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payne

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    Inutile dire che ormai Paris fosse partito per la tangente, aveva perso il filo della trama tre atti prima e non vi era modo di riportarlo sulla dritta via. Era giunto il momento di inchinarsi al pubblico e lasciare che il sipario si chiudesse davanti a lui. Anche perché, effettivamente, Paris si era dimenticato di essere in pubblico. Sapeva fosse circondato da gente, la percepiva nella sua visione perimetrale, ma ormai li aveva relegati a comparse senza troppa importanza. Ecco perché si prese un po’ troppe libertà con il Kayne, limonandoselo senza vergogna davanti ai suoi amici e compagni. Fu sorpreso, quando Theo non gli mollò una testata appena si separarono, gli occhi del Tipton a cercare qualcosa nei suoi. Probabilmente la consapevolezza che avessero fatto una cazzata. Paris si umettò le labbra, catturando un vago e sbiadito sapore di cannella sulla lingua. Poco male, alla fine l’aveva assaggiata davvero. Ma preferiva comunque le labbra del Kayne. «Lo sai che sono uno studente difficile, e che c’è bisogno di spiegarmi le cose più di una volta prima che possa afferrare il concetto.» allora, vedete che poi non era colpa sua? Theo poteva anche avere la faccia di un angelo, ma era un maledetto bastardo. Paris non reagiva bene alle provocazioni, fin troppo orgoglioso e sicuro di sé per non coglierle al volo. «ah si? allora forse dovrei darti ripetizioni in privato» cinse il polso del ragazzo, iniziandolo a guidare verso l’uscita della Sala quando, non pensava che l’avrebbe mai detto, ma grazie a Dio arrivò Mona. Sentiva il suo sguardo tronfio sulla sua figura, ma decise che non gli importava abbastanza da farci i conti. «se volevi sfidarmi a chi paccava per primo, potevi almeno scegliere qualcuno che reggesse il confronto» ignorò qualsiasi sguardo allusivo lanciato in giro, perché davvero non voleva saperne niente dei piani quinquennali della Benshaw. Lasciò che la corvonero la tirasse via da Theo, l’adrenalina di poco prima improvvisamente venire meno, una bambola di pezza che andava ovunque la spostassero «sono disponibile quando vuoi» lanciò un ultimo occhiolino al Kayne, prima di essere trascinato via dalla Benhsaw. E forse, era davvero meglio così per tutti.

    Non c’era cosa più divina di- cosa? no, quale cugina. Dicevamo: non c’era cosa più divina di buttarsi sul letto e fingersi morti al mondo. Un toccasana per la sua salute mentale, finalmente lontano dal chiacchiericcio insopportabile dei suoi compagni e dai video molesti del professor Jackson. Passò una mano sul volto, un sospiro greve a lasciare le labbra e a decomprimere il petto- cristo, che rottura di coglioni. Paris non capiva come lui che baciava un’altra persona fosse l’evento del secolo, come se non si appartasse every other day con uno dei prefetti serpeverde, o quella ragazza del sesto anno che giocava come battitrice. Davvero, non era colpa del Tipton se, evidentemente, nessuno in quella scuola cuccava mai. Ormai era abituato alle occhiate di traverso, al veleno che accompagnava i suoi passi, era convinto che se fosse stato un po’ più etero, un po’ più integrato nella cerchia sociale nessuno avrebbe avuto niente da ridire. Cosa c’era di più mascolino che ripassarsi mezza popolazione femminile, am I right? Però, se era qualcuno di dichiaratamente pansessuale a farlo, e si ripassava anche dei ragazzi la situazione cambiava. La società magica non era abbastanza avanzata da superare quel doppio standard, e Paris ci aveva messo una pietra sopra. Non gliene fregava un cazzo di quello che si diceva in giro sulla sua reputazione, ormai a lungo in frantumi, sarebbero stati i suoi risultati scolastici e nel Quidditch a parlare per lui. Almeno, aveva avuto la breve tregua che era stato il suo compleanno. Suo padre non aveva trovato uno spazio della sua fitta agenda per tornare a Londra, ma d’altronde non era che il Tipton si aspettasse altro. La madre, pace all’anima sua, aveva fatto del suo meglio per radunare quello sputo di famiglia che si ritrovavano. Paris era stato tentato di chiedere una bookake (una torta libro! esatto! che idea originale), o in alternativa una collana di perle, ma non era niente che non potesse sperimentare da solo. Cioè, regalarsi. Uscire da quella gabbia di matti per un paio di giorni lo aveva aiutato a mettere le sue priorità in ordine, e ben presto il Ballo della Ceppa era scivolato via dalla mente- insomma, era stato pur sempre un sabato sera come un altro per lui. Se solo non si fosse fatto il ragazzo a cui dava ripetizioni. Il quale sarebbe dovuto essere fuori dalla sala comune in meno di cinque minuti. Tenne sotto controllo l’impulso di sbattere la testa contro la testiera del letto, costringendosi invece ad alzarsi e a fingersi un essere umano funzionale. Il Tipton doveva ringraziare di avere una faccia di bronzo, o col cazzo che si sarebbe presentato di sotto. Al suo contrario, il grifondoro lo evitava per i corridoi come se avesse una malattia rara, ma supponeva di non poterlo biasimare. Prese i libri e gli appunti sulla scrivania e li infilò sotto al braccio, troppo svogliato per prendere una borsa- ma chi era, Mona Benshaw per caso? Ora, Paris avrebbe tanto preferito dormire che dare ripetizioni al Kayne ma aveva una reputazione come tutor