you can find me in the space between where two worlds come to meet

#joyland

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    La quarantena - ed annesso ricovero in infermeria per quelli di loro che avevano contratto l'inaspettato e sconosciuto virus magico - erano stati un incubo, tanto per Dylan quanto per le persone che si erano ritrovate costrette a convinvere con la furia rossa in quei terribili giorni già emotivamente sfiancanti.
    Per Dylan, perché non era fisicamente capace di rimanere ferma in un solo luogo per più di qualche minuto; per gli altri, perché da qualche parte le energie della tassorosso dovevano pur finire, e di solito a rimetterci erano le persone a lei vicine.
    Una povera Amalie, ad esempio, che aveva dovuto ripeterle fino alla sfinimento «torna a letto, Dyl» prima di decidere che ammalarsi potesse essere la soluzione al problema -- cosa non vera, perché la Tassorosso le era rimasta accanto anche (e soprattutto) in quel momento, chiedendole se ci fosse qualcosa che potesse fare per lei, ruoli improvvisamente ribaltati; non perché Dylan non stesse male, al contrario, ma perché non riusciva a non fare e trovava sempre la scusa per girovagare tra i lettini dei suoi compagni ammalati, tra un colpo di tosse di troppo e una corsa in bagno quando la nausea si faceva più forte.
    Aveva persino messo a dura prova la pazienza di Stiles, apparendo alle sue spalle nei momenti più disparati, chiedendogli ora di spiegarle la natura di quello o quell'altro Pokémon, ora pregandolo di lasciarla uscire almeno per qualche secondino per poter vedere le sue amiche e rassicurarle che stesse bene -- contrariamente a quanto il naso rosso, gli occhi lucidi e il viso leggermente meno paffuto di poche settimane prima suggerivano.
    Nessuno le aveva mai detto di sì, però, e lei c'era rimasta malissimo. Aveva persino giurato con tanto di croce sul cuore che avrebbe fatto attenzione!! Non avrebbe contagiato nessuno!! Avrebbe messo la mascherina, disinfettato le mani, sarebbe rimasta a debita distanza come il DPCM ordinava!!! Avrebbe tossito nell'incavo del gomito e non avrebbe !! abbracciato !! nessuno !! Nonostante lo sforzo che quel gesto le potesse costare!!
    E invece no: era rimasta confintata lì, insieme a tutti gli altri che non ne volevano sapere di giocare con lei o raccontarsi storielle o aggiornarsi sugli ultimi scoop della scuola. UNA. NOIA. MORTALE !! Dominic, prima di finire allettato a sua volta, aveva persino minacciato di legarla al letto per non vederla più trascinarsi in giro per l'infermeria a tormentare gli altri contagiati -- e per quella mancanza di rispetto, lo stesso infermiere era stato punito ZAN ZAN dimostrando che niente e nessuno poteva davvero frenare Dylan hurriKane.
    A parte la quarantena forzata e il ricovero, okay, dai.
    Insomma, quei giorni erano passati lentissimi e la sedicenne era stata pronta a compiere gesti estremi (come...non lo so, gettarsi dalla finestra.) pur di uscire di lì; voleva riedere le sue furie! Voleva il suo letto! Voleva tornare a scorrazzare per i corridoi e voleva rivedere altre persone che non fossero quelle rinchiuse in infermeria con lei.
    Non era così superficiale da non aver capito la gravità della situazione, era stata a sua volta molto preoccupata quando Twat si era aggravato improvvisamente e aveva chiesto a Stiles, con gli occhioni lucidi, se sarebbe stato bene; aveva temuto il peggio quando, dal nulla, era apparso in infermeria anche il Daniels -- tanto che Dyl aveva pregato Santo Jisung da Latina che vegliava su di lei (e proteggeva i belli) affinché lo facesse stare bene. Insomma, a suo modo, aveva capito quanto tutta quella situazione fosse allarmante, ma non era nella sua natura preoccuparsi o reagire come una persona normale avrebbe fatto. Era pur sempre Dylan Kane: immatura ed eterna Peter Pan, fonte di ottimismo ed entusiasmo che, in quel momento più che mai, potevano fare comodo. Un barlume di speranza in un periodo altrimenti tragico.

    Quando, la mattina di Halloween, aveva visto entrare le professoresse e confabulare con toni concitati insieme agli infermieri, Dylan si era illuminata, era scattata in piedi e si era avvicinata agli adulti, negli occhi speranzosi una domanda impossibile da non cogliere: «possiamo finalmente guarire ed uscire da questo posto?»
    Sì e no, avrebbe scoperto dopo un po', trascinata nuovamente a letto dagli infermieri: una cura c'era ma bisognava testarla e vedere in quanto tempo avrebbe finalmente fatto effetto. La furia era disposta ad offrirsi volontaria, pur di mettere la parola fine a quella prigionia.

    Ci vollero un po' di giorni, e novembre era ormai iniziato da un pezzo, ma finalmente la Kane era stata giudicata guarita (perché non era Sana ah ah ah capita?? Lol) (non era sana in nessun modo, btw. Né di nome, né di fatto) ed era stata finalmenre dimessa. «AMS TI VOGLIO BENE MA PER UN PO' NON VERRÒ A TROVARTI» un urlo che accompagnò la sua uscita di scena, mentre abbandonava l'infermeria, luogo in cui non aveva più intenzione di mettere piede fino al diploma. «HOGWARTS!! SONO TORNATA!!» con il sorriso più raggiante di sempre, Dylan corse verso le scale, e poi giù nei sotterranei, in direzione della sala comune giallonero: non si fermò a salutare o a chiacchierare con nessuno, limitandosi a qualche "ciao" urlato senza arrestare la propria folle corsa. Varcò infine la sala comune con un «JOO/OOOO/OONIIIIIII» urlato a pieni polmoni, affinché (chiunque.) la sua migliore amica potesse sentire, ovunque ella fosse.
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    Edited by antarctica - 14/11/2021, 19:12
     
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    come giustamente ipotizzato da pandi, joni aveva già mal di testa.
    si erano sommate troppe cose, in quell'ultimo mese, alcune decisamente meno chiare di altre: i contagiati, Hans e Dylan chiusi in infermeria, la strana sensazione di vuoto e malessere che la tassorosso provava ogni volta che apriva gli occhi al mattino e prima di chiuderli la sera, il ritorno dei sogni frammentati e nebulosi che faticava a trascrivere su carta una volta sveglia... e poi c'era quell'altro problema.
    tutto sommato, un po' di mal di testa era il minimo.
