art supplies and (pain)t

aperta a tutti, giovani artisti accorrete!!1!

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    kunta
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    Un grugnito fuoriuscì dalle sue labbra mentre, con la faccia ancora nascosta nel cuscino, tastava la superficie del letto in cerca del telefono che non voleva proprio smettere di squillare. C’erano le sbronze brutte, d’altronde, e poi c’era la voglia di conficcarsi un oggetto contundente nelle tempie pur di mettere fine al dolore atroce; al momento, Ezekiel ricadeva nella categoria degli sfigati che preferivano la morte certa. Con l’aggeggio infernale finalmente in mano, premette a caso sullo schermo a LED nella speranza di beccare, prima o poi, un qualche tipo di tasto segreto per l’autodistruzione. Sfortunatamente non si può avere tutto dalla vita e il massimo che ottenne fu il cessare dell’insopportabile rumore, ma a quale costo? Schiaffò l’iPhone contro l’orecchio, mormorando un «dbsjksjdkb» strozzato più simile al richiamo di una volpe in calore, e decise saggiamente che così non poteva andare: ci provò di nuovo, quindi, e un più comprensibile «prontjsdjs.» raggiunse il mittente – che rimase, in ogni caso, in un silenzio snervante. Zeke, che non aveva tutto questo tempo da perdere, decise dunque di tornare nel mondo onirico con l’apparecchio ancora appoggiato alla testa. Inutile dire che quando partì la seconda chiamata quasi non rotolò a terra dallo spavento; stavolta, però, si prese la briga di controllare il nome sullo schermo piuttosto che fregarsi ancora. Solo una volta constatato che si trattasse del suo coinquilino decise di trascinarsi fuori dalla camera da letto, gli occhi ridotti a fessure per evitare che quei pochi raggi solari che fuoriuscivano dalle serrande abbassate lo raggiungessero e gli mandassero in fiamme la retina. Un sospiro lungo e aprì la porta principale dell’appartamento, passandosi una mano sul viso con quella poca frustrazione che riusciva a trattenere in corpo in uno stato simile. «quante volte ti ho detto di portare le chia– Nick?» Ma Nick non c’era. Si affacciò nel corridoio, guardando prima da una e poi dall’altra parte. Batté le palpebre tre, quattro volte. Portò il telefono ad altezza occhi, imprecando piano alla vista dello schermo (di nuovo.) rotto prima di controllare l’orario; erano appena le otto del mattino. Praticamente l’alba. Prima che potesse anche solamente pensare di richiamarlo e cercare di capire cosa stesse accadendo, il rumore della porta che si chiudeva alle sue spalle lo fece sobbalzare. «uh.» Si voltò lentamente in direzione del rumore, rimanendo poi quasi incantato a scrutare il legno consumato che lo separava dalla stanza del ragazzo in questione. Era uno… scherzo? Uno strano passatempo da giovane adulto sotto acidi? Non ne era del tutto certo. Decise dunque di lasciar perdere l’ingresso per incamminarsi cauto verso il corridoio, il sospetto che si trattasse di qualcosa di vagamente stupido o terribilmente preoccupante – o, perché no, un misto di entrambe le cose, conoscendo quel genio di un Nicholas – evidente nel labbro superiore arricciato e nella fronte corrugata, ma il ting di una nuova notifica lo bloccò nel bel mezzo della sala (sempre se così si poteva chiamare uno spazio grande abbastanza per un divano sfasciato e un tavolino su cui, precaria, era stata poggiata la televisione e le console collegate ad essa). Scorrendo col pollice sulla notifica, lesse quindi il criptico messaggio mandatogli dall’essere immondo che aveva deciso di giocare a Saw proprio in un momento così delicato.

    [8:06] dick von phallicus, the third: tavolo
    [8:06] dick von phallicus, the third: Controllj
    [8:08] dick von phallicus, the third: a


    E così fece: sul tavolo di terza mano della cucina, circondato da scatole di cereali e bottiglie di birra finita, vi erano un bicchiere d’acqua fresca, una pastiglia, e un bigliettino di carta macchiata e ripiegata in due. Volse nuovamente lo sguardo in direzione del corridoio, poi tornò a studiare il bicchiere. Che non stesse tentando di ucciderlo come in Dear Sister? Nel dubbio il Walsworth portò l’ibuprofene alla bocca, poi prese un lungo sorso d’acqua e si preparò a confessioni di vitale importanza. E qui è bene precisare che la vita in pericolo, in quel momento, era proprio la sua. Con gli occhi strabuzzati quasi comicamente, Zeke lesse tutto d’un fiato la lettera del suo stupido, stupido amico prima di lanciarsi contro la sua porta e picchiare col pugno su di essa, troppo disperato per dar conto alla testa che gli chiedeva pietà. «NIIIIIIIiiIiIiiIiICK» ah, se solo i suoi cari genitori fossero venuti a conoscenza di quella bellissima novità. Pieni di gioia! Estasiati! Quasi preferiva che l’emicrania lo facesse secco seduta stante, piuttosto che affrontare l’ira di sua madre e i “te l’avevo detto, cabrón” di suo padre. «non puoi abbandonarmi in questo modo, stronzo» un altro giro, un’altra manciata di pugni. Smise solamente quando si rese conto, finalmente, che una porta rotta sarebbe stata un po’ troppo intensa per il suo portafoglio già piangente di per sé; una carezza di scusa al legno martoriato, poi ritornò alla tattica dell’urlo. «non posso permettermi la retta di quest’intero posto– è per quel cuscino di Nicholas Cage nudo che ti ho fatto scartare a Natale davanti ai tuoi? Era uno scherzo in buona fede DAI NON FARE IL DIFFICILE NIIiIiIiIiIiIiICK» adesso sapeva come s’era sentito Zac Efron in quel terribile duetto a fine film con Vanessa Hudgens. Poggiò la fronte contro la superficie fresca, e tirò fuori un lungo sospiro. What abous us? What about everything we’ve been through? And what about trust? «devo cantarti Chiquitita? Lo sai che lo faccio.» Certo che sì. Avevano adottato un metodo estremamente efficiente, i due coinquilini: troppo poveri per sistemare le serrature alle porte ma comunque in possesso di un meraviglioso stereo da venti sterline e un micidiale Greatest Hits degli ABBA, avevano basato il loro messaggio in codice su di esso – Gimme! Gimme! Gimme! significava sto chiavando, mentre Chiquitita andava automaticamente preso come un il mondo è un posto crudele e non voglio parlarne a meno che tu non sia armato di alcol in quel caso beh ok. Non sprecando altro tempo passò quindi all’azione: si schiarì la gola, poi «Chiquitita, tell me what's wrong? You're enchained by your own sorrow» e aprì l’app della banca, constatando di essere totalmente in rosso. «In your eyes there is no hope for tomorrow» chiaramente ne aveva più bisogno lui. Respira. Respira. Respira. Respira. Respira. «È DAVVERO UN COLPO BASSO, AMICO.»


    Muoveva incessantemente la gamba destra, Zeke, facendo guizzare lo sguardo dalla tela immacolata ai presenti. Era fin troppo nervoso per fingere il suo solito educato distacco; inumidì appena le labbra, conscio del fatto che nel futuro immediato si sarebbe poi maledetto da solo per aver ceduto a quella brutta abitudine che finiva sempre per spaccargliele ancor di più, poi si sistemò meglio sul sedile. . La bellezza non era proprio il suo forte: alla perfetta simmetria del Discobolo lui aveva sempre preferito quella morbosa ricerca del sublime che aveva caratterizzato l’arte dei matti e dei rivoluzionari. Picchiettò piano il tessuto latteo con la punta ancora asciutta del pennello, poi cercò nuovamente la figura di Connor Walsh. Infine, allungò il collo per poter spiare la tela del suo vicino, trattenendosi a malapena dal mormorare un “same” alla vista dell’allegra composizione. Presto ci sarebbe finito anche lui in una di quelle tombe.
    «scelta interessante» e chi era lui per giudicare, dopotutto. La stranezza diveniva un ossimoro, quand’eri stato uno studente di Belle Arti: più normale del consueto. Tornando al suo capolavoro, il Walsworth spremette il tubicino di acrilico rosso primario sulla tavolozza, poi fece lo stesso con il giallo canarino, il blu ciano, il bianco; bagnò pedissequamente il pennello, non curandosi delle gocce che sparivano in macchie scure sui suoi pantaloni, e «perché, pensi che ci possa essere una correlazione sull’attività sessuale degli artisti e la loro arte?» «oh, sì» arricciò le labbra mentre raccoglieva disordinatamente il colore e poi lo stendeva sul piano, frapponendo le tonalità affinché si creasse un pattern simile a quello del marmo. «una vagina mi ha portato via il coinquilino, ad esempio.» Avrebbe voluto essere più arrabbiato, Ezekiel, ma sarebbe andato contro la sua indole di pacifista, e sarebbe comunque stato stupido tentare di convincersi che, nel momento in cui (perché finiva sempre così, inutile dirlo) il nuovo, scintillante love interest si fosse stancato del caro vecchio Nick, questi si sarebbe presentato in lacrime davanti alla sua porta e lui, senza neanche pensare al fottuto affitto da pagare e alle candele sparse per casa perché gli era stata staccata la luce, l’avrebbe riaccolto nell’appartamento con una zuppa calda e una spalla su cui piangere. «quando improvvisamente l’artista si trasforma in Georgia O’Keeffe e casa ti si riempie di tele 48x40 raffiguranti fiori a forma di clitoride dopo tre mesi di bozzetti sui post-it, sai che si sta dando da fare.» Fece affondare la testina grande nell’acqua ragia, muovendo il polso in movimenti circolari per rimuovere la pittura dalle setole. Poi puntò un pennello pulito contro il povero Tryhard: «lui, ad esempio,» e riempì nuovamente la tavolozza di tinta, stavolta nera, che avrebbe spruzzato poi sul dipinto con rapidità, «non sa cosa stia facendo, quindi chiaramente non è un grande esperto.» E dopo aver esposto a tutti i presenti la presunta verginità di Behan, lasciò il quadro ad asciugarsi in pace prima di scusarsi a fior di labbra e fiondarsi alla ricerca di Connor – il quale, una volta trovato, si sarebbe dovuto sorbire un bel «indovina chi è nella merda!» discorsetto.
    ezekiel zeke walsworth
    Heard the world
    is ending soon
    I assumed that they told ya
    They tryna dinosaur us
    so now it's time to go up
    street artist
    a sad bitch
    palo alto, us
     