da mantenere. Quando però varcò la porta della sala comune per ritrovarsi nel corridoio, la vista di un Theo Kayne insanguinato lo fece riconsiderare. Strinse le dita lungo la spina dei libri, la voglia di lanciarglieli addosso sempre più forte «stai sanguinando ovunque» fece presente l’ovvio, il tono di voce annoiato a tradire una nota infastidita: ma che cazzo, uno si impegnava ad essere un tutor eccellente e poi la gente arrivava malmenata. E non nello stato di imparare qualcosa. «ma che hai fatto?» like, dude, what the fuck. Dovette trattenersi per non farsi scappare un insulto di troppo, come l’essere irresponsabile oltre che una testa di cazzo- era ancora troppo presto per darsele. Lo fissò per qualche momento con sguardo stizzito, per poi farsi rassegnato. «senti-» fece per dire una cosa, ma poi ci ripensò: il grifondoro era un po’ una bestia, rispondeva meglio agli ordini «vieni, va» gli fece cenno di seguirlo dentro alla sala comune, una mezza idea a formarsi nella mente di Paris. Avrebbe potuto spedire Theo in infermeria e rimandare la lezione all’indomani, ma perché compromettere i suoi impegni per il fatto che Theo non sapesse tenersi fuori dai guai. Almeno così, si sarebbe fatto più furbo la prossima volta (no). Gli indicò le poltrone e i divani che ancora erano liberi, per poi aggiungere «siediti dove vuoi, vado a prendere una cosa» poco gli importava che avrebbe macchiato l’arredo, conosceva l’incanto adatto a farglielo pulire dopo. Una volta assicuratosi che il Kayne non sparisse da un momento all’altro, salì le scale che portavano alla sua stanza, dove teneva un decente kit di primo soccorso- era sempre utile quando si infortunava dopo un allenamento. Ne controllò i contenuti per assicurarsi che avesse tutto quello che sarebbe potuto servirgli, sbrigandosi di nuovo in sala comune per paura che Theo facesse a botte con qualcuno.

    paris bentley tipton

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    «ah si? allora forse dovrei darti ripetizioni in privato»
    Un’occhiata confusa a bucare, almeno per un secondo, la spessa coltre rosa attraverso cui Theo aveva guardato Paris per gli ultimi chissà-quanti-minuti: «lo fai già» Oh, credeva di essere lui quello stupido tra i due?
    E in effetti, la stretta intorno al polso che lo raggiunse subito dopo confermò quel pensiero: non aveva capito in che senso, ma si illuminò quando Paris fece per trascinarlo via. E vi dirò una cosa: in quel momento Theo poteva pure non sapere dove l’avrebbe portato il maggiore, ma dubitava fosse la biblioteca, o un’aula vuota dove andare a studiare. Eppure, inconsciamente, sapeva che nelle condizioni attuali lo avrebbe seguito ovunque.
    E stava ancora fissando Paris con lo sguardo da allocco che aveva da quando le sue labbra si erano strette intorno al dannato bicchiere corretto, perciò non registrò subito la presenza della Benshaw, intervenuta per separarli.
    Gli occhioni da cucciolo vagarono in direzione della cheerleader, preoccupati da quell’intromissione improvvisa, ma la sua mente e la sua bocca avevano tutta un’altra agenda. «Finalmente», con tanto di sorriso ebete a piegare gli angoli della bocca. Era sollevato, sì, che qualcuno fosse intervenuto; lo stava chiedendo silenziosamente da ore. Il veritaserum aveva solo sciolto abbastanza la sua lingua e contrastato quel che bastava l’amortentia da permettergli di essere onesto almeno per un istante. Detestava tutto di quella situazione. Fece per borbottare qualcosa verso Mona, magari chiedendole di essere più specifica e mostrargli contro chi avrebbe dovuto gareggiare, ma la voce di Paris tornò a catturare tutte le sue attenzioni.
    Quando mollò la presa, Theo si sentì insieme perso e sollevato.
    Mio dio, era finita.
    Oh no, era finita.

    Ma joke’s on him, perché quella vicenda era ben lontana dall’essere finita. Tutta la dannata scuola sembrava non parlare di altro — ma non ce l’avevano una cazzo di vita loro? E quel maledetto di Jackson, che andava in giro a mostrare a tutti il video?! Non poteva essere legale! NON POTEVA. Theo si rifiutava di crederlo, e non negherò che avesse la malsana voglia di spaccare la faccia dell’uomo ogni volta che lo intravedeva nei corridoi o a lezione. Ma voleva forse finire in riformatorio per assalto aggravato? Non ancora.
    Però era difficile.
    Cazzo, se era difficile
    Il problema non era che la scuola parlasse di lui (per Godric, era quello che litigava anche con i fantasmi il fratello di quello che parlava solo con gli animali, la sua nomina non era mai stata intonsa) ma ciò di cui parlavano. E non era nemmeno il bacio in sé — aveva baciato altre persone, in passato.
    (OK, aveva baciato solo la Russa perché aveva sentito un po’ la pressione dei suoi coetanei ma valeva lo stesso!)
    Il problema, il vero problema, era che fosse diventato lo zimbello del castello per colpa di Paris Tipton. “L’ennesima vittima” di quello che, lo sapevano pure le statue, tendeva a farsi chiunque avesse almeno un buco e fosse in grado di respirare.
    (Wren, da qualche parte: you’re doing amazing, sweetie)
    Quindi sì: gli rodeva estremamente essere considerato l’ennesima scappatella di Paris Tipton. Non aveva nemmeno voluto! Non era stata colpa sua, ma di quel maledetto punch. E stronza la Russa ad averlo informato della cosa solo a danno ormai compiuto.
