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    aidan kenneth gallagher-lestrange
    Strizzò le palpebre, combattendo attivamente contro una sensazione che era certo di saper controllare. Che aveva controllato innumerevoli volte, e se non era l’ennesima punizione, quella di sentirsi così lontano da corpo e mente da riuscire solo a vagare tra i contorni sbiaditi della voce di Arci. Ansimante e rotto oltre ogni limite; li percepiva, i polmoni che faticavano a stare al passo con l’aria che cercava disperatamente di accogliere e sputare fuori. La nausea, il dolore che s’insidiava con prepotenza tra le tempie. Quella strana contrazione al petto, a stringere e stringere e stringere.
    Boccheggiò, e alla fine si concesse di focalizzare le iridi chiare su Archibald. Il peggior errore e un miracolo al contempo: non era ancora pronto a vedere tutte quelle emozioni scivolare sul suo volto — non era certo lo sarebbe mai stato. Avrebbe voluto odiarlo. Era stato così facile, a Bodie, tradurre l’energia statica in qualcosa di più semplice da maneggiare. Scansarlo e scansarsi, e ridurre quel contatto genuino che non sapeva come trattenere senza sentirsi esposto in qualcosa di più crudo. Ma non ricordava più come si facesse. Schiarì la vista dalle lacrime ancora raccolte tra le ciglia, e lo guardò, e permise di essere visto. Rimosse i guanti con dita tremanti, e strinse un palmo freddo sul braccio di Arci, l’altro a cercare il dorso della sua mano. Una preghiera silenziosa: non lasciarmi andare. Non era certo che sarebbe stato in grado di tenersi in piedi da solo, altrimenti.
    «Risolveremo tutto. Ci siamo dentro insieme»
    Spinse la fronte contro la sua. Debole, finché non fu troppo da sopportare; e allora scivolò giù, nascondendo il volto fra spalla e collo e infondendo i sensi con il profumo della sua pelle. Uno spazio comodo e protetto dove poter ricominciare; casa, ancora una volta. Nonostante ogni parte di Aidan fosse stata strappata e ricucita in tutti i posti sbagliati, quello non era cambiato.
    Non ci credeva, ovviamente. Non potevano risolvere niente; di certo non potevano farlo insieme. Quella era una croce tutta speciale che doveva trascinarsi dietro da solo.
    Nel bene e nel male.
    Lasciò la presa sulla sua mano così da potergli premere i polpastrelli contro il petto, in cerca di un battito gemello che lo cullasse.
    «non sai di cosa parli.» e come avrebbe potuto, d’altronde. Non c’era in quello stomaco di pietra. E quella, privatamente, la riteneva una fortuna. Il suo unico premio; sapeva che li avrebbe persi entrambi, in caso contrario.
    Si sistemò meglio tra le sue braccia, accucciandosi come un felino per rubare tutto il calore che di suo non era in grado di produrre. Gelido fino alle ossa dal momento in cui la lama aveva toccato il suo polso. «crederai che io sia pazzo.»
    E si rese conto del suo sbaglio solo dopo aver pronunciato quelle parole. Quanto sarebbe stato facile scansare la questione con una bugia; premere le labbra contro le sue clavicole e mormorare tutte le frasi giuste. Ho avuto paura, pensavo sarei morto in quella stazione, ho solo bisogno di sentirti vicino, portami a letto. Ma a quale scopo? Il suo passo falso lo aveva fatto nel momento stesso in cui era crollato davanti ad Arci. Un pensiero che in momenti come quelli lo terrorizzavano più di ogni altra cosa: lo conosceva troppo bene. Non c’era angolo o curva che il Leroy-Baudelaire non avesse catalogato e accolto. Quasi un’estensione di se stesso — un gioco nullificato dalla rapidità con cui i suoi occhi scuri avevano cercato chiavi d’appiglio, e trovato delle risposte. Nessuna via di fuga.
    «un mostro.» ma era forse così sbagliato? Avevano entrambi fatto una scelta. Ci aveva provato. Voleva vivere, Aidan. Recuperare ciò che gli era stato strappato via una volta di troppo — voleva Archibald. Stringere qualcosa senza che questa si sgretolasse tra le sue mani. Ora che finalmente aveva un motivo per cui tornare e rimanere.
    Corrugò la fronte, e lo guardò di nuovo. «cosa vedi?» raddrizzò la schiena; poi si allontanò il giusto necessario da poter stringere le mani nelle sue, trascinandole nello spazio a dividerli come l’arma di un crimine. «cosa senti?»
    Una richiesta chiara, la sua. Difficile e crudele, ma necessaria. Ignorò la voce spezzata, e con un gesto secco spinse via l’ennesima lacrima, prima di racchiudere nuovamente il palmo attorno alle sue dita. «concentrati. cos’è rimasto?» anche se la risposta, ormai, già la conosceva.
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    Past what might be eating me from the inside, darling
    Half algorithm, half deity, Glitches in the code or gaps in a strange dream
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    aggiornata:
    CITAZIONE
    [sotto la domanda sui defective]
    Stessa cosa vale per i Prescelti: al di là degli Halo Points, che vi daranno prompt facoltativi man mano che acquisirete punti, sta a voi player decidere effettivamente quando e come i personaggi otterranno i loro poteri.

    [DOMANDA] Posso mandare personaggi nella Bolla che non erano né in quest, né tra i rapiti dell'Oblinder / mini quest?
    [RISPOSTA] Sì! Ma devono essere personaggi fittizi e/o in costruzione che non sono stati mossi come minimo negli ultimi due mesi.

    [DOMANDA] Le ombre (Q9/Q10) e i prescelti (Q11) sono in grado di riconoscersi come tali o non sentono nulla di strano interagendo tra di loro?
    [RISPOSTA] Le ombre non noteranno nulla di diverso, ma i prescelti sì. Mentre le ombre sono più che altro... burattini nel gioco di Abaddon, i Prescelti sono stati infusi di vera e propria magia difensiva: avvertiranno una strana repulsione nei confronti delle ombre, proprio perché sono la loro antitesi.
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    «stai perdendo tempo.»
    Batté le palpebre, Aidan, e alzò lo sguardo sulla donna. Non le chiese cosa ci facesse sul ciglio della porta, le braccia conserte e le iridi scure a cogliere le sue nello specchio. Nel breve periodo di convalescenza che aveva passato al suo fianco, d’altronde, aveva imparato due cose su di lei: era un medico, primo, e il suo livello di considerazione per la privacy altrui rasentava lo zero, secondo.
    Fece un passo indietro, e roteò il busto così da poterla guardare davvero. Stava facendo un favore a se stesso, realisticamente, a dare le spalle a quello spettacolo perturbante. Rimandato all’ultimo secondo per quel motivo esatto: aveva odiato tutto dello sconosciuto che gli si era presentato davanti. Lo spettro di Aidan Gallagher, tornato storto e sbagliato.
    Poggiò la schiena contro l’estremità del lavandino, e imitò la sua posa. Due spicchi della stessa luna; conuctio. Ironico come non mai. «prima mi trascinate nella vostra merda e poi mi scacciate come se non mi voleste tra i piedi.» piegò il volto contro la spalla, e non sorrise. «ferite il mio orgoglio, così.»
    Non glie lo disse che Jeanine Lafayette poteva smettere di rompergli il cazzo e tornare a sacrificare vergini per il bene dell’universo, o qualunque cosa facesse nel suo tempo libero. Sperava fosse ovvio nelle linee spigolose che lo componevano, per quanto macchinose gli risultassero in quel momento: si sarebbe preso tutto il tempo che lo aggradava, e loro se ne sarebbero fatti una ragione.
    In egual maniera, la ragazza non gli disse che non era lì in veste ufficiale; né tantomeno che la cara Jeanine era già tanto se si ricordava della sua esistenza. Abbassò il mento, fissandolo con un pigro disinteresse, e piuttosto scelse la violenza. «non cambierà niente.»
    Il gelo non attese la fine di quell’affermazione, prima di espandersi nel suo petto; già sapeva, Aidan, dove volesse andare a parare. «dimenticherai lo stesso.»
    E sapeva anche quello. Sapeva di star rubando qualcosa che era destinato a perdere in ogni caso; che l’unico modo che aveva di tenersi strette quelle briciole era rimanere. Ma era Aidan, purtroppo. Aidan Gallagher, Lestrange, e non aveva mai smesso di scegliere se stesso. Neanche di fronte a quella particolare creatura eldritch — neanche quando scegliere se stesso imponeva una certa condizionalità all’amore che era disposto a condividere. Quando farlo mangiava le sue interiora e avvelenava la sua gola.
    Glie lo aveva chiesto di nuovo. Una volta sola, perché non gli piaceva ripetersi, né tantomeno apprezzava la sensazione di quelle lame a scivolargli a pioggia nella carne. Toothless aveva abbassato lo sguardo sulle Converse, e non aveva detto niente. Se n’era andato un po’ prima del solito, dopo minuti di silenzio teso più dolorosi di quel rifiuto implicito, e tanto era bastato.
    Non rispose a quella chiara provocazione. Anche se sospettava che non fosse quello il suo intento; e non capiva come, o perché, ma non era importante. Si rese conto di aver abbassato lo sguardo — lo ripose su di lei. «non mi hai mai detto come ti chiami.»
    «dimenticherai anche questo.» schioccò la lingua contro il palato, la Crain. Ma lo indugiò lo stesso. «Isobel.» studiò Aidan mentre tastava il nome sulla lingua, circospetto. E sorrise per entrambi, allora; un ghigno divertito che non raggiunse i suoi occhi. «strano, vero? non hai idea di quanto lo sia per me. ma — com’era, quella storia. quella che noi chiamiamo una rosa, con qualsiasi altro nome, profumerebbe altrettanto dolcemente. eccetera, eccetera.»
    La guardò ancora. Spostando le sue attenzioni il giusto necessario da vederla pescare una carta dalla tasca della giacca, tendere il giudizio verso di lui. Avrebbe riso, Aidan, se solo ne fosse stato in grado.
    «salutamele.»
    Si strinse nelle spalle, e non accennò a voler prendere la sua carta. Fanculo i tarocchi. Fanculo Toothless, e fanculo Isobel. Avrebbe voluto urlarle di non essere un fottuto gufo; che se proprio avevano cose da dire ad altri che non fossero Aidan stesso, potevano uscire da quel posto di merda e farlo da soli. Ma di nuovo, si tenne per sé le parti peggiori del suo astio. «non so di chi parli.»
    «lasci davvero che ogni evento della tua vita venga attribuito al caso?» eliminò la distanza, allora; e posò Il Giudizio sulla porcellana. «è proprio vero che non bisognerebbe mai conoscere i propri idoli. vattene» gli rivolse un ultimo sguardo, Isobel Crain. E quella volta, Aidan si concesse di notare la familiarità di quel volto – le linee che marcavano la sua faccia, quella particolare tonalità di nocciola che aveva studiato e studiato; che amava così tanto, in ogni universo. Le onde ordinate a scivolarle sulle spalle; quel tono nella sua voce che sembrava tagliarlo a metà, in un modo così intimo da poter provenire facilmente dalle sue stesse corde. «mi occuperò io di lui.»
    Non era forse per quello, che l’avevano rispedita vent’anni nel passato? Recuperare i cocci, e aggiustare gli errori dei suoi genitori in un kintsugi che non aveva mai smesso di lasciarle l’amaro in bocca.
    Rimase lì, a fissare quella porta spalancata, anche quando ormai se n’era andata da tempo.
    Finalmente riposò le iridi smeraldo sulla carta; la bocca stretta in una linea retta, e un’accusa affatto velata a studiarne i contorni.
    La intascò, perché che altro avrebbe potuto fare, e uscì da quel bagno. L’aria si era fatta un po’ troppo pesante, un po’ troppo rapidamente.


