Votes given by #epicWin

  1. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    soft
    idiot
    sappy
    motherfucker
    sentimental
    bastard
    archibald dominique baudelaire leroy
    Una giornata come tutte le altre.
    Poche ore di sonno mentre cercava di incastrare due lavori che amava e che lo tenevano ancorato ad una vita ormai cambiata, sorrisi sghembi agli avventori della panetteria, battute e lamentele ad amici e colleghi, sbadigli e mal di testa e Dio, ancora quelle immagini, ricordi e possibilità che non gli appartenevano, sogni ad occhi aperti pronti destabilizzarlo ogni volta che non era abbastanza veloce a ingoiare un potere che ancora non controllava. Ancora il senso di perdita, ancora l'impressione di essere maledetto, ancora la paura di guardarsi allo specchio e vedere un bambino di dieci anni abbandonato da chi avrebbe dovuto proteggerlo ed arrabbiato con chiunque per questo.
    Niente di diverso dal solito (o da quello che almeno, ormai, era diventato il suo solito).
    Solo che non era davvero una mattina come tutte le altre. E neanche lo sapeva.
    Non poteva saperlo, Arci, quando si era avvicinato pronto a bussare alla porta della camera da letto vuota, ridendo fra sé e sé per la propria stanchezza.
    Non poteva saperlo quando aveva notato le troppe tazze nel mobile della colazione, e si era chiesto distrattamente perché Aidan avesse rubato a casa Eubeech quella roba a tema Star Wars.
    Non poteva saperlo quando aveva trovato una pergamena abbandonata sul tavolo in salotto con dei compiti di sdm abbandonati al loro destino, e li aveva lanciati nello zaino ripromettendosi di restituirli al povero studente a cui li aveva presi per sbaglio.
    Non poteva saperlo guardando un po' confuso, un po' annoiato, i tanti piccoli segni della presenza di un terzo (ex) abitante di quella casa.
    Non poteva saperlo quando, toccati i fu oggetti di tale coinquilino per metterli a posto, aveva ricevuto un insolito (e ironicamente piacevole) silenzio.
    Una giornata uguale a quella prima in tutto e per tutto - anche nel suo alzare lo sguardo di scatto verso l'ingresso quando la magia lo avvisó del rientro a casa di Aidan.
    Il rapporto di Arci con la sua (ormai non più) nuova... situazione, era ancora particolare. Preferiva non parlarne, non pensarci, e aveva stiracchiato il potere volontariamente talmente poche volte che non era una sorpresa che di tanto in tanto gli esplodesse in faccia, offeso di essere relegato a contrattempo piuttosto che esercitato come dono.
    La chiaroveggenza era ancora un punto dolente, visto che averla significava aver perso la Vista, l'animagia, la sua bacchetta...
    Riconoscere l'arrivo imminente a casa di Aidan e di- di- (Aidan e basta) rientrava nelle poche cose in cui eccelleva di natura come chiaroveggente.
    La sua magia gli sussurrava sempre nell'orecchio quando il Gallagher stava arrivando, forse riconoscendo il piacere che questa notizia portava, e Arci accoglieva ogni volta l'avviso con un sorriso. Non lo aveva detto al compagno, certo che Aidan lo avrebbe preso in giro per il suo romanticismo, per il modo in cui tutte le lamentele dette o silenzione (odiava quel potere. Odiava non essere più un mago), si scioglievano nel momento in cui c'entrava il Gallagher.
    Non avrebbe capito.
    O avrebbe capito troppo bene per volerne parlare.
    Quando Aidan ci mise più del solito a varcare la soglia, fu Arci ad andargli incontro, curioso del perché ci stesse mettendo tanto, affamato di vederlo come non sapeva spiegarsi e sentendo una nostalgia carogna e confusa per le sue mani addosso, i denti sul collo, le labbra sulla pelle tiepida - nostalgia che sapeva non avere senso di esistere visto che erano visti solo- tre- uno- giorn- (si erano appena visti).
    Sorridendo divertito aprì la porta.
    E non fu più un giorno come tutti gli altri - anche se per tutti i motivi sbagliati.
    «Aidan» cauto (più di quanto il suo cuore a battere veloce nel petto avrebbe richiesto), come lo sarebbe stato con un gatto, sia nel pronunciare il suo nome sia nell'allungare la mano. Il sorriso era sparito, gli occhi scuri fattisi preoccupati. Spaventati. Arrabbiati. Strinse il pugno, prendendo un respiro profondo e quasi minaccioso. C'era qualcosa di sbagliato nel Gallagher, anche se non avrebbe saputo decidere cosa (non solo nell'espressione, fisicamente), e rischiò a distogliere lo sguardo per cercare tracce di sangue su di lui (cos'è successo chi è stato lo ucciderò non dovevi andare-), non trovando però, a vista, risposte ai suoi dubbi.
    Un bene, forse. Un male, se il problema di Aidan, dei suoi occhi scavati, dei capelli non lucidi come al solito, dell'aria provata e sconfitta, era di natura magica.
    Il fu grifo arrancò in avanti, ma non pronto dal trovarsi ad avere a che fare con un peso morto, Arci riuscì appena a rallentargli la caduta.
    Finalmente, al movimento dell'altro, gli si attivò nel cervello la modalità emergenza, e questo per lo meno gli permise di non gridare, di non chiedere chi gli avesse fatto del male, di non uscire di casa a passi veloce per cercare chiunque o qualunque cosa avesse portato alla loro porta Aidan in quello stato e dargli fuoco, dare alle fiamme l'intera città se necessario, riportando cadaveri in cenere al capezzale del Gallagher se sarebbe servito a farlo stare meglio.
    Invece, un braccio ancora a tenere Aidan (non si era reso conto di averlo preso per impedirgli di cadere malamente a terra, tanto era stato istintivo, pur nello shock iniziale, proteggerlo da altro male), si allungò per chiudere la porta dietro il grifo dopo averlo tirato a sé. Gli scivolò allora di fronte, in ginocchio sul pavimento freddo e incurvato in avanti per essere allo stesso livello dell'altro. Scomodo, in quella posizione, nel tentativo sia di toccare Aidan - assicurarsi che fosse lì che stesse bene che non stesse andando via da lui e restasse lucido - che di farsi guardare... ma quando mai amare Aidan non era stato doloroso, negli ultimi sette anni?
    Fra loro ondeggiava la catenina legata al collo di Arci, una croce e un anello fianco a fianco.
    «mi dispiace»
    «Aidan»
    ripetè, con meno urgenza, ignorato nuovamente mentre cercava di riportarlo al presente, di portarlo da sé. Aveva domande, ma la maggior parte riguardavano la salute dell'altro, quindi prima doveva capire quello. Stava bene? Era ferito? Fece scivolare una mano sul retro del suo collo, tenendolo fermo in una presa solida, meno dolce di quanto avrebbe dovuto, imitando le strategie che altre volte il grifondoro aveva usato con lui. Resta con me. Non annaspare via. Mi senti? Strinse la presa. Sono qui.
    «mi dispiace»
    «Ehi. Guardami un ordine, perchè Aidan smettesse di vedere Dio solo sa cosa, ma si inebriasse del Leroy davanti a sè - uno che non aveva bisogno di scuse. Gli prese il mento fra indice e pollice, tenendogli non senza gentilezza il viso e obbligando l'uomo a guardarlo.
    Non era mai stato bravo con le parole,.
    «Mon coeur» mormorò. Aveva iniziato a usare il nomignolo per scherzo, per prendere in giro più che Aidan le coppie che non erano loro e il loro romanticismo zuccheroso, ma col tempo ci si era affezionato, trovandolo un nome azzeccato e sincero. «ça va aller. Je suis là»
    Tracciò col pollice la linea dello zigomo, bagnandolo di lacrime, e parlò ancora a bassa voce in francese come cantilenando una ninnananna. Era una lingua abbastanza melodica da non aver bisogno di grande impegno per riuscire ad essere di conforto di per sé.
    Parlare francese, da utile (per non farsi capire da- da- per non farsi capire e basta) era passato a piacevole e poi necessario. Lo usava quando voleva dire cose ma il suo intero essere si ribellava dal farlo - nei momenti troppo dolci per usare la stessa lingua con cui si prendevano a parole o si prendevano e basta, e nei momenti in cui respirare era difficile e non sapeva come ammettere che non sapeva come andare avanti.
    Si sporse in avanti, spinse la mano sulla nuca dell'altro per avvicinare i loro visi, il respiro raschiato di Aidan a fargli il solletico, lasciando che il proprio, forzatamente tranquillo, gestisse il tempo fra una boccata d'aria e l'altra anche per entrambi.
    Posò le labbra sulle ciglia umide di pianto di Aidan, con calma passò all'altro occhio.
    Appoggiò la fronte contro quella dell'uomo.
    «Risolveremo tutto. Ci siamo dentro insieme»
    Il panico di aver visto Aidan crollare davanti a lui (Aidan! La cui strategia era sempre stata quella di nascondersi, piuttosto che chiedere aiuto. Chiedere scusa), era stato sostituito da una paura più razionale.
    Era successo qualcosa di grave.
    Aidan pensava che Arci non l'avrebbe presa bene.
    Si conoscevano abbastanza vicendevolmente per sapere entrambi che il Leroy si arrabbiava spesso, ma proprio per questo poche cose meritavano una tale reazione da parte del Gallagher.
    Qualcuno che Arci amava si era fatto del male (o peggio).
    Aidan pensava, presumibilmente, di essere parte del problema.
    L'assenza di sangue non escludeva ancora del tutto l'idea che la persona in pericolo fosse Aidan stesso.
    «nel bene e nel male» Mosse ancora il dito, accarezzandolo. «Lascia che ti aiuti»
    I will not have you without the darkness that hides within you.
    I will not let you have me without the madness that makes me.
    If our demons cannot dance, neither can we.
  2. .
    Mi voglio rovinare, arrivo anche in questo topic a lasciarvi una domanda. Testualmente cito:
    CITAZIONE
    b) gli special sono rimasti special, perché la Bolla non poteva accettare la loro magia, che gli è stata rispedita contro… defective (cosa significa essere un defective? significa che la magia è difettosa, avranno più difficoltà ad usarla, e li controllerà più di quanto la controllino loro).