    Perciò sì, Theo Kayne era on edge ancora più del solito, in quel periodo. Digrinava i denti alla prima occhiata strana ricevuta, e scattava al primo commento di troppo. Come quella mattina a lezione di pozioni; col senno di poi, avrebbe dovuto evitare di saltare sopra il banco per gettarsi addosso al serpeverde che aveva osato voltarsi verso di lui e scoppiare in una risatina non così subtle. Ma non c’era riuscito. Era tutto il giorno che vibrava fortissimo e sapeva di essere quasi giunto al limite massimo di sopportazione.
    «Devi imparare a controllare la rabbia, Theo» gli aveva detto la Hatford, quando era andato a riprenderlo in sala torture dopo l’ennesima gita ordinata dalla Queen come punizione per aver interrotto la sua lezione. Di recente, passava il suo tempo diviso tra quella sala e l’infermeria. «E devi imparare a sceglierti le giuste battaglie» Non aveva risposto con un’occhiata truce solo perché quella prof gli piaceva — e gli piaceva la sua materia. Gli piaceva anche Nelia fuori da Hogwarts. Ma quelli rimanevano comunque cazzi suoi, e suoi solamente! Rifiutando le garze che la donna gli aveva offerto, si era allontanato barcollando, diretto verso la torre di grifondoro: aveva visto di peggio, aveva subito molto di più, e poteva sopravvivere anche a quello.
    In quel momento voleva solo gettarsi sul proprio letto, chiudere gli occhi e svenire fino al mattino dopo; tutto il resto non gli interessava minimamente, men che meno lo tocccavano le occhiate curiose che riceveva dagli altri studenti. «che c’è, mai visto un po’ di sangue?» sputato contro quelli che avevano la faccia tosta di far indugiare lo sguardo un po’ più a lungo del necessario. Ma non era per il suo aspetto che lo stavano fissando, e Theo se ne rese conto solo alla fine.
    Solo quando le divise blu-bronzo diventarono sempre di più, e la conta di quelle rosso-oro si fermava alla sua, macchiata di sangue e strappata in più punti. Avrebbe dovuto cucirla di nuovo e metterci una pezza sopra, Lenny era stato molto chiaro: non avrebbe più comprato divise fino a che non fosse fisicamente più stato in grado di entrare in quelle che aveva, a costo di mandarlo in giro con un patchwork di stoffe e rammendi al posto del mantello, erano cazzi suoi.
    «stai sanguinando ovunque»
    Non interruppe la camminata, osservando il corvonero con aria interrogativa e stanca. «Non ti sfugge proprio nulla» borbottato a mezza bocca, mentre lo avvicinava e lo superava, rendendosi conto solo in quel momento di non essere all'ingresso della sua sala comune. Guardò di nuovo il Tipton con confusione, e poi l'ingresso protetto da un indovinello che mai nella vita Theo Kayne sarebbe stato in grado di azzeccare.
    «ma che hai fatto?»
    Rispose alla domanda con un un gesto vago della mano, e un «una rissa a lezione» che non suonava di certo come una novità. E poi: «e una gita in sala torture» anche lì: uao, unexpected.
    «senti-» «mh?» era davvero troppo stanco per rendersi conto di star parlando con il Tipton per la prima volta dalla sera del ballo. Magari se ne sarebbe reso conto più tardi e si sarebbe incazzato come una iena con se stesso.
    «vieni, va» Cercò di ricambiare lo sguardo di sfida, per abitudine più che necessità, valutando nel frattempo se avesse ricevuto una botta in testa in più del necessario a quel giro.
    (La risposta era sì; e dove non erano arrivati i pugni, erano di certo arrivate le mire sadiche del torturatore.)
    «non è la mia torre.» No shit, dude.
    Il fatto di essersi spinto fino a lì involontariamente perché ricordava di avere un appuntamento per le ripetizioni con il corvonero non lo sfiorò nemmeno lontanamente: aveva saltato le ultime ore di tutoring senza dare spiegazioni al maggiore, e avrebbe mancato volentieri anche l'appuntamento di quel giorno, se non ci fosse arrivato lì letteralmente per caso. L’unico motivo per cui non aveva ancora chiesto di cambiare era l’orgoglio: non voleva essere lui a cedere per primo, mai nella vita, e d'altro canto non era stato lui a rovinare il ballo per entrambi. Quindi sperava che, saltando le sessioni, fallendo nei test e nei compiti, i professori avrebbero capito che il Tipton non era quello adatto a lui e avrebbero cambiato tutor. Un piano geniale.
    Che avesse evitato il Tipton tassativamente dalla sera della festa fino a quel giorno era solo un bene entrambi: la tentazione di spaccare la faccia al corvonero era sempre fortissima in Theo, e riusciva a sentire benissimo che, se gli avesse messo le mani addosso, sarebbe finito dritto in una delle celle di Azkaban per omicidio. Altro che riformatorio. Paris doveva ritenersi estremamente fortunato che in quel momento Theo si stesse ancora cercando di riprendersi dall'ultimo giro di torture, altrimenti un pugno sul naso non glielo avrebbe tolto nessuno.
    E invece, nello stato in cui verteva, il grifondoro accettò persino l'invito del Tipton ad entrare nella tana del nemico.
    «siediti dove vuoi, vado a prendere una cosa» Non ebbe bisogno di sentirselo ripetere due volte, Theo, e sprofondò nei cuscini di velluto del primo divano libero. «Non chiamare Cholanka» la Russa gli avrebbe dato il resto sopra, sicuro.
    Ma Paris era già sparito.
    Valutò se andarsene o meno, e quando trovò quel poco di lucidità utile per fargli capire di essere finito nell'unico posto dove non avrebbe dovuto, con la persona che evitava da settimane, ecco che Paris era già di ritorno.
    Davvero, Theo era troppo stanco per affrontare anche quello.