    Quindi. Aveva un copione.
    L’aveva ripetuto per tutta la strada di ritorno; in un taxi, ignorando le occhiate frequenti dell’uomo al volante e i suoi tentativi fallimentari di portare avanti una conversazione che mettesse entrambi a loro agio. Non aveva la pazienza per lui o per la sua curiosità fuoriluogo — quella con cui aveva continuato a fissare le sue mani guantate, incrociate elegantemente sulle gambe, e le ferite nella poca pelle rimasta scoperta. Aveva ingoiato così tanto, Aidan. E non era ancora successo un cazzo. Il tempo di sussultare sulla barella, mettere a fuoco i dintorni; cercare la bacchetta, e non sentirla più sua. Non sentire più la magia scorrergli nel palmo e ricordare che quel vuoto percepito non era solo stordimento, era… una mutilazione, nel senso più crudo. Un voltare alle spalle a tutto ciò che conosceva – di nuovo. La stessa che aveva avvertito a tredici anni, quando aveva alzato il polso nel letto di ospedale e visto gli squarci ricoperti di unguento. A sedici, quando aveva nascosto il braccio rotto dietro la schiena e accettato a denti stretti un nome e un cognome che non avevano mai smesso di essere estranei. Obbligato a conoscersi per l’ennesima fottuta volta. Ad abituarsi a un organismo alieno, a respingere il tremore che minacciava di scuoterlo da testa a piedi. Quella familiare disperazione; la stanchezza, la voglia di tornare a casa. Una costante.
    Posò il palmo aperto contro il legno della porta, poi la fronte. E chiuse gli occhi. Respiri lenti a regolarizzare il battito del cuore, e a riabituare i polmoni al profumo, di casa. Uno che aveva ben poco a che vedere con muri e mobili e finestre. Che era dall’altro lato della toppa, se solo avesse trovato la forza di spingerci la chiave dentro.
    Forse sarebbe stato meglio andarsene.
    Era ancora in tempo.
    Strinse la mandibola, e percepì il solletichio sullo zigomo prima ancora di vedere la lacrima spaccarsi sullo zerbino. E sussultò perché quello — non era calcolato. Così come non era calcolato il rumore dietro la porta; l’improvvisa mancanza di un corpo solido a separarlo dall’appartamento. Avrebbe davvero voluto scacciare quella debolezza; strofinare le mani sul volto e alzare la testa per incontrare lo sguardo di Archibald. Dire qualcosa. Ciao, sono tornato, sto bene, sono graffi di poco conto. Cristo, ci era riuscito fino a quel momento. E invece lo colpì tutto insieme, un fiume in piena. La realizzazione di dover entrare in quell’appartamento e superare una stanza vuota; di dover fingere che andasse tutto bene. Di trattenere il peso di quei mi dispiace che non avrebbe mai potuto pronunciare ad alta voce; a quale scopo, quando Arci e Jay e Gwen neanche ricordavano il motivo dietro quelle scuse. La persona che gli doveva quelle scuse. Ci provò davvero, a fare quel passo in avanti — crollò a terra. Ancorò le mani alle pareti, e non riuscì a fare proprio un cazzo; pianse, patetico e distrutto in modi che non era ancora del tutto in grado di comprendere, e alla fine glie lo disse lo stesso.
    Tra respiri rotti, ciascuna parola a dislocarsi dalla gola come gomma sciolta: «mi dispiace.»
    Mi dispiace mi dispiace mi dispiace mi dispiace.
    «arci» e quello. Quello fece così male. Grattò sulla laringe, spinse nella cassa toracica fino a spezzare le ossa. «perdonami.»
    Sapeva, logicamente, che se solo avesse saputo – se solo il Leroy-Baudelaire avesse avuto una minima idea di cosa significassero davvero quelle parole – non lo avrebbe fatto. Non se lo sarebbe meritato. Egoisticamente, perché quella era l’unica cosa in cui eccelleva, lo chiese lo stesso. Ancora e ancora e ancora. Conscio di non poter ricevere davvero una risposta negativa, senza il contesto necessario. Ma ne aveva così bisogno.
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    MA GLI ANIMALI RICORDANO I PADRONI NELLA BOLLA? non ci posso pensare è terribile in tutte le versioni. maledetta puntata di Futurama
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    mi è stato detto: giulia dai il buon esempio. e quindi giulia darà il buon esempio!!

    DOMANDA: i personaggi che ricordano (quindi i prescelti - ostacolo della bolla - e barry pagliaccio) possono effettivamente appuntare ciò che ricordano, missione /e/ persone, o sono destinati a dimenticare sempre e per sempre, e quindi ... anche se si scrivono cento volte nomi e luoghi, quegli appunti spariscono magicamente ogni santa volta?
    RISPOSTA: no, di fatto non sparisce nulla. il genere di cosa da fare a proprio rischio e pericolo perché tutto il resto rimane vero. il personaggio continuerà a dimenticare, quindi anche se inizialmente ciò che appunta avrà senso, a lungo andare... eh. sarà poco più che una storiella fantastica

    thanks for coming to my ted talk
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    FAQ - BOLLA E QUEST 11

    In questa discussione raccoglieremo tutte le domande fatte riguardo alla quest, alla sua fine e agli esiti: qualora ne abbiate delle altre, potete postarle tranquillamente in questo stesso topic.



    [DOMANDA] ma chi non era alla quest, né al lotus. tipo, boh, euge?? hanno dimenticato le persone nella bolla e ok, ma gli altri sanno che sono andati da qualche parte? Barry è sparito per due giorni da scuola o tutti ricordano che non sia mai andato via? anzi no, esempio più pratico. saw è sparito per due mesi. Oswald non era né in quest né al lotus. per lui è come se quei due mesi non fossero passati? come se l'avesse visto il giorno prima? per dire. cioè insomma gli esterni li muoviamo come se fosse un giorno normale senza che nessuno si faccia domande?
    [RISPOSTA] non è come se il tempo non fosse mai passato, ma la mente di chi è rimasto fuori dalla bolla sopperisce ai vuoti di memoria.
    Quelli che sono spariti con il Lotus (oblinder + miniquest), ricorderanno di essere stati in Bangladesh a lavorare per costruire delle case per i bambini poveri (per reality, per lavori socialmente utili, per volontariato: la motivazione potete sceglierla voi. Giustifica il fatto che, effettivamente, nei mesi in cui non c'eravate avete fisicamente lavorato a costruire la Città: sarete più muscolosi, più allenati. Più stanchi, e segnati dal sole).
    Chi invece ha partecipato attivamente alla Quest, ricorderà di essere stato in posti diversi: luoghi in cui, al momento della cancellazione della memoria, sono stati fisicamente spostati. Le varie ferite verranno dunque giustificate in base al luogo in cui sono stati teletrasportati.

