando tra la folla di corpi sudaticci, stando bene attenta a non toccare nessuno, nemmeno per sbaglio, che non fosse la strega davanti a lei; quando trovarono poi uno spazio di pista dove poter finalmente tornare a stare una di fronte l'altra, si strinse a Sorta perché c'era spazio ma non così tanto, e approfittò di quella vicinanza per chiederle «hai ancora la coroncina che ti ho regalato?» galeotta fu la festa freaks, «io ho conservato il tuo regalo» e le fece l'occhiolino, sperando ricordasse quella dedica scritta con il pennarello indelebile e quel "Ti regalo la cosa che mi sta più (vicino) a(l) cuore. no non sono le tette, ma per quello puoi sempre chiamarmi, XOXO Sorta Motherfucka" che ad una Mona quindicenne, all'epoca, era sembrato l'equivalente del ricevere le chiavi per il Paradiso.
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    Nemmeno lei era abituata a fare scelte sbagliate, almeno fino a qualche anno fa, poi shit happened e ora doveva subirne le conseguenze. Bastava davvero poco a mandare a fanculo la propria vita. Almeno ne fosse valsa la pena, tho. E invece, tutto questo per cosa? Quindi sì, ultimamente aveva l'idea che avesse da sempre sbagliato tutto. Lei. Era una sensazione persistente e invadente, come se le si fosse rimasta incollata sulla pelle. Ah no, forse era solo il braccio di quello sconosciuto sulla sua coscia- aspetta. Nemmeno si girò a guardarlo, per non distogliere lo sguardo da Mona, gli diede solo una gomita in quello che doveva essere il costato. Non ne aveva sentito lo scricchiolio sopra a quella musica e chiacchiere varie, ma lo aveva percepito nell'anima. 10/10 would do it again. «cento percento» era questo che meritava. Una ragazza e un po' di flirt senza alcun effetto collaterale, nessun drama, nessun ripensamento, head empty. Non le interessava più che fosse amore, il per sempre, un flirt occasionale le andava più che bene soprattutto se poteva evitare quella tortura. «lo rifarei» disse guardandola negli occhi prima di trascinarla con sé. Lo avrebbe rifatto ma non per sbaglio quella volta e non lo avrebbe nemmeno fatto durare un millisecondo, lo avrebbe assaporato fino a non avere più il respiro e lei era tanto bella fuori quanto lo era dentro: i suoi polmoni erano ben scolpiti e funzionanti, quindi sarebbe potuta andare per le lunghe. Si fece largo fra la gente, incenerendo con lo sguardo e il suo poco più di un metro e mezzo chiunque osasse avvicinarsi troppo a loro o allungasse la mano. Conosceva fin troppo bene quei posti ed era arrivata prima lei, Mona non aveva avuto nulla da ridire perciò era ormai era prenotata. Non avrebbe accettato intromissioni di nessun tipo. Trovò uno spazio dove poter stare senza rimanere spiaccicati tipo piadina a sconosciuti, anche se, visto il luogo, non avevano chissà che spazio di manovra. Non che la Motherfucka se ne lamentasse, anzi, quando Mona si era stretta a lei aveva sorriso, appoggiando le braccia attorno al suo collo (effettivamente chissà se ci arriva, quanto sei alta, Mona? No dai con i tacchi dovrebbe cavarsela in ogni caso. Alla peggio si appende tipo koala) «hai ancora la coroncina che ti ho regalato?» non dovette nemmeno fermarsi a pensare perchè non avrebbe dimenticato facilmente la festa freaks. «io ho conservato il tuo regalo» sul suo viso fece capolino un sorrisetto compiaciuto. Certo che ricordava il reggiseno regalato e la dedica che le aveva fatto. Era stata spudorata come al solito ma non senza motivo, non dedicava mai niente a caso. «oh, sì che lo ricordo, non mi hai più richiamata» sospirò affranta allungando la mano verso i suoi capelli per arricciarne una ciocca sull'indice. «la coroncina però la custodisco con cura in una teca» Anche perchè ora condivideva l'appartamento con Costas e non si fidava a lasciare niente in giro. «ogni tanto la indosso anche» perché sennò sarebbe andata sprecata, il suo posto era sulla testa di una principessa o una regina e lei aveva le carte in regola per essere entrambe, modestamente. «magari un giorno potresti venire a casa, per assicurarti come sta e per firmare la teca» oh sì, l'invito era proprio per quello. No doubt, no doubt, no doubt.
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    Mona sarebbe tornata, prima o poi, su quel «lo rifarei» di Sorta, annunciato senza esitazione e subito prima di afferrarla per le mani e trascinarla in pista; in quel momento, però, era appunto impegnata a seguire la maggiore attraverso la folla, ed era felice così.
    L’energia, e la ferocia, con cui la Motherfucka la stava conducendo verso la pista da ballo, lusingava la corvonero e la faceva sentire desiderata — e anche un po' protetta dalle zampacce lunghe di certi uomini; non sarebbe stata di certo lei a spezzare quell’incantesimo e riferire alla maggior che non avesse bisogno di essere protetta, perché Mona Benshaw poteva badare a se stessa meglio di chiunque altro: tutto quello che sapeva glielo aveva insegnato Cherry anni prima e lei si era limitata ad affinare, poi nel tempo, gli insegnamenti preziosi della sorellona.