    Per precisione/trasparenza vorrei sapere se esiste l'idea di dare linee guida più specifiche a riguardo o anche solo una notazione in più qui in FAQ. Perché ogni Potere Special ha il suo concept e i suoi funzionamenti, quindi magari avete delle idee particolari su come le categorie di Poteri o i singoli Poteri proprio possano reagire a questa nuova condizione di instabilità? O preferite, per comodità eccetera, lasciare queste cose alla fantasia dei player?
    Non picchiatemi, sono delicata.
  3. .
    CITAZIONE
    Aveva un nodo allo stomaco che si continuava a contorcere di continuo, forse la somma consapevolezza che tutto quello che aveva detto, un giorno, non avrebbe avuto senso neanche per lui: una favola, una brutta favola, forse più un incubo che però gli aveva lasciato in "dono" una serie di brutte cicatrici psichiche e magiche che non si sarebbero mai e poi mai rimarginate. Forse sopportabili, se la fortuna fosse stata dalla loro ma gli utlimi due anni avevano ampiamente dimostrato che la Dea Bendata era più una camminatrice di strada a basso costo che applicava forti sconti alle comitive e probabilmente Lancaster e gli altri due suoi compagni erano la sua comitiva preferita.
    A loro applicava direttamente prestazioni gratuite.

    — John Ming-Yue Campbell
  4. .
    dear universe, i trust you.
    Lisi Selwyn non aveva mai rimpianto una singola decisione presa in vita sua. Non aveva mai dovuto farlo, perché il suo cuore e la sua mente erano sempre andati fin troppo d'accordo, per poter scegliere uno una cosa, ed uno un'altra.
    Quello che il cuore desiderava, la testa accettava; e quello che la testa comandava, il cuore giustificava. Erano sempre andati a braccetto, come i contrasti della sua personalità, così ben bilanciati da essere quasi perfetti. Non avevano mai avuto occasione per non andare d'accordo, e quello era sempre stato uno dei punti di forza della strega; non aveva mai avuto bisogno di rimpiangere nulla, non a sedici anni e non a venti e non a venticinque — e di certo non a trenta.
    Lo aveva saputo nel momento stesso in cui aveva visto Jeanine apparire, che fosse il momento; uno che aveva atteso da tutta la vita pur non rendendosene conto; uno che l'aveva attesa con pazienza, contando i giorni che la dividevano dal sacrificio finale.
    Non solo quelli infiltrati attraverso la spaccatura nella avevano sacrificato qualcosa, quel giorno; lo avevano fatto tutti. Qualcuno con più consapevolezza di altri, certo; qualcuno ad occhi chiusi, senza pensare alle conseguenze; qualcuno solo perché non aveva nulla di meglio da fare; qualcuno per motivi egoisti.
    Non giudicava nessuno di loro, Lisi. Non una singola anima. Avevano tutti avuto un motivo per farlo, che fosse per qualcuno all'interno della Bolla, o per qualcuno fuori; non c'erano motivazioni meno valide di altre. La sua non era meno valida (o stupida, o egoista, o testarda, o impulsiva) di altre.
    Aveva visto Jeanine e aveva capito fosse giunto il momento.
    A lungo aveva saputo che, prima o poi, sarebbe arrivato il giorno in cui non avrebbe più rivisto i suoi genitori (tutti e quattro) o i suoi fratellini (tutti e tre) — solo che per molti, moltissimi, anni, Lisi aveva creduto sarebbe arrivato sottoforma di fulmine a ciel sereno, la notizia della sua prematura dipartita, l'inevitabile fine di una donna che aveva scelto la Resistenza piuttosto che il Regime. Aveva accettato l'idea di deluderli, di saperli devastati e piangenti non per la sua morte, ma per il suo tradimento; di vedere sua mamma asciugare le lacrime con un fazzoletto e domandarsi perché, o suo papà stringere i pugni e guardare lontano domandandosi come avesse potuto.
    Mai, nemmeno una volta, però, aveva immaginato potessero semplicemente non ricordarla.
    Forse era una benedizione, quella lì.
    La dolce concessione di un'entità che faticavano a comprendere, ma che aveva deciso di ricompensarli per la loro difficile scelta.
    Sacrificio.
    E riconoscimento.
    Era stato un po' più facile allontanarsi dalla barriera con un ultimo sguardo a Cherry e Lawrence sapendo che, in qualche modo, qualcuno si sarebbe preso cura di loro e avrebbero dimenticato quegli ultimi giorni; un sollievo sapere che avessero ancora l'un l'altra.
    Ed era stato un po' più facile salutare da lontano i suoi bambini, tutti quanti: Ficus, occhioni tristi rivolti ad alcuni amici, e braccia strette intorno al corpo degli altri; Del, la stessa espressione risoluta e incazzata che le aveva visto il giorno prima quando avevano combattuto fianco a fianco; Paris, devastato da quello che Lisi, ne era certa, fosse il primo grande amore, ma non l'unico — gli avrebbe voluto dire che, a diciassette anni, c'era ancora tutto il tempo del mondo per innamorarsi di nuovo, follemente, perdutamente.
    Guardò persino Row, stupido, impertinente, antipatico Row, e gli sorrise; premette un bacio sul palmo della mano, e lo soffiò verso il polacco, nella speranza che lo colpisse e facesse bene.
    Cercò Raphael, compagno silenzio di fin troppi momenti nel Quartier Generale, dove rimanere da soli non era un'opzione eppure sembrava l'unica cosa che volessero fare; erano sempre stati bravi a sostenersi a vicenda, senza dire troppe parole, semplicemente essendo presenti.
    A Barry, infine, rivolse il più triste degli sguardi: truffato, a pagare le conseguenze di scelte passate e decisioni non del tutto sue; rinnegato pur dopo aver scelto di combattere per la Bolla — a lui, Lisi rivolse lo sguardo più lungo e più dolce di tutti, senza rammarico, ma con una promessa sulle labbra morbide: finiremo quel ballo.
    Aveva continuato a guardarli tutti anche quando la magia della bolla aveva reso tutto invisibile ai loro occhi increduli, e solo quando infine erano stati smaterializzati lontano da lì, Lisi aveva dato le spalle alla barriera e si era incamminata verso la sua nuova vita.