    [yale, beau, clod, sorta, cherry, dave, shiloh, galen, lawrence, taichi, fake]
    Gli allarmi non sono scattati subito, al Terminal 5 del Heathrow Airport; quando la sirena ha iniziato ad echeggiare tra i vari Gate presenti nell’edificio, era già troppo tardi. Nessuno si era accorto della donna e del suo borsone, nessuno le aveva prestato attenzione – perché mai avrebbero dovuto, poi, se aveva passato tutti i controlli di sicurezza? Quando l’ordigno esplode, non c’è molto che nessuno possa fare: i giornali riporteranno molte vittime, tra morti e feriti. Chi di voi non ha riportato danni gravi, è stato interrogato dalla polizia.

    [raph, ben, mona, mimmo, ictus, mini, balt]
    Doveva essere una normale gita, quella. Strana, certo, perché quando mai si è visto un professore di Hogwarts portare i propri studenti in un parco divertimenti? C’era sicuramente un motivo estremamente didattico per la vostra presenza al Disneyland di Orlando, ma quel che è rimasto però impresso è stata la tragedia che si è consumata davanti agli occhi di migliaia di turisti: l’Astro Orbiter che troneggia al centro della piazza crolla senza apparente motivo – gli accertamenti sono ancora in corso –, travolgendo la folla e causando diversi feriti.

    [joni, amos, ara, eddie s, dyanl, thor, mj]
    Quando la scintilla di un accendino innescata in maniera distratta ha illuminato per pochi secondi il viso del passante, è stata la fine: il gas rilasciato da una fuga di cui nessuno si era accorto fino a quel momento, proveniente dal retro di uno dei palazzi della via affollata, ha preso fuoco in un istante, facendo saltare per aria l’edificio a due piani e causando poche vittime, ma molti feriti. C’eravate anche voi tra quei feriti, storditi dalla forza con cui l’esplosione vi ha colpiti, scaraventati lontano e sbattuto contro l’asfalto, o le pareti intorno.
    Odore di bruciato, e fiamme ancora alte ad illuminare il tardo pomeriggio di quel 4 Maggio, un giorno come tanti altri — un incubo per quelli che, come voi, sono rimasti invischiati nell’incidente.

    [gin, shar, eri, lux, lollo, lelouch, kul, ama, liam]
    Volto coperto, bacchetta alla mano, sacco nero gettato sulla spalla, morbido e vuoto, pronto per essere riempito: insospettabile prima, inconfondibile dopo. I passanti, in un secondo momento, diranno che l’avevano immaginato che fosse un poco di buono, quell’individuo lì. Voi potrete dare torto o ragione, ma non importa: quando il mago ha fatto irruzione alla Gringott per tentare di rapinarla, ha messo in moto una serie di meccanismi che hanno, infine, coinvolto anche voi. Incantesimi lanciati ovunque capitasse, complici usciti dal nulla, fasci di luce e poteri utilizzati alla cieca. In pochi istanti, fuori dalla banca dei maghi si è scatenato il panico, gettando l’intera via nel caos più totale.

    [aidan, poor, mort, lilith, adrian + barry, kat, jester]
    Le prime ore del mattino a King’s Cross sono state particolarmente difficili, quel giorno fatidico. Pare sia scoppiato qualcosa vicino agli ascensori: un’esplosione piccola, in grado di colpire nel suo raggio solo una manciata dei presenti – tra cui, inutile dire, voi –, ma tanto è bastato a mettere in funzione il sistema antiterroristico della stazione.
    Che vi foste recati lì per un viaggio, per lavoro, o per raggiungere il castello di Hogwarts, è indifferente. Ricordate solamente gli ultimi passi, l’intenzione di raggiungere i binari giusti. Il rumore sordo di una bomba di fattezze indubbiamente magiche a spaccarsi nelle vostre prossimità, e poi – nulla. Quando riaprite gli occhi siete posti su barelle del San Mungo. Nulla di preoccupante, vi dicono: un falso allarme. Siete rispediti a casa, senza se e senza ma.

    [del, paris, row, ficus + veena, iris]
    È stato tutto molto rapido: non si sa cosa, nello specifico, abbia causato il cedimento dell’impalcatura. I testimoni presenti sulla scena giurano di non aver visto alcun tipo di movimento provenire dal palazzo; la stessa ditta incaricata ai lavori era a terra, mentre i pezzi di metallo scivolavano tra di loro in uno spaventoso tetris. Nessuno, a dirla tutta, era fortunatamente troppo vicino — sentite uno strano brusio nella gola, probabilmente dovuto alla polvere che avete respirato, e le ferite che riportate sono il risultato dei detriti che vi hanno colpito nell’atterraggio. Sarebbe potuta andare molto peggio.

    [elias, blaise, finn + troy, eddie, dick, serah, john]
    I vostri ricordi sono appannati. Sapete di essere entrati nell’Underground, in momenti diversi, e di esservi trovati nello stesso spazio. Elias, tu ricordi di aver posato una mano contro il finestrino della metro – uno sfrigolio strano delle rotaie, e improvvisamente la tua mente è stata invasa da visioni orribili. Le stesse che hanno raggiunto anche Troy, seduta nell’estremità opposta del vagone. Il resto siete in grado di comprenderlo tra le urla spaventate dei presenti: un difetto del treno, forse. Inceppi strani che la manutenzione non è riuscita a trovare in tempo. Un miracolo che siate riusciti a bloccare il viaggio prima di raggiungere Victoria Station – prima che fosse troppo tardi. Siete scossi e doloranti, ma vivi.

    [ N.B. ] Corvina, Aidan, Mort, Liam, Amaranth, Baltasar, Sinéad, Madein, Taichi, Finley, Domenico, May Jane, John, Kul, Thursday: i Prescelti non hanno gli stessi ricordi in merito alle catastrofi sopracitate, nonostante tutti gli altri ricordano perfettamente la loro presenza. Dal momento in cui usciranno dalla Bolla, sarà un dato certo il fatto che ci fossero anche loro.


    [DOMANDA] Altra domanda.
    Chi come Thor ha perso la magia (blocked, è tutto terribile e voglio morire.), come... Come si spiega tutto? Nel senso, tipo, tutti gli anni a Hogwarts?? Sa di averla persa ma che prima ce l'aveva, no? E idem gli altri, che si ricordano di loro e di tutto il vissuto prima (vedi ad esempio in questo caso joni e dylan).
    "Semplicemente" sanno che c'è stato un incidente (ah ah.) e puff, niente più magia? 🗿🤡
    [RISPOSTA] Nel momento in cui è stata creata la Bolla, c'è stata una forte onda d'urto magica. Non sapendo dell'esistenza della Bolla, il mondo l'ha giustificata con un'anomalia delle dimensioni fra la nostra e quella da cui proviene Abbadon. Ricordate le zone morte? In pratica si tratta di posti in cui la magia non funziona, proprio a causa di queste... perdite dimensionali, che prosciugano la magia. Ebbene: questa è la spiegazione che il mondo ha per voi. L'onda è stata percepita in tutto il mondo, e quando vi ha toccato, vi ha tolto la magia. Siete stati sfortunati, vi dicono. Eravate nel posto sbagliato al momento sbagliato. Inizialmente, ricorderete la verità...ma con il tempo, comincerete a trovarlo convincente, ed a crederci anche voi.

    [DOMANDA] più tecnica però… da oggi chi è nella bolla non può essere mosso? cioè, li possiamo muovere /nella bolla/ oppure stanno lì a farsi i cazzi loro (perché giustamente non sappiamo nulla) e possiamo muovere solo quelli fuori?
    [RISPOSTA] i PG nella Bolla possono essere ovviamente mossi! È stata creata una sezione apposita in Inception, e le informazioni che mancano o vi servono vi verranno date con il tempo: per ora vi basta sapere che sono all'interno di una Città a metà tra l'antico ed il futuristico, nel bel mezzo delle foreste messicane (tipo nello Yucatan, con tutte le cose maya, aztechi ecc ecc), con tutti i servizi essenziali.