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  2. akrasia.
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    «Questo sarà un corso un po' fuori dagli schemi Bravissimo sono venuta esattamente per questo motivo Non metterò al centro della sala una cesta di frutta chiedendovi di disegnarne con esattezza i dettagli Ecco bravo, voglio altro al centro della stanza «diciamo che ci concentreremo...sui concetti » ????? «ma...che cazzo però eh» Poco le importò delle occhiatacce che si guadagnò da ogni parte della stanza: aveva partecipato a quel corso per un unico motivo, Yvonne O’Sullivan: modelli nudi da dipingere. Del resto, cosa altro poteva aspettarsi da un corso di disegno tenuto in un posto come l’Amortentia? Era un fottuto centro benessere, e la bionda quella mattina, quando era arrivata lì per il suo appuntamento mensile per il refill della ricostruzione delle unghie e le era capitato tra le mani uno dei volantini pubblicitari, mentre sfogliava annoiata una rivista di gossip, era arrivata alla conclusione che, un corso del genere, fosse stato allestito proprio per portare benessere ai partecipanti. Era lì per corpi palestrati da poter ammirare, la bionda, non per parlare di concetti astratti e dipingere sul serio. Non aveva motivo di stare lì un minuto in più, anche perché la stanza era piena di ragazzini: l'età media generale era troppo bassa, per i suoi gusti, e dunque non aveva nemmeno a portata di mano uomini da poter conquistare. Ne aveva adocchiato soltanto uno, all'interno della stanza, che doveva avere sicuramente più di trentacinque anni, ma la presenza di una donna al suo fianco bloccava qualsiasi possibilità di conquista, per Yvonne: se fino a qualche tempo prima il fatto che un uomo fosse sposato o meno non l'aveva fermata in alcun modo, ma anzi, aggiungeva quel tocco di divertimento in più che la ragazza cercava in ogni cosa, era stata costretta a metter una pietra sopra a fidanzati ufficialmente e maritati dopo che la compagna della sua ultima fiamma - le aveva regalato una chanel talmente bella al primo appuntamento che per la ragazza era stato un colpo al cuore, dirgli addio. O meglio, dirlo al suo portafoglio - le aveva lanciato contro una fattura e Yvonne si era ritrovata con la pelle del viso, normalmente perfetta e senza alcun difetto, piena di bolle rosse e gonfie. Un incubo.
    Tirò fuori il cellulare dalla borsa, iniziando velocemente a scrivere un messaggio alla sorella, che l'aveva accompagnata fino a lì: quanto odiava dipendere dalle automobili, soprattutto quando la propria era dal meccanico: due giorni prima si era scontrata con un albero mentre tornava a casa completamente ubriaca, ma se glielo chiedete, la ragazza vi risponderà con fermezza che "l'albero è apparso in mezzo alla strada dal nulla, altrimenti l'avrei visto prima ed evitato" Smaterializzarsi era una delle cose che le mancava di più dell'essere una strega: almeno non correva il rischio di sbandare ed andare fuori strada ogni volta sempre che esagerava con il vino

    "Pearl il corso è un disastro totale, vienimi a prendere ASAP!!!"


    Così rimise il cellulare in tasca, nell'attesa dell'arrivo della gemella. Non sapendo bene che fare, iniziò a scarabocchiare sulla tela il contorno del suo adorato persiano bianco: la sua gatta era una delle uniche fonti di gioia nella sua vita. «E' una vagina?» Uh? Come faceva a saperlo? «eh già» L'aveva battezzata così, soprannominata gina per gli amici, geggi per i familiari «scusa ma come fai a saperlo?» Poi si rese conto che quel commento non era indirizzato a lei, ma ad un ragazzino alla sua sinistra: e l'immagine sulla sua, di tela, sembrava effettivamente una vagina.
    E a quel punto, la O'Sullivan pensava seriamente che il pomeriggio non avrebbe potuto esser peggio: parlare di vagine tra adolescenti non era sicuramente un'attività che amava. Anche se, il tipo rimasto senza coinquilino era quasi carino. Forse... No. Non doveva nemmeno pensarci. La sola possibilità di passare dagli uomini maturi ai toy boy comportava anche l'ammettere di star diventando vecchia. E Yvonne non era decisamente ancora pronta a farlo. Grazie a dio, ci pensò l'ingresso di Fray a strapparla da quei pensieri: voleva bene alla De13, anche se durante i loro anni di scuola Yvonne non aveva fatto altro che fare commenti poco carini su di lei ogni volta che se la ritrovava davanti. Però sempre in faccia, sia chiaro: insultare una persona apertamente era il modo della bionda per esprimere il proprio affetto, anche se pochi tendevano a capirlo. Eppure per lei era così scontato: quando non sopportava qualcuno allora ne parlava male alle sue spalle. Essere brutalmente onesta, ai suoi occhi, era il miglior atto di gentilezza possibile.
    «perché, pensi che ci possa essere una correlazione sull’attività sessuale degli artisti e la loro arte?» Quel discorso stava improvvisamente diventando interessante: valutò se scrivere un altro messaggio a sua sorella per dirle di poter far con calma, ma alla fine lasciò perdere. Del resto, una volta arrivata poteva partecipare anche lei alla discussione. «sono stata con un artista una volta» Più di una sola volta. Più di un solo artista Ma ce n'era uno in particolare ad esserle rimasto impresso «a dipingere faceva davvero schifo» visitare la sua mostra ed osservare i suoi quadri con un falso sorriso sulle labbra era stata probabilmente una delle cose più difficili che la ragazza avesse mai fatto in vita sua «ma nelle altre..mh..attività non era niente male»
    De13 se poi mi usi nell'articolo voglio esser citata, n-o-m-e e c-o-g-n-o-m-e !!1!

    yvonne o'sullivan
    oh beh per volare
    in autostrada
    in radio musica cubana
    Buttiamo in mare
    i cellulari
    Tu vedi nero
    io vedo Bali
    1992's | 26 y/o
    meanest girl
    spoiled brat
     