    è che joni non era abituata a sentirsi sovraccarica, odiava la sensazione di avere le spalle perennemente al muro; preferiva affrontare le situazioni a testa alta, soprattutto quelle di fronte alle quali molti dei suoi coetanei sarebbero andati nel panico, senza lasciarsi sopraffare dalle emozioni. erano sempre quelle a fregarla, ed ecco perché la peetzah sceglieva da sempre imbottigliarle una alla volta, ciascuna con la sua bella etichetta personalizzata, il tappo ben stretto per evitare fuoriuscite indesiderate: una pratica consolidata nel tempo, che in quel famoso ultimo mese non aveva per niente funzionato. un sistema così perfetto che andava ad incrinarsi proprio quando la sua solidità le sarebbe servita di più — the disrespect.
    lo aveva affrontato come un alto tradimento (me @ me: bitch, what the fuck!?), ma senza trovare il giusto modo di punirsi. forse, a pensarci bene, la sofferenza che stava provando in quel momento era già una punizione sufficiente.
    sulla scia di quel pensiero la sedicenne si rigiró nel proprio letto, una mano a trattenere la trapunta e l'altra premuta sugli occhi, cercando quanto più possibile di affondare la testa dolorante nel cuscino; dava l'impressione, a vederla, che se avesse potuto passarci attraverso l'avrebbe fatto volentieri. attorno a lei, nel dormitorio femminile, l'aria era ormai immobile, troppo tardi perché qualcun altro senza i suoi problemi mistici potesse ancora aver voglia di dormire. il che, per joni, era un sollievo: da quando erano tornati, sopportava la presenza delle persone ancora meno di prima, e non si trattava solo di fastidio.
    era senso di colpa, quello che joni provava. sottile, appannato, fragile come un foglio di carta velina, solo un lieve soffio sul cuore quando immancabilmente il suo sguardo incrociava quello di mac dalla parte opposta della sala comune.
    e nostalgia, mancanza, un battito in meno nella cassa toracica, quando scendendo le scale del dormitorio si ritrovava ad un passo dal Knowles; non serviva nemmeno che si guardassero, eppure joni lo sentiva
    pidocchio
    lo so.
    premette le mani sugli occhi, così forte da vedere tutta una serie di puntini luminosi sotto le palpebre, e rimase in quella posizione finché qualcosa non la costrinse a tirare su la testa; un certo subbuglio sotto i suoi piedi, urla lontane, il preannuncio di un uragano in avvicinamento «HOGWARTS!! SONO TORNATA!!» nessuno portava scompiglio come Dylan Kane, e per una volta joni non sentì il bisogno di alzare gli occhi al cielo, o prepararsi psicologicamente: aveva avuto fin troppo tempo da passare senza l'amica, e non le era piaciuto. sapeva perfettamente che non trovandola nella sala dei tassi sarebbe corsa di sopra nel dormitorio, e per questo la sedicenne attese pazientemente di sentire i passi valchirici di Dylan salire le scale, seduta sul letto con tanto di trapunta tirata sotto il mento.
    avevano sempre funzionato in un certo modo, joni e dylan.
    come l'acqua dolce delle fonti che erodeva le rocce rilasciando sali minerali nei grandi bacini idrici naturali (si, mi sono informata), la kane si scontrava costantemente con quel masso granitico che era invece lei, senza mai perdersi d'animo; ad ogni passaggio impetuoso scalfiva la superficie di quarzo smussando i bordi, arrotondando gli angoli, il tutto senza che joni quasi se ne accorgesse. o, almeno, non se n'era accorta prima — prima di ritrovarsi improvvisamente derubata di quell'acqua che le portava via un pezzetto di corazza alla volta «quindi hanno riaperto le gabbie» disse, quando vide l'amica sulla soglia, il tono di voce neutro ed impassibile a fare a pugni con l'aspetto provato: i capelli ramati sciolti sulle spalle e arruffati dal troppo rigirarsi sul cuscino, ombre scure che spiccavano sotto gli occhi chiari, fin troppo visibili in contrasto con la pelle lattea.
    poi, contro ogni previsione — stupendo in primis se stessa, joni aprì le braccia «viecce» non capitava spesso che prendesse l'iniziativa, anzi si può dire non capitasse mai: era sempre Dylan quella che prendeva l'iniziativa, le saltava addosso stringendola in una morsa letale (vedi kieran e i suoi abbracci killer), di sicuro la più fisica delle due su un piano strettamente affettivo. e, cosa ancora più strana, quando la kane le si abbatté contro come un treno in corsa, joni la strinse a sé forse per la prima volta, trascinandosela su quel letto che nelle ultime 24 ore aveva abbandonato solo per fare pipì e rubare qualche merendina ai ragazzini del primo anno «non farlo mai più» ammalarti, rischiare di morire, farmi stare in pensiero. c'era un po tutto, in quell'abbraccio, nel modo in cui la peetzah si concesse di affondare il volto nei capelli ramati dell'amica per respirare il profumo inconfondibile di fragola del suo balsamo.
    durò dieci secondi netti, prima di allontanarsi e piazzarle le mani sulle spalle così che anche Dylan la guardasse negli occhi, le iridi grigio azzurre improvvisamente incupite «é successa una cosa, mentre te la spassavi in infermeria» più di una, in realtà, ma non sapendo come spiegarle a parole il viaggio mistico nel 1440 che si era fatta insieme agli altri studenti, joni preferì passare oltre — al vero problema «qualcuno» digrignó involontariamente i denti, lasciando intendere che quell'anonimo nella testa della sedicenne avesse un nome preciso «mi ha fatto un incantesimo. o magari è riuscito a farmi bere dell'amortentia senza che me ne accorgessi» si portò le mani sugli occhi, la peetzah, lasciando sfuggire dalle labbra un versi roco di frustrazione «so che è stato quello stronzo di Noolan, per distrarmi. capisci? proprio pochi giorni prima della partita, quello punta al mio posto. vuole vedermi crollare, ma io lo disintegro prima! » nel mentre che il tono di voce si alzava pari passo alla disperazione, joni aveva di nuovo afferrato le spalle di Dylan per scuoterla come una maracas; faceva parte di un tacito accordo: la sofferenza andava condivisa.
    solo nel vedere l'espressione confusa sul volto roseo dell'amica joni si rese conto di non aver ancora esposto la parte peggiore della situazione; e non esisteva un modo facile per dirlo senza sentire il mal di testa aumentate esponenzialmente fino a prenderle la cervicale. così, con un sospiro, lo disse «mi piace giuliano.» un complotto, ecco cos'era.

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    Non sarebbero bastate tutte le playlist K-pop di Spotify, né tutti i video di Bookish Theories con le sue dettagliate e precise interpretazioni delle lore di pressoché qualsiasi k-gruppo, per distrarre la Kane in quel momento – e per farle evitare di fare ciò che stava per fare.
    Notando l'assenza della migliore amica nella sala comune, la furia rossa aveva fatto uno scatto come mai prima, cose che nemmeno in allenamento erano mai riusciti a vederle fare, ed aveva colmato in pochissimi secondi i metri tra l'ingresso dietro le botti e il dormitorio femminile giallo-nero; lì, seduta sul letto con gli occhi stanchi e i capelli arruffati, Dylan aveva trovato Joni ad aspettarla.
    E tanto era bastato alla Kane per cedere e, finalmente, rendersi conto davvero, fino in fondo, quanto quelle lunghissime settimane lontano dal suo capitano le avessero fatto male – più del virus, più dei sintomi, più dell'essere confinata in una stanza senza nulla da fare. L'assenza di Joni era stata tangibile, la sua presenza solida e costante, l'appiglio a cui Dyl si aggrappava quotidianamente, spesso senza nemmeno rendersene conto; il freno che la rendeva un po' meno insopportabile nella sua estrema irruenza; l'unica in grado di controbilanciare la sua prorompente euforia. Una Dylan senza Joni era una Dylan allo sbaraglio – un pericolo pubblico.