    [DOMANDA] Ma i sedici pure sono stati snip snippati dalla memoria? O potendo stare fuori dalla Bolla è permesso loro di non fare i barboni senza più una vita? Scusate chiedo per una persona ansiogena (io).
    [RISPOSTA] allora... subito le persone li dimenticano, ma non è permanente. Quando tornano, dopo un primo iniziale momento di smarrimento, si ricordano di nuovo di lei come nulla fosse. Lei inizialmente ricorda la Bolla, ma con l'andare del tempo .. dimentica anche quello, almeno in maniera attiva. Perde i contorni. I fili ed il senso. Tende a credere a quello che la sua mente, nel tentativo di eliminare l'esistenza della Bolla , le fa credere. (ma la sogna, la Bolla. Spesso)

    [DOMANDA] c’è una scuola?
    [RISPOSTA]
    punto.
    Non rilascia certificati, ovviamente, ma esistono ben due (2) strutture in cui poter apprendere, entrambe aperte sia ai minori che agli adulti. Frequentare le lezioni, è caldamente consigliato ai Babbani, così che imparino come funziona il mondo magico. Le due strutture si occupano una della parte pratica (magia, di entrambi i tipi; armi; combattimenti corpo a corpo) e l'altra della parte teorica.

    [DOMANDA] I Sedici Prescelti rimasti nella Bolla, sanno che uscendo perderanno gradualmente la memoria?
    [RISPOSTA] (sospiri profondi) Ebbene, sì: sanno cosa li attende una volta all'esterno. Sanno che perderanno i ricordi della Bolla, e chiunque al suo interno. Sanno che non sarà immediato, ma sanno anche che sarà inevitabile.

    [DOMANDA] I personaggi che ricordano (quindi i prescelti - ostacolo della bolla - e Barry) possono effettivamente appuntare ciò che ricordano, missione /e/ persone, o sono destinati a dimenticare sempre e per sempre, e quindi ... anche se si scrivono cento volte nomi e luoghi, quegli appunti spariscono magicamente ogni santa volta?
    [RISPOSTA] No, di fatto non sparisce nulla. Il genere di cosa da fare a proprio rischio e pericolo perché tutto il resto rimane vero. Il personaggio continuerà a dimenticare, quindi anche se inizialmente ciò che appunta avrà senso, a lungo andare... eh. Sarà poco più che una storiella fantastica.

    [DOMANDA] ma gli animali ricordano i padroni nella bolla?
    [RISPOSTA] sì. Ed è terribile come sembra.

    [DOMANDA] è possibile portare altri pg nella bolla a parte quelli che hanno partecipato all'oblinder/missione/quest?
    [RISPOSTA] È possibile creare dei fittizi (Cittadini della Bolla, li dai mesi precedenti; la bolla è nata anche per essere rifugio di babbani e sovversivi) o inserire personaggi work in progress che non sono stati mossi in molti mesi, dando loro come background che siano Cittadini da un po' (massimo giugno 2023, prima il progetto non esisteva; potevano però essere parte delle milizie di Jeanine, e di conseguenza, far parte del Nuovo Ordine). Al momento, non è possibile accedere ex novo alla Bolla.

    [DOMANDA] ma se per esempio Mort che ora ricorda ancora tutto, esce e fa veramente una puntata del podcast dicendo tutto quello che ricorda, lo danno per pazzo, lo mettono in prigione o cosa?
    [RISPOSTA] A parte che non gli converrebbe, essendo lui legato a doppio filo alla Bolla. Per il resto? Verrebbe sicuro preso per pazzo, eccetto che dai soliti complottisti (o qualcuno che potrebbe trovarlo familiare, ma insomma, sarebbero folli insieme). Non finisce in prigione di certo, non è un segreto di stato (letteralmente, non è il Governo ad averlo insabbiato: nessuno sa nulla)

    [DOMANDA] ma ora la /situazione politica/ com'è?
    [RISPOSTA] fuori dalla bolla, la stessa identica di prima, letteralmente come se non fosse successo nulla (come se l'avessero ....dimenticato, badum tss)

    [DOMANDA] per chi è tra i prescelti, e quindi per chi ha perso la magia, e va ancora ad Hogwarts, che succede? sono costretti a lasciare la scuola? vengono tenuti a pulire i bagni?
    [RISPOSTA] no, gli studenti che erano tra i prescelti, e che hanno perso la magia, non sono più ammessi a frequentare le lezioni ad Hogwarts, o in qualunque altra scuola magica. Perlomeno, finché non finirete la raccolta di Halo Points 💅

    [DOMANDA] [riguardo l'alibi dei prescelti fuori dalla bolla] ma quindi.
    Questa piccola esplosione è stata qualche giorno fa on GDR (secondo arci) e può averne letto sui giornali pensando Aidan gli ultimi due giorni fosse in ospedale? C'è il collegamento esplosione\assenza di magia per loro (o sono due eventi separati)?
    [RISPOSTA] Usiamo questo caso come esempio.
    Aidan è partito in Missione. Arci lo sapeva. La missione è finita.
    (REWIND) Arci non ricorda l'esistenza di Aidan anche durata la permanenza di Aidan nella bolla (3 giorni ish).
    Nel momento in cui Arci vede Aidan, dopo un istantaneo attimo di dubbio, il vuoto viene colmato: ma certo, Aidan era a King's Cross. Lo sapevi. Era al San Mungo, ti sembra anche di essere andato a trovarlo (perchè ti pare assurdo il contrario). Insomma: laddove manca il senso, la tua mente riempie con quello che per lei è normale.
    Per quanto riguarda incidente e perdita della magia, non sono correlati: il fatto che alcuni civili qualsiasi abbiano perso la magia nello stesso momento ma in punti casuali del globo, è stato giustificato con una perdita dimensionale. Vittime randomiche dell'ennesima zona morta. Sfortunati, insomma.

    [DOMANDA] Per precisione/trasparenza vorrei sapere se esiste l'idea di dare linee guida più specifiche a riguardo o anche solo una notazione in più qui in FAQ. Perché ogni Potere Special ha il suo concept e i suoi funzionamenti, quindi magari avete delle idee particolari su come le categorie di Poteri o i singoli Poteri proprio possano reagire a questa nuova condizione di instabilità? O preferite, per comodità eccetera, lasciare queste cose alla fantasia dei player?
    [RISPOSTA] No, non esistono linee guida riguardo i defective, e non esisteranno. Il potere, indipendentemente dal tipo, è instabile. Il come, potete gestirlo voi a seconda di quello che preferite per la vostra trama: potrebbe funzionare a tratti, non funzionare affatto, funzionare troppo intensamente... dipenderà anche dalle situazioni. Ci fidiamo ciecamente al darvi carta bianca. Ricordate che la vostra libertà creativa finisce solo dove inizia quella degli altri (insomma: non uccidete pg reali, e non prendetevi troppe libertà che pensiate l'altro possa non volere - tipo, boh, mutilazioni e qualsiasi altro effetto permanente).
    Stessa cosa vale per i Prescelti: al di là degli Halo Points, che vi daranno prompt facoltativi man mano che acquisirete punti, sta a voi player decidere effettivamente quando e come i personaggi otterranno i loro poteri.

    [DOMANDA] Posso mandare personaggi nella Bolla che non erano né in quest, né tra i rapiti dell'Oblinder / mini quest?
    [RISPOSTA] Sì! Ma devono essere personaggi fittizi e/o in costruzione che non sono stati mossi come minimo negli ultimi due mesi.

    [DOMANDA] Le ombre (Q9/Q10) e i prescelti (Q11) sono in grado di riconoscersi come tali o non sentono nulla di strano interagendo tra di loro?
    [RISPOSTA] Le ombre non noteranno nulla di diverso, ma i prescelti sì. Mentre le ombre sono più che altro... burattini nel gioco di Abaddon, i Prescelti sono stati infusi di vera e propria magia difensiva: avvertiranno una strana repulsione nei confronti delle ombre, proprio perché sono la loro antitesi.


    Edited by homini lupus - 9/5/2024, 20:29
  7. .
    SHE'S BACK

    nickname: sos.
    gruppo: special hhh
    link in firma? presente!
  8. .
    MIMMO MALATESTALelouch blanchard
    Apprendista
    Difensori Anatema

    mimmo: scudo
    lelouch: spada corta/ARTEMOKINESIS
    accetto le conseguenze delle mie azioni
    qui finisce il mio agire e inizia il mio silenzio
    sono nel pieno delle mie facoltà mentali
    prendo i pe per: gruppo I
  9. .