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    amaris 🍑

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    Shit Happens
    When something stupid or annoying happens
    without your control.
    Se c'era qualcosa che odiava più dello sprecare cinquanta minuti su una partita persa in partenza, era senza dubbio sprecare cinquanta minuti su una partita potenzialmente vincente interrotta dall'ennesimo calo di ping dovuto alla sua connessione adsl di merda.
    Sbatté il povero mouse -spettatore e vittima di innumerevoli sfuriate come quella- sulla scrivania, elencando una serie di imprecazioni più o meno eticamente accettabili e togliendosi le cuffie dalla testa per alzarsi in piedi e raggiungere la scatola del demonio.
    «Che cazzo di problemi hai?» gli sembrò giusto chiedere al suo router che, in tutta risposta, prese a lampeggiare quasi a mo di sfida, beccandosi di rimando la famosa menata aggiusta-tutto.
    Dinanzi al fallimento persino di quest'ultima, quando chiunque si sarebbe rassegnato all'idea di dover ascoltare per almeno un quarto d'ora le orribili canzoncine estive d'attesa del call center prima di poter finalmente scaricare la propria frustrazione sul malcapitato operatore di turno, Bjørn non perse la speranza ed azzardò un ultimo disperato gesto: chiamare quel deficiente del suo coinquilino italiano e sperare che la sua magia o i suoi contatti con la mafia potessero essere d'aiuto.
    Si tastò le tasche dei jeans alla ricerca del cellulare e, dopo la solita titubanza su quale fosse il numero corretto tra i due 'pizza' salvati in rubrica, finì ben presto per constatare di aver fatto la scelta sbagliata giusta: mai che quel cretino di un Signorini si degnasse di rispondergli, o almeno di richiamarlo.
    «Guess who's gonna pagare la prossima pizza, stronzo.» perché tra un italiano ed un norvegese, l'inglese maccheronico non poteva che essere ormai di casa. E poteva finire in maniera tanto semplice? Certo che no, il danno e la beffa: quando il suo cellulare prese improvvisamente a squillare, facendolo per un istante sentire in colpa della scarsa fiducia mostrata nei confronti del coinquilino, eccolo affrettarsi a rispondere, accorgendosi troppo tardi e con un certo orrore del nome apparso sullo schermo: mamma.
    «Genitrice.» salutò con tono piatto, senza neppure sforzarsi di mostrare il minimo entusiasmo nei confronti della donna che l'aveva messo al mondo e che non vedeva da... Un anno? Forse di più.
    «Mio figlio che risponde ad una chiamata? Devo star sognando.» da qualcuno la simpatia doveva averla ereditata, d'altro canto. Ora, non è che sua madre fosse poi così malvagia, è che lui non era stupido a sufficienza per riuscire a non notare l'ombra di delusione nella sua voce ogni qual volta ella gli si rivolgeva. E che poteva farci lui? Non l'aveva mica scelto di nascere magonò. Aveva persino acconsentito a sottoporsi agli esperimenti che avrebbero dovuto aggiustarlo, ma tutto ciò che ne aveva ricavato era stato uno stupido potere di manipolazione delle ombre: figo concettualmente, poco utile nella vita pratica per quel che ne aveva capito. Peggio ancora, da quando era uscito dai Laboratori aveva preso a soffrire di mal di testa continui ed era diventato persino più noncurante di quanto non fosse già. Aveva scelto di privare i suoi genitori della sua ingombrante presenza e si era trasferito in Inghilterra, patria della Magia, quasi per sfidare l'ironia della sorte, ed era finito in quella specie di monolocale spacciato per bilocale assieme al coinquilino mangia pasta a tradimento e con una linea internet preistorica da far uscire di cervello qualunque essere della sua specie.
    Si pagava l'affitto con qualche lavoro di poco conto qui e lì e, per lo più, facendosi spedire il denaro dalla sua famiglia, accontentandosi di quella vita in cui, quanto meno, non doveva sforzarsi più di tanto.
    «Sì, vabbé. Che vuoi?»
    «La prossima settimana io, papà e Martha veniamo a farti visita. Sei contento?»

    Un centinaio di bestemmie, dieci chiamate al call center e quattro pizze gratis più tardi, Bjørn non aveva ancora realizzato di dover dare una sistemata al porcile che era la sua stanza prima dell'arrivo della sua famiglia. Di più: non aveva la minima intenzione di farlo, preferendo di gran lunga fingere che la conversazione con sua madre non fosse mai avvenuta e che i suoi genitori + sorellina pestifera non avessero veramente avuto la brillante idea di muovere il culo da Bergen per venire a rompere le balle a lui.
    Di tanto in tanto realizzava di dover effettivamente alzarsi dal letto e dare una pulita se non voleva farsi rispedire in Norvegia con la scusa dell'irresponsabilità, ma ogni volta finiva per procrastinare giocherellando con le ombre che era in grado di creare o trasferendosi dal materasso alla sedia da gaming per l'ennesima partita a League of Legends. Quand'è che trovasse il tempo di mangiare, era un mistero persino per lui, visto che a stento ricordava di aver mai aperto la sua stanza negli ultimi giorni se non per pisciare. Ed ecco perché, quando la porta si spalancò all'improvviso, per poco non gli prese un infarto.
    «Cos... Non chiamarmi così – perché la spa?»
    Marzio, i suoi nomignoli da nostalgic gay, l'irruenza con cui ogni volta riusciva a trascinarlo fuori dalla sua bat-caverna (solo decisamente meno ricca e meno ordinata) e l'entusiasmo - barra - sadismo - barra - qualunque cosa fosse quel suo essere così irritante quando ci si metteva, che finivano /sempre/ per cacciarlo nei guai.
    E, se c'era una cosa che aveva imparato Bjørn da quel quasi anno intero di convivenza, era che provare a opporsi non aveva senso, a meno che non avesse avuto la forza d'animo e la convinzione necessaria per riuscire a imporre fermamente la propria volontà; e, inutile dirlo, lui non ne aveva neanche un po'. Cercando di non rompersi l'osso del collo e di infilarsi la giacca alla bell'e meglio, seguì Marzio giù per le scale borbottando fra sé e sé frasi del tipo 'santa Beyoncé, ma che ho fatto io di male'.
    «E' un regalo. Ti piacerà.» la cosa finì per terrorizzarlo anche più di prima. «Un giorno capirò perché ho sempre timore di morire nel seguirti...»
    E faceva bene Bjørn a restare sempre un po' guardingo nei confronti dell'altro, specie quando questi decideva persino di addolcire la pillola promettendo qualcosa in cambio, segno che il danno prossimo avrebbe potenzialmente potuto rivelarsi fatale.

    «La spa. Davvero.» e come poteva non essere sorpreso, visto che per tutto il tragitto non aveva fatto che chiedersi dove si sarebbe nascosta la truffa. L'unica nota positiva per cui non aveva ancora cercato di fuggire a gambe levate? Qualsiasi cosa pur di non dover tornare a casa a riordinare la camera e a pensare all'arrivo dei suoi.
    «Non farmi fare brutte figure, e sorridi.» e già questo poteva essere un problema, dal momento che sorridere era una di quelle cose che gli venivano già di per sé complicate.
    «Che... Diamine, perché dovrei sorridere? Mi avevi promesso un regalo.» diamo a cesare quel che è di cesare, quanto meno si aspettava di guadagnarci qualcosa, magari qualcosa di più sostanzioso di una... Caramella? La afferrò al volo e, il suo sguardo dapprima sorpreso, si trasformò presto in uno di chiaro disappunto nei confronti del coinquilino.
    «E' – una caramella? Ti odio. E smettila di dirmi di sorridere, che vuoi.» finiva sempre, puntualmente, per cascarci con Marzio, come quella volta in cui si era lasciato trascinare ad un corso di zumba per anziani (#wat) solo perché gli sembrava una cosa divertente da fare.
    «Scusa, ma mi hai appena dato della faccia di cazzo?» ancora leggermente confuso e con le dita impegnate a cercare di scartare quella dannatissima caramella, diede un'occhiata agli altri presenti per cercare di capire cosa fosse il caso di fare (a parte tentare di piantare un pennello nella carotide dell'italiano al momento opportuno).
    Rassegnato e con la stessa fantasia di un termosifone, prese a ""disegnare"" soggetti a casaccio, lanciando di tanto in tanto un'occhiata a Marzio per ricordarsi la ragione per cui era finito lì. Tendeva facilmente a dimenticare le cose Bjørn, specie da quando aveva sviluppato una massiccia dipendenza da cocaina, andava detto.
    «Ditemi, cos’è per voi l’arte? E chi di voi è ancora vergine?» giunse poi alle sue orecchie, facendogli definitivamente abbandonare il proposito di non sclerare di brutto. «Diciamo che arte e verginità per me sono molto simili, ho perso interesse in entrambe molto presto.» no, ma... Sul serio?
    «Questa è colpa tua. Finiremo rapiti e stuprati da questa matta di... Sedicenti artisti con manie omosessuali. E a te piacerà anche. Ti odio.» sussurrò a denti stretti allungandosi verso Marzio, voltando il capo a destra e a sinistra per assicurarsi di non essere sentito. Poi rivolse un sorriso a trentadue denti alla tipa che aveva accanto, giusto per l'evenienza.
    «Non dovremmo usare tinte più naturali? Per proteggere l’ambiente. Roba tipo il sangue.»
    Oh, Beyoncé.
    «Scusate, ma dov'è che si prende la droga?»
    Bjørn Andersen
    Uh-oh if you don't mind,
    I'd rather you not
    waste my time.
    careless
    asshole
    21 YO | Muggle


    Il disegno di Bjørn somiglia a questo, che è un mio delirio alcolico di due anni fa e mi sembrava giusto mostrarvelo :perv2:

     
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    Corrugò le sopracciglia abbandonando la polaroid sulle proprie gambe. Sbilenca come solo un essere vivente seduto su una spalla di Jeremy ed una di Todd Milkobitch poteva essere, Arabells Dallaire lanciò un’occhiata omicida al ragazzo di fronte a sé, le oltraggiate labbra sottili piegate verso il basso. Allungò perfino un accusativo indice verso il giovane incriminato. «cosa ci fai tu qui?» avevano una regola - una sola! Stiles ricambiò il suo sguardo pigiando maggiormente il cappello sulla testa bruna, un dito alle labbra per intimarle di abbassare la voce. Bells si strinse nelle spalle arricciando il naso: davvero, Stiles?
    Sì, davvero. «cosa ci fai tu qui» rimbrottò lui, portando indispettito i pugni sui fianchi. Con un sospiro teatrale, la Dallaire appese la fotocamera al collo, balzando agile al suolo. Stirò le braccia sopra la testa scoprendo maggiormente un ventre già nudo, i pantaloncini di jeans così corti da mostrare la curva del fondoschiena, i vibes da spiaggia a sprizzare dalla pelle già dorata quasi si trovassero a CJ’s baywatch piuttosto che ad Hogsmeade. Le piaceva fingere di vivere in spiaggia, malgrado la sua attuale residenza fosse il divano dei Milkobitch. La faceva sentire più…estiva. «mi acculturo» strinse le palpebre, fermandosi di fronte allo Stilinski per squadrarlo dal basso verso l’alto. La loro regola, a taciuta conoscenza di loro due soli, era non trovarsi mai nella stessa stanza in pubblico con Jeremy Milkobitch presente. Arabells Lies Dallaire, da quando tre quarti dei suoi amici erano a spasso nel tempo, necessitava della completa e totale attenzione del suo (ormai unico.) migliore amico; non sarebbe, e non era mai, stato un problema considerando che il Tassorosso la amava abbastanza da concedergliela, e di certo la complicazione non era data dalla presenza del budino alla vaniglia Stilinski, ma. MA! Entrava in gioco il fattore fandom, e Bells era troppo sveglia per farsi coinvolgere nelle faide del fandom: era cresciuta con Nathaniel Henderson, sapeva verso cosa sarebbe andata incontro.
    Ora. Aveva deciso di non porre domande a Jeremy in proposito, conoscendolo abbastanza da sapere che prima o poi se avesse voluto dirle qualcosa, avrebbe ceduto, ma non poteva ignorare il fatto che quella…pseudo relazione con lo psicomago durasse da quasi un anno – anche perché nessuno al mondo glielo permetteva. Le nuove generazioni avevano portato lo shipping irl ad un livello che talvolta, e lo sapeva perché l’aveva visto, faceva commuovere di orgoglio l’Henderson: bacheche su pinterest, occhiate dalle panchine adiacenti, gomitine e spinte del tutto intenzionali. Sarebbe stato idealmente tutto molto tenero, se a) non le avesse dato il voltastomaco e b) non si fosse trattato di ragazzine psicopatiche. A quanto pareva, nella loro mente giovane e perversa, non esisteva l’amicizia: Arabells Dallaire era il loro nemico giurato, e non lesinavano dal dimostrarglielo nei modi più creativi. Non che la cosa, all’ormai ex Corvonero, turbasse particolarmente: le liquidava con sorrisi dolci e dita medie sollevate nella loro direzione, intoccabile nel suo ego come un palloncino troppo alto per le cicciotte mani dei bambini al wicked park; non la frenava certo dall’essere molesta con l’uno o con l’altro, con Jeremy perché poteva e con Stiles perché lo irritava. Quel che la Dallaire non sopportava della situazione, era il colpevole sguardo da cucciolo di foca maltrattato di Andrew Stilinski. Non importava quante volte Bells gli avesse detto che non potesse sbattersene di meno, o di quanti schiaffi avesse tirato alla nuca del ragazzo per sottolineare il concetto – e quando Stiles era triste, Bells (b e l l s, la pragmatica e logica bells!) lo era per osmosi. Da quando erano diventati semi colleghi, considerando che l’ambiente del San Mungo si era di molto ridotto negli ultimi tempi, avevano passato dall’essere conoscenti, non sei neanche il mio fremello preferito a messaggi nel cuore della notte come stiles, con quale starter devo iniziare la versione zaffiro? Risp. ricambiati da video di mantidi religiosi che praticavano il kung fu. «qual è la tua scusa?» Lui piegò il capo come se gli avesse appena fatto la domanda più stupida del mondo.
    L’aveva fatto?
    Stiles sospirò portando drammatico una mano al petto. «in quanto padre di famiglia, ho delle responsabilità» chiarì, come se fosse stato del tutto ovvio.
    Assurdamente, lo era. «lecito» anche se del tutto lecito non credeva lo fosse. Prima che potesse reagire, gli saltò sulla schiena arrampicandosi come un koala, sollevando vittoriosa le mani al cielo quando riuscì a salire abbastanza da poter poggiare le cosce sulle sue spalle. «MOSCA CIECA»
    Doveva aver avuto una vita precedente piuttosto meschina, Andrew Stilinski. Prima che avesse il tempo di ribattere, la Dallaire gli rubò il cappello (standard.) e gli coprì gli occhi con le mani. Sì, quello era uno dei loro (suoi: Stiles era solo troppo buono) passatempi preferiti nei corridoi deserti del San Mungo: Bells lo rendeva cieco, e lo guidava con la voce indicandogli il percorso da seguire per non schiantarsi contro un muro od una porta.
    Per inciso, facevano pena a quel gioco, ed i bernoccoli dell’ex Tassorosso ne erano un chiaro esempio. «dobbiamo proprio?» supplicò con un filo di voce, ma l’unica risposta che ricevette fu: «più a destra!» lo prese come un sì.

    «perché, pensi che ci possa essere una correlazione sull’attività sessuale degli artisti e la loro arte?» Impegnato a creare la propria d’arte, Stiles aveva ignorato le conversazioni precedenti – anche perché cosa rispondevi ad una Jericho sottilmente intenzionata a tagliar loro la gola per creare un nuovo van gogh? Niente, niente - ma non poté trascurare la domanda della ragazza. Sì, okay, aveva finto di non sentire la domanda della De Thirteenth per un motivo (quale? imbarazzo) specifico, ma nel completare la sfera con (poco) sapienti tratti di pennello, non potè trattenere il sopracciglio arcuato e l’occhiata allusiva nella direzione di Shiloh. «mai visto il titanic?» rispose con una domanda, rimpiangendo di aver aperto bocca nell’istante stesso in cui udì le proprie parole. Ma cosa non andava in lui? «disegnami come una delle tue ragazze francesi» citò ancora, cercando con lo sguardo qualcuno con l’abilità della realtà artistica perché potesse rendergli concreto il cimitero di Jack Daniels: sotterrarsi gli pareva un’ottima soluzione, in quel momento.
    La Dallaire, invece, aveva altri problemi. Dopo aver dimostrato chiaramente cosa per lei fosse aesthetic, abbandonò la polaroid al proprio collo, portando i ferini e violenti occhi chiari sul duo al proprio fianco. Sollevò la mano e si schiarì la voce chiedendo il permesso di poter intervenire, ma senza distogliere lo sguardo da Mafia e Organizacija. «qualcuno potrebbe spiegare che non siamo nel maledetto seicento, ed è di cattivo gusto, nonché ridicolo, associare l’omosessualità – che ricordo essere, caso mai non foste aggiornati, un orientamento sessuale e non stilistico - all’arte?» sorrise amabile senza che il calore giungesse alle iridi grigio verdi. «io ho le mani impegnate» leggasi: sono troppo signora per tirarti un pugno, ma voglio comunque farti sapere che lo farei.

    arabells "lies" dallaire
    With all the money
    in the world, you
    could never buy this girl
    Quite enough, it will be tough
    There’s an elephant
    sitting in the room
    And I can’t find another way to tiptoe around it
    former: ravenclaw --- hufflepuff
    occupation: healer --- psychowiz
    birth: 2000's --- 1997's
    andrew "stiles" stilinski