    Uno sguardo al kit di primo soccorso ed era già in piedi, pronto a fuggire dalla sala comune sbagliata. «col cazzo-» che mi lascio toccare di nuovo da te, ci mancava solo che li beccassero a giocare anche al dottore e paziente per alimentare altri gossip. Ma nella fretta di lasciare il divano, si alzò troppo velocemente e la stanza iniziò a girare intorno a lui.
    «cazzo» mi sa che non sarebbe andato da nessuna parto almeno per il momento, e rimise le chiappe sui cuscini del divano.
    theo alessandro kayne
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    dai non rileggo perché stiamo giocando ma posto lo stesso considerando che non so se arrivo sveglia fino alla fine SMACK
     
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    Paris Tipton non era un santo, non era Gandhi e tanto meno Madre Teresa da fuckin’ Seattle. C’era un motivo ben preciso se, al vedere il miraggio di Theo, aveva deciso di sobbarcarsi anche quel caso umano. Era molto semplice: Paris non perdeva, né dava la soddisfazione a chicchessia di vederlo fallire in qualcosa. Certo che sapeva che il Kayne aveva saltato ore su ore di tutorato, il corvonero era stato colui che era stato mollato volta dopo volta in biblioteca (o ovunque fosse), lo sguardo a farsi più cupo e la presa sul libro a stringersi quando si rendeva conto di essere stato piantato in asso per l’ennsima volta. Non gliene fregava un cazzo. Davvero, alla fine era Theo a perderci, ma avrebbe apprezzato un messaggio, un segnale di fumo. Era il principio e la maleduzione (le brutte intenzioni, la tua brutta figura di ieri sera) a fargli salire un moto di rabbia incontrollabile, come se lui non avesse niente da fare che aspettare quel coglione. Pensava che col il suo piccolo espediente da primadonna, i professori gli avrebbero cambiato tutor? No, col cazzo, ormai vederlo avere successo in ambito scolastico era una questione di principio, senza contare che ne andava del suo orgoglio di corvonero. «Non chiamare Cholanka» cholanka.
    Paris sbatté le palpebre.
    Lo osservò in silenzio per un lungo tempo.
    «Si chiama Mikhailova, deficente.» e quello fu tutto ciò che ebbe da dire prima di sparire, senza nemmeno degnare di un commento il resto.
    Il Tipton sapeva bene di avere a che fare con un bamino un po’ troppo cresciuto, quindi nemmeno si scompose quando lo vide iniziare ad agitarsi. Ruotò gli occhi al soffitto, la faccia di qualcuno che era done with that shit, e lo guardò sprofondare sul divano. «ma la smetti di imprecare» gli lanciò uno sguardo molto poco impressed, solo perché provava un sadico piacere a spingere i bottoni del Kayne. Ma, passando a cosa più importanti: «un giro in sala torture, eh?» faceva pur sempre parte dei ben10, gli avevano attaccato il brutto vizio di fiutare e cacciare il drama come un cane da tartufo. «ti hanno conciato bene» allungò una mano per afferrargli il mento, girando la testa prima da una parte e poi dall’altra per osservare il danno sul volto. Un labbro spaccato, un occhio nero, anche se sospettava che fosse più frutto della rissa che altro. «dove altro ti fa male.» cercò davvero di rimanere serio, una figura imperturbarbile quando le state che adornavano la sala comune, ma non poté fare a meno di ripensare a quella scena. La classica scena dei film dove porgevano una bambola al protagonista e pretendevano di sapere dove l’avessero toccato. Minchia Paris ma riprenditi non gli puoi scoppiare a ridere in faccia. Si morse il labbro per impedirsi di sorridere, chinandosi verso la cassetta mollata sul bracciolo del divano. Aveva dell’essenza di Dittamo, delle bende, del disinfettante, varie pozioni che aveva comprato e provato a fare lui. Era uno studente più che eccellente di pozioni e gli piaceva sperimentare, fategli causa. Decise che non avrebbe sprecato il Dittamo per il Kayne, quindi tirò fuori le bende e il disinfettante. Avrebbe potuto usare un epismendo, ma perché sollevare il dolore del grifondoro così presto? Vaffanculo, se possibile gli avrebbe buttato pure il sale nelle ferite. Si sistemò davanti a lui e prese una delle garze che aveva imbevuto di disinfettante «la prossima volta che non ti presenti al tutoraggio, ti mando io in sala torture» premette un po' più forte sulla carne del labbro, assicurandosi che qualsiasi cosa stesse facendo bruciasse. L'espressione pinched che aveva sul volto si distese, finalmente poteva amministrare giustizia. Vaffanculo Kayne così impari, ma che cazzo. Brutta merda non ci si comporta così per un CAZZO DI BACIO CODARDOOOO.

    paris bentley tipton

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    «ma la smetti di imprecare»
    No; perché se avesse smesso di tirare giù improperi vari, avrebbe iniziato a grugnire come l’animale che era — non a caso, era una delle poche anime a scuola a cui Mis dava confidenza, e il fatto che fosse suo fratello centrava ben poco.
    (Non starò qui a raccontarvi di tutti gli innumerevoli episodi in cui Mis aveva tentato di utilizzare il proprio potere per comunicare – o meglio, comandare – quella bestia di fratello che si trovava; lo special era ancora convinto che, con la giusta dedizione e pratica, ci sarebbe riuscito, e non mancava mai di ricordarlo al maggiore.)
    A Paris, però, Theo rivolse solo uno sguardo torvo e un dito medio; tutto quello che riusciva a fare senza rischiare fitte di dolore o espressioni sofferenti. «ti hanno conciato bene» «dovresti vedere l’altro.» il serpeverde addosso a cui era saltato non era affatto messo meglio di lui ma, in quanto vittima, era stato solo spedito in infermeria con qualche punto sottratto alla propria casata; la Queen sosteneva di non avere preferenze, ma ce le aveva eccome, perché il labbro rotto e l’occhio nero Theo non se li era di certo procurati da solo. Eppure, l’altro ragazzino era stato dichiarato innocente; solo difesa personale la sua.