    28 y.o.

    councilor

    neutral
    drama
    nombe
    Doveva aver passato troppo tempo con suo fratello, perché la prima cosa a cui pensò varcando le porte in ferro del Haus of Lüneburg, fu che sarebbe stato un setting perfetto per un film porno. Non una critica, né una di quelle battute soffiate a fior di labbra: una considerazione oggettiva, ed anche una ammirabile. Gli occhi blu dell’Hilton sfilarono sul gioco di luci del locale, il nero a settare le linee guidando lo sguardo dove si voleva rimanesse posato. Gli specchi, dove Yale vide il proprio riflesso da centinaia di angolazioni, non abbastanza umile da non apprezzarne ogni inquadratura. Se rimaneva fermo al centro del punto di vendita, riusciva a sentire il calore emanato dalle lampade che sempre accompagnavano le videocamere, a udire i suoni morbidi e forzati della pelle a sfregare su altra pelle, risucchi umidi e perversi a rimbalzare da un microfono all’altro. Si chiese quanto sarebbe stato di cattivo gusto domandare alla Von Schneider se fosse disponibile a prestare il negozio per girare una pellicola erotica, dopotutto nulla vendeva più del sesso, o, in alternativa, prestarglielo per un paio d’ore. In intimità, si intendeva. Dovevano essere gli specchi, si disse, intrigato, finendo ancora per cercarsi in una delle superfici riflettenti.
    Yale Hilton era sempre un bel vedere. Composto ed elegante, perfetto per quel tipo di eventi. L’uomo copertina dei Consiglieri, considerando da chi fosse composto il resto del loro entourage, con un pedigree opinabile ma una nomea abbastanza famosa da renderlo dettaglio di poco conto. Famoso in tutti i mondi come un blockbuster, un classico che non stancava mai: gli hotel, i sex toys, gli scandali, i cugini. I soldi. La bellezza. Una fama universale del quale il mago viveva come da ossigeno, masticando lento il frutto del lavoro d’altri e l’errata percezione che le persone avevano di lui. Incontrò le proprie pupille dilatate, e si sorrise, ammirando una composizione eccellente come un critico d’arte. Non portava mai il segno delle notti insonne sulla pelle, Yale, né il costante consumo di alcool e droghe – giusto quella stessa mattina aveva fatto colazione con whiskey ed un paio di simpatiche pasticche colorate – o l’odio che provava verso se stesso. Impeccabile. L’unica scia che lasciava alle proprie spalle era quella del denaro giovane ed il potere antico, un miscuglio peculiare che lasciava in bocca invidia e polemiche. Non sapevano che ogni giorno, oscillando liquido in bicchieri di cristallo, tirava una monetina morale per scegliere se sarebbe arrivato all’alba successiva o meno. Non sapevano della bile ormai stanziata costantemente alla base della gola, delle notti passate a fissare il cielo finché non cambiava colore, per battere poi le palpebre e scrollarsi nelle spalle.
    Il Vecchio era morto, comunque. Se a qualcuno poteva importare. Non a Yale, considerando fosse solo il secondo erede del padre, ed avesse vinto più soldi di quanti mai in una vita potesse spenderne, perfino con i suoi lussuosi vizi. Non era neanche più un problema di Harvard, il primogenito, visto che la Guerra aveva reso il loro nome babbano molto meno accattivante di quanto non lo fosse prima: una catena di hotel senza futuro, e giochi erotici che non sarebbero mai passati di moda. Al Ranch non ci andava più nessuno, malgrado avesse visto un’intera generazione di Hilton rincorrersi fra le mucche e sparare alle bottiglie. Yale ci tornava spesso, giusto per ricordarsi che al mondo non esistessero legami e fosse tutto destinato ad essere dimenticato o cancellato.
    Il Vecchio era morto, ed i Parker si erano eclissati. Una delle famiglie storiche del Regime, il cui nome ancora incuteva timore, aveva semplicemente deciso di passare sotto il sistema come un manipolo di Traditori qualsiasi. Non sapeva a cosa stessero lavorando, nell’oscurità delle loro magioni; non gli era mai fregato un cazzo, non vedeva perché avrebbe dovuto cominciare in quel momento. Per la prima volta in quasi ventinove anni, Newhaven Cedric Edward George Stpehen Hilton IV, era… libero. Dalle aspettative, e dalle assurde regole imposte da un sistema nato ben prima di lui. Dagli obblighi di famiglia, e le tradizioni che gli avevano insegnato come sorridere e chinare il capo. Era schifosamente ricco, e non aveva più nessuno a controllarlo: la ricetta perfetta per il caos, se se lo fosse permesso. Nell’arco dell’anno appena passato, aveva valutato più volte di usare il denaro degli Hilton-Parker per andare nei Laboratori, il suo ultimo atto di ribellione, ma aveva desistito, e non certo per un senso di solidarietà a tutto quello che rappresentava. Fosse mai. Non temeva neanche di poter perdere il senno, conscio che quella linea fosse passata da un pezzo, ma non poteva accettare l’idea che potesse non piacergli quello che sarebbe diventato. Non voleva un potere noioso, e temeva che qualunque arcana magia facessero all’interno dei Lab, rischiasse di riflettere il suo vero io - uno Yale che Yale non voleva conoscere, figurarsi tutti gli altri.
    Ed aveva avuto delle responsabilità, in quei mesi. Non tante in realtà, solo una. Una per la quale gli avevano detto non fosse pronto, e che fosse ridicolo che lui, fra tutti, se ne facesse carico. Yale Hilton? Saresti in grado di uccidere anche un cazzo di cactus, gli avevano detto.
    Ma lui Nahla l’aveva presa comunque, perché che ne sapevano loro. Un obbligo morale, il mantenimento di una promessa fatta per immagine, ma non per la quale credesse meno. Non aveva nessun altro. Si era detto che ce l’avrebbe fatta, dopotutto era un ottimo improvvisatore, e Nahla era già un’adolescente. Praticamente un’adulta fatta e finita. Che ci sarebbe voluto?
    Abbastanza da perderla, a quanto pareva. Smarrita nel nulla.
    Odiava che avessero avuto ragione, tutti quanti. Che non fosse adatto a quel compito, e che magari, se le avesse concesso una famiglia migliore, sarebbe ancora ad Hogwarts a lamentarsi delle lezioni di incantesimi e trasfigurazioni, perché che palle usare la bacchetta, Yale. Non che l’avesse reso un problema di qualcuno. Se l’era tenuto per sé, pressato fra le costole come un fiore a seccare fra le pagine di un libro, a scavare ogni giorno più spazio. Svuotandolo dall’interno.
    Passò le dita fra i capelli castani, offrendo un sorriso alla cameriera ed una smorfia ancor più sollevata al calice offertogli. Lo prese fra le dita con un cenno di ringraziamento, portandolo alle narici per inspirare profondamente. Profumava di soldi, e l’Hilton ebbe l’improvviso impulso di ridere.
    Era assurdo, come funzionasse quel mondo. Davvero fottutamente assurdo.
    Vi state forse chiedendo perché mai Yale Hilton fosse all’inaugurazione di una boutique di moda? Spero di no: poche cose al mondo gridavano più Yale Hilton dell’alcool gratuito e vestiti d’alta moda. Era un VIP, dopotutto. Con queste premesse (fenomenali!) do per scontato che conoscesse la proprietaria del locale, e che la cercò all’interno del punto vendita per offrire i propri omaggi e congratulazioni. «heloise von schneider» salutò, offrendole la mano per quella strana presa che anticipava i due baci sulla guancia da gente molto ricca, o mafiosi italiani – a voi la scelta. - senza sfiorarle la pelle con le labbra. «quanto tempo» Non si conoscevano davvero, solo con la superficialità di chi condivideva un certificato di nascita nobile. Magari conosceva meglio Harvard, lei, essendo quasi (penso.) coetanei. «sempre meravigliosa» quello, perfino in un mondo di inganni e menzogne come il loro, non poteva che essere sincero e reale. «una boutique, uh? Molto anni sessanta» le sorrise, morbido quanto le bollicine di champagne che portò alla bocca.
    Ain't nothin' but drama,
    I'm just playing a part
    When I'm feeling the spotlight,
    I see nothing but stars
    yale
  10. .

    1987

    death eater

    designer
    fashion
    lady gaga
    Fra guerre e sequestri di persona di massa, aveva dilatato anche troppo i tempi ed i preparativi per l'inaugurazione. Non che a gestire una casa di moda, le cose con cui affaccendarsi le mancassero: avete idea di quante fashion week sparse per il mondo ci fossero, soprattutto adesso che il mondo babbano era stato assimilato? Un'ottimo esito sociopolitico a proposito, quello della Guerra di Primavera, visto che aver aperto gli occhi e le porte anche ai poveri sfortunati privi di magia per una come Héloïse voleva dire una sola cosa: più clienti con soldi da spendere.

    In ogni caso, fra sfilate, collezioni, viaggi di lavoro e fogli di giornale il suo calendario non era stato comunque una passeggiata e il periodo delle feste comandate, nel suo caso, più che dare un momento di respiro le dava altro di cui impensierirsi, con tutto il micromanagement di rapporti diplomatici che inevitabilmente avveniva in una famiglia numerosa e sparsa per il globo come la loro.
    Sapete cosa le dava respiro, invece?
    Organizzare feste.
    Non amava partecipare a quelle degli altri, ma pianificare le sue la metteva di buon umore quasi quanto il mettere giù bozze per collezioni future e abiti di design fantasiosi, che rimaneva comunque il passatempo piacevole imbattuto assieme al prendersi cura delle preziose creaturine custodite nel rettilario.
    Non era la prima cosa della lista, d'accordo, ma la medaglia di bronzo era modestissima e, in quel caso specifico, portare a termine i preparativi per il negozio a Londra voleva anche dire che poteva organizzarne finalmente la festa di inaugurazione.