     
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    Gambe accavallate, dita posate sul gessetto tenuto a mezz'aria attente a non sporcare i pantaloni cachi di nero. Con un sorriso leggero sulle labbra color fragola, Noah lanciava saluti cordiali a chi gli passava davanti chiedendo premurosi "come stai?" a chi conosceva e studiando i volti dei compagni di corso a cui ancora non aveva avuto l'onore di presentarsi. Si chiedeva quanti di coloro in quella spa fossero lì per vero interesse nella materia, quanti per pura amicizia nei confronti di questa o quella persona. Dal canto di Noah, lui non era certo da Amortentia quel giorno pensando che avrebbe potuto imparare qualcosa dal Walsh, figuriamoci, semplicemente era curioso di vedere che lavori avrebbero tirato fuori tutti coloro che avevano pensato di partecipare al corso (molti mai visti, se non di sfuggita qua e là); come già annunciato a Connor quando gli aveva fatto sapere con una missiva che avrebbe partecipato a quella lezione (gesto a quanto pare non richiesto, cosa che Noah aveva trovato parecchio di cattivo gusto e troppo disorganizzato per i propri gusti; e se si fossero presentate solo due persone? Se se ne fossero presentate dueento in una sala che ne poteva ospitare una trentina??) sperava di poter incontrare qualche futuro membro del pain/ting club; a Noah piaceva far parte di un gruppo esclusivo ed elitario, parlare di arte con poche persone fidate mostrandosi a vicenda i propri lavori, ma il gruppo meritava davvero persone in più in modo da farsi pubblicità e trovare agganci per esposizioni e company - senza contare che non era mai male sentirsi elogiare da questa o quella persona in più. Il Parrish era troppo egocentrico e vanesio per accontentarsi che i suoi disegni venissero guardati da quattro gatti in croce.
    «via dalle palle.»
    Alzò gli occhi proprio mentre Jeircho decise di sedersi al suo fianco. Noah aprì istintivamente la bocca per dirle che quel posto era occupato, ma richiuse in fretta le labbra nascondendo il gesto con un sorriso sereno. Sarebbe stato scortese mandarla via, e neanche era certo che Idem sarebbe andata alla lezione, nonostante le avesse lanciato più volte input che a Connor avrebbe fatto piacere e avesse anche appeso il volantino sul frigo vicino alla canzone del giorno. "Suvvia, la vedo tutti i giorni; anche venisse, non dobbiamo per forza stare vicini; poi si porterebbe sicuramente dietro Tupp, e non la lascerebbe mai seduta da sola. Meh". Si sistemò meglio sulla sedia, ricambiò il cenno del capo verso la special. «Jericho Lowell» salutò allegro ma pacato; un piccolo vizio che aveva sempre avuto, quello di usare nome e cognome nel salutare: una volta aveva letto che rendeva l'interlocutore più propenso a una chiacchierata piacevole. «Sono felice tu sia venuta» già troppe parole e troppa cortesia per la Lowell, lo sapeva, quindi tornò in fretta con lo sguardo sul prof.
    Non si poteva dire del tutto deluso dalla sua scelta di non mettere a disposizione modelli, e con gesti rapidi iniziò a disegnare sulla tela col gessetto nero che si era portato da casa. Lo sguardo era serio e attento, ma non si stava impegnando come al solito (pur desiderando far bella figura), preferendo invece prestare attenzione ai discorsi degli altri nella stanza.
    «non dovremmo usare tinte più naturali? Per proteggere l’ambiente. Roba tipo il sangue»
    Noah non distolse lo sguardo dalla tela, ascoltando le risposte degli altri alla domanda della Lowell e attendendo buono buono il proprio turno.
    «il sangue ha una pigmentazione straordinaria, se vuoi provare»
    I discorsi sulla verginità gli interessavano meno (wow ok aveva perso la verginità e aveva fatto sesso, che bello, much divertente, anche se ci aveva scritto sopra poesie parafrasando e inventando metà delle emozioni provate, non voleva dire avesse voglia di parlarne con sconosciuti), quindi non si fece problemi a parlare sopra alle altre persone: «Parli dell'emopittura? Devo dire che mi ha sempre affascinato il legame indissolubile che andrebbe a crearsi fra l'artista e la propria arte, e come il primo sarebbe direttamente parte della seconda... ma pur non ritenendomi un uomo di scienza mi fido degli antichi, e se il sangue - umano o animale - non era usato come pigmento, un motivo deve esserci. Immagino sia legato al fatto che il rosso vivido diventi marroncino dopo poco, o che sia un materiale tutt'altro che immortale» fece spallucce. se aveva provato? certo che sì. Anche non fosse stato curioso del risultato, era uno special col potere della realtà artistica: fin dai laboratori era stato curioso di scoprire se poteva disegnare con qualsiasi materiale, e ancora adesso girava con un anello che, schiacciato nel punto giusto, faceva uscire un ago per permettergli di tagliarsi e disegnare col proprio sangue in caso di bisogno. fece spallucce «Chi lo sa. Dovremmo fare una prova, o chiedere a Google. Scommetto che lui lo sa» lui, sì. Ancora credeva ci fosse un Signor Google dentro il pc, e vabbè.
    noah emery parrish
    Why is “pretty boy” considered an insult? like call me a pretty boy, Call me a pretty boy right now. I want to be the
    prettiest boy you've ever seen.
    kinda 1995's | 23 y.o.
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    sheet Margaret Piper • 2018 • 22 •
    Maggie sentiva le dita sul suo corpo, la loro pressione sulla pelle. Sentiva i muscoli tendersi, allentarsi, tendersi ancora. Erano movimenti ipnotici, precisi, rilassanti al punto da farle chiudere gli occhi, come se volesse godersi a pieno il momento. In realtà, il sorriso sornione mascherava quello che, a tutti gli effetti, sembrava fosse il principio di un ben meritato annebbiamento dei sensi. Da quanto tempo aveva smesso di prendersi cura di se stessa? Per quanto tempo si sarebbe lasciata sopraffare dal suo lavoro e avrebbe permesso a Svetlana di risucchiare completamente quel poco che le era rimasto della sua vita? Si sentiva relegata in una scintillante prigione che aveva costruito negli anni, perennemente schiava di una professione che aveva scelto più per convenienza che per passione, di una maschera che non era altro se non l’ennesima protezione, l’ennesimo scudo.
    Sia chiaro, Maggie amava il sesso, ciò che le stava stretto era il non poter mai lasciarsi andare, il non riuscire ad avere il pieno possesso del suo corpo. Lo sentiva sempre altrui, come se non le appartenesse a pieno. In fondo, lei era soltanto un mezzo. Una barbie in carne ed ossa, pronta a seguire il dio denaro.
    Sperava che, rilevando il Lilum, potesse essere più indipendente. Sperava di rompere quei fili che guidavano ogni suo movimento. Sperava di poter iniziare a vivere.
    Stupida, sciocca, Maggie.
    Il confine che aveva segnato tra lei e Svetlana era diventato talmente sottile da essere ormai quasi invisibile; la distinzione tra la ragazza che era di giorno e quella che era una volta accese le luci del Lilum stava diventando ormai un mero ricordo. Aveva deciso di intraprendere quella strada consciamente, consapevole dei pro e dei contro, del fatto che “Maggie” sarebbe potuta diventare una mera spettatrice passiva. In fondo, a Margaret non interessava. Il suo fine ultimo, il filo che muoveva la sua esistenza, era puro istinto di sopravvivenza. Avrebbe fatto tutto quello in suo potere (e non) pur di restare a galla, pur di restare ai margini di quella società ormai alla deriva: avrebbe venduto la sua anima al diavolo (ammesso ne avesse ancora una) o scendere a patti col suo vero io, lasciando che la parte peggiore di sé, frutto di quel mondo malato, venisse finalmente a galla.
    Tuttavia, Maggie era ancora utile. La scintillante facciata di sano biondismo e ingenuità era necessaria per tessere una rete di contatti che sarebbe potuta essere di vitale importanza qualora la situazione nel mondo magico si fosse fatta critica. Per questo motivo, era giusto che si prendesse il suo tempo, che curasse non solo il suo corpo (principale fonte di guadagno), quanto anche il suo spirito: aveva bisogno di rigenerarsi, di staccare, di avere relazioni interpersonali che andassero oltre i carpentieri, gli architetti, i burocrati e gli operai. L’Amortentia era il posto ideale per passare del tempo in frivola compagnia, per essere aggiornata su tutti i gossip e le novità del momento tra un trattamento e l’altro. Univa l’utile al dilettevole, un po’ come al Lilum. Adorava lasciare che qualcun altro si prendesse cura di lei, che pensasse al suo benessere. Amava l’odore degli olii profumati che permeavano l’aria, la musica rilassante e la morbidezza dei lettini; l’atmosfera della SPA in generale. Per questo accolse di buon grado la proposta di Mrs Clay, ovvero di spendere le due ore di posa della maschera per il viso in una stanzetta privata all’interno della struttura. Certo, avrebbe preferito restare sul suo lettino e continuare a dormire, ma non se la sentiva di declinare l’offerta della donna, almeno fin quando non aprì la porta di suddetta camera e si trovò davanti uno scenario del tutto insolito.
    Ok, erano maghi, erano abituati alla stravaganza e alle bizzarrie ma da quando si tenevano corsi di pittura all’Amortentia? Che fosse una nuova frontiera della cromoterapia? A quel punto, tutto era possibile e lei sarebbe stata l’ultima persona, in quel momento, a poter giudicare tale scelta. In fondo, non si era appena presentata in vestaglia, ciabattine piumate e cerone sul viso? L’outfit perfetto per non attirare minimamente l’attenzione!
    Sospirò lievemente prima di sfoggiare uno dei suoi sorrisi di scena, celando dietro esso tutto l’imbarazzo che avrebbe potuto provare se non fosse abituata a esibirsi con abiti decisamente più succinti. 
Prese posto su uno degli sgabelli liberi a lei più vicini, accavallando le gambe in modo studiatamente disinvolto, e prese in mano un pennello, saggiando la consistenza della testina con la punta delle dita. Le sue comprovate doti artistiche non riguardavano la pittura, eppure decise di mettersi in gioco: difficilmente qualcuno l’avrebbe riconosciuta in pubblico, specialmente i suoi clienti: in quanti ammetterebbero, magari davanti a parenti ed amici, di essere andati (letteralmente) a puttane?
    Ciò che non aveva tenuto in considerazione, però, era la totale assenza di ispirazione; tutto ciò che le veniva in mente in quel momento, era spalmare il suo viso sulla tela bianca, puntando a una riproduzione decisamente più blasfema di una delle reliquie sacre più controverse della storia. Chissà se, una volta capito quale fosse lo scopo del corso e aver recuperato la parte di lezione che non aveva avuto modo di seguire, sarebbe riuscita a fare qualcosa… o a farsi, almeno, l’insegnante.