    Una Dylan senza Joni era una Dylan incompleta.
    Ferma sull'uscio della stanza, aveva fissato l'amica con gli occhi lucidi e, per la prima volta da quando la conosceva, incerta su cosa fare: voleva correrle incontro e stritolarla, voleva annusare il suo profumo familiare e sentire la sua pelle morbida sotto i polpastrelli, a ricordarle che fosse veramente lì, che non stava sognando. Ma non si azzardava a muovere un muscolo, ferma in attesa di un cenno del capo, un mezzo sorriso, un vago mutamento nello sguardo azzurro che la invitasse a procedere.
    Va tutto bene, non sono più contagiosa, lo prometto!! Avrebbe voluto urlarlo all'intera scuola – ma in quel momento la sua priorità era l'amica. Aspettava, inconsciamente, che fosse lei a darle l'okay, a dirle che andava tutto bene, che poteva avvicinarsi; e poi era arrivato il gesto che la Kane non si sarebbe mai aspettata, quello per cui aveva già messo in conto di dover lottare per ottenerlo: Joni aveva aperto le braccia, pronta ad accoglierla in un abbraccio. Il semplice tirar su col naso a cui la rossa si era limitata fino a quel momento, divenne un vero e proprio pianto quando corse incontro all'amica e si gettò tra le sue braccia, stringendola come mai prima. Col viso nascosto tra i capelli arruffati di Jo, Dylan si lasciò andare a qualche singhiozzo, e strinse un po' la presa intorno alla figura esile del capitano. Avrebbe voluto protrarre quel momento il più a lungo possibile, conscia che non si sarebbe verificato mai più probabilmente che Joni desse il la ad una simile dimostrazione d'affetto – e distrattamente pensò che forse, infondo, nonostante i continui ammonimenti su quanto fosse rumorosa e insopportabile, la sua assenza nel dormitorio doveva essersi fatta sentire. Non che ne avesse mai avuto dubbi, la Kane; sapeva che le sue amiche le volevano davvero davvero bene, ma era sempre bello (e quasi sorprendente) rendersi conto che fosse vero – che qualcuno, al mondo, le voleva bene per ciò che era.
    Si aggrappò a quell'abbraccio come Jack alla dannata porta di legno dopo il naufragio del Titanic, pronta a non scrollarsi mai più: avrebbero dovuto staccare le sue gelide dita dal corpo di Joni per separarle.
    Oppure no, e bastava che la Peetzah facesse uso della Forza TM (tipida dei battitori) e la spingesse via, allontanandola per le spalle. OKay, va bene. Mi pare giusto.
    La lasciò fare, Dyl, continuando a tirare sul col naso e ad osservarla con gli occhi arrossati dalle lacrime. Scosse appena la testa, al monito dell'altra rossa, e poi sussurrò un «lo prometto. Mi sei mancata tantissimo» prima di rubarle un altro abbraccio veloce veloce, per poi tornare a debita distanza. Lo sguardo del suo capitano era serio – a tratti incupito. E il tono di voce s'era fatto anche quello leggermente più duro di qualche minuto prima. Dylan si accigliò, preoccupata, passandosi la manica della felpa sulle guance paffute per asciugare le lacrime che v'erano rimaste. Cosa poteva mai essere successo di così tanto grave?!?! cosa non gli era stato detto, mentre era in infermeria???? GLI STRAY KIDS SI ERANO SCIOLTI???? Nella testa della Kane vorticavano millemila ipotesi diverse, tutte ugualmente terribili, ma non era di certo pronta a scoprire la verità. Portò le mani a coprire la bocca spalancata, allarmata già a prescindere, senza ancora sapere quale fosse la terribilissima cosa accaduta in sua assenza; ad ogni parola di Joni, lei spalancava sempre un po' più lo sguardo verde – espressione che diventava via via più confusa in maniera proporzionale al tono concitato di Joni. Si lasciò scuotere come una maraca, mani ancora alla bocca che abbassò solo dopo qualche minuto, per pronunciare un confusissimo: «ehh??????» Non aveva capito granché, ma si fidava!!! Se Joni diceva che Noolan l'aveva stregata con del'Amortentia, DYLAN CI CREDEVA!!! Era già pronta a supportarla-spalleggiarla-seguirla nella vendetta!!! COME OSAVA QUEL FESSACCHIOTTO BAMBOCCIONE!! TENTARE DI RUBARE IL POSTO DI CAPITANO A JONI!!! BUUUHHH!!!!! Attese che l'amica terminasse il racconto prima di chiedere ulteriori dettagli – voleva sapere tuttissimamente tutto!!11!!!
    Ma a quel «mi piace giuliano.» il massimo che riuscì a fare fu strabuzzare gli occhi una, due, dieci volte, prima di alzare di nuovo le mani, portarle alle orecchie di Joni per coprirle, fare un respiro profondo e.... *Jongho's voice* «AAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH» un urlo da Cugini di Campagna TM, che avrebbe riecheggiato in tutto il castello; un verso ben più spaventoso dei vari “oohhh" e"uuuhhh” dei triliardi di fantasmi che infestavano quel posto.
    Lo sapeva.
    LO SAPEVA!!
    LO!! SAPEVA!!!
    Lei e Livy l'avevano sempre saputo.
    TUTTI LO SAPEVANO !!!!!!!!!!!!
    Eppure questo non le impedì di urlare perché come si poteva reagire diversamente?1??11?1?1? Impossibile!1!1!1! IMPOSSIBILE!!1!1!1!1! CIOÈ JONI!! L'AVEVA CAPITO!!! «ERA ORA!!» Avrebbe volentieri abbracciato di nuovo l'amica, se non avesse avuto paura di perdere entrambi gli arti superiori. Quindi abbassò le mani, liberando le orecchie della compagna, e le batté tra loro. «CHE DICI SCIOCCHINA!! NON È UN INCANTESIMO!!! NON È AMORTENTIA!!!» Arrivate a quel punto, Dylan stava praticamente saltando sul letto di Joni, completamente su di giri. Insomma, l'aveva presa benissimo e con la sua solita calma. «CHE BELLO MAMMA MIA SONO COS' FELICE ODDIO!!1!!1 AAAAHHH QUANDO L'HAI CAPITO DIMMI TUTTO VOGLIO I DETTAGLI VI SIETE VISTI IN QUESTI GIORNI COSA È SUCCESSO OMG PEP TI PREGO HO BISOGNO DI SAPERE TUTTO RACCONTAMI AAAAHHHHH» un fiume di parole non propriamente urlate ma diciamo che non stava neppure cercando di essere discreta, Dylan Kane. Quando mai.