    Un gran paio di balle, ecco cos’era.
    «grrr» Eccolo lì, il ringhio preannunciato: denti ben in mostra, anche quello scheggiato, riflesso di una vita precedente, e rotto anche in quella in una maniera piuttosto simile (una rissa con Mis) e naso arricciato, mentre cercava di sottrarsi alla presa del corvonero. «smettila non è niente» cioè, niente che Theo non avesse già visto osservando il proprio riflesso allo specchio. In qualche giorno, al posto del livido violaceo avrebbe trovato macchie giallognole e si sarebbe formata, sul labbro inferiore, una crosticina che lui avrebbe poi scorticato per noia e per vizio; il dolore alle costato sarebbe stato smorzato da un po’ di alcol trafugato dal baule dei Linguini suoi concasati e da un pacchetto di troppo di Marlboro rosse.
    Ve l'ho detto: Theo era abituato. Aveva tutta una sua routine, riguardo quelle situazioni. La sua skin care alternativa, se vogliamo.
    «dove altro ti fa male.»
    «fai sul serio» non c'era incredulità nella sua voce, solo irritazione.
    Purtroppo sì, a quanto pareva, perché con suo orrore lo vide prendere posto di fronte a sé e — «la prossima volta che non ti presenti al tutoraggio, ti mando io in sala torture» «mett-» un soffio trattenuto tra i denti gli impedì di continuare, lo sguardo scuro a posarsi truce sul viso del maggiore mentre allontanava la mano poco delicata dalle proprie labbra ferite. «mettiti in fila» c’era gà così tanta gente (professori in primis, ma anche qualche guardia della security e qualche studente spillato) che non vedeva l’ora di avere la propria occasione. La cosa divertente? Non gli restava che attendere: prima o poi ci sarebbero riusciti. Theo Kayne era decisamente quel genere di ragazzo. Qualcosa doveva essere andato incredibilmente male, nella sua rinascita.
    (Quel qualcosa era Lenny — o, forse, era non aver avuto Boss e Mamma a bilanciare i suoi lati positivi e quelli negativi.)
    «Questo non rientra tra le tue mansioni» tentò di rubare la garza dalle mani del Tipton, per pensare da solo alle proprie ferite: non era la prima volta che lo faceva, non sarebbe stata di certo l’ultima. Non voleva che si facesse strane idee: se era lì, era solo perché stava aspettando che la stanza finisse di girare come una trottola e lui ritrovasse il footing necessario ad uscire di lì e dirigersi alla torre corretta, «quindi lascia fare a me.»
    Evitò di dirgli che, in effetti, di lì a poco non ce l'avrebbe avute più, delle mansioni; non se Theo fosse riuscito nel suo piano di fallire. E se c'era una cosa che Theo Kayne sapeva fare benissimo, era sbagliare tutto quanto.
    Ogni sacrosanta volta.

    Eeee poi niente commento esterno, perché la palla ha detto di no, scusa mia giovane pandiwan; magari alla prossima.
    theo alessandro kayne
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    Forse aveva ragione Dara, forse non avrebbe dovuto abbassarsi a farsi i quattordicenni. Ma in effetti, che ne sapeva Dara che come unica compagnia aveva la sua mano. Comunque, il fatto rimaneva che: quattordicenne o no, Theo Kayne gli stava facendo girare le palle come una girandola. Si considerava una persona placida, serena, e alle volte violenta ok ma solo quando l’altra parte se lo meritava. Che il Kayne fosse in grado di spingere e spaccare i suoi tasti, era un feat in itself. Certo, doveva essere allenato, essendo che aveva smesso di giocare con gli aggeggi della playmobil da qualche mese. «dovresti vedere l’altro.» minchia, come minimo l’aveva morso. Era una cazzo di bestia, il grifondoro, Paris non dubitava dello stato dell’altro. Sapeva bene cosa voleva dire avere le sue mani addosso -non in quel senso, ma anche- e cristo se sentiva ancora i fantasmi dei suoi pugni anche giorni dopo. Non che il Tipton fosse da meno, ma di certo non era stato dotato della stessa massiccia massa di muscoli. In compenso, aveva un cervello funzionante. «grrr» ma minchia, visto che era davvero un cane. Eppure, quando glielo faceva presente, si beccava pure le sue occhiate torve. «smettila non è niente» ah, certo, perché lui era un womo che non sentiva dolore, bigger than life, il più macho di tutti. Ma vai a cagare. Gli stava anche facendo un favore, e questo si lamentava? «ah certo, perché sei anche infermiere adesso» paris, ma nemmeno te lo sei. Ok, and? Credeva di aver assorbito abbastanza conoscenze di base dal Bigh, tra una botta e l’altra, e dunque si riteneva più abile del Kayne. «mettiti in fila» riuscì a malapena a contenere il guizzo all’insù delle labbra quando notò il soffio di dolore di Theo, voleva dire che quello che stava facendo stava avendo effetto. Nel suo caso: uno stronzo fin troppo petty. «in fila? ma se ti ho qui, kayne» era una minaccia? una promessa? Difficile a dirlo, in quella posizione e particolare circostanza. Il corvonero si rendeva conto come sembrasse da fuori, il genere di spiegazioni che avrebbe dovuto offrire ai ben10 se Mona e Ben fossero passate di lì. Gli importava? Non particolarmente, ultimamente si era fatto così tanti numeri che uno in più a malapena lo sfiorava. «Questo non rientra tra le tue mansioni» allora se le cercava, Alessandro. Lo vide muoversi in avanti per rubargli la garza, e in quel momento Paris fu messo davanti a due scelte: restare lì, fermo, per finire a un palmo dal corpo del Kayne oppure muovere un passo indietro. Dato che non era