    «Hail to the Victor»
     
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    ELWYN HUXLEY
    scheda | 1994 | MERCENARIO | METAMORFOMAGUS | EX-CORNOVERO | pinterest
    Nel mondo magico, come tra i babbani, circolava una storia, una leggenda che nel corso degli anni si era arricchita di dettagli nuovi, elementi talmente improbabili da andare a comporre l’immagine di un personaggio senza alcun riscontro nella vita reale. Si narrava, infatti, dell’esistenza di individui in grado di svegliarsi spontaneamente al canto del gallo ed esserne felici, di soggetti capaci di aprire gli occhi e sentirsi riposati, pronti ad affrontare tutto ciò che quella giornata avrebbe avuto in serbo per loro, spinti da un obiettivo, uno scopo attorno al quale ruotava la loro esistenza. Ogni versione di quel racconto presentava, poi, lievi variazioni che contribuivano a renderlo ancor meno plausibile: talvolta, quella figura mitologica era mossa dall’impellente bisogno di praticare della sana attività fisica, mentre il resto della popolazione era ancora tra le braccia di Morfeo, oppure cedeva alla consuetudine di intrattenere una cordiale conversazione con i vicini poco prima di andare a lavorare. In ogni caso, dal punto di vista di Elwyn, credere nell’esistenza di persone simili era pura follia. L’ex-Corvonero riusciva ad essere insoddisfatto della sua giornata ancor prima che questa potesse cominciare: apatico, svogliato e insofferente, rotolava giù dal letto, agitava la bacchetta, lasciando che la colazione si componesse davanti ai suoi occhi, e rimaneva a fissarla per un lasso di tempo interminabile, in attesa che la sua attività cerebrale mostrasse dei picchi incoraggianti.
    Quella mattina non aveva fatto eccezione e l’unico motivo per il quale aveva deciso di abbandonare le quattro mura in cui viveva – e affrontare una delle terribili piaghe del loro mondo, la gente –, era un appuntamento con un nuovo cliente. Non riceveva un incarico degno di nota da settimane, limitandosi a svolgere compiti pari, per un pompiere, al salvataggio di un gattino su un albero, e non aveva un buon presentimento neppure quel giorno. Gli risultava difficile credere che, in una società sull’orlo della guerra, il suo business potesse avere un tale periodo di flessione, ma non si lasciava sfiorare dall'idea che ci fossero mercenari ben più esperti e competenti di lui. Non che ci tenesse a rapire sconosciuti o rubare oggetti che, per quanto ne sapeva, avrebbero potuto cambiare le sorti della comunità magica, sia chiaro; aveva scelto quel mestiere per una serie di motivi che nulla avevano a che fare con il piacere, con la malsana gioia che altri avrebbero potuto provare nel compiere azioni ben oltre i confini della legalità. Era stato inevitabile, necessario, la naturale conseguenza delle sue azioni. O almeno era ciò che continuava a ripetersi.
    Passò le mani sulle pieghe della gonna, conservò la bacchetta all’interno della borsa e fece il suo ingresso da Madama Piediburro. Non avrebbe saputo dire cosa lo infastidiva di più di quel luogo, se la predominanza del colore rosa, tra le tinte pastello scelte per arredare il locale, i motivi floreali che tappezzavano le pareti e venivano richiamati da ogni elemento del servizio da tè, oppure, ancora, il tipo di clientela seduta attorno a quei tavolini rotondi, decorati con fiocchi e merletti. In circostanze normali, Elwyn si sarebbe sentito fuori luogo in mezzo alle smielate coppiette che si tenevano per mano e i nutriti gruppi di allegre comari, intente a sparlare di amiche e mariti davanti ad un piatto di biscotti; non quel giorno, non quando, agli occhi del resto della clientela, l’ex-Corvonero appariva come un’amabile vecchietta, anonima in ogni dettaglio del suo aspetto, dalle profonde rughe sul viso alla chioma argentea, ordinata e capace di resistere alle più forti raffiche di vento. Nessuno avrebbe potuto sospettare di lui. Anche perché, ad essere onesti, nessuno era interessato alla sua presenza. Quell’eccessiva cautela era del tutto inutile, così come non era necessario parlare in codice e utilizzare istruzioni culinarie per mascherare le azioni che avrebbe dovuto compiere, rendendo la conversazione dannatamente complessa; eppure, Elwyn trovava fosse un'idea geniale che gli avrebbe garantito, se non altro, una seconda colazione a carico della cliente.
    Una volta fuori dal locale e imboccata la strada per tornare al suo appartamento, l’attenzione si concentrò su un manifesto affisso alla porta dell’Amortentia. Corso d’arte aperto a tutti. Non se la cavava male nel disegno, ma non aveva intenzione di starsene seduto per ore, su degli sgabelli, a raffigurare cesti di frutta o esprimere il suo stato d’animo attraverso la pittura. Aveva un’idea stupida migliore.
    «Perdonate il ritardo.» si sarebbe aspettato di trovare poco più di una decina di persone e rimase sorpreso nel constatare che il numero dei partecipanti era decisamente più elevato. Non importava, in fin dei conti, perché non si sarebbe presentato come Elwyn e non sarebbe stato osservato e giudicato come tale. Si sarebbe nascosto, ancora una volta, dietro una delle sue trasformazioni, dietro una delle tante maschere che usava ora per celare insicurezze e timori, ora per provocare le persone che aveva attorno, per metterle in imbarazzo, infastidirle, spingerle al limite e gustarsi le conseguenti reazioni. E, in quel caso, era evidente avesse soltanto voglia di stuzzicare i presenti, com'era altrettanto chiaro che non gli avrebbero permesso di restare a lungo. «Ho avuto un contrattempo con la polvere magica.» avanzò all’interno della stanza, fino a trovarsi in un punto in cui tutti avrebbero potuto vederlo con facilità e rendersi conto, soprattutto, che non indossava nulla. Era completamente nudo. Aveva assunto l’aspetto di un uomo sulla quarantina, alto, occhi azzurri, fisico scolpito e proporzionato in ogni sua parte. Dopotutto, non si era presentato certo per farsi deridere. «Come preferite che mi sistemi? Così?» si ispirò all’immagine di sculture celebri, passando dal David al Discobolo fino al Pensatore, l'unica figura che gli avrebbe permesso di starsene comodo per tutto il tempo necessario.
    murdered remembered murdered -- ms. atelophobia