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    tutto ciò di cui joni aveva bisogno era che Dylan sostenesse le sue tesi senza metterle in discussione, se non addirittura che la rossa portasse qualche nuova evidenza per avvalorare la sua teoria di essere stata avvelenata — e invece si ritrovò con un timpano perforato, del tutto inutile (ma grazie comunque) il tentativo dell'amica di porre limite ai danni premendole le mani sulle orecchie.
    con la Kane di solito era così che si concludevano le conversazioni, quindi joni non si lasciò scomporre piu di tanto; era stordita, questo sì, ma aveva avuto un sacco di tempo, negli anni, per imparare in fretta a riprendersi. e poi, in cuor suo, era davvero convinta che la reazione di Dylan fosse dovuta allo sdegno, the disrespect, le brutte intenzioni e la maleducazione, chi mai aveva osato tirare alla sua migliore amica (!!!!) un così orribile colpo basso «si, lo so, è t-» «ERA ORA!!» no aspetta, aspetta: era ora che qualcuno tentasse di avvelenarla? a joni pareva un attimo eccessivo «senti, ok, a volte sono stata un po ruvida e forse ho trattato alcune persone con poco riguardo» preso a mazzate e calci nelle palle sapeva troppo di tecnicismo «ma non credo di meritarmi una tortura del genere»
    si sedette di nuovo all'indietro sul proprio materasso, le mani giunte in grembo nascoste dalle maniche troppo lunghe. l'entusiasmo di Dylan l'aveva confusa e anche un po offesa, ma non era niente in confronto a quanto stava per succedere — la realizzazione™ di essere rimasta sola nel dolore «CHE DICI SCIOCCHINA!! NON È UN INCANTESIMO!!! NON È AMORTENTIA!!!» e joni capì: di essere stata fraintesa e che Dylan aveva smesso di ascoltarla tipo tre frasi di spiegazione prima. quando la vide saltare attorno a sé, rischiando di cadere dal letto trascinandosi giù anche lei, tutta la vita della peetzah passò davanti agli occhi chiari, un lieve ondeggiare del capo a ritmo con i sobbalzi del materasso.
    non era quello, che voleva.
    tutto, ma non qualcuno che confermasse i suoi peggiori timori come invece stava facendo la Kane in quel momento.
    «non mi piace Julian Bolton» tentò, anche se l'amica ormai era partita per la tangente, avvertendo il cuore aumentare la sua andatura sotto la cassa toracica fino a raggiungere il galoppo — non tanto perché stesse mentendo, anche se inconsciamente sapeva di averlo appena fatto, ma per un principio di attacco di panico. mai sperimentati durante sedici anni e poi eccoli tutti insieme uno dietro l'altro, come un film di orrore «dyl, non- ACCIDENTI DYLAN CALMATI» questa volta fu lei ad afferrare l'amica premendole entrambe le mani sulle guance, così che la fissasse immobile negli occhi (e vedesse la sua disperazione) «non può piacermi Julian Bolton, ok?» si capiva dalle occhiaie apparse di recente sulla pelle lattea, dal tic nervoso all'occhio destro, da un accenno di denti a spuntare da sotto le labbra; se lo avesse avuto davanti, al posto di Dylan, probabilmente lo avrebbe azzannato alla giugulare togliendosi il problema una volta per tutte «é fastidioso. e troppo buono, vede un mondo tutto rosa che non esiste. ed è un fan del Natale. e mi da fastidio» l'aveva già detto? «come può piacermi, non deve piacermi» anche perché «lo sai cosa ne penso di queste cose, io-» meh.
    non l'aveva mai detto esplicitamente, ma la Kane sapeva: le relazioni sentimentali joni non le capiva. in sedici anni, a differenza della maggior parte delle sue coetanee, non aveva mai provato interesse per qualcuno, avuto le farfalle nello stomaco o tanto meno baciato qualcuno; non gliene era mai fregato di meno, fino a quel momento. al contrario, ogni volta che si parlava di crush e coppiette le veniva da storcere il naso, un passo opportunamente all'indietro.
    e non c'era niente, niente (certo non quel sorriso perenne che aveva sulla faccia da schiaffi, o gli occhi da cucciolo di Labrador abbandonato in autostrada, o il fatto che non aveva bisogno di parlare perché lui la capisse.) in Giuliano che potesse giustificare quel cambiamento: il calore inaspettato che sentiva salire al viso quando le si sedeva vicino, il modo in cui le mancava se non si vedevano per qualche giorno, l'improvvisa incapacità di guardarlo negli occhi troppo a lungo. si sentiva persa e vulnerabile solo all'idea, e forse per quello si era rifugiata nella speranza che si trattasse solo di un tiro mancino — meglio un incantesimo e un colpevole da picchiare, che sperimentare la prima cotta della sua vita senza l'adeguata preparazione mentale e fisica «l'ho capito quando stavi male» rispose, infine, lasciandosi sfuggire un sospiro che sapeva di sconfitta, le mani a scendere nuovamente sulle proprie ginocchia «ero spaventata a morte, dyl. ed era l'unica persona con cui volevo parlare» fece una smorfia per sottolineare la tragedia, buttandosi poi a pancia in su sul letto, il cuscino premuto sul viso. forse l'autosoffocamento non era una cattiva idea «devi aiutarmi a farmela passare, odio sentirmi cosi» bros before shipping, pensaci bene Dylan Kane.


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    «non mi piace Julian Bolton»
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    «non può piacermi Julian Bolton, ok?»
    «nun è cushi male» le guanciotte schiacciate alla cioppi-cioppi, e gli occhi verdi fissi in quelli della migliore amica, Dylan Kane, mente semplice che conosceva solo due modalità, “psycho shipper” o “psycho” e basta, non ci vedeva proprio nulla di sbagliato in quello. «sciete cawini» ci pensò su un attimo e poi aggiunse, con un mezzo sorriso storpio «criope: height difference, un grande clashico»
    Non roteò gli occhi alla risposta dell'amica, perché lei non era Joni Peetzah, ma fece labbrucci, improvvisamente triste: perché non voleva capire che non c'era nulla di male ad ammettere che le piacesse Julian?! Cioè, lo sapeva che tra le due era Dylan quella con la cotta facile e che ogni tre per due si /innamorava/ di qualcuno incontrato per strada (letteralmente: li vedeva e boom, improvvisa fissazione.) e Joni, invece, “quelle cose” non le aveva mai apprezzate più di tanto... ma «shtai crescendo» era normale?? ERA ORA?? Chissà. Dylan era onestamente al settimo cielo per la notizia: Julian era un bravo ragazzo e lei non vedeva l'ora di avercelo come cognato!! #cosa?cosa.
    Voleva essere il supporto morale di cui Joni aveva bisogno, ma come poteva chiederle di andare contro la sua stessa natura ?!?!? Per far fronte comune contro Juliano e contrastare gli effetti di quella “maledizione”, doveva rivolgersi a una come Thor, sempre pronta a spaccare cOsE anche senza motivo. (Non che Dylan volesse vederle spaccare Julian, dai avete capito in che senso.)