un coglione come spesso faceva credere, scelse l’ultima opzione. Ma dato che rimaneva un piccolo bastardo, alzò la garza incriminata sopra la sua testa così che Theo non la potesse afferrare. Sì, avevano cinque anni. «e te sei nel posto sbagliato, quindi ormai le sottigliezze sono futili non credi?» theo: i understand all those words separately. Sospirò greve, chiudendo per un attimo gli occhi nella vana speranza che gesù gli donasse la forza per andare avanti. I grifondoro erano davvero menomati, non capiva perché ancora li frequentasse. Cioè, un grande motivo c'era, ma non era il caso di pensarci in quel preciso momento. «cosa lascio fare a te che a malapena ti reggi in piedi?» era ironico, nel caso (pandi) Theo non avesse colto. Finì di passare la garza sul labbro, avendo pulito la maggior parte del sangue ivi presente. Tirò poi fuori un impasto dall'odore pungente, un miscuglio di erbe e sterco di merlo (skerzo, forse), e ne prelevò una generosa porzione con l'indice prendendo ad applicarla sulla ferita «consideralo come un favore, mh? io ti aiuto adesso, e te mi aiuti venendo a tutoraggio» hahah no non stava scherzando, era davvero serio. Anche perché, potenzialmente, anche lui sarebbe potuto essere preso in mezzo se il Kayne non otteneva voti soddisfacenti. Hogwarts aveva il brutto vizio di punire gli studenti per il minimo sgarro. «non ho ancora capito cosa ti sia preso» lo livelled con uno sguardo molto poco impressed, perché davvero: dude bro, ma che problemi hai. Che stesse sghignazzando dentro, erano solo affari suoi.

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    Edited by ambitchous - 18/3/2023, 09:02
     
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    Allora.
    Allora. Parliamone, Paris Tipton, perché nonostante le botte prese, a Theo vorticavano ancora pericolosamente le palle e anche a pandi per aver perso entrambe le partite di questa terribile domenica e non ci stava proprio ad accettare tutte le bullshit che gli venivano rifilate. Era a tanto cosi dal mollare una testata al corvonero che si stava prendendo un po’ troppe libertà, approfittando di un momento in cui il minore era in evidente difficoltà.
    Fanculo a lui e a tutta la sua dinastia; che faccia del cazz- «ah certo, perché sei anche infermiere adesso» ecco appunto. Ma chi si credeva di essere? Da quello che Theo sapeva – poco, perché non era uno stupido stalker e del maggiore non gli fregava assolutamente nulla – nemmeno lui era un infermiere. Il fatto che condividessero la Russa come amicizia, non dava a Paris il permesso di comportarsi come se sapesse cose di lui quando era chiaro che non fosse così; quantomeno, Theo aveva il buonsenso di non provarci nemmeno. «ma vaffanculo» perché siamo persone civili in questa casa, mh mh. Poteva pure non essere l’attrezzo più affilato della cassetta (il cielo solo sapeva che non fosse assolutamente così — anzi no, lo sapevano tutti) e che funzionasse meglio con la forza bruta che con quella dell’intelletto, ma non era scemo: l’aveva notato il modo in cui Paris ci stava prendendo gusto a fare più male che bene, nel ripulire il labbro spaccato.
    E a Theo non piaceva quell’elemento.
    Non piaceva a priori, non perché fosse Paris, dall’altra parte. Era abituato a fare da solo, al diavolo!, a malapena andava da Dakota a farsi ricucire, quando serviva! Theo Kayne non faceva mai affidamento su nessuno (Mis incluso) ed aveva imparato ben presto a badare a se stesso; se in origine era stato Lenny a passare le garze imbevute di acqua ossigenata sulle ginocchia sbucciate, col tempo anche quei piccoli gesti erano diventati difficili da accettare per il Kayne. Non li voleva, non li sapeva accettare. Non che Len avesse mai fatto chissà cosa, ma ci aveva provato: era sempre stato un buon fratello, nonostante i modi discutibili. Ma avere mani sconosciute a premere le zone indolenzite, a tastare nervi scoperti e i punti più vulnerabili — era strano. Era spiacevole. Theo aveva già molto che, suo malgrado, non poteva controllare e su cui insegnanti e guaritori avevano messo bocca per un’infinità di anni... almeno su quello non voleva sentirsi esposto. Fragile. Erano state rare le volte in cui, con la coda tra le gambe, si era trascinato in infermeria chiedendo aiuto e qualche antidolorifico da mandare giù.
    Perciò sì, le mani di Paris che si muovevano sulle ferite ancora aperte fingendo di sapere cosa fare erano un problema per il Grifondoro; ma lo sarebbero state anche quelle di chiunque.
    Tentò di afferrare la garza per fare da sé, ma l’altro la allontanò dalla sua portata, conscio che non avrebbe potuto fare granché per allungarsi e raggiungerlo — non senza soffrire ulteriormente. Non commentò quel «in fila? ma se ti ho qui, kayne» perché non riteneva importante farlo; qualsiasi cosa fosse successa al ballo, per Theo, era rimasta al ballo. Il video di suo zio, ci sono arrivata presto eh, meglio tardi che mai Jackson non lo preoccupava per ciò che raffigurava, come già detto, ma lo infastidiva perché faceva credere agli altri studenti che fosse giusto ridere di lui per questo o quell’altro motivo. Davvero, a Theo bastava molto meno per voler spaccare la faccia a qualcuno, non necessitava di aiuti esterni. Se il Tipton aveva altri tipi di problemi con quella storia — beh, erano problemi suoi. Che lo lasciasse però fuori dai suoi drammi.