    Edited by badblood` - 2/8/2018, 05:05
     
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    you have a nice heart
    Si trovava in Inghilterra da meno di un mese e si era già messo alla ricerca di un lavoro. Non aveva bisogno di lavorare, in realtà, perchè la sua famiglia era benestante, ma lui sentiva la necessità di tenere la mente ed il corpo costantemente impegnati in qualcosa. Contava, inoltre, di fare più conoscenze in questo modo, cercava ad ogni costo un appiglio per farsi piacere l'Inghilterra, e per il momento non lo aveva trovato. Mancava da Boston da solo un mese ed aveva una nostalgia immensa.
    Quella mattina aveva, quindi, stilato una lista del perchè farsi piacere quella terra, sperando così di riuscire a convincersi che non fosse così male.
    "Conoscere nuove persone" "La sua storia" "Biblioteche che non ho visitato" "Boschi" "La Regina" (?) "La Jurassic Coast" e... "Hogwarts!" Certo, Hogwarts non era propriamente in Inghilterra, ed era probabile che Gideon fosse uno dei pochi, se non l'unico, ad apprezzarla essendo un mezzosangue. Era informato sulla sala delle torture, aveva fatto delle ricerche, ma contava di riuscire ad apprezzare soprattutto i lati positivi del castello. E poi, dai, non era certo il tipo che andava a cercarsi i guai, su questo temeva più per sua sorella.
    « E' qui. » Sollevò lo sguardo dalla mappa che teneva tra le mani, per rivolgerlo a suo padre che l'aveva accompagnato. Non lo riconosceva in quelle vesti camuffate dalla magia, ma riconosceva i suoi sguardi.
    Ah, non ricordavo fosse qui, ma sai, non ci vengo da anni. Suo padre si guardò intorno, con espressione palesemente nostalgica. Faccio un giro, ci sono un po' di persone che devo salutare. Gli posò una mano sulla spalla e la strinse un po'.
    Gideon annuì. « A dopo. »
    Sostò dinnanzi all'entrata di Amortentia osservando ogni dettaglio dell'ingresso, compresa l'insegna a ghirigori e rigirò tra le mani il biglietto pubblicitario che era volato (?) verso casa sua. Non sapeva disegnare, diciamola tutta, però gli piaceva guardare gli altri farlo, in particolare se erano bravi.
    Varcata la soglia della SPA, si ritrovò in un’ampia stanza piena di persone e per un attimo ebbe l’istinto di girarsi e tornare indietro da dove era arrivato. Poi però, la curiosità ebbe il sopravvento, come sempre: si lasciò catturare dai disegni altrui e rimase ad osservarne alcuni mentre si dirigeva ad una postazione libera.
    Sedette dinnanzi ad una tela bianca sulla quale non aveva la minima idea di cosa disegnare.
    Aesthetic? Qualcuno ci aveva dato sotto con pinterest. ovvio
    Alcuni quadri erano molto espressivi, altri più stilizzati. Apprezzò in particolare il disegno della ragazza mora, una croce. Doveva avere un animo tetro.
    Soffermò lo sguardo su uno dei disegni fatti da un ragazzo che doveva avere più o meno la sua età.
    Era chiaramente « un frutto di Theobroma cacao di varietà trinitario con in vista i semi? ». Ma alcuni non la pensavano così.
    È una vagina?
    Il sangue affluì alle gote, e per un attimo quel quadro divenne davvero una vagina, per lui.
    Poi piegò di lato la testa, cercando di osservare il disegno da un’altra prospettiva, avvalorando la sua teoria.
    Non riusciva a vederci altro, non c’era da stupirsene, comunque: se fosse nato con la possibilità di vedere sin dai primi istanti, l’ultima vagina che avrebbe visto sarebbe stata quella di sua madre. Era chiaro, appunto, che Gideon non avesse mai visto una vagina, nemmeno quella di sua sorella. Una cosa era certa, doveva farsi una cultura sull'anatomia umana.
    Si apprestò ad iniziare il suo disegno, ascoltando i commenti dei presenti in sala, in silenzio.
    Non sarebbe stato certo lui a rispondere alle domande della giornalista, sperò comunque che qualcuno si facesse avanti.
    Andò di carboncino, sporcandosi dita e vestiti.
    Ad un certo punto la concentrazione venne interrotta da un entrata in sala: un uomo completamente nudo che Gideon seguì con lo sguardo, con aria DAVVERO confusa. "Whaaaaaaat"
    Sperò vivamente non dovessero disegnarlo, DAVVERO, non era bravo con l'anatomia umana, lo avrebbe senza dubbio offeso.
    Gideon McPherson | 16 y.o. [sheet]
    ravenclaw | VI year
    american halfblood
    once: gideon rosier