    La data prefissata, il quattordicesimo giorno di marzo, era giunta non senza farsi attendere, dopo essere slittata di quasi un mese per via di quell'incresciosa quisquillia della presunta sparizione del Lotus - sulla quale lei, per inciso, non aveva una vera opinione perché, anche fossero sparite delle persone o un intero edificio, il suo interesse o empatia verso la vicenda era pari a zero.
    Alle quattro in punto, dopo una preliminare mezz'ora in cui le prime dozzine di persone, fra invitati e curiosi, s'erano accalcati davanti alla boutique nuova di zecca Héloïse, tinta di un bel rosso ramato e fasciata da un abituccio bianco e sobrio dei suoi, aveva trasfigurato in farfalle monarca il consueto nastro d'inaugurazione davanti alle sontuose porte a vetri e l'insegna del negozio in lettere capitali di ferro battuto era magicamente apparsa dal nulla sopra l'arco di pietra in cui l'ingresso era incastonato.

    Dopo quella trita ma dovuta pantomima, la titolare era entrata col suo solito seguito, fra cui la sorella minore, e quelli che dalla folla s'approssimavano all'entrata furono passati al vaglio dal servizio di sicurezza assunto per l'occasione, anche se l'evento era stato pubblicizzato in modo tale nelle settimane addietro che, in ogni caso, l'interno addobbato a festa, con tavoli, piano bar e quant'altro ci mise poco a popolarsi di gente ben vestita, fra semplici invitati e membri della stampa specializzata.
    I feel alive when I transform
    But this love's not material
    Now take it in and turn me on
    Zip me up, it can't be wrong
    'Cause your new look's ethereal
    héloïse


    NOTE OFF per chi è pigro, come me, e possibilmente vorrebbe non leggere proprio i vaneggiamenti di Hél e sapere invece le cose davvero importanti per scrivere un post o due in questo topic
    Bene, amici cucciolotti, non sarò breve, ma sempre meglio di leggere un mio post. Questo spunto era molto fuori tempo massimo per la mia timeline mentale (sì, mi fingo una persona seria nel tempo libero), quindi era il momento di cavarlo fuori. Anticipo per chiunque avesse una tara mentale e volesse usare lo stesso schema role che ho usato io, che vi droppo il link dalla bacheca codici oblivion (e baci virtuali ad Eli jr. che ne è l'autrice).

    Siamo a Mayfair, quartiere di Londra noto fra le altre cose proprio per le boutique di superlusso, dalle quattro di pomeriggio in poi del giorno 14 marzo 2024. Il contesto è una festa di inaugurazione, per l'appunto, di una boutique!! Quella della casa di moda di Hél, chi lo avrebbe detto mai (trovate temporaneamente una descrizione sommaria anche nel topic del regolamento negozi, smack).

    Come avete ottenuto l'invito? Beh, sicuramente non è un'occasione per poveri tutti, ma tutti i membri dell'aristocrazia magica, la gente straricca, i ministeriali, le persone che lavorano nel mondo della moda&affini e i giornalisti possono aver avuto facile accesso senza problemi. Per il resto, inventatevi pure quello che vi pare o non inventatevi nulla affatto, work smarter not harder.

    Cosa si fa in questo posto? Isa ma che vuoi dalla mia vita?? A differenza della descrizione linkata sopra, gli interni del negozio pur mantenendo i due piani con fancy scale per fare su e giù, sono quasi completamente sgombri ed addobbati ed arredati a festa, con buffet, fontane di cioccolato, servizio catering attivo che gira distribuendo antipastini e champagne, piano bar e insomma, inventate davvero quello che preferite, è una gigafesta per ricconi magici.
    Unica cosa rimasta inalterata apposta per l'evento sono i magici e spaziosi camerini della Haus, dove potete sfogliare "virtualmente", come una sorta di touch screen sugli specchi il catalogo; tutte le persone nel camerino possono provarsi abiti, completi, tutto quello che volete, insomma, si tratta di un giochino: tenete conto che pur essendo prêt-à-porter è tutta roba griffata super fancy e, pur se pienamente indossabile per più di cinque minuti senza morire soffocati, di design, quindi ovviamente è solo "in prova" ed una volta che uscite dal limite del camerino, vi torneranno addosso i vostri normali vestiti. La volete sapere una chicca simpatica? Secondo me no, ma ve la dico ugualmente. Facciamo i corsetti e la sexy lingerie. Anche per uomini? Anche per uomini, siamo nell'anno del signore duemilaventiquattro insomma. E un'altra chicca è che la persona che sceglie gli abiti sul "touch screen" non deve essere per forza la stessa che li "indossa", diciamo che le pareti a specchio servono proprio a far riflettere chi è dentro in modo che possa essere "selezionato" come "indossatore" o meno.

    E il dress code? Ovviamente c'era un dress code. Abbigliamento elegante da giorno, perché l'evento si conclude alle sei e mezzo con un brindisi di chiusura e poi ciau (niente strascichi lunghi sei metri coi paggetti annessi, insomma). È un'inaugurazione di una boutique e non il Met Gala, ma sono sempre contenta di poter giocare Hél che giudica non silenziosamente chi arriva credendo di essere al rinnovo delle promesse di Kate e William (rip Kate, eri anche tu al Lotus? chissà). Ancor più ovviamente, non è obbligatorio indicare nel dettaglio come sono vestiti i personaggi, che sia tramite link di reference o descrizioni, ma se a qualcuno piace farlo questa è un'occasione congrua, insomma.

    E quindi? Niente, in sostanza role liberissima in cui potete inserirvi, se vi compiace il contesto, anche solo per un post aggratis se vi manca la fidelity o dovete attivare pg, ma anche se volete far interagire personaggi in questi contesti molto specifici. Having fun in cringe jail insieme a me.
  11. .
    moka telly jr.
    I shoulda died at least a million times
    How am I still alive?
    Every night I'm fighting gravity
    And other things that could be
    When we kiss it tastes like razor blades
    When we touch, it's the same

    «moka»
    aveva finto di ignorare i colpi sulla porta, gli occhi fissi sulla maniglia.
    «lo so che ci sei, cretino»
    aveva finto di ignorare la voce stanca di cherry, il respiro di lei attraverso il pannello di legno. finto, perché anche volendo non sarebbe riuscito a farlo davvero. ma le mani erano rimaste ferme, la bocca chiusa, il cuore a pulsare febbrile nel petto.
    quando lei si era appoggiata con la fronte, moka aveva fatto altrettanto — senza vederla, che tanto non era necessario: sapeva esattamente dove fosse, conosceva ogni movimento, e quello che le passava per la mente.
    «ti ho portato qualcosa da mangiare. lo so che se fosse per te andresti avanti a tequila e patatine» si era girato, moka, la testa reclinata verso una spalla e le iridi verde acqua a cercare la bottiglia sul tavolo della cucina. era davvero così prevedibile? si. e avrebbe voluto aprire quella fottuta porta, lasciare entrare cherry e il suo sacchetto della spesa, senza darle il tempo di dire altro. chiedere piuttosto, pregarla di dargli qualcosa di diverso a cui pensare, perché quella era sempre stata la soluzione del telly a tutti i problemi del mondo.
    ma non se lo meritava.
    di guardarlo negli occhi e vedere ciò che conosceva meglio spazzato via da uno tsunami senza nome, andata e ritorno a ondate irregolari; di venire contagiata da qualunque cosa stesse tentando di arrampicarsi sotto pelle, sfrigolando, in attesa.
    e in un attimo di debolezza avrebbe finito per dirle la verità: che per la frazione di un istante, durato una vita intera, gli era piaciuto. svuotato da se stesso, eppure mai così presente, cellule e molecole a ricombinarsi senza più un limite a segnare i bordi. ed era stato tutto ed era stato niente, sette secondi, minuti, ore di buio e lampi e (morte e distruzione e) assenza. materiale per gli incubi, dove il senso di colpa lasciava spazio a qualcos'altro; una domanda più infame, che sapeva esattamente quali punti andare a toccare — che razza di persona sei?
    quello poteva, doveva, tenerselo per sé.
    una vecchia regola fondamentale per la sopravvivenza, che non passava mai di moda.
    erano rimasti così, moka e cherry.
    fronte contro fronte con una porta a dividerli, ciascuno perso a modo suo «va bene. la prossima volta la butto giù, tanto perché tu lo sappia» ci credeva, il ventitreenne.
    ciecamente.
    anche se avrebbe preferito il contrario, che non tornasse più — non era così forte da tenerla lontana, da resistere all'impulso egoistico ed istintivo di aver qualcuno accanto a prendersi parte del suo dolore. parte di quel veleno che aveva messo radici e cresceva a vista d'occhio, sostituendosi al sangue, reclamando a gran voce il suo posto nel mondo. non sapeva più dove scaricarla quell'energia, moka, e non voleva fosse su di lei.
    possiamo vederci?
    ma magari su qualcuno si.
    come fosse riuscito a non rispondere con un sentito vaffanculo rimaneva tra moka e dio; che solo a guardarla, quella chat praticamente vuota, gli faceva partire un embolo. non ci aveva nemmeno pensato, un battito di ciglia e l'indirizzo già scritto — via il dente, via il dolore, così dicevano.
    avrebbe potuto dirgli di no, (o non rispondere affatto), e continuare a fingere: che non gli importasse abbastanza, che quelle quattrocentomila persone, in fondo, non le aveva davvero uccise lui; che l'idea di essere stato strappato alla Resistenza, quando per anni gli era sembrata l'unica ancora di salvezza, non facesse un cazzo di male fottuto.
    un luogo ideale, il suo au, nel quale le persone non si sentivano in dovere di chiedergli come stesse, dopo averlo guardato in faccia.
    già conoscendo la risposta.
    ma a javi quell'unico favore poteva anche concederlo.
    con il telepate non doveva tenere ostinatamente la porta chiusa ed evitare il suo sguardo, perché i demoni che vi si aggiravano dentro in attesa di venire nutriti erano gli stessi — famelici, pieni di denti, corruttori e corrotti. non c'era niente che moka potesse rovinare, piu di quanto già non fosse..
    «hey»
    oh, era già a tanto così.
    non rispose al sorriso di javi, la mano destra saldamente ancorata alla maniglia della porta, l'altra abbandonata lungo il fianco «e lo è? più semplice, dico» socchiuse gli occhi e lo guardò, iridi verde acqua a scorrere sulla figura del maggiore concludendo l'itinerario sul casco.
    chissà, forse in un'altra vita avrebbero potuto scambiarsi opinioni anche su quello, come le persone normali.
    fece un passo indietro, lo special, lasciando a javi lo spazio sufficiente per entrare — sempre ammesso che volesse farlo. a quel punto moka non giudicava più: aveva passato troppi giorni (settimane) a cercare disperatamente di comprimere se stesso, mostrando solo il minimo indispensabile; si era sentito accartocciato, schiacciato, messo all'angolo, e la guerra c'entrava solo in parte «c'è una birra in frigorifero» si, quella.
    «e se sei ancora contrario alla tequila a stomaco vuoto—» indicò distrattamente la bottiglia sul tavolino. accanto, caricatore inserito, la glock — scelte: qualcuno, a pochi chilometri di distanza, si stava ponendo la stessa, fottuta domanda «non ho nient'altro da offrirti» e quella era, palesemente, una cazzata: un'altra proposta moka ce l'aveva. gli premeva contro le costole, esitava sulla punta della lingua.
    ma forse poteva permettersi di mentire ancora un po', almeno finché l'alcol e la stanchezza non lo avessero tradito.
    avrebbe voluto chiedergli notizie di Mac e twat.
    di sin e vince (ma dove cazzo era vince?).
    di may.
    degli altri.
    (chicago
    kyoto
    il cairo
    hangzhou)
    non lo fece.
    «cosa vuoi, javier?» non si riferiva alla birra, moka, nonostante il tono di voce pacato, gli occhi verdi a cercare (la tastiera suggerisce disperatamente, ed è così) quelli del maggiore.
    cosa vuoi da me, sarebbe stato più corretto.
    cosa cazzo vuoi, javi.