    «cosa lascio fare a te che a malapena ti reggi in piedi?» Scusa?! Era perfettamente in grado di passarsi un unguento da solo, o di ricucirsi qualche ferita (perché era decisamente più bravo a mettere dei poco precisi punti di sutura piuttosto che castare degli incantesimi di guarigion) e non aveva bisogno di nessuno.
    Mai, nella vita in generale.
    Non gli rispose solo perché Paris iniziò a passare il mix puzzolente sulla ferita, e d’istinto Theo ritrasse la testa, allontanadosi dal tocco del maggiore. «Che schifo» un altro dei motivi per cui non si faceva toccare dai guaritori o infermieri era quello: era un ragazzino che si muoveva troppo, e che si lamentava ancora di più. Incapace di frenare l’impulso, alzò la mano per cacciare via quella di Paris, ferito nell’orgoglio personale per — tutto quello. «consideralo come un favore, mh? io ti aiuto adesso, e te mi aiuti venendo a tutoraggio» «non ti ho chiesto io di aiutarmi» vero anche che non aveva nemmeno fatto granché per evitarlo; aveva solo bisogno di tempo per riprendere fiato e fare da sé. «Potevi aiutarmi indirizzandomi verso la torre giusta.» Non serviva che lo portasse all’interno della sua. Non serviva davvero. «Non ti devo proprio nulla.»
    «non ho ancora capito cosa ti sia preso»
    Mpf, gli serviva davvero una motivazione?! Era così e basta, Theo. Come già detto: serviva molto meno per appicciare la cortissima miccia che lo faceva esplodere.
    «Credevo fossi tu quello intelligente» a quel punto, lo allontanò davvero, imprimendo una leggera forza nella spinta a palmi aperti che gli diede in pieno petto. «Non sei granché come infermiere,» e se ne sarebbe andato molto volentieri, fanculo al mal di testa o alle vertigini, se non avesse incrociato per sbaglio lo sguardo di un altro blubronzo che, dall’altro capo della sala comune, gli lanciava occhiate divertite e risatine malcelate.
    Theo assottigliò le palpebre, arricciando il naso tumefatto e scoprendo i denti. «Che cazzo ridi?» Non lo voleva sapere davvero, non ne aveva bisogno, ma se lo sarebbe fatto andare bene come pretesto per sbollire un po’ di quella rabbia che la punizione aveva solo alimentato, post rissa nell’aula di pozioni. Vedete?! Poi le persone si sentivano libere di prenderlo per il culo — ancora più del solito. Era normale che Theo le detestasse.
    (No, non lo era.)
    Sapeva essere lucido e razionale, quando voleva.
    (Quando era a lavoro e doveva sgraffignare qualcosa a qualcuno.)
    Persino funzionale, quasi.
    (Quando doveva fare bella figura.)
    Addirittura, era una persona simpatica quando non si comportava da animale.
    (Ma solo con una porzione ridotta di esseri umani; poteva contarli sulle dita di una mano.)
    Al contrario, non funzionava bene quando era stanco, irritato, torturato e incazzato nero.
    «Io ti spacco la faccia, coglione»
    Un altro giro in sala torture, a quel punto, cosa gli cambiava; ma almeno avrebbe avuto la soddisfazione di far sparire quel sorriso di merda dalle labbra dell’altro studente corvonero, a suon di pugni.
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    questa sono io, unhinged, che ho perso il derby e il clasico nello stesso giorno.
     
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    Paris non aveva un quattordicenne davanti, ma un fottuto bambino di cinque anni. Davvero, l’unica cosa che cambiava era l’altezza e il fatto di essere un armadio, ma per il resto i comportamenti erano uguali. «Che schifo» avrebbe dovuto smetterla di dargli corda, se ne rendeva conto, ma essere una merda che se le andava a cercare era scritto nel suo dna. «è pur sempre una medicina» ci tenne ad informarlo dall’alto della sua saggezza, senza risparmiarsi un lieve sfumatura sarcastica. Gli lasciò fare, quando incominciò a scrollarsi come un cane e a battere via la sua mano, il Tipton ci teneva più a non prendere i pidocchi che ad aiutare il minore. «non ti ho chiesto io di aiutarmi» ah, se fosse dipeso dal Kayne immaginava come sarebbe andata a finire: bambino trovato sanguinante in un fosso a cinque chilometri da Hogwarts. «Potevi aiutarmi indirizzandomi verso la torre giusta. Non ti devo proprio nulla» incrociò le braccia al petto, per quanto la garza glielo concedesse, squadrandolo da capo a piedi. Ma che pezzente. Davvero, in circostanze normali Paris non era il tipo di persona da prendere le cose a cuore, la sua reazione si limitava a riderci su e a dimenticarsene nei prossimi due minuti -non se la gente si dimenticava di venire al suo compleanno, quello mai- ma quell’uscita gli aveva dato più fastidio di quanto avrebbe dovuto. Un ingrato, ecco cos’era Theo, che non sapeva quando ringraziare un buon samaritano e tacere per sempre. Contò fino a dieci nel tentativo di calmare la rabbia a montare sotto la pelle, di ricordarsi che una rissa era l’ultima cosa che voleva al momento, lì in mezzo alla sala comune. «ah si? e allora fai da solo, stronzo» gli lanciò l’unguento e la garza addosso, incurante di dove sarebbero finiti, se a terra o altro, e fece per voltargli le spalle. Gli giravano le palle in una maniera spettacolare, e dopo il tentativo fallimentare di essere una persona decente, di andare incontro a un coglione, si sentiva anche molto stupido. Umiliato, quasi, come se avesse perso una sfida personale. «Che cazzo ridi?» avrebbe fatto notare a Theo che non stava affatto ridendo, se non avesse posato lo sguardo