    Edited by gideon‚ - 2/9/2018, 11:18
     
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    Percorse i corridoi dell’istituto a grandi falcate, esibendosi in improbabili acrobazie per evitare i presenti e scusandosi con tutti coloro cui aveva accidentalmente rifilato una spallata. Aveva fretta, Halley, ma non era una novità. Iperattiva e instancabile, viveva le sue giornate a ritmi così elevati da far sorgere il dubbio che fosse sotto costante effetto di stupefacenti; non poteva negare di aver provato l’erballegra più di una volta, ma le infondeva sempre un senso di pace e rilassatezza tale da portare lei e Hunter a spalmarsi sulla superficie più vicina – letto, pavimento, prato – e intavolare discussioni deliranti sugli argomenti più disparati. Il suo zigzagare confuso non era da ricondurre neppure al fatto che fosse una ritardataria cronica: oscillava, la grifondoro, tra l’ingannevole convinzione di avere tempo a sufficienza per svolgere qualsiasi compito e l’orribile consapevolezza di averne superato la scadenza, aggrappandosi poi alla flebile speranza di potersi avvalere di un’espressione pentita o di una più lunga e sfiancante opera di martellamento verbale per rimediare. Era semplicemente entusiasta per aver trovato un’attività che l’avrebbe tenuta impegnata per l'intero pomeriggio. Non aveva voglia di starsene con le mani in mano o di utilizzare la scusa delle alte temperature per passare l’estate all’interno dell’istituto, in quell’edificio che l’aveva accolta fin dalla nascita; continuava a ripetere che avrebbe avuto modo di riposare a lungo, una volta morta, e, considerato il suo stile di vita, le aspettative non erano poi così elevate.
    Strinse il foglietto che aveva con sé e si fermò davanti alla stanza del fratello. Fosse stato per lei, avrebbe abbassato la maniglia senza annunciarsi né attendere di avere – o meno – l'autorizzazione ad entrare; tuttavia, aveva promesso ad Hunter che avrebbe sempre bussato, non tanto per prepararlo a ciò che avrebbe potuto dirgli o proporgli – sarebbe stato impossibile fare previsioni – quanto per evitare il rischio che venisse stroncato prematuramente da un infarto. Assolutamente probabile data la frequenza con cui la grifondoro si trovava nella sua camera e gli inutili tentativi, da parte del fratello, di ritagliarsi i suoi spazi chiudendo la porta. Come se quella lastra di legno di pochi centimetri potesse servire a qualcosa. Trascorrere la propria esistenza tra l’istituto ed Hogwarts, condividere il dormitorio e gli ambienti principali con decine, centinaia di persone diverse aveva reso il concetto di privacy talmente vago, per Halley, da dimenticare che gli altri potessero non voler averla costantemente tra i piedi; gli altri, appunto, Hunter non aveva scelta.
    Diede un colpo secco sulla porta, con le nocche, e fece irruzione nella stanza, trovando il corvonero seduto sul letto, a gambe incrociate e con la testa china sulle pagine di un libro. «Ho deciso cosa faremo questo pomeriggio.» esordì, raggiante, e ignorò le prime, vane, proteste da parte del fratello. Era assurdo che ancora credesse, dopo sedici anni di vita in simbiosi, di poter avere voce in capitolo sulle loro attività extra-scolastiche. Se fosse dipeso da lui, avrebbero trascorso il tempo libero tra casa, scuola e la libreria a Quo Vadis Town. Era chiaro, quindi, che Halley non potesse permettergli di decidere per entrambi; aveva il compito morale di farlo uscire dal suo guscio protettivo, far sbocciare il meraviglioso essere umano sepolto sotto strati di nozioni da sciorinare all’occorrenza e insegnargli ad ammirare le infinite sfaccettature di un mondo che rischiava di non conoscere, se avesse continuato a starsene nascosto tra i suoi amati libri. Prese posto davanti a lui e fece scivolare un volantino, custodito con cura fino a quel momento, sul libro che il corvonero era intento a leggere, oscurandone le pagine e impedendogli di continuare. «È un esperimento!» non era esattamente ciò che c’era scritto su quel foglio e se ne sarebbe accorto di lì a poco, ma la grifondoro sapeva che Hunter non avrebbe mai detto di sì ad una lezione di pittura, né si sarebbe convinto solo grazie all’entusiasmo straripante, gli occhioni dolci e il sorriso largo della sorella; aveva poco tempo per solleticare la sua curiosità. Halley, al contrario, amava ogni forma di arte, dal teatro alla musica, dalla danza alla fotografia; si cimentava in attività diverse, si appassionava, si lasciava coinvolgere, trasportare, ora dalla semplice curiosità ora da qualcosa di profondo, viscerale, da un istinto che sembrava avesse sempre fatto parte della sua natura e fosse semplicemente destinato a emergere. Si chiedeva spesso cosa avesse ereditato dai suoi genitori, quanto somigliasse loro e quanto, invece, quella seconda vita l’avesse cambiata. Le piaceva fantasticare di tanto in tanto, cercare di immaginare il loro aspetto, tentare di indovinare quali dettagli fisici e caratteriali avessero in comune, giocare con Hunter a elencare i loro pregi, difetti, passioni e vizi e attribuirli ad uno dei genitori. Ne avevano costruito infinite versioni, ma Halley era certa che li avrebbe riconosciuti tra mille, per strada, in un locale, tra una folla di estranei, catturata da un sorriso, un gesto o anche solo da un'insolita stretta allo stomaco, dalla sensazione di aver ritrovato ciò di cui, più di ogni altra cosa, sentiva la mancanza. «Sapevi che si può intuire la personalità di qualcuno da quello che disegna? Interessante, vero? È psicologia, è scienza. Tieni, metti questa.» lanciò alle sue spalle una maglietta mentre, in piedi davanti all’armadio del corvonero, studiava la pila di pantaloni presenti per trovare il miglior abbinamento possibile. Non si occupava di scegliere quotidianamente i suoi vestiti – a dire il vero non le importava più di tanto neppure di ciò che lei stessa indossava –, lo aveva fatto solo per accelerare i tempi e fargli capire, poco sottilmente, che non aveva alcuna possibilità di opporsi. Al massimo, gli avrebbe concesso di uscire dalla stanza per cambiarsi.
    «Sarà divertente, vedilo come un gioc–» non aveva chiuso la bocca neppure per un attimo, durante il tragitto, ma le bastò una rapida occhiata all’interno dell’aula dell’Amortentia per restare di sale. Al centro della stanza c’era un uomo senza il più piccolo brandello di stoffa addosso. Era nudo. Completamente. Continuò a ripeterselo, Halley, per convincersi fosse reale pur lasciando aperta l’ipotesi che un’insolazione le avesse provocato delle perverse allucinazioni. Sapeva, in linea del tutto teorica, che non era poi così insolito trovare un modello a un corso d’arte, ma tra quella consapevolezza sepolta in un remoto angolo della sua mente e la conferma che la natura che aveva davanti non fosse poi così morta, c’era un abisso. Senza sbattere le palpebre né schiodarsi dalla sua posizione, iniziò a dare delle leggere gomitate ad Hunter per tentare di capire se si fosse accorto dell’uomo, se avesse approfittato di quegli attimi di distrazione per darsela a gambe o se fosse, anche solo vagamente, in imbarazzo. «Non me l’aspettavo, lo ammetto, ma… non è male, eh?» lo punzecchiò, sperando di approfittare di quella situazione per avere la conferma che aspettava da mesi, per sentirgli ammettere, finalmente, di essersi iscritto al partito del cannellone. Ne era certa, Halley, conosceva suo fratello fin troppo bene per poter pensare di aver preso un granchio, di aver frainteso tutti i segnali lasciati nel corso del tempo; c’erano buone probabilità che lo avesse capito persino prima dello stesso Hunter ed era quello il motivo per cui continuava a lanciargli frecciatine, a scherzare e stuzzicarlo. Voleva aiutarlo a dichiararsi e fargli capire, in modo del tutto inopportuno e asfissiante, quanto fosse euforica all’idea, elettrizzata di fronte alla prospettiva di commentare tutti gli studenti entrati nei loro radar e di organizzargli degli appuntamenti al buio, mimetizzarsi nell’ambiente circostante e seguirne lo svolgimento da brava stalker shipper sorella.
    A quel punto, la vide. Il suo idolo, la sua fonte di ispirazione, era lì, a pochi passi da lei. Strinse il braccio di Hunter, mentre continuava a guardare davanti a sé, e iniziò scuoterlo rapidamente. Non esisteva più nient’altro in quella stanza: nessun uomo nudo, né i partecipanti, neppure il corso stesso. Prese il primo sgabello libero, ignorando elementi indispensabili come cavalletto e tela, e si andò a piazzare al fianco di Friday. Adorava quella donna, la sua intelligenza, la sua testardaggine, la sua fermezza nel perorare cause che aveva a cuore; se non fosse stata lontana anni luce, dal punto di vista dell’aspetto fisico, da lei e Hunter, avrebbe potuto persino credere che fosse sua madre. «Signorina De Thirteenth, salve, è un onore poterla conoscere. Io adoro il suo pene!» non appena si rese conto delle parole che aveva pronunciato, sgranò gli occhi e iniziò a gesticolare per cancellare il suo spumeggiante esordio. Era corretto pensare che non fosse a conoscenza della doppia identità della donna, com’era altrettanto chiaro che non fosse riuscita a rimuovere del tutto ciò che aveva visto entrando in quella stanza. «… lavoro, intendevo lavoro! Non potrei mai… non mi permetterei… ho letto tutti i suoi articoli!» doveva ammettere che sedere a pochi centimetri di distanza dalla giornalista, avere la possibilità di parlarle senza aver preparato una scaletta di tutte le cose che avrebbe voluto dirle ed esordire in quel modo, le provocavano delle sensazioni del tutto sconosciute. Che fosse agitazione? Imbarazzo, magari? Improbabile, non conosceva il significato di quella parola. «Mi chiamo Halley Oakes. Pensavo di fare un tirocinio come giornalista quest’anno e… non è che, per caso, ha bisogno di un’assistente?» in un modo o nell’altro, sarebbe diventata il suo incubo: se avesse accettato, l’avrebbe seguita come un’ombra; se la risposta fosse stata negativa, l’avrebbe tormentata fino a farle cambiare idea.
    HALLEY OAKES
    You say we got no future
    You're living in the past
    So listen up
    That's my generation
    16 y.o.
    troublemaker
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    Era questa la domanda che Hunter continuava a porre a se stesso mentre varcavano la soglia dell’Amortentia. Sapeva fisicamente come ci fosse arrivato trascinato dalla sorella colta da un moto di iperattività ma ancora non gli era ben chiaro il motivo. Né quello per cui avesse acconsentito ad uscire da casa, distogliendo la sua attenzione da un interessantissimo libro di astronomia che spiegava nei minimi dettagli la composizione chimica di Giove, né quello per cui avesse insistito così tanto.
    Conosceva Halley abbastanza bene da sapere che le fosse veramente difficile resistere al richiamo di tutto ciò che potesse anche solo lontanamente essere collegato all’arte, ma perché fissarsi proprio con quel volantino? Avrebbe potuto leggere qualche libro sulla pittura, sulla sua storia, sul suo sviluppo, sulle tecniche da usare, giusto per essere preparata, ed evitare di spaccare tutto il Regno Unito per poi rendersi conto fosse stata una perdita di tempo, che fosse un corso noioso o che l’insegnate fosse un vecchio bavoso adescatore di giovani artisti in erba!
    Eppure, una parte di lui, credeva che la sorella avesse potuto leggere qualcosa tra le righe, che fosse stato l’istinto a guidarla lì, ad infiammarla. Lo aveva percepito dalla sequenza concitata di passi che aveva preceduto il suo arrivo nella piccola stanza di Hunter, il bagliore negli occhi che riservava solo alle notizie importanti o alle grandi occasioni. Una volta aveva sentito in Istituto che le memorie della loro vita passata non erano totalmente scomparse, che c’era ancora qualcosa in loro che li teneva aggrappati alle persone che erano state o a ciò che avevano vissuto. Queste memorie si sarebbero potute manifestare in modi insoliti e inaspettati, come la passione per qualcosa, un’abitudine particolare, un particolare profumo.
    Era quasi convinto che la sua fosse lo skate. La prima volta che aveva visto qualcuno fare acrobazie su quella tavola, era letteralmente impazzito. Lui, che a stento faceva percepire la sua presenza al mondo, che non aveva mai preteso nulla, aveva pianto e messo il muso fin quando non i Grandi Capi non lo avevano accontentato, facendogli trovare uno skateboard sotto l’albero di Natale. Salirci sopra, era stato quasi come tornare a respirare dopo una sessione di apnea. Si era sentito vivo, più se stesso di quanto non fosse mai stato, più parte del mondo.
    Pensava fosse così per Halley e le arti visive. Era concentrata, attenta, così presa da ciò che solo i suoi occhi riuscivano a vedere che era uno spettacolo solo guardarla. Non che glielo avesse mai detto, preferiva mostrarle il suo sostegno e accompagnarla in silenzio lungo la sua strada.
    Ciò che non si sarebbe mai aspettato, è che la futura Grifondoro potesse portarlo in una stanza con un uomo nudo al centro.
    “Oh no.”
    Resto pietrificato per qualche secondo di troppo. Non sapeva come reagire. Letteralmente. Sentì il viso infiammarsi, il respiro spezzarsi e la bocca restare sospesa a mezz’aria.
    Avrebbe voluto distogliere l’attenzione, non è una cosa carina fissare il membro di un’altra persona neanche tra ragazzi, ma ogni sforzo pareva esser vano.
    “È … enorme. Non fissarlo…!”
    Rispose, più a se stesso, spostandosi leggermente e fermando con una mano il gomito della sorella. Era davvero troppo esagerato, non poteva essere umano. O no?
    “Ahia!”
    Esclamò all’improvviso, prima di perdere possesso del suo corpo e venire shakerato da una Halley decisamente su di giri.
    “Oh no.” Ripetè, una volta resosi conto dell’entità del problema. “No. Halley, non puoi andare da lei e molestarla come al tuo solito!”
    Impuntò i piedi, cercando invano di opporre resistenza alla sorella e di essere, come al solito, la sua vocina della coscienza, nonché della ragione.
    Troppo tardi.
    Certo, la presenza dell’idolo indiscusso di sua sorella sarebbe stato un diversivo perfetto per poter sparire da lì alla velocità della luce, ma aveva troppa paura di quello che la bionda avesse potuto combinare in sua assenza e, per questo motivo, decise di restare.
    Decise di sedersi su uno sgabello vicino la tela abbandonata e ignorata di Halley e prese in mano un carboncino. Lo rigirò tra le dita, provando a dare un’occhiata alle tele altrui, sperando vivamente di non dover più posare lo sguardo sull’uomo col basilisco fino alla fine della lezione.
    Hunter Oakes | 16 y.o.
    2043: Uran Jackson
    10.09.2001 | 10.06.2017
    Ravenclaw
     
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