    Cercare i suoi nuovi amichetti era stato naturale, un gesto che Lisi Selwyn avrebbe compiuto a prescindere, anche se non avesse condiviso con quelle sei anime un'esperienza ai limiti della follia.
    Aveva cercato per prima cosa Mood e Toothy, e li aveva osservati a lungo, ciascuno dei due, prendendo nota di ogni capello fuori posto, ogni macchiolina di sangue sul viso, ogni centimetro dei vestiti che fosse fuori posto; solo quando si era sincerata che nessuno di quel sangue fosse loro, li aveva lasciati andare con un buffetto sulla guancia di entrambi e un «poi mi racconti bene di—» come l'aveva chiamato? «baby allen» rivolto a Tooth, il sorriso ancora lì dove era rimasto per tutto il tempo dei saluti.
    Aveva cercato Olga, la donna taciturna ma risoluta che, quando la terra aveva tremato, aveva preso, tra loro, il colpo peggiore; le avevano detto fosse stata presa in cura dagli uomini di Jeanine, e Lisi l'aveva accettata come rassicurazione sufficiente — si fidava ciecamente del suo leader.
    Si era seduta accanto ad Harry per un momento, braccia strette intorno alle ginocchia e sguardo lasciato a vagare sul panorama intorno a loro. «immagino che dovremo allungare la lista, ora» ed era uno scherzo solo in parte: c'erano così tante cose che né lui, né Stan, sapevano riguardo quel mondo.
    Infine, ma non per ultima, aveva cercato Liz e l'aveva ringraziata per il suo aiuto contro il ghoul, asciugando qualche lacrima dagli occhi chiari della bionda con gesti delicati, ma lasciandola a quel fratello che, più di tutti loro, aveva dato se stesso senza nemmeno rendersene conto, o sapere perché.
    A Stan – senza toccarlo perché aveva capito l'antifona, la francese – aveva solo detto che le cose sarebbero andate meglio, e aveva offerto la sua totale disponibilità per qualsiasi cosa; aveva il sospetto che il serbo non l'avrebbe colta così facilmente, ma per sua fortuna Lisi non era una che demordesse, o lasciasse perdere, e sapeva che sarebbe stata lei, alla fine, a cercare il Luna.

    Solo alla fine, riposando il corpo stanco in una stanza d'hotel poco familiare, ripulendolo dalla fatica e dal sangue e dalla terra e dal peso delle decisioni prese, si concesse di pensare ad Hayden.
    Lacrime silenziose a mescolarsi con l'acqua pulita che le rinfrescava il viso, e la consapevolezza che lo avrebbe rivisto prima o poi, pur non sapendo quando.
    Poteva consolarsi con il fatto che lui non la ricordasse, ed era già abituata ad altri fratelli che non sapessero della sua esistenza, non sarebbe stato così difficile, si ripeteva, sopportare anche quello. Ma Hayden, a differenza di Law e Wyatt, Lisi lo aveva visto crescere; lo aveva cresciuto lei stessa, un bambolotto fatto di carne ed ossa e sangue e pianti isterici, che a sei anni lei aveva stretto al petto e impedito ad altri bambini dell'orfanotrofio anche solo di guardare. Era la sua vita, era il suo cuore, e da quel giorno lei non era più nessuno per lui.

    Non c'era più quella tristezza però, quando rivolse le iridi cangianti a Stan. L'aveva chiusa nella stanza del Lotus, e aveva accettato di lasciarla lì, indietro; come tutte le altre cose della sua precedente vita.
    Al serbo mostrò solo il suo sorriso più dolce e rassicurante, e un quaderno ad anelli doveva aveva iniziato a raccogliere i primi disegni di una lunga serie: “creature poco belle ma non chiamiamoli mostri.”
    Disegnare e dipingere era sempre stata la sua passione più grande, e continuava ad essere il modo migliore per esorcizzare i brutti pensieri e trovare un po' di sanità mentale (!) quando tutto sembrava andare a rotoli; farlo con uno scopo era stato liberatorio. E molto utile.
    «spero non capiti più l'occasione, ma in caso dovesse succedere, almeno sarai pronto» gli spiegò, attendendo che aprisse il quaderno e iniziasse a posare lo sguardo sulla serie di creature che Lisi aveva disegnato e descritto per lui; i disegni erano riproduzioni abbastanza fedeli della realtà, ma non troppo spaventosi da dare al babbano materiale per altri incubi, più di quanto l'incontro con le creature di Seth non avesse già fatto. «ne arriveranno altri, un po' alla volta» chiedere matite e colori era stato facile; trovare il tempo di dedicarsi al progetto un po' meno. «prima o poi ne farò anche una su quelle più carine» e, da magizoologa, ne conosceva davvero un sacco!
    Lo osservò per qualche istante, studiando il viso giovane, emaciato, terrorizzato. Avrebbe voluto proteggerlo da tutto quello, ma non era compito suo; poteva solo tendergli la mano e sperare l'accettasse, e le permettesse di camminare al suo fianco. «se hai altre domande, sono qui Stan.» se non poteva essere presente per Hayden, poteva almeno essere presente per lui.
    lisi
    selwyn

    when she talks
    you can hear the revolution
    (re)belle
    “this beauty is a rebel”
    witch
    loyal to the cause
    the victor — 1994, magizoologist, rebelWho's gonna pick you up when you fall?
    Who's gonna hang it up when you call?
    Who's gonna pay attention to your dreams?
    Who's gonna hold you down when you shake?
    drive
    the cars
    moonmaiden, guide us
  5. .
    non ho capito la situazione per chi non è andato in quest, quindi porterò l'esempio pratico arcidan perché mi serve per quello . avendo la role ambientata al primo incontro post quest

    CITAZIONE
    aidan, poor, mort, lilith, adrian + barry, kat, jester]
    Le prime ore del mattino a King’s Cross sono state particolarmente difficili, quel giorno fatidico. Pare sia scoppiato qualcosa vicino agli ascensori: un’esplosione piccola, in grado di colpire nel suo raggio solo una manciata dei presenti – tra cui, inutile dire, voi –, ma tanto è bastato a mettere in funzione il sistema antiterroristico della stazione.
    Che vi foste recati lì per un viaggio, per lavoro, o per raggiungere il castello di Hogwarts, è indifferente. Ricordate solamente gli ultimi passi, l’intenzione di raggiungere i binari giusti. Il rumore sordo di una bomba di fattezze indubbiamente magiche a spaccarsi nelle vostre prossimità, e poi – nulla. Quando riaprite gli occhi siete posti su barelle del San Mungo. Nulla di preoccupante, vi dicono: un falso allarme. Siete rispediti a casa, senza se e senza ma.

    CITAZIONE
    Nel momento in cui è stata creata la Bolla, c'è stata una forte onda d'urto magica. Non sapendo dell'esistenza della Bolla, il mondo l'ha giustificata con un'anomalia delle dimensioni fra la nostra e quella da cui proviene Abbadon. Ricordate le zone morte? In pratica si tratta di posti in cui la magia non funziona, proprio a causa di queste... perdite dimensionali, che prosciugano la magia. Ebbene: questa è la spiegazione che il mondo ha per voi. L'onda è stata percepita in tutto il mondo, e quando vi ha toccato, vi ha tolto la magia. Siete stati sfortunati, vi dicono. Eravate nel posto sbagliato al momento sbagliato. Inizialmente, ricorderete la verità...ma con il tempo, comincerete a trovarlo convincente, ed a crederci anche voi.

    ma quindi.
    Questa piccola esplosione è stata qualche giorno fa on GDR (secondo arci) e può averne letto sui giornali pensando Aidan gli ultimi due giorni fosse in ospedale? C'è il collegamento esplosione\assenza di magia per loro (o sono due eventi separati)?

    oppure arci non sa niente, quando Aidan riappare è un giorno normalissimo per lui e semplicemente il cervello trova una spiegazione on del perché non si sono visti qualche giorno?