    «Jo» le prese le mani tra le sue, lasciandole riposare sulle ginocchia del capitano, «cos'è che ti spaventa veramente?» a lot to unpack nelle parole dell'amica, a partire dal “ero spaventata a morte” sul quale la rossa non voleva tornare perché stava già cercando di archiviare la storia della quarantena e non pensarci mai mai mai più, perciò si concentrò sul resto. «Bolton è bravo ad ascoltare» come lo sapeva? Boh, lo sapeva e basta. A shentimento. «E- dove vai» quando Joni si lasciò cadere di schiena sul materasso, il cuscino a coprire il volto (arrossito?!?!?!?!?! dylan scommetteva di sì.), il portiere dapprima la guardò con un sopracciglio leggermente sollevato, poi sorrise malandrina e si sdraiò al suo fianco, ficcando anche lei la testa sotto il cuscino. «hai le farfalle nello stomaco? Ti manca il fiato quando lo vedi? Cerchi il suo sguardo in mezzo a quello di tanta altra gente? È la seconda persona-» duh, Dylan sperava di essere la prima. «-a cui vorresti raccontare tutto quello che ti succede, che sia bello o brutto?!» la diagnosi era facile e rispondendo “sì” (cosa che avrebbe fatto, pure se non a parole!! dyl aveva il terzo occhio per certe cose) a tutte le precedenti, confermava quanto sospettato dalla Kane: Joni Peetzah era InNAmOrAtA OH MEO DEO sentiva il kwore scoppiarle di gioia.
    !! DOVEVA DIRLO A LIVY E SANA TIPO SUBBBITO !!
    O forse no.
    «devi aiutarmi a farmela passare, odio sentirmi cosi» «ma perché, è una bella sensazione!!!111!» non che lei ne sapesse davvero qualcosa, le sue fisse non erano mai /vere/, erano (e rimanevano.) sempre cose platonice e a senso unico -- ma l'aveva visto lo sguardo di Julian quando Joni era nei paraggi!! (no, non quello spaventato, dai) (per lo meno, non sempre....) le #divy (?) sospettavano già da parecchio che la cosa fosse reciproca. MA! Se la sua migliore amica aveva bisogno di una distrazione, Dyl le avrebbe offerto una distrazione. O un piano B. O C o tutto l'alfabeto.
    «possiamo chiedere a qualcuno di obliviarti» suggerì, incerta: le pareva un po' estrema come soluzione, ma vabbeh. «oppure facciamo sparire julian per un po', così se non lo vedi magari ti passa.» MEH difficile – impossibile. - ma non era di certo dylan quella con le idee brillanti, tra le furie . «possiamo.... UH puoi innamorarti di qualcun altro così non pensi a lui!» che......era sbagliato su così tanti piani che dylan stessa scartò l'ipotesi. «no dai, scherzavo.» si rannicchiò un po' di più contro l'amica, le mani intorno al braccio muscoloso della battitrice, il volto poggiato sulla spalla di joni. «oppure puoi semplicemente dirmi, davvero, perché sei così spaventata e possiamo provare ad affrontare la cosa insieme.» come avevano sempre fatto, in tutti quegli anni.
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    joni non avrebbe mai pensato di dover spiegare a qualcuno — certo non a dylan kane, perché che le piacesse Julian Bolton fosse una tragedia.
    ma quando l'amica rimbalzó con grazia sul letto, infilando la testa sotto il cuscino che nel mentre la peetzah stava usando come arma contundente contro se stessa, capì che le toccava. perché l'amica insistesse, in realtà, era un concetto che joni non riusciva a spiegarsi: non avevano mai parlato di certe cose; o, meglio, Dylan ne parlava a ripetizione e lei ascoltava con pazienza, cercando di non far trapelare i giudizi che le si formavano istintivamente sulla punta della lingua: era capace di trovare difetti praticamente in tutti quelli che piacevano alla kane, un po per il senso di protezione che provava nei suoi confronti e un po per la bassa considerazione che aveva nei confronti del genere maschile.
    doveva trattarsi di una cosa innata che evidentemente non aveva ereditato da sua madre.
    «non ho niente nello stomaco» si sforzò di suonare piccata nella sua risposta, ma la voce attutita dal cuscino non la aiutava per niente; oltre tutto, non era nemmeno una bugia: qualunque cosa fossero quelle farfalle di cui tutti parlavano, lei non le sentiva. provava solo un gran vuoto proprio alla bocca dello stomaco, la terribile sensazione di essere senza peso — le montagne russe dei babbani le provocavano la stessa spiacevole reazione, cuore in gola e un buco colmo di niente a scavare nel petto «e no, non lo cerco. quello è alto come un palo della luce, purtroppo lo si vede comunque» si lasciò sfuggire un sospiro, ruotando il capo in direzione di Dylan premendo allo stesso tempo il cuscino sulla guancia «lo sai cos'è che mi spaventa, dyl» lo sapeva? si, certo.
    chi meglio di lei.
    la sua migliore amica da dieci anni, costretta ad accontentarsi di spizzichi e bocconi, briciole di affetto lasciate lungo la strada «io non do nulla» lo disse con calma, le parole dure rese ovattate dal cuscino, iridi grigio azzurre a cercare quelle altrettanto chiare ma piu verdi della ragazza; c'era un che di dolce, nel suo tono di voce, ogni tentativo di mettersi sulla difensiva ormai abbandonato. era quello il sul modo per dimostrare a Dylan che le voleva bene, quel concedere abbracci rarissimi e preoccupazioni e sorrisi familiari appena accennati — ma il mondo non funzionava come funzionavano loro due. le persone, le altre persone, finivano sempre per pretendere dalla peetzah qualcosa che lei non era in grado di dare, o esprimere «forse perché non voglio, o non riesco.. non lo so» sollevò appena le spalle, voltandosi su un fianco con la mano sinistra ancora premuta sul cuscino, la fronte ora a sfiorare quella dell'amica «é che-» valutò un attimo se continuare, conscia che sarebbe stato come ammettere ciò che fino a quel momento aveva cercato di negare nemmeno troppo convintamente; un sospiro, la sconfitta nel cuore «giuliano ha l'aria di uno a cui bisognerebbe dare tutto»
    mentre lei aveva solo quel vuoto nello stomaco, silenzi e nervi tesi.
    «possiamo chiedere a qualcuno di obliviarti» «un po' troppo extreme?»
    «oppure facciamo sparire julian per un po', così se non lo vedi magari ti passa.» «già provato. non ha funzionato»
    «possiamo.... UH puoi innamorarti di qualcun altro così non pensi a lui!» tipico di dylan, cercare di risolvere un problema creandone un altro (♡). questa volta joni tolse il cuscino dalla faccia di entrambe, tenendoselo ben stretto sotto il braccio sinistro, i capelli arruffati a dipingere fiamme scure sul lenzuolo «si ma deve essere uno come il Rainey, altrimenti non funziona» quindi con evidenti problemi nella sfera affettiva, tanto per andare sul sicuro. alzò gli occhi al soffitto, rigirandosi sulla schiena, una smorfia a tendere le labbra corallo; quanto meno, con l'aumentare della frustrazione le era passato il mal di testa «me la farò passare. tanto a giugno se ne va, problema risolto. che ci vuole» le ultime parole famose — soprattutto perché ignorare Julian Bolton per sei mesi era più facile a dirsi che a farsi «e poi tra poco ci sono le vacanze, quando torneremo a scuola sarò rinsavita» annuí rivolta più a se stessa che a Dylan, mettendosi a sedere sul letto.
    certo che poteva farcela.
    joni aveva affrontato situazioni ben peggiori, pericoli di gran lunga più terribili della risata di un Giuliano qualunque, o dei suoi stupidi CD natalizi: solo in quell'anno solare aveva rischiato di morire già un paio di volte, figurati se si faceva intimorire da una cottarella adolescenziale per un palo della luce «e lui non lo saprà mai» questa volta la peetzah guardò dritta dritta negli occhi della sua migliore amica, socchiudendo le palpebre cosi che Dylan comprendesse a fondo il significato più ampio di quelle parole: nessuno doveva saperlo, mai nella vita «giura» mano sul cuore, altro che voto infrangibile.