    gif code
    1999
    electrokin.
    black/out
  12. .
    NEFFI LOVELL
    god stood me up,
    and i don't know why.
    lights are on,
    but nobody's home.
    Azrael le aveva detto di non andare a combattere.
    Gliel'aveva detto.
    L'aveva avvertita, aveva provato a dissuaderla in tutti i modi.
    Ma Neffi Lovell voleva farsi valere, voleva avere una parte nella storia. Voleva tenere la penna in mano, per una volta, e scrivere anche lei la sua porzione, avere un ritaglio solo suo nel nuovo mondo.
    L'aveva avuto, alla fine.
    Quando Abbadon l'aveva toccata si era sentita morire. Era convinta che lo avrebbe fatto, in realtà. Era convinta che con quel tocco condiscendente le avrebbe tolto l'anima, la linfa vitale.
    Che non sarebbe più tornata a casa.
    Quando c'era tornata, camera sua non era più sua. Le sue cose non avevano più ragione di stare dove stavano. Di occupare quello spazio.
    Non aveva più diritto di stare tra i Corvonero e di dirigere la squadra.
    Non aveva più modo di strappare quel diploma col massimo dei voti.
    Neffi Lovell non era più nessuno.
    E questo, ci teneva a precisarlo - Dio solo sapeva quante volte l'avesse ripetuto a Kaz - non era perché era diventata una special.
    Contrariamente a quanto i suoi genitori avrebbero voluto per lei, non aveva mai ritenuto che la magia la definisse. Non aveva mai pensato che nessuno fosse inferiore a lei.
    Erano stati loro a definirla tale. Erano stati loro a dirle che un abominio, una ribelle, non aveva alcun posto nella loro famiglia.
    Aveva pianto, una volta ritrovata sua sorella. Non aveva esitato a lasciar cadere le armi e lanciarsi tra le sue braccia come una bambina spaesata, abbandonandosi al suo calore senza alcuno scrupolo. Chiedendole scusa per essere stata così avventata, scusa per le ripercussioni che le sue azioni avrebbero avuto su di lei.
    Non aveva mai mentito a Kaz, non aveva mai finto di stare bene quando non era così.
    Con Erisha era diverso. Lei aveva perso di più. Aveva perso anche il quidditch, ciò per cui aveva lottato per tutta la vita.
    «non è così male essere come noi. giuro».
    Scosse piano la testa, e gli diede un buffetto sul braccio.
    «Non è quello», tentò di rassicurarlo. «È che mi hanno tagliato i viveri».
    No, questo ancora non l'aveva detto. Alzò le spalle con studiata nonchalance.
    «Il posto è carino».
    gif code
    2004
    ex-cheer
    mimesis


    Edited by @speculumdeae - 4/6/2023, 19:30
  13. .
    kaz oh
    They tell me I'm broken, outta my mind
    Head in the clouds I'm doing just fine
    Shooting for greatness, aimed at the sky
    I won't know 'til I try
    Le trattava come qualcosa di fragile perché non sapeva in quale altro modo tenerle fra le dita, Kaz. Si sentiva come quando da bambino seguiva sua madre in laboratorio, e lei gli lasciava fra le mani gli attrezzi che le servivano per il passo successivo della creazione del proprio macchinario intimandogli di fare attenzione. Che fossero delicati. Rimaneva con i palmi aperti senza fiatare, lasciando che mamma lo usasse come mensola, perché voleva aiutare e sentirsi utile.
    I palmi aperti li aveva anche quel giorno. La curiosità con cui guardava Neffi ed Erisha, non era troppo diversa da quella dell’Oh di una decade prima: occhi neri spalancati, sopracciglia inarcate, labbra dischiuse in meraviglia e tante parole taciute.
    Erano solo un po’ più vuoti, tutti e tre. Limati agli angoli e distorti in forme simili e familiari, ma piegate e ripiegate. Fogli stropicciati tenuti in tasca troppo a lungo che cercavano ora di appiattirsi sotto libri pesanti. Note scritte a mano su tutte le righe ed anche qualcuna in più.
    Più i respiri trattenuti, di quelli fatti scivolare liberi.
    Kaz era tornato a scuola con le spalle piegate ed il più finto dei sorrisi sulle labbra.
    Avrebbe preferito non tornare. Neanche per Clay e Dylan ed il resto delle Furie.
    Il padre aveva giustificato l’assenza degli Oh al castello dicendo che stessero studiando a casa, mentre tutti e tre erano invero impegnati al fronte. Non era stato felice che i fratelli fossero al suo fianco, ma non l’aveva neanche proibito: come avrebbe potuto, quando per tutta la vita avevano saputo quello fosse il loro destino. Nessuno, eccetto Clay ed il resto dei ribelli, sapeva che avesse combattuto quella guerra, e quindi aveva forzato gli angoli della bocca a curvarsi verso l’alto. Era tornato come perdente, Kaz, in una scuola forzata ad adorarlo dal nuovo mondo, ma che lì non ce lo voleva. Evitava di incrociare lo sguardo dei fratelli Motherfucka, di Rick e Mort, Hot e Liz; i sorrisi che rivolgeva a Bengali avevano perso le guance arrossate e le dita ad arruffare i capelli corvini. E le aveva trovate subito, Erisha e Neffi. Era rimasto fuori dalla porta della sala comune dei Corvonero mentre prendevano i loro averi, e si era fatto carico delle misere, così misere, scatole delle due ragazze mentre le accompagnava a Different Lodge, raccontando loro delle stelle fluorescenti appese al soffitto e la libreria personalizzata che aveva contribuito a creare. Aveva parlato delle serate a tema e dei pigiama party, dei bottini gentilmente offerti dagli Elfi Domestici con cui facevano aperitivo notturno, di come Nathaniel Henderson da ogni viaggio portasse loro qualcosa di nuovo con cui abbellire la struttura e renderla più personale. Disse loro del sistema a punti, dei cartoncini you tried con cui si sfidavano sotto banco tutti gli special a chi ne collezionasse di più.
    Non pianse neanche un po’, sapete. Avrebbe voluto farlo ad ogni sentenza. Ogni frase un po’ più morbida e sputata veloce dalle labbra dischiuse. Avrebbe avuto bisogno di farlo, anche solo per liberare di almeno un millimetro la gola chiusa, ogni volta che abbassava lo sguardo sugli occhi vacui e asciutti di Neffi, la schiena piegata della Byrne.
    E se ci pensava. Se ci pensava. Non era stato al loro fianco, quand’era successo.
    Tutto. Quel tutto arrivato ai ribelli in un secondo momento, con JD senza magia a obbligare una risata dalle labbra e l’addio taciuto delle sedie vacanti di Javi e Moka e Wren e Justin e Sin ed Al. C’era passato al QG, Kaz, per aiutare a spostarlo in un altro luogo; aveva visto i volti dei compagni, ed era stato in silente accordo che quei posti rimanessero vuoti anche nella nuova sede dislocata. Lì aveva pianto, un po’. Mani sul viso e ginocchia piegate contro il petto, finché Nelia non gli aveva stretto una mano sulla spalla dolcemente, bisbigliando che l’avrebbe accompagnato lei al castello – e magari passiamo a prendere un gelato prima, che ne dici, Kaz?
    Non sapeva cosa avessero visto. Non sapeva come non farglielo rivedere ogni momento.
    «possiamo dormire tutti insieme stasera. Se vi va» erano arrivati alla porta di Different Lodge, e di comune accordo si erano fermati prima di varcarne la soglia. Kaz alzò gli occhi al cielo per asciugare lo strato liquido. Avrebbe pianto dopo, quando ci fosse stato solo il Morales. Quando in mormorii spezzati avrebbe potuto dirgli dei video che aveva registrato e mai inviato, e che alla fine così importanti non lo erano; frammenti di quel che aveva visto, tenendo i peggiori per sé.
    Umettò le labbra con la punta della lingua.
    Si era fatto più grande di quanto non fosse, cercando di coprirle con la propria statura dalle occhiate dei compagni e dei concasati: nessuno sapeva che Kaz avesse partecipato per Sartre, ma loro quel segreto non avevano potuto mantenerlo.
    E sarebbero state odiate, per quello. Lo sapeva perfino l’Oh, e lui delle persone tendeva a pensare il meglio. «rimango con voi tutto il tempo» promise, sincero. Un bisbiglio, e lo sguardo abbassato su entrambe le ex Corvonero.
    La cosa che più gli faceva paura, la soffiò muovendo solo le labbra. «non è così male essere come noi. giuro» che fosse quello il problema: il guardarsi allo specchio e non riconoscersi; reputarsi mostri, quando non c’era nulla di sbagliato nella loro magia.
    Era solo diversa. Erano solo diverse.
    «rimango con voi tutto il tempo» ribadì ancora, perché gli sembrava importante.
    gif code
    17 y.o.
    lumokinesis
    altair
  14. .
    Salve a tutti!