    (non so se ho spiegato il mio dubbio)
  6. .
    It's beautiful how this deep normality settles down over me
    I'm not bored or unhappy, I'm still so strange and wild
    Non ricordava quando, esattamente, avesse scelto di fare capolino in quella stanza.
    A dirla tutta ricordava molto poco di ogni momento successivo alla fine. Ricordava Barry, finché Barry non era sparito dalla sua visuale. Mood, e quello strano scambio di sguardi; l’accusa che aveva interpretato nei suoi occhi, e che ancora non aveva avuto il modo, o il coraggio, di affrontare appieno. Qualcuno doveva averlo trascinato via dalla scena. Era abbastanza certo di non aver opposto resistenza, e se l’aveva fatto non doveva essere stato così bravo. Qualcosa — qualcuno — aveva mormorato tra i suoi capelli delle parole che vagamente somigliavano al conforto. Poteva esserselo immaginato. Harry era stato lì, in ogni caso. A scrutare negli occhi vuoti di Toothless, e a tenerlo fermo sotto la luce fioca del crepuscolo. Non aveva pianto, e non aveva urlato; guance miracolosamente asciutte e gola seccata dall’aridità nell’aria, ma non graffiante. Il pensiero era stato gratificante — sapere che nonostante tutto era riuscito a non attirare troppo l’attenzione su di sé, scalpitante come un bambino di fronte a tutto quell’orrore.
    Aveva scoperto solo dopo il destino dei Prescelti. E allora, nel privato della sua stanza, si era concesso di spingere i polpastrelli contro le estremità degli occhi fino a vedere bianco e lasciarsi andare. Liberatorio. Non l’aveva considerata, quella terza opzione. La morte, e quanto potesse bruciargli nelle vene. Il resto? Poteva imparare ad accettarlo. Lo aveva già fatto una volta.
    La routine che aveva seguito era stata al contempo familiare ed estranea. Trascinarsi in giro, crearsi uno spazio nel miasma post battaglia; in quel nulla totale, che a un certo punto avrebbe dovuto imparare a riconoscere come casa. I passi cauti attorno alla casupola, attorno alle persone; mento basso e occhi puntati sempre sull’inanimato. L’unico volto su cui era sostato per più di qualche secondo era stato quello di Aidan, alla quale aveva raccontato le sue avventure che avevano ben poco di eroico in sussurri prima di sgusciare via. Non si era chiesto se la sua presenza fosse accetta o meno; la porta era rimasta convenientemente aperta, e l’aveva preso come un segnale.
    Poi, chissà. Interesse morboso, forse.
    O la necessità di non appartenere da nessuna parte, ma con qualcuno al suo fianco. I passi lo avevano semplicemente guidato . Quasi un auto-tradimento.
    «tranquillo, non è così grave»
    Considerò l’idea di battere le nocche al muro e rendere la sua presenza ovvia, nascosto com’era tra le ombre del corridoio. Strinse i denti attorno al labbro inferiore, e spinse il peso contro l’arcata della porta, e alla fine non fece la cosa giusta. Si trovava meglio in quel limbo, Toothless. Abbastanza lontano da non dover essere inserito nella conversazione, e abbastanza vicino da poter fare i suoi conti e trarne i risultati.
    «davvero, non devi preoccuparti. gli vuole ancora bene, sai? nonostante tutto»
    Hm.
    E non si chiese chi, esattamente, il Morales stesse cercando di convincere. Ma una grazia — minima — glie la concesse. Spingendo la gomma delle Converse contro la pavimentazione e rompendo l’illusione. Se Clay voleva continuare a ignorarlo, a quel punto, era un problema suo.
    «non— non capisce perché Ani abbia fatto quello che ha fatto e, certo, si sente tradito»
    Sorrise. Un sorriso amaro, a pesare sul suo volto invece che illuminarlo. Lentamente, si sedette sul letto abbandonato. Strano ma vero, attese la fine di quel monologo senza infierire.
    «lo pensi davvero?»
    Fece scorrere lo sguardo su Remì, intoccato di fronte alle ferite esposte e il colore malaticcio della sua pelle. Non aveva mai vissuto direttamente gli orrori della guerra, Toothless, ma era cresciuto fra i risultati; persino Bodie, poco più che un punto su di una cartina della California, aveva assistito alle sue parate. Chi non era mai tornato; chi lo aveva fatto solo fisicamente, e neanche del tutto.
    Poi guardò Clay.
    «che gli voglia ancora bene, intendo. si può volere bene a qualcosa che non c’è più?» spinse la lingua contro il palato, e stese la schiena lungo il lenzuolo, reggendosi sui gomiti. «o forse vuole solo bene all’idea di anakin?» e roteò il capo indietro, perdendosi momentaneamente tra i popcorn del soffitto.
    «ciò che sperava diventasse.» ciò che non era più, e che forse non era mai stato.
    Le interpretazioni di Toothless tendevano a scendere sull’infelice. Che ci poteva fare: l’affetto, nella sua vita, era sempre stato collaterale. Una strana coincidenza di cui si parlava poco, perché non era in grado di esprimerlo apertamente.
    «scusa.» quello, però, stava diventando molto facile. Gli pareva quasi di averlo detto così tante volte, negli ultimi tempi, da sfidare Baltasar Monrique. Cinse un fianco con la mano, e schioccò con la lingua un paio di volte. «posso farti stare un po’ meglio, però.» parole che uscirono macchinose, impacciate nel suo palato.
    Eh, dopo avergli distrutto ogni sogno. Piegò la testa contro la spalla, lo sguardo ora puntato sulla porta in attesa di un pitter patter che non tardò ad arrivare. Ci aveva messo più tempo del previsto a capire come far funzionare lo strano meccanismo di Baby Allen in quel fulcro di magia potente e sconosciuta, ma alla fine ci era riuscito a sincronizzarlo a qualunque cosa lo tenesse in vita. Sincera e affettuosa, la curvatura delle sue labbra; e con un cenno del mento invitò anche Clay a guardare.
    Cosa? Ma che domande.

    «non farti mangiare le dita.» perché sapeva, duh, che la tentazione di prenderlo in braccio fosse tanta. Spinse meglio il gomito nel materasso, allora; e accavallò le gambe, riportando le iridi smeraldo su Clay. Non che fossero cazzi suoi, ma. «stai avendo ripensamenti?»
    Oh, cucciolo d’uomo.
    toothless
    simmons / baudelaire

    It's never too late, baby,
    so don't give up
    even stars
    burn out
    wizkid
    time traveler
    folk hero — la sanità mentale! — bubblin'You're in the wind, I'm in the water
    Nobody's son, nobody's daughter
    Suburbia, The Brentwood Market
    What to do next? Maybe we'll love it
    chemtrails over the country club
    lana del rey
    moonmaiden, guide us