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    Se avesse saputo come fare, Dyl avrebbe rivolto uno sguardo ferito in direzione della migliore amica, quel «non ho niente nello stomaco» ad infrangere tutti gli scenari romantici che la Kane si era immaginata nello spazio di qualche minuto.
    Perché lei era così, e laddove Joni era tutta spigoli e parole dure, Dylan entrava a gamba tesa con le sue favole da shipper e da inguaribile romantica; non sapeva nulla dell'amore, non davvero, ma le piaceva l'idea che, da sola, si era fatta di esso, attraverso i libri, le fanfiction e sì, persino osservando le vite dei suoi amici: non riusciva a non pensare da fangirl e a crearsi scenari immaginari dove succedevano cose. Era proprio una delle sue modalità di base: c'era quella affamata, quella Banshee, quella pigra e quella (shipper) romantica.
    Certo, aveva una visione dell'amore tutta sua, e sicuramente poco realista; lo percepiva come un sentimento infallibile e tutto rose e fiori -- qualcosa che difficilmente si sarebbe trovato nel mondo reale, perché le relazioni erano fatte anche di contrasti e difficoltà che aiutavano a fortificarle ma non per lei. Lei credeva in un sentimento più grande, più forte, e credeva anche di averne a sufficienza per tutti, di poterlo professare con certezza anche a nome di migliori amiche intenzionate, invece, a sminuirlo come mera inconvenienza.
    Si frenò, comunque, dal prendere in giro l'amica rispondendo alle sue parole con un «possiamo rimediare, ho la mia scorta segreta di cioccorane nel baule» perché la questione richiedeva un livello di serietà che raramente, Dylan Kane, aveva affrontato in prima persona. A dimostrazione di ciò, anche dopo quel «lo sai cos'è che mi spaventa, dyl» rimase stoica in un silenzio adamantino che non le apparteneva, lei sempre così rumorosa, perché in quel frangente non stava a lei parlare: e sì, poteva anche saperlo, Dylan, ma doveva essere Joni a dirlo; perché certe volte, le cose, bisognava dirle ad alta voce per poterle affrontare.
    O, per lo meno, così aveva detto la strizzacervelli da cui l'avevano spedita dopo la morte del padre, insomma. E a lei, parlare, aveva fatto bene.
    Si mosse insieme all'amica, portando entrambe le mani sotto la guancia, tra viso e cuscino, osservando il suo capitano con aria attenta. «giuliano ha l'aria di uno a cui bisognerebbe dare tutto» Prese in considerazione quelle parole, pensando che infondo Jo aveva ragione, ma anche che «a me sembra uno capace di farsi bastare quello che ha, non mi pare di grandi pretese...» voleva bene al Bolton, pur conoscendolo pochissimo - ma, ancora, a Dylan Kane non serviva molto per voler bene ad una persona - e non le dava l'impressione di qualcuno pronto a chiedere più di quello che gli si poteva dare.
    Curvò gli angoli della bocca verso il basso, riservando alla rossa un'occhiata triste. «Lui ha abbastanza da dare per entrambi.» Che non era necessariamente un male, no? Si poteva funzionare anche così.
    Voleva essere la fonte di consigli preziosi di cui l'amica aveva bisogno, ma sapeva di non esserne all'altezza: per quanto si sforzasse, non riusciva a vedere il mondo dallo stesso punto di vista di Joni Peetzah e, tutto sommato, era anche per quello che quel duo strampalato che erano le joyland sopravviveva da anni.
    Un po' come Joni e Julian, infondo! Che avevano due caratteri e due approcci alla vita ben diversi; ecco perché la Kane era sicura potessero funzionare.
    Osservò comunque la battitrice rigirarsi nel letto ed evitare il suo sguardo, mettendo il broncio alle successive parole. «me la farò passare. tanto a giugno se ne va, problema risolto. che ci vuole» Cosa?! Farsela Passare?! Dylan era: delusa. Sconvolta. BASITA! Da quell'affermazione. Avrebbe volentieri preso per le spalle il suo capitano per scuoterlo come una maraca e farle tornare un po' di buonsenso: voleva boicottare il destino?! Assurdo. Sentiva lo spirito di Callie e Hazel spingere per farla reagire, per ricordarle che !! nessuno poteva intromettersi in relazioni !! del genere !! scritte nelle stelle !!
    Ogni muscolo del suo corpo stava vibrando per reagire.
    E invece non fiatò.
    Non mosse un dito e rimase in silenzio, mordendosi l'interno della guancia per non proferire parola, attenta a non bruciare i tempi dell'amica che, in quel momento, necessitava di tutto tranne che dell'ennesimo strillo da shipper di Dylan. Contrariamente ad ogni aspettativa, anche lei sapeva contenersi quando voleva. La ascoltò, buttandole un braccio intorno alla vita e agganciando una gamba a quelle ugualmente corte della Peetzah, che non avrebbe potuto negarle quel po' di calore umano, era rimasta in infermeria troppo a lungo!! Se lo meritava.
    E invece no, perchè dopo un po' Joni si alzò ma whatever, la Kane si prendeva quello che riusciva e se lo faceva bastare.
    «e poi tra poco ci sono le vacanze, quando torneremo a scuola sarò rinsavita» Già, le vacanze: il periodo in cui, era risaputo, quelli come Julian, tiravano fuori il meglio di sé: dai, era stato proprio il Natale a fregarli, tra una compilation di grandi classici natalizi e l'altra – Dylan ricordava tutto. Aveva preso appunti !! Non sfuggiva nulla al suo occhio di shipper.
    Ad ogni modo.
    Non la seguì subito a sedere, rimanendo rannicchiata contro il materasso del suo capitano, i capelli scompigliati ad incorniciare il viso un po' meno paffuto per via delle settimane di malattia, e gli occhietti verdi fissi sull'amica. «giura» Fece labbruccio, perché: come poteva NON DIRLO A LIVY!1!?1 Si sentiva già una pessima amica solo a pensarci.
    Ma se Joni voleva così, Dylan avrebbe accettato. «Okay.... giuro» si mise a sedere, alla fine, gambe incrociate e gomiti sulle ginocchia. «Però secondo me-» non finì la frase, fermata dall'occhiata della Peetzah che, lo sappiamo, sapeva già dove voleva arrivare. Perciò alzò le mani, e ripeté ancora una volta «okay okay, te lo giuro! te lo giuro su santo Jisung da latina» a cui, ricordiamolo, Dylan pregava ogni mattina e ogni sera. quindi la faccenda era: seria.
    Non le sembrava ancora giusto che Joni si opponesse o rinnegasse quei sentimenti, ma aveva capito una cosa in tutti quegli anni di amicizia con la Peetzah e cioè che era impossibile tentare di farle cambiare idea quando si metteva in testa qualcosa, anzi, insistendo sul contrario, si rischiava solo di ottenere il risultato opposto. Quindi si strinse nelle spalle, promettendole qualcosa che le sarebbe costato fatica -- ma per lei c'avrebbe provato.