    Era bello e accattivante, però, avere qualcuno disposto a incenerire con gli sguardi chiunque provasse anche solo a guardare nella sua direzione, nello sguardo scuro la promessa di staccare qualsiasi appendice riuscisse ad afferrare, pur di non perdere la conquista. Per una volta – o anche solo per qualche minuto, diciamo – Mona poteva accettare di essere la preda e non il predatore; era una versione insolita rispetto a come andavano solitamente le sue serate, soprattutto quando si calava nei panni della più adulta Charlie Barclay.
    Era anche curiosa di vedere quanto a lungo sarebbe durata, prima di tornare inevitabilmente allo status quo delle cose e reclamare una cosa che sentiva appartenerle di diritto, in ogni cosa: il controllo. Era maniacale, perfezionista, precisa e troppo sicura di sé, la Benshaw, per non essere una control freak — lo considerava uno dei suoi pregi più grandi *nail polish emoji*
    Fino a quel momento, però, si sarebbe goduta l’esperienza di essere dall’altra parte della barricata, lasciando a Sorta il controllo su ogni cosa, e lasciando che la manovrasse e indirizzasse dove preferiva, persino che le agganciasse le braccia attorno al collo e si stringesse di più contro il suo corpo; negarle cose del genere sarebbe stato un reato. E Mona non era una criminale, né una stupida.
    «oh, sì che lo ricordo, non mi hai più richiamata»
    Vero, tristemente vero, ma non vedeva per quale motivo giustificarsi o lanciarsi in scuse che a Sorta non sarebbero interessate; l’importante era recuperare il tempo perso, no? «posso farmi perdonare in qualche modo?» Osò dunque chiedere, mentre le mani scendevano lungo il corpo della ex serpeverde, palmi ben aperti ad accarezzarne la schiena e premere leggermente affinché i loro corpi si avvicinassero ancora di più.
    Ricordate la storia del controllo? Ecco, era durata molto poco: ogni parte di lei vibrava già per riavere il pieno dominio sulla situazione, dita a cercare la stoffa della maglia di Sorta per sollevarla appena e rubare un po’ di calore dalla pelle accaldata, e labbra che non aspettavano altro che decretare una volta per tutte la morbidezza di quelle carnose della Motherfuca. Proprio non sapeva come essere la conquista e non la conquistatrice, Mona Benshaw.
    «avrei un paio di idee…» La voce, quando parlò, era bassa e seducente, ma non serviva urlare per farsi sentire, data la poca distanza tra la sua bocca e l’orecchio di Sorta; sperava che l’altra percepisse il suo respiro corto sulla propria pelle, così come Mona sentiva l’energia statica farsi sempre più forte e mandare brividi lungo la propria schiena.
    Le fece la domanda sui doni che si erano scambiati due estati prima, senza rimettere distanza tra loro, ma anzi iniziando a giocare con una ciocca di capelli scuri. Le mancava il rosa, più acceso di quello pastello che sfoggiava lei, e che per anni aveva contraddistinto Sorta. Pink haired lesbian eccetera eccetera.
    «la coroncina però la custodisco con cura in una teca. ogni tanto la indosso anche»
    Gliele serviva proprio su un piatto d’argento, e chi era Mona per non cogliere quelle occasioni al volo?! Senza battere ciglio, né perdere un solo istante a domandarsi se fosse lecito o meno fare quella domanda, le chiese subito «mi pensi quando lo fai?» con il respiro ancora a pochi centimetri dalla pelle del collo, questa volta, dell’altra strega. «magari un giorno potresti venire a casa, per assicurarti come sta e per firmare la teca» mentre la maggiore parlava, Mona chiuse del tutto la distanza e lasciò un timido bacio nello spazio dell’incavo del collo, che durò solo un momento prima di diventare un po’ più serio, un po’ meno cauto.
    Non lo prolungò a lungo, perché non era così di cattivo gusto da lasciare succhiotti sul collo delle ragazze, non quando con quella bocca avrebbe potuto fare molto altro. Si leccò le labbra, non un gesto distratto o involontario, perché nulla di quello che Mona faceva non era calcolato alla perfezione, e assaporò il sapore della pelle calda di Sorta ancora impresso sulle sue labbra. «mh mh,» annuì, piegando leggermente il capo da una parte, «a firmare la teca, certo» se quello era il game della maggiore, Mona era curiosa di vedere che frutti avrebbe dato: era più esigente di così, la cheerleader…
    «a proposito di quel bacio…» l’idea di dover fare tutto lei non le dispiaceva, ma conosceva Sorta Motherfucka abbastanza bene da sapere che non avrebbe ceduto tutto il controllo, perché erano molto simili in quell’aspetto, e Mona voleva rispettare l’altra strega. Per questo si limitò solo a portare una mano al viso di lei, accarezzare delicatamente una guancia e lasciare che le ciocche scure le solleticassero le dita, avvicinando il viso abbastanza da far toccare i loro nasi, ma non chiuse le distanze con un bacio come avrebbe voluto. Invece, con un filo di voce e direttamente sulle labbra scure di Sorta, domandò «può valere come assoluzione?»
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