    e facciamo che i crediti della gif nel post li metto qui o da telefono ti si apre il popup molesto.
  7. .
    DOMANDA: per chi è tra i prescelti, e quindi per chi ha perso la magia, e va ancora ad Hogwarts, che succede? sono costretti a lasciare la scuola? vengono tenuti a pulire i bagni?
  8. .
    I think I'll pace my apartment a few times
    && fall asleep on the couch
    irish
    slut
    un-holy
    aidan kenneth gallagher-lestrange
    «stai perdendo tempo.»
    Batté le palpebre, Aidan, e alzò lo sguardo sulla donna. Non le chiese cosa ci facesse sul ciglio della porta, le braccia conserte e le iridi scure a cogliere le sue nello specchio. Nel breve periodo di convalescenza che aveva passato al suo fianco, d’altronde, aveva imparato due cose su di lei: era un medico, primo, e il suo livello di considerazione per la privacy altrui rasentava lo zero, secondo.
    Fece un passo indietro, e roteò il busto così da poterla guardare davvero. Stava facendo un favore a se stesso, realisticamente, a dare le spalle a quello spettacolo perturbante. Rimandato all’ultimo secondo per quel motivo esatto: aveva odiato tutto dello sconosciuto che gli si era presentato davanti. Lo spettro di Aidan Gallagher, tornato storto e sbagliato.
    Poggiò la schiena contro l’estremità del lavandino, e imitò la sua posa. Due spicchi della stessa luna; conuctio. Ironico come non mai. «prima mi trascinate nella vostra merda e poi mi scacciate come se non mi voleste tra i piedi.» piegò il volto contro la spalla, e non sorrise. «ferite il mio orgoglio, così.»
    Non glie lo disse che Jeanine Lafayette poteva smettere di rompergli il cazzo e tornare a sacrificare vergini per il bene dell’universo, o qualunque cosa facesse nel suo tempo libero. Sperava fosse ovvio nelle linee spigolose che lo componevano, per quanto macchinose gli risultassero in quel momento: si sarebbe preso tutto il tempo che lo aggradava, e loro se ne sarebbero fatti una ragione.
    In egual maniera, la ragazza non gli disse che non era lì in veste ufficiale; né tantomeno che la cara Jeanine era già tanto se si ricordava della sua esistenza. Abbassò il mento, fissandolo con un pigro disinteresse, e piuttosto scelse la violenza. «non cambierà niente.»
    Il gelo non attese la fine di quell’affermazione, prima di espandersi nel suo petto; già sapeva, Aidan, dove volesse andare a parare. «dimenticherai lo stesso.»
    E sapeva anche quello. Sapeva di star rubando qualcosa che era destinato a perdere in ogni caso; che l’unico modo che aveva di tenersi strette quelle briciole era rimanere. Ma era Aidan, purtroppo. Aidan Gallagher, Lestrange, e non aveva mai smesso di scegliere se stesso. Neanche di fronte a quella particolare creatura eldritch — neanche quando scegliere se stesso imponeva una certa condizionalità all’amore che era disposto a condividere. Quando farlo mangiava le sue interiora e avvelenava la sua gola.
    Glie lo aveva chiesto di nuovo. Una volta sola, perché non gli piaceva ripetersi, né tantomeno apprezzava la sensazione di quelle lame a scivolargli a pioggia nella carne. Toothless aveva abbassato lo sguardo sulle Converse, e non aveva detto niente. Se n’era andato un po’ prima del solito, dopo minuti di silenzio teso più dolorosi di quel rifiuto implicito, e tanto era bastato.
    Non rispose a quella chiara provocazione. Anche se sospettava che non fosse quello il suo intento; e non capiva come, o perché, ma non era importante. Si rese conto di aver abbassato lo sguardo — lo ripose su di lei. «non mi hai mai detto come ti chiami.»
    «dimenticherai anche questo.» schioccò la lingua contro il palato, la Crain. Ma lo indugiò lo stesso. «Isobel.» studiò Aidan mentre tastava il nome sulla lingua, circospetto. E sorrise per entrambi, allora; un ghigno divertito che non raggiunse i suoi occhi. «strano, vero? non hai idea di quanto lo sia per me. ma — com’era, quella storia. quella che noi chiamiamo una rosa, con qualsiasi altro nome, profumerebbe altrettanto dolcemente. eccetera, eccetera.»
    La guardò ancora. Spostando le sue attenzioni il giusto necessario da vederla pescare una carta dalla tasca della giacca, tendere il giudizio verso di lui. Avrebbe riso, Aidan, se solo ne fosse stato in grado.
    «salutamele.»
    Si strinse nelle spalle, e non accennò a voler prendere la sua carta. Fanculo i tarocchi. Fanculo Toothless, e fanculo Isobel. Avrebbe voluto urlarle di non essere un fottuto gufo; che se proprio avevano cose da dire ad altri che non fossero Aidan stesso, potevano uscire da quel posto di merda e farlo da soli. Ma di nuovo, si tenne per sé le parti peggiori del suo astio. «non so di chi parli.»
    «lasci davvero che ogni evento della tua vita venga attribuito al caso?» eliminò la distanza, allora; e posò Il Giudizio sulla porcellana. «è proprio vero che non bisognerebbe mai conoscere i propri idoli. vattene» gli rivolse un ultimo sguardo, Isobel Crain. E quella volta, Aidan si concesse di notare la familiarità di quel volto – le linee che marcavano la sua faccia, quella particolare tonalità di nocciola che aveva studiato e studiato; che amava così tanto, in ogni universo. Le onde ordinate a scivolarle sulle spalle; quel tono nella sua voce che sembrava tagliarlo a metà, in un modo così intimo da poter provenire facilmente dalle sue stesse corde. «mi occuperò io di lui.»
    Non era forse per quello, che l’avevano rispedita vent’anni nel passato? Recuperare i cocci, e aggiustare gli errori dei suoi genitori in un kintsugi che non aveva mai smesso di lasciarle l’amaro in bocca.
    Rimase lì, a fissare quella porta spalancata, anche quando ormai se n’era andata da tempo.
    Finalmente riposò le iridi smeraldo sulla carta; la bocca stretta in una linea retta, e un’accusa affatto velata a studiarne i contorni.
    La intascò, perché che altro avrebbe potuto fare, e uscì da quel bagno. L’aria si era fatta un po’ troppo pesante, un po’ troppo rapidamente.


    Quindi. Aveva un copione.
    L’aveva ripetuto per tutta la strada di ritorno; in un taxi, ignorando le occhiate frequenti dell’uomo al volante e i suoi tentativi fallimentari di portare avanti una conversazione che mettesse entrambi a loro agio. Non aveva la pazienza per lui o per la sua curiosità fuoriluogo — quella con cui aveva continuato a fissare le sue mani guantate, incrociate elegantemente sulle gambe, e le ferite nella poca pelle rimasta scoperta. Aveva ingoiato così tanto, Aidan. E non era ancora successo un cazzo. Il tempo di sussultare sulla barella, mettere a fuoco i dintorni; cercare la bacchetta, e non sentirla più sua. Non sentire più la magia scorrergli nel palmo e ricordare che quel vuoto percepito non era solo stordimento, era… una mutilazione, nel senso più crudo. Un voltare alle spalle a tutto ciò che conosceva – di nuovo. La stessa che aveva avvertito a tredici anni, quando aveva alzato il polso nel letto di ospedale e visto gli squarci ricoperti di unguento. A sedici, quando aveva nascosto il braccio rotto dietro la schiena e accettato a denti stretti un nome e un cognome che non avevano mai smesso di essere estranei. Obbligato a conoscersi per l’ennesima fottuta volta. Ad abituarsi a un organismo alieno, a respingere il tremore che minacciava di scuoterlo da testa a piedi. Quella familiare disperazione; la stanchezza, la voglia di tornare a casa. Una costante.
    Posò il palmo aperto contro il legno della porta, poi la fronte. E chiuse gli occhi. Respiri lenti a regolarizzare il battito del cuore, e a riabituare i polmoni al profumo, di casa. Uno che aveva ben poco a che vedere con muri e mobili e finestre. Che era dall’altro lato della toppa, se solo avesse trovato la forza di spingerci la chiave dentro.
    Forse sarebbe stato meglio andarsene.
    Era ancora in tempo.
    Strinse la mandibola, e percepì il solletichio sullo zigomo prima ancora di vedere la lacrima spaccarsi sullo zerbino. E sussultò perché quello — non era calcolato. Così come non era calcolato il rumore dietro la porta; l’improvvisa mancanza di un corpo solido a separarlo dall’appartamento. Avrebbe davvero voluto scacciare quella debolezza; strofinare le mani sul volto e alzare la testa per incontrare lo sguardo di Archibald. Dire qualcosa. Ciao, sono tornato, sto bene, sono graffi di poco conto. Cristo, ci era riuscito fino a quel momento. E invece lo colpì tutto insieme, un fiume in piena. La realizzazione di dover entrare in quell’appartamento e superare una stanza vuota; di dover fingere che andasse tutto bene. Di trattenere il peso di quei mi dispiace che non avrebbe mai potuto pronunciare ad alta voce; a quale scopo, quando Arci e Jay e Gwen neanche ricordavano il motivo dietro quelle scuse. La persona che gli doveva quelle scuse. Ci provò davvero, a fare quel passo in avanti — crollò a terra. Ancorò le mani alle pareti, e non riuscì a fare proprio un cazzo; pianse, patetico e distrutto in modi che non era ancora del tutto in grado di comprendere, e alla fine glie lo disse lo stesso.
    Tra respiri rotti, ciascuna parola a dislocarsi dalla gola come gomma sciolta: «mi dispiace.»
    Mi dispiace mi dispiace mi dispiace mi dispiace.
    «arci» e quello. Quello fece così male. Grattò sulla laringe, spinse nella cassa toracica fino a spezzare le ossa. «perdonami.»
    Sapeva, logicamente, che se solo avesse saputo – se solo il Leroy-Baudelaire avesse avuto una minima idea di cosa significassero davvero quelle parole – non lo avrebbe fatto. Non se lo sarebbe meritato. Egoisticamente, perché quella era l’unica cosa in cui eccelleva, lo chiese lo stesso. Ancora e ancora e ancora. Conscio di non poter ricevere davvero una risposta negativa, senza il contesto necessario. Ma ne aveva così bisogno.
    Who made you like this? Who encrypted your dark gospel in body language?
    Synapses snap back in blissful anguish
    Tell me you met me in past lives, past life
    Past what might be eating me from the inside, darling
    Half algorithm, half deity, Glitches in the code or gaps in a strange dream
    Tell me you guessed my future and it mapped onto your fantasy
  9. .
    and discord that rageth incessantly, sister and comrade of man-slaying Ares; she at the first
    rears her crest but little, yet thereafter planteth her head in heaven, while her feet tread on earth.
    Iniziava a pensare di aver perso qualcosa di più del controllo sui suoi poteri, in quella dannata Utopia.
    Continuava a ricordare tutto lucidamente, ma sapeva che prima o poi quelle immagini, quelle sensazioni, quelle vicende, quelle persone, sarebbero scivolate via dalla memoria come sabbia, rimanendo un'eco flebile e in apparenza più fraudolenta della memoria di quell'incidente edilizio che le avevano installato in testa come un malware silenzioso, già lì a creare disturbo in attesa di sovrapporsi alla realtà ben più pregna e diversa che aveva vissuto in quei mesi.
    Dopo aver compreso, senza stupirsene più di tanto, che le persone rimaste fuori dalla "Bolla" avrebbero istantaneamente dimenticato ogni cosa di quella storia, un solo pensiero fra tutti era rimasto fisso in testa: Mckenzie. Pur nel sollievo che fosse finita, nell'illusione che a dispetto di ciò che quella faccia da cazzo di Michael diceva lei avrebbe potuto voltare completamente pagina rispetto a tutta quella storia, rimaneva quella nota stonata.
    Forse era stato quel tempo passato insieme in prigionia a parlare del più e del meno mentre cercavano una qualunque forma di vita vegetale che potesse essere fumata proficuamente.
    Forse... no, non sapeva davvero darsi altre spiegazioni che suonassero effettivamente razionali.
    Era pronta ad ammettere a sé stessa che sì, potesse essersi affezionata a Mckenffffie Hale, per citare una delle più impattanti frasi mai pronunziate dal Generalissimo. Affezionata come ci si affeziona a un cagnolino, naturalmente, perché la mente basilare di Veena non poteva davvero concepire altro, troppo imperniata su un culto della personalità basato su sé stessa che Abbadon levati.
    Pronta alla sensazione pressante di doversi assicurare che sì, fosse vivo, vegeto e intero... tuttta un'altra storia.