    Tanto, quello, era il segreto di pulcinella: chi doveva saperlo, lo sapeva già *occhio occhio occhio*
    Poi, improvvisamente, le tornarono in mente alcune parole di Joni e spalancò gli occhi. «già provato. non ha funzionato» «in....che senso.» aveva già cercato di far sparire Julian?! «cosa avete combinato.» Ma quante cose si era persa mentre era ricoverata?!
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    «a me sembra uno capace di farsi bastare quello che ha, non mi pare di grandi pretese...» di quanto che le aveva detto Dylan, mentre lei ascoltava finalmente in silenzio dopo essersi tolta come un peso dal petto, quello le era rimasto più impresso.
    colpiva un po troppo vicino a casa, e poco importava che confermasse quasi testualmente quanto aveva appena asserito lei. perché per un istante, e joni se ne rese conto non per la prima volta, non stavano più parlando di Julian Bolton «come te» rispose, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, iridi grigio azzurre a cercare quelle dell'amica; non provava vergogna, la peetzah, o senso di colpa, ma c'erano momenti come quello — pregni di una vulnerabilità che odiava mostrare, in cui non poteva fare a meno di dispiacersi.
    per Dylan, sempre per Dylan.
    «dai abbastanza- no, dai tutto per entrambe» fu più forte di lei lo stringere le ginocchia al petto, ritrovandosi improvvisamente a fronteggiare troppe scomode verità tutte insieme; era un argomento, quello, che non avevano mai affrontato a viso aperto, per quanto Joni ci avesse pensato su anche più spesso di quanto desiderasse ammettere. ne aveva parlato persino con il suo guru, su Twitter, di quanto fosse difficile per lei soddisfare le aspettative degli altri nei suoi confronti, di come nella maggior parte dei casi non fosse disposta per prima a fare un passo avanti uscendo dalla sua confort zone. con la kane, almeno, poteva dire di averci provato: le concedeva — si concedeva — ben più di quanto facesse per chiunque altro.
    eppure in quel momento non sembrava affatto sufficiente «dev'essere difficile, volermi bene come fai tu. so di essere.. frustrante, a volte» voleva seriamente ricominciare tutto da capo, e per un ragazzo? per una stupida, irreale cotta adolescenziale che non aveva né capo né coda? si strinse nelle spalle, quasi rispondendo a se stessa senza darsi davvero una risposta, iridi chiare rivolte al soffitto «e comunque insomma, non mi importa davvero. non voglio farne una questione di stato, tanto per lui siamo solo amici ed è già troppo extreme così» era stata lesta a riportare in tavola l'argomento principale, con uno sbuffo d'aria melodrammatico che almeno poteva gestire come piaceva a lei; di sicuro il nervosismo e i mal di testa che le procurava Giuliano erano più semplici da affrontare del fatto di essere una pessima amica «okay okay, te lo giuro! te lo giuro su santo Jisung da latina»
    ora sì che si cominciava a ragionare.
    joni soppesó le parole dell'amica, conscia della gravità che si portavano dietro: una promessa fatta sull'anima beata di Jisung rappresentava qualcosa di talmente estremo da risultare persino blasfemo; si capiva che Dylan stava prendendo l'intera situazione con la giusta dose di serietà, e la tassorosso gliene era grata. poi da qui ad essere sicuri che non le sarebbe scappato qualche gridolino isterico nel malaugurato (e probabile) caso joni si fosse ritrovata a meno di tre metri da Julian, ce ne passava — ma non poteva pretendere proprio tutto.
    «scema (affectionate riuscì persino ad accennare un sorriso, la rossa, quando dyl se ne uscì dal nulla con una luce nello sguardo che joni - purtroppo - conosceva bene: era il luccichio che tutti i membri dello shipper club si portavano appresso, li rendeva riconoscibili quasi quanto un cartello appeso al collo. non avevano bisogno di altri segnali, sebbene la peetzah sapesse delle spillette e del merchandising coordinato, un po come i tizi nel film Fight Club: senza bisogno che nessuno dicesse niente, si capiva «intendevo che ho già provato a non frequentarlo per un po, durante le vacanze.. pensavo sarebbe bastato ignorarlo, e invece no» poi insomma, era tutto inutile se lui si presentava alla festa organizzato da Penn e Morley, senza preavviso, con dei regali personalizzati che joni segretamente aveva apprezzato anche troppo e che in quel momento aveva tanto desiderato tirargli dietro.
    e di chi era stata la colpa allora, eh?????????
    anzi, di chi sarebbe stata, perché siamo a novembre e non è ancora successo, cos'è il tempo sull'oblivion non lo so «ma quest'estate ero ancora confusa, sai.. ora che ho capito cosa sta succedendo posso gestirlo. ancora sei mesi e non dovrò più preoccuparmi» annuí, convinta solo fino ad un certo punto.
    forse farlo fuori non era poi un'idea così malvagia: é stata autodifesa, your honor, non sapevo come dirgli che mi piace e così l'ho ucciso. mi pare si chiami istinto di sopravvivenza — i vent'anni ad Azkaban assicurati, ma ne sarebbe valsa la pena.

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    Dylan Theodora Kane dava tutto, è vero.
    Perché nella vita non aveva mai ricevuto nulla – per lo meno, nulla di quello che il suo cuore aveva desiderato.
    Anche se lei credeva di sì.
    Sulla carta? Aveva tutto: una famiglia importante alle spalle, un futuro roseo e prosperoso se non si fosse messa in testa di deviare dal percorso scelto per lei, infinite possibilità pronte ad attenderla.
    Ma poco di quello che i Kane avevano dimostrato nel tempo era genuino, vero, primo fra tutti l'amore per quella bambina che, infondo, non avevano mai voluto; non era l'erede perfetto che Mercutio aveva sperato (e, almeno quello, era un fardello che Dylan e Kiel condividevano, forse l'unico punto in comune tra due fratelli così diversi) né la bambolina che Sabine aveva sperato di poter plasmare a sua immagine e somiglianza. A modo loro, i coniugi avevano cercato di darle quello che ritenevano più giusto: lui, la parvenza di un affetto che altro non era se un subdolo manipolare gli ideali della bambina e le sue convinzioni fino a renderla, almeno politicamente, quanto più vicina alla causa di Mercutio; lei, false attenzioni con lo scopo ultimo di smussarne le pareti grezze e tirarne fuori, prima o poi, se non un diamante almeno una misera pietruzza carina da vedere. Entrambi avevano cercato di darle qualcosa con l'intenzione di riceve, in cambio, una figlia diversa; non era mai stato abbastanza, ma Dylan era desiderosa di amore e avida di attenzioni, e per questo aveva sempre accettato. Ancora, e ancora. E ancora. Nella sua innocente fanciullezza, non aveva mai pensato che potesse esserci altro sotto – un doppio fine, uno progetto finale che entrambi cercavano di completare: quale genitore amava i propri figli con uno scopo, infondo, no? Lei voleva credere fossero sinceri. E, essendo Dylan, l'aveva sempre fatto. Ci aveva creduto così forte al punto da convincersi che quello era ciò che si meritava – che i suoi genitori, con i loro modi giusti o sbagliati che fossero, si stavano impegnando per amarla.