    Mi chiamo Mattia ed è un piacere conoscervi :)
    Stavo cercando un GDR sul quale tornare a ruolare ed un vostro utente che conosco bene mi ha caldamente consigliato questo ( Penso si trovi molto bene ;) )
    Le mie passioni generali sono appunto ruolare ( Per lo più D&D in questo periodo) e videogiochi.

    In ogni caso, sono molto emozionato di tornare a giocare e spero di poterlo fare presto con tutti voi *_*
    Chiedo un pochino di pazienza alle persone che ruoleranno con me :) è da un po' che non scrivo, spero di riprendere la mano in fretta.

    @°Shut Up Sentiti libero di aggiungere qualunque dettaglio tu ritenga importante a questa presentazione *^^* ( Solo cose belle :jericho: )
  15. .
    Nicky, ti hanno regalato un paio di occhiali speciali, e ti rendi conto che ti permette di leggere i pensieri solo di una (1) persona: Stiles. strange forte


    andrew stilinski
    most likely to
    "accidentally" unleash
    an evil curse


    25 y.o. ✧ psychowiz ✧ former huff
    I want what’s mine
    I won’t blame bad luck
    Enough is enough
    I’m gonna level up
    «uh…?»
    «cosa. COSA? Sto bene! Sto bene. Tutto bene! Non può essere una crisi di mezz’età, se sono già morto» C’era una certa fierezza nello sguardo caramello di Andrew Stilinski, limata appena dal sussulto di Connor alle sue parole. Se non poteva scherzare lui sulla propria dipartita di due anni prima, chi aveva il diritto di farlo? «avevo bisogno solo... Sai. Solo di. NON MI GUARDARE MI METTI A DISAGIO SII Più SENSIBILE WALSH HO UN CUORE OK? PROVATO! Non provato. Perché dovrebbe. Sono ok. Cioè sì, nel senso che l’ho provato, perché l’ho fermato. Ed è ripartito. a posto! haha» Sapeva da sé che non fosse divertente anche senza l’espressione impietosita del coinquilino – con quell’occhiata, aveva perso il diritto di essere considerato fratello; fratellastro, al massimo – motivo per cui, senza attendere che il moro desse voce a parole che non avrebbero fatto sentire a loro agio nessuno dei due, chiuse la video chiamata con un sorriso a labbra strette ed un occhiolino, congedando l’altro con una mano portata alla fronte.
    Attese qualche istante che il tasto rosso confermasse l’avvenuto termine della chiamata, prima di smettere di sorridere. E sospirare, svuotando e riempiendo i polmoni rapidamente, afflosciandosi contro la parete della sala d’attesa di Amortentia.
    Non era un segreto che Stiles non stesse bene. Era più una di quelle cose conosciute, e presenti nella stanza, di cui nessuno si azzardava a parlare, temendo di rompere una bolla dal vetro ancora troppo fragile - temendo di rompere lui, di nuovo. Un tempo forse si sarebbe sentito in colpa per costringere gli altri ad essere così delicati e attenti nei suoi confronti, ma che cazzo, un po’ ormai pensava di esserselo meritato. Aveva fatto del proprio meglio; aveva fatto del proprio peggio; per peculiari casualità del destino, era tornato in vita per raccontarlo, quindi pensava di meritarsi un po’ di essere trattato con i guanti di velluto. Non per sempre, ok? L’avrebbe superato, di nuovo, e sarebbe tornato tutto alla normalità, ne era sicuro, aveva solo bisogno di … bisogno di sapere di cosa avesse bisogno, in primis. Tempo? Spazio? Case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale? Non ne aveva idea, e quel primo paletto aveva segnato tutto il resto del suo e vissero tutti felici e contenti arc, frenandolo ancor prima di iniziare la discesa. In compenso, sapeva benissimo di cosa non avesse bisogno: alcool; droghe; Heidrun Ryder Crane a bussare alla sua porta perché devi sapere qualcosa, pensaci, qualunque indizio è utile quando lui, lui!, proprio come Jon Snow, non sapeva un cazzo di niente; le espressioni distanti e distratte del nuovo (c’era qualcosa di diverso, e non era solo il pv. ...ma anche) Isaac Lovecraft; i vuoti di memoria. Era sempre stato distratto, troppo iperattivo per potersi concentrare sulle piccole cose della vita, ma tutto quello :sparks: stress :sparks: stava influendo davvero in maniera negativa sulla sua salute psico fisica. C’erano giorni in cui neanche si presentava a lavoro.
    Aveva bisogno di una vacanza?
    Aveva proposto a Jay di andare a trovare Xav, ma quel realista, pragmatico, pezzo d’un fremello, gli aveva ricordato che l’ultima volta fossero stati rapiti dal cartello messicano – di cui poi Xav si era rivelato il boss, ma quella era un’altra storia – e Lydia non l’avrebbe perdonato se fosse nuovamente sparito. Che… rude. Bros before hoes, ma okay. Cos’erano un paio di settimane di assenza nel grande piano della vita? Già, Stiles, cosa sono un paio di settimane, o mesi, e qualcosa in più? Ugh. Insomma. Per forza di cose, le cose being la sua moralità, non aveva insistito.
    E quindi.
    Quello era il risultato.
    Quello cosa?
    «codice: britney» scrisse tutto con minuziosa attenzione, cliccando ogni lettera con l’indice come un boomer qualsiasi, e quando sentì che fosse giunto il momento di chiedere aiuto, inviò il messaggio al gruppo dei Loser.
    L’aveva fatto. Alla fine, era successo.
    Beh: ??????????
    Meh:??????????
    Beh: BRO ANCHE LO STESSO NUMERO
    Meh: ANCHE LO STESSO NUMERO
    Beh: .
    Meh: .
    Halley: 2007?
    Hunter: oh
    «2007» confermò, calcando il cappuccio della felpa sulla testa.
    Poteva chiedere supporto morale a Connor. Dakota. Jay. Murphy. Sin o Nicole. Isaac. Ma no, quello era un problema da giovani, ed era giunto il momento che i Gen Z si rendessero utili.
    «amortentia.» chiuse la chat, ignorando le richieste sui selfie (tanto sapevano non li sapesse fare. Younglings….) attendendo sulla sua poltroncina che il Portavoce Prescelto venisse estratto, e qualcuno si prodigasse alla causa.
    La causa era lui.

    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
292 replies since 15/1/2018
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