    Non era stata un'impresa particolarmente impegnativa quella di scoprire dove abitasse. Corvina aveva i suoi mezzi, che era un modo rassicurante per dire che era una criminale con parecchi contatti che potevano procurarle informazioni del genere con la stessa facilità con cui si respira. Alla fine, da che faceva la spaccina della Scuola, era davvero finita dove tutti, professori e coetanei, pensavano sarebbe finita, cioè: nella merda. Nel substrato criminale, anche, ma soprattutto nella merda, visto e considerato tutto.
    Detto ciò, senza girargli intorno, gli aveva anche portato un care package.
    Capite?
    Assurdo, ora gela l'infer- non è vero, ne aveva portato uno anche a Heather svariati mesi prima invero, non era qualcosa che le richiedeva troppo impegno. Soprattutto mentre ancora aveva tutti i ricordi delle conversazioni con Mckenzie e sapeva cosa gli piaceva in termini di sostanze stupefacenti, psicotrope and more.
    Si era segnata tutto per paura di perdersi qualcosa, ci pensate?
    Chissà dove sarebbe finito quel ricordo, come si sarebbe reincastrato una volta che l'amensia avesse fatto il suo corso.
    Ma non era importante.
    Fece una smorfia di puro disgusto, proprio conatino, nel pensare spontaneamente che l'unica cosa che importava in quel momento era assicurarsi che Mac fosse intero. Ferma davanti alla sua porta alle otto e mezza di sera.
    Con una busta regalo di dimensioni sufficienti a contenere la scatola incartata col contenuto di cui sopra, una scorta che gli sarebbe durata non poco invero, usò la mano libera invece per suonare il campanello. Un paio di volte, così, per sicurezza.
    Sarebbe stata una sorpresa per lui, poco ma sicuro.
    In fondo, non si vedevano da una vita.
    corvina fosca
    van veen

    there is no running that can hide you
    'cause i can see in the dark
    eris
    goddess of strife and discord
    SPECIAL WIZARD
    UMBRAKINESIS
    mercenary — hitman — chosen — absent fatherSo I came down to crash and burn
    your beggar's banquet
    Someone call the ambulance
    There's gonna be an accident
    infra-red
    placebo
    Mother of Night, darken my step
  10. .
    1) ma se per esempio Mort che ora ricorda ancora tutto, esce e fa veramente una puntata del podcast dicendo tutto quello che ricorda, lo danno per pazzo, lo mettono in prigione o cosa?

    2) ma ora la /situazione politica/ com'è? Chiedo.
  11. .
    CITAZIONE (#epicWin @ 7/5/2024, 16:46) 
    MA GLI ANIMALI RICORDANO I PADRONI NELLA BOLLA? non ci posso pensare è terribile in tutte le versioni. maledetta puntata di Futurama

    ma la fucking smetti.


    ok domanda ufficiale così magari aiuto anche qualche altro povero confuso.
    è possibile portare altri pg nella bolla a parte quelli che hanno partecipato all'oblinder/missione/quest?
  12. .
    Tell me your secrets and ask me your questions.
    Oh, let's go back to the start.
    It's over Anakin, I have the high ground.
    si mosse sul bordo del letto, improvvisamente a disagio. e sì che avrebbe dovuto saperlo — alla duecentesima volta di fronte alla stessa identica scena era previsto fosse pronto. forse, se quella situazione in particolare non avesse colpito un po troppo vicino a casa, clay l'avrebbe affrontata al solito modo: ginocchia strette al petto, piantino, enorme porzione di gelato trangugiato mezzo sciolto.
    ma non si trovava al quartier generale, schiacciato in mezzo a kaz e twat come prosciutto dentro ad un sandwich perché nessuno dei tre voleva cedere il posto su un divano troppo piccolo; non gliel'aveva mai detto, conservando gelosamente quel pensiero per gli attimi prima di addormentarsi, che stare tra di loro gomito contro gomito e gambe ad intrecciarsi una sull'altra lo faceva sentire al sicuro.
    batté leggermente la mano sulla spalla di remì, offrendo al ragazzino un sorriso tremolante che per fortuna l'altro non poteva vedere: si era addormentato dopo dieci minuti di film, in quel corpo martoriato la cui totale guarigione era ancora ben lontana «tranquillo, non è così grave» avrebbe voluto crederci un po di più, ma come poteva? si morse l'interno della guancia e valutò di mettere in pausa, mentre anakin skywalker strisciava privo di gambe e con il cuore spezzato tra le pietre laviche di mustafar.
    You were the chosen one! It was said that you would destroy the Sith, not join them! Bring balance to the Force, not leave it in darkness!
    bastava toccare lo schermo del telefono (dai, figurati se nella bolla non hanno internet mi rifiuto. ALMENO UN FILM SCARICATO ILLEGALMENTE), uscire dal sito, togliere gli auricolari che condivideva con un incosciente remì — di nuovo: scelte. il film sbagliato, certo; la parte sbagliata, anche? impossibile dire quante volte se lo fosse chiesto in quei due mesi, giorni ad accavallarsi uno sull'altro con troppe cose da fare per tenere il conto. un pensiero martellante che sfuggiva quando kaz gli toccava la spalla per rassicurarlo andasse tutto bene (non lo aveva appena fatto anche lui? e che cos'era una bugia a fin di bene, se non un atto d'amore?) e tornava di prepotenza nell'incrociare le iridi scure della skywalker.
    di Kieran.
    poteva solo essere grato che quegli occhi non si fossero posati su di lui, mentre il mondo finiva. che le urla disperate di dylan non l'avessero raggiunto mentre annaspava nel suo stesso sangue, il cervello misericordiosamente spento. avrebbe dovuto ringraziare Edward Moonarie, per aver colpito tanto duro; avrebbe dovuto—
    You were my brother, Anakin! I loved you!
    il movimento improvviso di remì lo fece trasalire. piegò la testa nella sua direzione, per trovare il thornill ancora addormentato; lo scatto, le dita a stringersi nella carne e un singulto nel petto: erano tutti suoi. persino il gemito di sconforto a scivolare tra le labbra secche, così estraneo da sembrare appartenere a qualcun altro «davvero, non devi preoccuparti. gli vuole ancora bene, sai? nonostante tutto» era così? come poteva essere altrimenti «non— non capisce perché Ani abbia fatto quello che ha fatto e, certo, si sente tradito» murphy, kieran, dylan.
    javi, moka, sin.
    joni, thor.
    giacomino.
    tutte quelle persone a cui aveva fatto del male.
    «ma quello che provano uno per l'altro è più forte di tutto, capisci? anche delle scelte sbagliate» e di quelle giuste. restava solo da capire da quale parte della barricata fosse andato a finire. chinò leggermente il capo, ignorando la fitta di dolore che dagli zigomi si irradiava a ciclo continuo fin dentro ogni singola cellula: stava cominciando a farci l'abitudine. più difficile era guardarsi allo specchio, ricordare che l'origine di quelle chiazze viola sotto agli occhi e intorno alla bocca glieli aveva procurati suo padre; che sulla terra del Messico bagnata di sangue, per un singolo momento aveva desiderato non doversi svegliare più «certi legami non si spezzano per così poco» tentò un sorriso, di nuovo. e fallendo — di nuovo. non poteva raccontare a remì come finiva la storia: una già scritta, a ripetersi sempre uguale.
    just the two of them, and the damage they had done to each other.