    E lei, che non riusciva a cambiare se stessa, non importava quanto cercasse di andargli incontro pur rimanendo fedele alla sua natura, aveva imparato a dare tutto. Perché, infondo, Dylan Kane aveva tanto da dare e dietro i modi irruenti, e la voce stridula, e il carattere travolgente, c'era un cuore buono che forse batteva ad un ritmo tutto suo, certo, ma era in grado di pompare abbastanza amore da bastare per tutti.
    Lei dava, e forse ogni tanto chiedeva, ma sapeva accettare quanto le veniva concesso.
    «dev'essere difficile, volermi bene come fai tu.»
    Era lì che Joni si sbagliava: non poteva essere mai difficile volerle bene, mai, non quando ormai Dylan aveva imparato a conoscerla bene, forse più di quanto conosceva se stessa, e sapeva che l'altra Tassorosso dimostrava il suo amore in altri modi; con un sorriso appena accennato a piegare labbra strette strette tra loro; con un passo in avanti e un ringhio che stava a significare “fight me” se anche solo qualcuno provava a dire o fare qualcosa contro uno dei suoi amici; con un pollice all'insu quando uno schema di gioco riusciva alla perfezione; con un'alzata di spalle quando le altre furie finivano con il convincerla a farsi trascinare in qualcosa (tipo, che ne so, la butto lì: il comitato del prom) (cosa?cosa)
    Joni era Joni – e Dylan le voleva bene per e non malgrado quello.
    Tutto quello che Dylan dava era per entrambe, perché funzionavano così. Non era mai difficile. Mai.
    Cercò la mano del suo capitano sopra le coperte, con l'intento di stringerla e, nel frattempo, magari trovare anche le parole per accompagnare quel gesto; ma la Kane era tante cose e purtroppo “brava con le parole” non rientrava nella lista. Si morse un labbro, cercando la cosa giusta da dire per un secondo di troppo e perse la sua occasione, lasciando poi che Joni portasse quella conversazione altrove, forse in direzioni di lidi che avrebbero fatto sentire la Peetzah meno a disagio.
    O forse no, duh.
    «e comunque insomma, non mi importa davvero.»
    Spoiler: le importava.
    E Dylan non aveva bisogno di terzi occhi per shentirlo – aveva Livy per quelle cose, e le due giocatrici avevano gossipato al riguardo abbastanza a lungo da saperlo, pur senza ricevere mai una conferma ufficiale da parte della diretta interessata.
    Strinse ancora di più fra i denti il labbro già ormai disastrato, trattenendosi dall'urlare ciò che pensava («MA STIAMO PARLANDO ?? DELLO ?? STESSO ?? GIULIANO ????? HELLLOOOOOUUUU???????» e anche «AMICI MAKE THE BEST FIDANZATIIIIIIIIII!!!!!! FRIENDS !! TO !! LOVERS |!!!!!!!! DAIIIIIIII») e si limitò a stringere ancora un po' la presa sulla mano di Joni, certa che a lei non sarebbe sfuggito il grande impegno che la Kane stava mettendo per non comportarsi da Psycho Shipper come il suo solito – così come non le sarebbe sfuggito il colore bordeaux che doveva aver assunto nel trattenere le grida, il fiato, e lo shipping che il momento richiedeva. Si lasciò convincere, allora, a prestare giuramento sulla segretezza di quella confessione e invocò persino il suo Santo preferito (dai, chi non ha un santo preferito, tipo il mio è il santo protettore degli urbiachi: san buca) (badum tss) dicevamo.
    Joni le fece giurare di mantenere il segreto e Dylan accettò, ancora un po' scossa dal fatto di aver dovuto mantenere un certo contegno (fallendo, alla fine qualche gridolino le era sfuggito.) per dimostrare all'amica che anche lei, quando c'era il bisogno!!!, sapeva mostrarsi seria. E attenta.
    «uhuh» sounds così fake che te lo dico a fa «e....mhhhh cioè... ti... ha detto qualcosa.....hai chiesto tu......sì insomma.....cioè......amici....» inciampò sulla propria lingua, la Kane, schiena ora dritta e ciocca di capelli stretta tra i polpastrelli e tormentata al punto da presentare, alla fine del suo quesito non tanto smooth piccoli nodini uno di seguito all'altro. Non sapeva come chiederle se avesse la certezza di quello che diceva senza urlarle in faccia che per lei era una (cazzataaaaaaa) stupidaggine bella e buona perché ANDIAMO??????? Chiunque avesse un paio di occhi (o un cuore da shipper, la cecità non precludeva certe emozioniH) poteva capire che per Julian “non erano solo amici” BUH UHHHHHH Ma cosa dici Joni mannaggia.
    O forse erano solo le #dyvy che proiettavano i loro sentimenti sulla coppia ma ….
    …. AHAHAH
    Infatti. Cioè. Cose dell'altro mondo davvero.
    Alzò entrambe le mani, portandosi dietro persino la povera ciocca martoriata, sul volto smunto la più innocente delle espressioni. «Chiedo.» per un'amica.
    Ma, checché ne dicesse Joni, Dylan sapeva già che il capitano delle furie si sbagliava – e anche di grosso.
    Assottigliò lo sguardo, studiando l'espressione dell'amica e registrando attentamente le sue parole, poco convinta da quanto sentito: è vero che Dyl era grande fan dell'ignorare il problema fino a vederlo risolversi da solo (non succedeva mai e, anzi, di solito si portava dietro altri problemi, ma era una tattica che stava ancora affinando! doveva solo migliorare) eppure quello non era un problema che poteva essere ignorarto.
    «ora che ho capito cosa sta succedendo posso gestirlo.» mhmh, certo. Trattene una risatina, nascondendo la bocca dietro una mano mentre con l'altra prendeva a giocherellare ora con i capelli di Joni, sovrappensiero. «sembra un buon piano...» faceva un po' acqua da tutte le parti ma che ne sapeva la Kane, non era lei la mente del gruppo, non era nemmeno il braccio (Thor) o il cuore (Livy)... Lei al massimo era la cheerleader, e in quanto tale, avrebbe supportato Joni fino alla fine – ovvero finché l'altra non si fosse resa conto che non c'era modo di evitare l'inevitabile. «se ci pensi, luglio è dietro l'angolo.....» e anche il prom (cosa?cosa.) «devi solo evitarlo nei corridoi... e sperare di non doverci giocare contro...... o di farci qualche lezione mista.....o gite improvvisate, o-» all'occhiata minacciosa di Joni, Dyl finse di chiudersi le labbra con una cerniera invisibile. «okay, hai capito dai.... solo sei mesi!!!»
    Juliano: what if mi facessi bocciare mhmh
    E vabbeh che tanto ormai la ship è decollatissima perché cos'è il tempo, dico bene
    Non è una cosa furba
    starsene a letto di notte
    a porsi delle domande
    alle quali non si sa rispondere.
    charlie brown
    16 | esfp | cancer
    hufflepuff | fury
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    the loudest
    in the room
    dylan kane
    1.02
    3.21
    lalisa, lisa
     
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