su un corvonero che stava sghignazzando davanti a lui. Oh, eccome se conosceva quella merda di Andrew. Era una storia complicata e nella quale preferiva non addentrarsi più nel necessario, ma il solo vedere la sua faccia gli faceva salire l’orticaria. Andrew era quel tipo di ragazzo che era nato con la camicia, così abituato ad avere tutto al mero schiocco delle dita che era trovava inconcepibile incontrare un’ostacolo sul suo cammino. Non aveva mai superato il trauma di essere stato battuto ai provini dal Tipton, e da quel momento in poi ogni scusa era buona per sfogare le sue frustrazioni su di lui. Peccato che, quella volta, il Kayne fosse stato preso nel fuoco avversario. Magari si sarebbero fatti fuori a vicenda, davvero un sogno che diventata realtà. «Io ti spacco la faccia, coglione» ecco, nemmeno a dirlo. Chissà se aveva davvero la rabbia, Paris se lo chiedeva più speso di quanto fosse consono, ma era una domanda che sorgeva spontanea se lo si osservava per più di due minuti. «ci risiamo» ma dov’era Ficus quando gli serviva un secondo armadio? Bro help us out. Forse, in un’altra circostanza, ma anche solo cinque minuti prima, il Tipton avrebbe saggiamente detto a Theo che non era in alcuna condizione per iniziare una rissa con nessuno. Ma sapete cosa? Vaffanculo, cosa gli aveva detto? Non ti devo proprio nulla. E aveva ragione, nessuno dei due doveva nulla all’altro. Così, intanto che il Kayne era riuscito a rimettersi in piedi, Paris lo indirizzò gentilmente (leggasi: spintonò) verso Andrew «vai! spaccagli anche le gambe!» e mentre lo incitava come si faceva con i cani nel ring, si avvicinò a una sua concasata per mormorare un «trenta galeoni che le prende male» contro di Alessandro, ovvio. Solo che quella volta sarebbe tornato alla sua torre strisciando, altro che Madre Teresa.

    paris bentley tipton

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    Se avesse avuto una parte razionale, una vocina fuori dal coro che funzionasse un po’ da coscienza, a dirgli di non farlo, di non reagire, di non usare la violenza contro l’altro studente, probabilmente Theo non l’avrebbe ascoltata.
    Fine.
    Una vocina c’era, ma non gli impediva mai di comportarsi come il cazzone che era; il suo Grillo Parlante, se così poteva essere definito, sbucava fuori solo quando Theo era “a lavoro”; quelli erano gli unici momenti dove si concedeva di essere più persona che bestia, perché fallire lì era più insopportabile che fallire altrove, dove tutti lo davano già per spacciato. Molte volte, era più facile cedere a quella consapevolezza, al sapere di essere un caso perso, piuttosto che lottare per dimostrare il contrario.
    Quel giorno? Era troppo stanco per non lasciare che le risatine del corvonero lo facessero scoppiare definitivamente; Paris aveva già dato una bella botta a quel poco di sopportazione che gli era rimasta post punizione; il suo concasato aveva concluso il lavoro.
    Non notò nemmeno lo spintone del portiere — aveva occhi solo per il coglione che osava prenderlo in giro. E fu su di lui che caricò, cercando di abbatterlo con una mossa degna di un rugbista. Lasciato a briglia sciolta dall'unica persona con un neurone (semi) funzionante tra i due, non poteva che non decidere di attaccare: poco gli importava della piccola folla che si era radunata intorno a loro. O del fatto che riuscisse a malapena a reggersi in piedi. Era entrato sul ring di spaco, supportato e caricato da (suo zio – ora non lo dimenticherò mai più) Eugene Jackson, tante di quelle volte da aver perso il conto.
    Una rissa nella sala comune dei corvonero non poteva essere peggio di quello, infondo.
    E invece.
    Alla rissa non ci arrivarono neppure, perché nel vederlo barcollare verso di lui, Andrew fu lesto a farsi trovare pronto, braccio già teso a scattare in un gancio dritto dritto alla bocca dello stomaco di Theo. Il grifondoro finì in terra in un istante. Grande, grosso e poi si lasciava piegare così facilmente dal primo deficiente di turno: bella figura di merda, Theo, complimenti.
    Fu veloce a rialzarsi, ignorando il dolore che si irradiava da ogni dove, e l’imbarazzo per essere stato abbattuto così facilmente; non c’era niente di pacifico nel ghigno ferale che rivolse al corvonero che l’aveva appena steso. Ebbe per un attimo la tentazione di riprovarci: caricare di nuovo e magari buttarlo giù dalla fottuta torre — ma aveva anche lui un certo contengo, qualche volta.
    (E solo perché ora vedeva due Andrew e la stanza aveva ripreso a girare.)
    Alzò le mani, e indietreggiò quando altri corvonero cercarono di invadere il ring improvvisato; aveva capito l’antifona, se ne andava. A passo di gambero, raggiunse l’entrata della sala comune, senza mai perdere di vista nessuno dei blubronzo: era solo e ferito in territorio nemico, non poteva permettersi di abbassare la guardia.
    Non era (mai stato, con ogni probabilità,) il benvenuto, lì dentro.
    Prima di andarsene definitivamente, però, cercò lo sguardo del Tipton nel gruppo di studenti, e lo ammonì con un dito. «È tutta colpa tua,» meh, opinabile......., ma Theo sentiva fosse così: a partire dal ballo, fino a quel momento, ogni suo problema era riconducibile a Paris Tipton; era solo normale che Theo volesse una sola cosa da lui: «stammi alla larga.» E per la gioia di tutti, delle monet in primis, se ne andò.
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