    oh, i made myself sad.


    clayton
    morales

    Nobody said it was easy
    It's such a shame for us to part
    im sorry anakin
    for all of it
    special
    kinetic absorption
    18 — rebel — (non in) bollaNobody said it was easy
    No one ever said it would be this hard
    oh take me back to the start
    the scientist
    coldplay
    Mother of Night, darken my step
  13. .
    Riding on the mist, I wander to Lofty Whirlwind Peak. The Lady of the Supreme Primordial
    descends through jade interior doors; The Queen Mother opens her Blue-gem Palace.
    Non avrebbe mai creduto di poter provare un senso di impotenza tale da superare persino quello che aveva sperimentato durante la sua detenzione nel Laboratorio.
    Da un sonno senza sogni a un incubo ad occhi aperti, svegliarsi come ancora talvolta le accadeva prima dell'alba e rendersi conto che suo marito non era di fianco a lei era stato solo la punta dell'iceberg; l'aria aveva cominciato a mancarle dal petto quando si era resa conto, nel giro delle successive ore, che non fosse né alla clinica né in nessun altro luogo in cui avrebbe potuto ragionevolmente trovarsi: nessuno aveva sue notizie né s'attendeva di doverne avere, un giorno come gli altri che era iniziato nero come la pece solamente per Wilhelmina Campbell. La sua prima priorità era stata assicurarsi per metodi traversi e oramai consolidati che i ragazzi, ad Hogwarts in quel momento, fossero ancora lì; la sua seconda era stata impegnarsi testardamente a non chiedere aiuto né informare il resto della sua famiglia, non per il momento, illusa fino all'ultimo di poter rimediare alla situazione con le sue mani, che lei e John potessero guardarsi le spalle l'un l'altro e proteggersi senza fare affidamento su nessuno nonostante i fatti avessero già conclamatamente dimostrato il contrario.

    Vi stupireste, o forse no, di sapere quanto può divenire effimera una giornata iniziata con un presupposto simile. Troppo prona alla razionalità per pensare di alleviare la morsa che le stringeva il petto con alcol o sigarette, con la postilla di avere all'altro capo delle sue responsabilità anche la sopravvivenza di creature inermi come gli animali domestici che facevano parte della loro famiglia e la pretesa di raccapezzarsi a quella maniera circa l'assenza del misteriosamente irreperibile dottore, il calar del sole trovò una Mina mentalmente e fisicamente esausta che obbediva alla necessità inevitabile del suo corpo di poggiarsi almeno su una sedia.
    Il dolore delle ginocchia indolenzite, tuttavia, non fu nulla in confronto alla sensazione del cuore in gola e nelle orecchie quando il campanello suonò, tirandola su in piedi come una marionetta mossa dalla sadica volontà di un demiurgo. La figura di John sulla soglia si delineò come un riflesso irreale negli occhi stanchi di sua moglie, col cuore fermo come se glielo avessero appena riposizionato in petto e attendesse lo stimolo elettrico di rimettersi in moto.
    Impietrita dalla sensazione della mente che si riassettava alla realtà come dopo uno scossone di terremoto, non poté davvero far nulla prima che lui, in uno stato chiaramente alterato, chiedesse carta e penna.
    Quasi come dopo un vuoto di memoria, infine, si ritrovò effettivamente ad assistere come spettatrice ed uditrice mentre, una volta in casa e con quel che chiedeva, l'uomo vergava e rammentava ad alta voce in un flusso ordinato ed irreprimibile. Fu forse solo quel sentimento reciproco che li accomunava a permetterle, in un primo momento, di disporsi ad ascoltare, assieme alla consapevolezza che lui non fosse in una condizione che gli permetteva di fare altro che non fosse quello; eppure, lentamente, mentre John dipingeva quel quadro terrificante, la mente della donna cercava di rimettere in ordine i pezzi anche solo per poter confutare una tale teoria, che non aveva riscontro nei ricordi limpidi di cui era reduce ma che ne evidenziava, allo stesso tempo, le enormi fallacità. E nonostante la concretezza delle immagini che portava in mente, di lei ed Alice durante il periodo di missione umanitaria in Bangladesh da cui erano tornate da appena un paio di giorni, più lui parlava più ciò che lei era convinta fosse la realtà acquisiva contorni risibili.
    Lei che permetteva ad Alice di perdere interi mesi di scuola in un momento così nevralgico della sua formazione?
    Per andare in un luogo così lontano e per di più senza John?
    La mente rispondeva ai meccanismi naturali cercando di dare un senso a quel rompicapo coerente ma inverosimile e, allo stesso tempo, ragionava, rifletteva sulle esperienze passate e su un mondo, quello in cui vivievano, in cui anche la più sciocca delle leggi della Natura poteva essere piegata da uno schiocco di dita, un movimento di bacchetta, un sussulto della volontà.
    Non poteva rifiutare quei ricordi e quelle sensazioni che, a sua totale insaputa, le erano stati instillati; allo stesso tempo, tuttavia, la sua razionalità poteva accogliere la febbricitante versione dei fatti che il consorte le stava rigurgitando addosso come un ripetitore.

    La trovò immobile di fianco a lui, più impietrita di prima a guardarlo ed ascoltarlo, quando parve tornare in sé dopo quell'infinito e assurdo rendiconto. Seduto alla scrivania nel suo studio, che avevano raggiunto in quel battito di ciglia che sfuggiva ora alla memoria peggio di tutto il resto, non le aveva nemmeno permesso di recuperare una sedia lei stessa e, per quanto l'incessante camminare di quella giornata avesse messo alla prova le sue giunture, non era realmente difficoltà quella che provava a rimanere in piedi. In Bangladesh, oltre a del sano colorito, aveva consolidato anche un quid in più di prestanza fisica che inevitabilmente arrivava se ti mettevi a far cantiere tirando su interi edifici, per quanto modesti sia in termini di dimensioni che materiali; appena ventiquattro ore prima, avrebbe associato a quell'esperienza di cui era reduce un vago senso di rinascita, ma in quel momento ne stava mettendo in discussione l'esistenza alla radice a un punto tale da farle venire un nodo allo stomaco.
    Non il fatto che fosse pronta o meno ad accettare che le cose fossero andate molto diversamente, il punto nevralgico di quella sensazione soffocante.
    Ma il fatto che avesse appena fatto quel salto nel vuoto senza indugio, come sempre accadeva quando si trattava di John, con tutte le conseguenze che quella decisione comportava.

    Lo guardò quando si rivolse a lei in quella maniera, con occhi scuri gravidi di domande e disperazione. Una disperazione che non le aveva mai visto prima nello sguardo, che nulla aveva a che vedere con quella fiacca e rassegnata che sicuramente il dottore ricordava, meglio di tutto il resto, quando le aveva preso il viso fra le mani per la prima volta dopo un anno intero di assenza, dopo essere stato avvisato del suo ricovero ospedaliero a seguito del ritrovamento. C'era qualcosa di vivo e struggente nel tormento che avrebbe potuto scorgervi facilmente lui in quel momento, mentre domandava di lei, di Alice, di tutto.
    « I ragazzi sono... a scuola, mon cher. » un'eco meccanica e devitalizzata di una frase che dovevano essersi detti più di una volta in quasi un anno e mezzo che era tornata a casa; ripetuta ancora una volta ma con espressione assente, un'attenzione non orientata a chissà quali pensieri deplorevoli ma proiettata su di lui al punto da non riuscire a tenere il punto di sé stessa. Non riusciva ancora a capacitarsi di quanto le aveva raccontato, pur credendo ad ogni parola: possibile che avessero di nuovo vissuto un inferno simile? Ancora peggiore di quello precedente? Se non avesse avuto già quella mattina la conferma che Alice era al sicuro in Scozia, avrebbe avuto forse la tentazione di accertarsene nuovamente.
    L'espressione si accigliò, prima di poco e poi più intensamente guardandolo. Si avvicinò, prendendogli il volto fra le mani, esalando dalle narici un respiro denso e vagamente tremulo.
    « I tuoi occhi sono... sono diversi, John.» la voce uscì ferma, ma si morse un poco il labbro inferiore dopo averlo detto, mentre ancora lo guardava in cerca di altro che potesse essere fuori posto, ferite più che altro, fremendo appena di un nervosismo tragicamente affine alla paura. Sapeva perfettamente cosa volesse dire perdere la propria magia, ma che avessero fatto anche a lui qualcosa di affine a quel che era successo a lei? Quel crudele ciclo di do ut des in cui loro parevano dover rimanere sempre arresi all'ineluttabile accanimento di forze fuori dal loro controllo?
    WILHELMINA ASPHODÈLE
    CAMPBELL

    a man who cannot tolerate small misfortunes
    can never accomplish great things
    XIWANGMU
    QUEEN MOTHER OF THE WEST
    SPECIAL WIZARD
    MEDIUMSHIP
    BRITISH/FRENCH — MOTHER — RAPTURED — WIFEthere's a blade by the bed and a phone in my hand
    a dog on the floor, and some cash on the nightstand
    when I'm all alone the dreaming stops
    and I just can't stand
    goodnight moon
    shivaree
    Mother of Night, darken my step
  14. .
    il voto dei protettori è quello di permettere a se stesso ed ai compagni
    di vedere l'alba successiva, sopravvivere per combattere un'altra guerra.
    Era uscito. Lo avevano fatto uscire. I ricordi erano ancora freschi ma sapeva che non sarebbe durato tanto. Sarebbero spariti, sostituiti da altro, magicamente. Non aveva più la magia, non sentiva più neanche la bacchetta che era in tasca, bacchetta che lo aveva servito con una fedeltà impareggiabile per più di trent'anni.
    Era stato rattoppato ma era distrutto, sfibrato, violentato nella psiche e stuprato nella magia. Doveva tornare a casa. Non la Bolla - poteva anche esplodere con tutti quelli che c'erano dentro e soffrire in eterno! - Doveva tornare a casa sua, da sua moglie, sua figlia e suo figlio.
    Doveva tornare a casa e doveva imprimere sulla carta quello che ancora ricordava, prima che fosse troppo tardi.

    Alla porta di casa suonò, stralunato e fu tutto di difficile comprensione. La casa, la moglie, la vita. La sua speranza che tutto potesse tornare come prima venne rotta come un castello di Lego lanciato dal quinto piano di un terrazzo che, nella caduta, trova ostacoli che ne hanno sfaldato pezzo per pezzo: la scomparsa, l'assalto, le morti, il golem. Con la gola che sapeva ancora di sangue forse per lo sforzo fisico, forse per il ricordo che ancora non voleva andarsene chiese semplicemente carta e penna. La prima cosa. Non acqua, non un bacio, non un abbraccio.
    Carta e penna.

    Mentre scriveva raccontava a Mina di quello che era veramente successo, con una precisione di dettagli straordinaria ed intanto la mano sinistra vergava a caratteri stilizzati cinesi tutta la storia - era stato talmente massacrato mentalmente che tutto il resto era passato in secondo piano e non riusciva a fare niente che non fosse parlare e vergare parole, di continuo, facendo muovere la pergamena ad ogni foglio completato.
    Raccontò tutto, dell'Oblinder e di come era sparito, di quello che gli era successo, di come Madame - la madre di Mina - avesse assoldato anche un sicario per recuperarle e di come lui era andato comunque. Della morte che aveva sparso e dell'ultima battaglia, compresa del Golem e delle persone che erano rimaste insieme a quella faccia da cazzo - usò proprio questi termini - nella bolla e come anche lui, prima o poi, avrebbe perso tutta la memoria di quegli avvenimenti o quasi.
    E del fatto che fosse diventato privo di magia. E della scelta. Scelta relativa a suo parere.


    «... Stai bene? Alice sta bene? Duncan è tornato?» Improvvisamente, così, come uno schiocco di dita tornò l'uomo che Mina aveva sempre conosciuto anche se distrutto, con qualcosa di diverso - sicuramente più di qualcosa - che non aveva neanche la forza di alzarsi mentre la guardava con occhi che erano comunque i suoi ma cambiati. Non era neanche una metafora: c'era qualcosa davvero che era cambiato nel suo sguardo.
    john ming-yue
    campbell

    You're face to face
    With the man who sold the world
    difensore protettore
    [ un tiro PD bonus ]
    mago
    MATRICOLA
    doctor — father — brokenI gazed a gazely stare
    At all the millions here
    We must have died alone
    A long, long time ago
    the man who sold the world
    david bowie
    Mother of Night, darken my step
  15. .
    CITAZIONE
    Guardò Balt. Ficus. Non perse il proprio equilibrio, su di loro. Iniziò a tentennare solo ai ringhi di Thor, così familiari da bruciare in gola. Ricordava gli allenamenti con le Furie, le canzoni negli spogliatoi. Come Thursday De Thirteenth, tutta bronci e musi lunghi, fosse stata il cuore della squadra più di quanto non lo fosse stato lui. Poteva non riconoscerlo, la rossa; se fosse cresciuta come Kaz, avrebbe fatto la stessa scelta. A Joni, dovette appoggiare il calcio del fucile fra i fili d'erba. Lasciare che fosse mero supporto. Non avrebbe mai dimenticato come la ragazza fosse stata una delle prime persone a credere in lui, e dargli una possibilità. Non l'avevano fatto in molti, nella sua vita. Le rivolse un cenno con il capo, ruotando lo sguardo sulla ragazza al suo fianco.
    Dylan Kane era speciale. Era sempre stata, speciale, e non nel modo dispregiativo con cui soleva dirglielo facendole la linguaccia. Era bella dentro e tutt'intorno, con una capacità unica di rendere meraviglioso tutto quello che la circondava. Indicava un fiore, sospirando entusiasta, e quella gioia si appiccicava come fila di una ragnatela. Impossibile sfuggire ai suoi sorrisi. La sua risata l'avrebbe seguito ogni giorno, giuro Dylan, ogni giorno. Seguì il suo sguardo, trovando Gaylord Beckham al proprio fianco. Non ebbe bisogno di dire nulla, al ragazzo; non gli sorrise nemmeno. Quando tornò a guardare la Kane, lo fece con il pollice alle labbra, sancendo uno dei tanti giuramenti sulla loro Bibbia dell'amicizia: mi prenderò cura di lui, Dyl. Era la sua migliore amica, e quello era un addio. Lo sapeva, l’Oh. Lo sapeva perché sentiva gli occhi pungere di lacrime, ed il petto contare ogni battito. Scandendo un tempo che non aveva.
    E non l'aveva da un pezzo, Kaz. Forse da tutta una vita.

    Non sto affatto piangendo di nuovo.
10449 replies since 12/12/2011
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